lunedì 31 dicembre 2018

Tre profili di prospetti Nba

Dal chiacchierato Nassir Little che ancora deve dimostrare il suo infinito talento a North Carolina allo stakanovista di Syracuse Oshae Brissett, passando per quello più in crescita di tutti che è Nickeil Alexander-Walker leader di Virginia Tech. Questi i profili dei prospetti che ambiscono al draft Nba.


sabato 15 dicembre 2018

Un poker d’assi sulle panchine di A2

Tocco di classe - Quattro coach dal prestigioso background impegnati nel campionato cadetto: ecco il perché della loro scelta

Pancotto, Lardo, Bucchi e Valli hanno alle spalle, tutti insieme, ben 57 stagioni in serie A, finali scudetto, Coppe Italia e quattro premi di migliori coach dell'anno


di Giovanni Bocciero*


L’A2 quest'anno è un campionato da seguire, non fosse altro per la presenza di allenatori che possiedono un grande bagaglio tecnico e d’esperienza. Coach come Piero Bucchi, Cesare Pancotto, Lino Lardo e Giorgio Valli messi insieme hanno collezionato 57 campionati di serie A, 3 finali scudetto, 2 Coppe Italia, 1 Supercoppa italiana e 4 premi di miglior coach dell’anno. Equamente suddivisi tra girone Est ed Ovest, la XL Extralight Montegranaro ha deciso di ripartire da Pancotto che conosce fin troppo bene il territorio essendo di Porto San Giorgio; l’Unieuro Forlì ha ormai da ben tre anni affidato il proprio progetto nelle mani di Valli; la Givova Scafati ha puntato su Lardo dopo le dimissioni di Marco Calvani per le indagini antidoping; la Virtus Roma ha riabbracciato Bucchi con l’obiettivo di ritornare in A.
LARDO: "IL LAVORO E' PIU' GRATIFICANTE. IN SERIE A SERVE TEMPO:
SPESSO TROVI UN ROSTER ASSEMBLATO CON GIOCATORI CHE
VENGONO DA ESPERIENZE DIVERSE"
Ma c’è differenza tra l’allenare in massima serie piuttosto che in A2? «Il lavoro dell’allenatore in A2 è più gratificante - ha esordito Lino Lardo - perché c’è la possibilità di lavorare su un sistema di gioco in breve tempo. In massima serie si deve avere più tempo perché spesso ti ritrovi un roster assemblato con molti stranieri che vengono da diverse esperienze, e la lingua ufficiale è l’inglese che pur se parlato ormai da tutti può creare qualche difficoltà. Quindi in A2 con otto atleti italiani hai la possibilità di plasmare una mentalità, un gioco di squadra, e per me che sono un allenatore a cui piace dare un sistema alla propria squadra questa è una cosa importante per lavorare al meglio. E credo senza dubbio - ha continuato Lardo - che mentre in serie A ci si concentra di più sull’individualità ed il talento dei singoli, in A2 si vede una migliore pallacanestro basata sul gioco d’insieme».
«Credo che la cosa più importante sia innanzitutto cosa si vuole fare, e non dove si allena - ha invece commentato Cesare Pancotto -. Quando un allenatore vuole insegnare pallacanestro come me, non importa la serie. Cambiano gli individui che devi allenare e che devi motivare, ma l'importante è che si conosca il proprio ruolo, cioè quello di lavorare dando valore alla parola allenatore o istruttore in base alla categoria nella quale si milita».
PANCOTTO: "E' IMPORTANTE COSA SI VUOLE FARE, E NON DOVE SI
ALLENA, SE L'IMPEGNO E' QUELLO DI INSEGNARE PALLACANESTRO
DANDO VALORE ALLA PAROLA ALLENATORE"
La motivazione è senz’altro l’incentivo che ha spinto tecnici di questo spessore ad accettare offerte provenienti dal secondo campionato. È anche vero che oggi la concorrenza si è fatta molto competitiva, e spesso i club guardano più al dato economico. «Parto dal presupposto che a me piace allenare - ha risposto Pancotto -. Considero che il basket non abbia dimensione, nel senso che tra l’Eurolega e l’A2 cambia l’importanza della serie ma non il fatto di dover insegnare a giocare. Poi si tratta di una sfida, perché sono ritornato ad allenare nel mio territorio con tutte le difficoltà che si devono affrontare. E infine perché mi sono sentito scelto dalla società di Montegranaro, cosa molto fondamentale».
«Ci sono diversi fattori, e spesso personali - ha invece dichiarato Lardo -. Adesso le dinamiche del mercato sono abbastanza diverse rispetto a quindici anni fa quando c’erano delle vere e proprie categorie di allenatori di serie A e di serie A2. Io guardo molto al progetto che mi viene proposto. Devo anche dire che negli anni sono cresciuti molto i giovani tecnici, e questo ha fatto sì che si alzasse la concorrenza. Per questo qualche società ha deciso di puntare su assistente validi, maturati anche per merito della navigata esperienza in A dei capi allenatori che hanno avuto, e che poi li hanno rimpiazzati. Nel mio caso attuale, con Scafati c’erano stati già degli abboccamenti in anni passati, ma questo era il momento giusto».
L’esperienza maturata in tanti anni di carriera ad alto livello da questi allenatori può essere senz’altro un volano per far crescere non solo i giovani giocatori, ma in una visione più globale le stesse società in cui lavorano e addirittura l’intera struttura del campionato di A2.
LARDO: "COMUNQUE E' BELLO RIMETTERSI IN GIOCO ANCHE IN
AMBIENTI NON COSI' SEMPLICI E AMBIZIOSI COME LE PIAZZE
CHE HANNO GRANDI PROGETTI"
«Ho dimostrato di poter allenare ad alto livello, ma penso che sia bello - ha continuato Lardo - anche mettersi in gioco e lavorare in ambienti non così semplici e ambiziosi come possono essere le grandi piazze. Credo di aver vinto quasi tutte queste sfide riuscendo a rilanciare dei progetti portando valori come l’esperienza e la professionalità. Sinceramente sento di essere stato pronto ovunque ho allenato, da Reggio Calabria a Udine, dove è stato fatto un lavoro straordinario e mi sono messo in discussione scendendo addirittura in serie B. Perciò mi piace allenare con l’obiettivo di far crescere sia i giocatori che le società, ma questo non toglie che abbia ancora tanta ambizione di ritornare ad allenare ad alto livello».
«Credo che ogni allenatore debba portare il proprio contributo, che sia tecnico, tattico o solo di energia - ha invece commentato Pancotto - ovunque allena. Abbiamo il dovere di far crescere il nostro movimento, di migliorare i nostri atleti e di creare risultati per le società. Per cui non ho l’ambizione di pavoneggiarmi in merito alla mia maturata esperienza rispetto ad un collega più giovane, ma penso solo a far bene quello per cui sono capace cercando ogni giorno di trasferirlo ai miei giocatori e ad un sistema dal quale chiunque può apprendere degli insegnamenti tecnici».
L’A2 si è guadagnata la fama di essere il campionato degli italiani perché è dove gli atleti nostrani riescono ad esprimersi al meglio. Non è un caso se lo scorso anno Federico Mussini ha deciso di trasferirsi all’Alma Trieste invece di proseguire il massimo campionato con la Grissin Bon Reggio Emilia; oppure come Amedeo Tessitori che grazie all’esperienza alla De’Longhi Treviso si ritrova ad essere nel giro della nazionale maggiore. Insomma riapriamo il dibattito sull’utilizzo degli italiani, che più che imposto da regole dovrebbe diventare una cultura in massima serie.
PANCOTTO: "ABBIAMO UN DOVERE BEN PRECISO: FAR CRESCERE IL
MOVIMENTO, MIGLIORARE I NOSTRI ATLETI E OTTENERE RISULTATI
PER LE SOCIETA' CHE CI DANNO FIDUCIA"
«Penso che l’obiettivo di ciascun giocatore sia quello di diventare un atleta globale - ha dichiarato Pancotto -, perché non si può pensare di giocare per tutta la carriera in un’unica serie altrimenti sarebbe restrittivo per il proprio percorso di crescita. Proprio per questo sin da quando alleno ho sempre dato un’opportunità a chiunque, soprattutto ai giovani ma in generale ai giocatori italiani avendo fiducia nella nostra scuola di formazione. Naturalmente in A2 per la conformazione dei roster si esalta questo concetto, ma ribadisco che è importante che i nostri atleti lavorino con l’ambizione di migliorare sempre e comunque. La qualità di questo campionato è alta proprio perché ci sono ottimi allenatori e giocatori disposti a lavorare duro».
«Da sempre sono stato dalla parte degli italiani, dicendo che meritano più spazio anche in serie A. Capisco le esigenze dei proprietari e delle squadre che ingaggiano gli stranieri per fini di risultato o per aumentare lo spettacolo - ha affermato Lardo -, però negli ultimi anni tutti questi grandi campioni non si sono visti in Italia. E allora penso che bisognerebbe lavorare di più sugli italiani. Sento dire da più parti che se sono bravi giocano, il problema è che lo devono dimostrare e tante volte guardando alcune partite di massima serie si vedono dieci stranieri in campo. Allora la domanda che dobbiamo porci è come fanno in questo modo i ragazzi a crescere? Poi ci sono anche atleti di talento che riescono a ritagliarsi il proprio spazio, ma gli altri che possono aspirare a giocare su quei palcoscenici non hanno l’opportunità di mettersi in mostra. Così scendono in A2 dove c’è la possibilità di giocare, di fare esperienza e anche di sbagliare. Detto ciò, non possiamo poi lamentarci se in nazionale, che ha comunque dei sui cicli generazionali, abbiamo giocatori con poca esperienza internazionale e che non hanno quella tempra di prendersi le responsabilità. Nella stagione in cui ho allenato in B a Udine, ho visto degli atleti sconosciuti davvero molto bravi. Perciò - ha concluso Lardo - dobbiamo avere il coraggio di andare a scovare i ragazzi e di farli giocare, limitando gli stranieri, e si vedrà che i talenti ce li abbiamo ancora».




Il curriculum di Pancotto, Bucchi, Lardo e Valli
IL COACH DELLE METROPOLI PIERO BUCCHI
Cesare Pancotto è l’allenatore di A2 con il maggior numero di campionati di A alle spalle: 21. Classe ’55 ha allenato tra le altre Forlì, Pistoia, Siena, Trieste, Udine, Avellino, Cremona, vincendo tre campionati di A2 e due premi di coach dell’anno di A. Piero Bucchi, bolognese classe ’58, è il coach delle metropoli avendo guidato Roma, Napoli e Milano. Ha iniziato in A2 a Rimini per poi andare a vincere a Treviso Coppa Italia e Supercoppa. A Napoli ha prima vinto l’A2 e poi la Coppa Italia, mentre a Milano ha raggiunto due finali scudetto. Ripartito da Brindisi in A2 ha fatto affermare il club pugliese in massima serie. Lino Lardo, classe ’59 di Albenga, ha iniziato come assistente di Carlo Recalcati a Bergamo. Dopo l’escalation che lo ha visto a Reggio Calabria e Milano centrando il premio di coach dell’anno e una finale scudetto, ha riportato Rieti in serie A prima di andare a Bologna. Giorgio Valli, modenese classe ’62, cresciuto nella Virtus Bologna è diventato assistente di Ettore Messina e vinto nel 1997/98 il double scudetto-Eurolega. A Treviglio in B la prima esperienza da capo allenatore, poi Scafati e Ferrara con cui ha ottenuto due promozioni e una Coppa Italia di A2.


*: per il mensile BASKET MAGAZINE

giovedì 6 dicembre 2018

Guglielmo Talento: «I tempi cambiano e ci si evolve. Il Coni ha bisogno di un restyling»

di Giovanni Bocciero*


Caserta - Il Comitato provinciale Coni di Caserta ha celebrato con le stelle al merito sportivo e le medaglie al valore atletico gli atleti e le società che si sono distinti nell’anno 2017. Alla cerimonia tenutasi presso la Scuola specialisti dell’Aeronautica Militare ha partecipato anche il consigliere della Giunta nazionale Coni, Guglielmo Talento, e ne abbiamo approfittato per porgli alcune domande riguardanti la Riforma dello Sport inserita nella Legge di Bilancio 2019.

D: Come giudica la riforma della Coni Servizi SpA tanto voluta dal sottosegretario di Stato (con delega allo Sport), Giancarlo Giorgetti?

R: «Certamente stiamo vivendo un momento in cui il Coni è sotto la lente d’ingrandimento della politica e dell’opinione pubblica in generale in quanto se ne sta parlando molto sui giornali. Io credo che un ente quale il Coni, che ha ben 104 anni di storia, deve guardare al futuro senza restare incatenato alle logiche del passato. I tempi cambiano, ci si evolve, ed anche la nostra istituzione sportiva ha bisogno di un restyling. Inoltre la nuova riforma deve ancora essere del tutto scoperta e capita, e per questo abbiamo davanti diversi mesi di lavoro» – ha dichiarato Talento a Sporteconomy.

IL CONSIGLIERE DELLA GIUNTA NAZIONALE CONI
GUGLIELMO TALENTO

D: Lo scopo principale della Riforma dello Sport che subito balza agli occhi sembra essere quella di avvicinare lo sport d’alto livello con quello di base, che è fondamentale per l’intero movimento?

R: «Non finirò mai di ringraziare le migliaia di volontari che ogni giorno ruotano intorno al nostro mondo permettendoci – ha continuato Talento – di svolgere appieno quella che è la nostra attività primaria. Lo sport è sociale, e quindi non dobbiamo solo pensare alle Olimpiadi o alle manifestazioni più importanti. È importante tornare a fare sport nella Scuola, che deve essere il nostro principale stakeholders».

D: A proposito di stakeholders, lei è stato forse tra i primi a parlare di sport business nella visione in cui i posti di lavoro non devono essere ricercati solo nelle fabbriche, ma che anche un centro sportivo, con la sua gestione, può portare a nuove assunzioni oltre che ad introiti. Ci sono però diverse federazioni sportive che sopravvivono praticamente solo grazie ai finanziamenti del Coni, senza aver colto l’importanza di aprirsi agli stakeholders.

R: «Purtroppo è vero, e quando si tocca questo tasto non si può non parlare di soldi. Io credo, che, per prima cosa, bisogna accorpare tante piccole federazioni che negli anni si sono approvvigionate solo ed esclusivamente grazie ai finanziamenti del sistema. Oggi chiunque ha l’ambizione di farsi chiamare presidente, e questo non va bene, soprattutto perché dobbiamo ricordarci che si tratta dei soldi dei contribuenti, e quindi dei cittadini italiani. Per questo bisogna essere lungimiranti, guardare all’esterno e ricercare fondi nei stakeholders, che possono avere interesse nelle nostre attività».

D: Il prossimo luglio Napoli ospiterà l’Universiade. Quale sarà il contributo del Coni e come parteciperà alla gestione dei costi?

R: «Il Coni ha lasciato la cabina di regia dell’organizzazione agli Enti che si sono aggiudicati il finanziamento dello Stato, come è giusto che sia. Questo significa che noi come istituzione sportiva daremo il nostro sostegno solo dal punto di vista logistico e pratico. Ovviamente – ha concluso Guglielmo Talento – io in qualità di consigliere nazionale e Sergio Roncelli, quale presidente regionale del Coni, siamo a completa disposizione del Comitato Organizzatore Locale».


* per SPORTECONOMY --- Link originale

lunedì 19 novembre 2018

Le storiche società meridionali: Napoli

Le storiche società meridionali sono ripartite dalla cadetteria con grandi ambiziosi

Nuovi dirigenti, gestione più attenta al consolidamento che ad inseguire sogni di rapida gloria. Club con molti punti in comune e la volontà di far dimenticare le delusioni recenti

di Giovanni Bocciero*


La pallacanestro del Sud Italia riparte da tre piazze storiche come Caserta, Napoli e Reggio Calabria, che per alterne vicissitudini si sono ritrovate tutte e tre ai nastri di partenza del campionato di serie B. Le tre storiche compagini, seppur con ambizioni diverse, hanno le potenzialità per rianimare il rispettivo ambiente, che rammaricato o deluso, dovrà appoggiare il nuovo corso affinché ognuna delle società ritorni a competere su quei palcoscenici che gli sono congeniali.
Lo stesso Basket Napoli seppur solo retrocesso dalla A2 è ripartito ex novo. L’estate all’ombra del Vesuvio è stata caratterizzata dal passaggio del testimone tra Ciro Ruggiero e i nuovi proprietari Federico Grassi e Francesco Tavassi, ai quali spetta il compito di rilanciare la squadra dopo l’ultima sfortunata stagione. All’ex presidente Ruggiero - napoletano di nascita ma agropolese d’adozione - va il merito di aver riportato la pallacanestro in città, facendo vivere due intensi anni nei quali “si è parlato solo di vittorie e di sconfitte, di tecnica e di tattica, ma neanche per un istante di fallimenti, mancati pagamenti e lodi”, come da lui stesso affermato nella lettera di commiato. Voltata pagina, la società si è rimboccata le maniche per garantire nel breve periodo una stagione da protagonisti, e nel medio-lungo periodo un futuro radioso. Eppure i risultati d’inizio campionato non rispecchiano quelle che sono le reali potenzialità del roster biancazzurro.
GRASSI E TAVASSI A NAPOLI I PROTAGONISTI DI UN'ESTATE
IN CUI SI E' PARLATO DI TECNICA E NON DI FALLIMENTI E LODI
Coach Gianluca Lulli, che ha militato da giocatore in quello che fu il Basket Napoli del presidentissimo Mario Maione, deve ancora trovare la giusta quadra del cerchio facendo fronte anche ad un ritardo nell’inizio della preparazione fisica. Potrà essere aiutato in questo senso da un autentico veterano della categoria come Francesco Guarino, playmaker 39enne che nel corso della sua carriera ha giocato per alcune delle più importanti squadre italiane collezionando titoli e promozioni. È lui la chioccia di un gruppo che può vantare il giusto mix tra esperienza e gioventù, dal tiratore Vincenzo Di Viccaro al roccioso Riccardo Malagoli, dal versatile Tommaso Milani al pretoriano Dario Molinari, sino ai due prospetti dell’Est Europa Nemanja Dincic e Hugo Erkmaa. L’intento della società è quello di ripartire con amore, così come recita lo slogan per questa stagione (#RiparTiAmo), anche se rispetto agli ultimi due anni non c’è quasi traccia di un’identità napoletana nel roster.
«Napoli sta cercando di tornare faticosamente al vertice - ha analizzato ancora il presidente della FIP Campania Manfredo Fucile -, con un tessuto societario completamente nuovo e che rispecchia, al contrario della squadra, la vera napoletanità. Purtroppo dopo la splendida cavalcata di due anni fa, nella scorsa stagione sono state sbagliate alcune scelte programmatiche che hanno portato alla retrocessione. I nuovi proprietari hanno la volontà e la forza di riportare la piazza lì dove merita, ma è importante capire che occorre strutturarsi anche con la creazione di un adeguato settore giovanile per alimentare con continuità questa passione». Il nuovo corso della pallacanestro napoletana si è dovuto immediatamente confrontare con le problematiche riguardanti l’impiantistica cittadina. Non a caso la squadra è stata sfrattata dal Pala Barbuto e dovrà disputare le partite casalinghe in esilio al palazzetto di Casalnuovo. Il fatto di non avere una struttura in città dove poter svolgere l’attività - e si spera che i finanziamenti dell’Universiade possano sistemare questa situazione - sta facendo pensare ai proprietari di costruirsi un impianto proprio. Sarebbe stata anche identificata una zona nel quartiere Fuorigrotta, ma è bene prendere questa notizia con le pinze perché come recita il detto tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. E il popolo napoletani ha già vissuto milioni di sogni poi non concretizzatisi. Questo però è un ulteriore punto a favore di Grassi e Tavassi, che hanno l’obiettivo di realizzare un progetto ambizioso per la Napoli dei canestri, che nell’immediato veda la squadra competere e cercare di ritornare subito in A2.


Napoli, alle spalle gli ultimi fallimenti
La città di Napoli ha vissuto grandi stagioni con la storica Partenope che nel 1970 vinse la Coppa delle Coppe. Dopo quei fasti si sono alternate altre società cittadine sino alla S.S. Basket Napoli che si trasferì da Pozzuoli nel 1999. La società del presidente Mario Maione ha regalato incredibili successi - semifinali scudetto, Coppa Italia 2006 e partecipazione all’Eurolega - firmati da campioni come Lynn Greer e Mason Rocca. Nel 2008 arrivò l’esclusione dal campionato e dopo anni bui la pallacanestro cittadina è rinata nel 2011 con la wild-card in A dilettanti del Napoli Basketball. L’anno dopo grazie alla fusione con Sant’Antimo disputò la LegaDue, ma questo trasferimento si rivelò solo il primo di tre fallimenti consecutivi.



* per la rivista BASKET MAGAZINE

venerdì 16 novembre 2018

Le storiche società meridionali: Caserta

Le storiche società meridionali sono ripartite dalla cadetteria con grandi ambiziosi

Nuovi dirigenti, gestione più attenta al consolidamento che ad inseguire sogni di rapida gloria. Club con molti punti in comune e la volontà di far dimenticare le delusioni recenti

di Giovanni Bocciero*


La pallacanestro del Sud Italia riparte da tre piazze storiche come Caserta, Napoli e Reggio Calabria, che per alterne vicissitudini si sono ritrovate tutte e tre ai nastri di partenza del campionato di serie B. Le tre storiche compagini, seppur con ambizioni diverse, hanno le potenzialità per rianimare il rispettivo ambiente, che rammaricato o deluso, dovrà appoggiare il nuovo corso affinché ognuna delle società ritorni a competere su quei palcoscenici che gli sono congeniali. Caserta ad un anno dalla inaspettata estromissione dalla serie A, che in parte è una ferita ancora aperta, sta provando a fare circolo intorno alla nuova società che ha acquistato il titolo sportivo di Venafro. La Juvecaserta sembra basarsi sul duo dirigenziale composto da Gianfranco Maggiò e Antonello Nevola, con il patron Raffaele Iavazzi dietro le quinte. Ed è proprio la contestata figura dell’ex presidente che divide la tifoseria, con la società e il diretto interessato che non hanno mai smentito il suo coinvolgimento. Dagli uffici al campo, il lavoro che stanno svolgendo coach Massimiliano Oldoini ed i suoi ragazzi è encomiabile. Il tecnico è stato scelto perché conosce molto bene l’ambiente essendo stato assistente di Pino Sacripanti soltanto alcune stagioni fa, e durante l’estate quasi non si è badato a spese provando a prendere il meglio sul mercato così da costruire un roster di tutto rispetto e con la dichiarata voglia di essere promossi. Perché la società vuole tornare a competere nelle categorie che più gli si addicono per il prestigio e la storia della piazza, seppur sposando una programmazione che non deve bruciare le tappe. Una prerogativa imprescindibile per costruire una struttura solida nel tempo e capace anche di reperire le risorse necessarie per svolgere l’attività.
GIANFRANCO MAGGIO' GARANTE DELLA NUOVA JUVECASERTA
CHE HA INIZIATO LA STAGIONE CON VITTORIE IMPORTANTI
Il personaggio che garantisce la bontà di questo progetto non può che essere Gianfranco Maggiò. «Io ero presente all’incontro tra Maggiò e il presidente Gianni Petrucci - ha raccontato il numero uno della FIP Campania Manfredo Fucile -. Magari non potrà fare quello che ha fatto il padre Giovanni perché sono cambiati i tempi, ma è sicuramente una garanzia la sua presenza. Il suo è un nome storico per la pallacanestro campana, sono contento che sia ritornato all’apice della società ed ho visto con che rispetto e riconoscenza è stato accolto da Petrucci. So che ci sta mettendo tutto l’impegno possibile. Dall’inizio ha detto che era meglio partire da un campionato inferiore, vincere subito e galvanizzare l’ambiente, ma ha bisogno che tutto il territorio, dai tifosi agli imprenditori e soprattutto gli sponsor, gli stiano vicino». Lo scoppiettante inizio di campionato sta confermando che Caserta è tra le principali candidate al salto di categoria. La coppia di esterni composta da Riccardo Bottioni e Leonardo Ciribeni, che l’anno scorso aveva ben fatto a San Severo, si sta confermando di livello per il torneo cadetto; l’esperienza sotto canestro dell’oriundo Marcelo Dip e del maddalonese Biagio Sergio; l’energia di Norman Hassan; l’efficacia di Niccolò Rinaldi; la precisione di Niccolò Petrucci sono gli ingredienti di un roster che rappresenta la base di un progetto che mira a rivitalizzare la storia bianconera con un pizzico di casertanità riscontrabile negli assistant coach Fabio Farina e Federico D’Addio.
Già il semplice fatto che dopo appena dodici mesi dal secondo funerale della Juvecaserta, questa abbia avuto la forza di rinascere e ripartire da un campionato nazionale deve far ben sperare per il futuro. E se è vero che il buongiorno si vede dal mattino, allora i tifosi possono tornare a sognare. L’importante è che la nuova società comprenda che non bisogna fare il passo più lungo della gamba, come magari fatto negli anni passati. Basti pensare agli esosi sforzi economici di Rosario Caputo per allestire la squadra che poi disputò i preliminari di Eurolega lasciando i conti in rosso; oppure alla ferma volontà di Iavazzi di richiedere il ripescaggio quando invece si poteva ripartire da un’onesta A2 provando a ripianare i debiti. Solo con un’oculata programmazione, soprattutto economica, la pallacanestro all’ombra della Reggia può ritornare ad appropriarsi del suo prestigio. Con l’aiuto di tutti ed in particolare dei tifosi, che stanno provando a rilanciare l’iniziativa dell’azionariato popolare per acquisire quote della società tramite il Club Ornella Maggiò.


Juvecaserta legata alla famiglia Maggiò
La Caserta del basket è legata a doppio filo alla famiglia Maggiò, che ne ha costruito il mito. Gianfranco Maggiò ha portato avanti l’impegno cestistico dopo la morte del padre Giovanni, centrando lo storico scudetto del 1991. Raggiunto l’apice ebbe inizio il declino, prima con la retrocessone in A2 del 1994 e poi il fallimento del 1998. Il nome Juvecaserta fu rispolverato nel 2003 con l’avvento del presidente Rosario Caputo e la fusione dei due club cittadini Ellebielle e Falchetti. Tornata in serie A nel 2008, in due stagioni raggiuse la semifinale scudetto e i preliminari di Eurolega. Con il subentro di Raffaele Iavazzi alla guida del club, Caserta ha sfiorato più volte i playoff per poi retrocedere ed essere ripescata nel 2015. Nell’estate del 2017 è stata invece estromessa dalla serie A.



* per la rivista BASKET MAGAZINE

domenica 11 novembre 2018

Wes Clark o Clark Kent, a Brindisi si stropicciano gli occhi

Lo abbiamo fiutato sin da quando è sbarcato in Italia, a Brindisi, con largo, largo anticipo, e i fatti ci stanno dando ragione. Colui che nella scorsa primavera ha contribuito ad eliminare Arizona della futura prima scelta al draft Nba Deandre Ayton al primo turno del torneo Ncaa, oggi è la grande sorpresa del campionato italiano. Ovviamente stiamo parlando di Wes Clark, che sta vestendo i panni di Clark Kent facendo sognare la tifoseria brindisina. Clicca qui per l'intervista a Clark


martedì 30 ottobre 2018

L'incredibile ascesa di Alfonzo McKinnie


L’ala è passata dalla seconda categoria lussemburghese ai Warriors



L’ascesa di Alfonzo McKinnie ha davvero dell’incredibile, e per certi versi fa commuovere. Oggi sta vivendo quel sogno di essere un giocatore Nba sin da bambino, dopo averlo inseguito facendo molti sacrifici. Diciamoci la verità, però, non stiamo difronte ad un talento cristallino. Nato nel 1992 a Chicago, non ha vissuto appieno quella che è stata l’escalation dei Bulls guidati da Michael Jordan. Ma da nativo della città del vento è cresciuto aspirando di arrivare a quel livello. Dopo il liceo va al college per frequentare prima l’Eastern Illinois e poi la Green Bay, dove subisce due infortuni al menisco. Al draft Nba del 2015 non viene minimamente calcolato dalle franchigie professionistiche, anche perché i numeri recitano 7.1 punti e 5.1 rimbalzi. Ma oltre alle mere cifre, come già detto, non sembra avere i tratti di un talento fuori dal normale. Così come spesso succede per i giovani giocatori americani, trova sistemazione in Europa, e precisamente nel roster dei Pirates dell’East Side, formazione che disputa il secondo campionato del Lussemburgo. Non immaginiamo quale possa essere il livello medio del torneo, e così Alfonzo chiude la stagione con 26 punti ad allacciata di scarpe. Trova il tempo di farsi una piccola vacanza-gioco ai Rayos de Hermosillo con i quali perde la finale per il titolo messicano, e subito riprova la carta Nba. Si autofinanzia con 175 dollari un provino con i Windy City Bulls, la franchigia satellite in G League dei Chicago Bulls, ed ottiene un posto in squadra. Sono comunque poche le soddisfazioni, eppure l’estate successiva viene firmato dai Toronto Raptors che gli fanno giocare 14 match in Nba, esordendo proprio contro Chicago. Viene per lo più assegnato ai Raptors 905, la squadra di G League affiliata alla franchigia canadese, e dopo un anno viene tagliato. Insomma due esperienze non proprio esaltanti e gratificanti. Ma lui non ha smesso di sognare, c’ha creduto sempre e adesso sta vivendo questo sogno con i Golden State Warriors. Certo, l’ambiente nella Baia assomiglia tanto ad un mondo fantastico, magari chiunque di noi potrebbe tentare di andare lì a giocare, e giocare per davvero tra i professionisti. Tanto come compagni di squadra hai Steph Curry che domenica notte a Brooklyn ha stabilito il record di sette partite consecutive con 5 o più triple realizzate, o Klay Thompson che stanotte ha stabilito contro i Bulls - neanche a farla apposta - il record di 14 triple mandate a segno in una singola gara. E poi c’è sempre Kevin Durant. Insomma, sarebbe facile per chiunque giocare insieme a loro. Ma non va sottovalutata l’abnegazione di McKinnie. Non a caso coach Steve Kerr ha dichiarato che dopo i provini estivi lo ha voluto fortemente in squadra perché è un ragazzo che lavora duro, e che deve essere preso d’esempio per i ragazzi più giovani perché non ha smesso mai di inseguire il suo sogno. Giusto per inciso, nella vittoria contro Chicago che passerà alla storia per le 14 triple di Thompson, Alfonzo ha confezionato una doppia-doppia da 19 punti e 10 rimbalzi. Complimenti!

giovedì 25 ottobre 2018

Universiadi 2019 e impianti sportivi a Napoli

Intervista al presidente della FIP Campania Manfredo Fucile in merito alla problematica delle strutture sportive a Napoli, dal PalaArgento che resta un sogno al PalaCollana al centro di una controversia, al PalaBarbuto e al PalaVesuvio che saranno ristrutturati pesantemente grazie ai finanziamenti delle Universiadi.




lunedì 15 ottobre 2018

Il Senatore Barbaro: la candidatura Milano-Cortina grande opportunità per il paese

Il Senatore Barbaro: la candidatura Milano-Cortina grande opportunità per il paese


di Giovanni Bocciero




Il senatore della Lega, Claudio Barbaro domenica scorsa ha presenziato alla IV edizione della “Alvignano Corre”, competizione podistica valevole quale campionato italiano dell’ASI Nazionale, ente di promozione sportiva di cui è presidente. In occasione della manifestazione svoltasi nel comune dell’alto casertano, ne abbiamo approfittato per intervistarlo riguardo diversi temi che interessano l’intero movimento sportivo nazionale. CONTINUA A LEGGERE SU SPORTECONOMY


venerdì 12 ottobre 2018

Non è mondo per giovani. Sono 18 gli U22 nei roster di serie A

Troppo esiguo il numero degli under aggregati alle prime squadre, è necessario un cambio di rotta

Sono appena dieci i ventenni nei roster di serie A

Tra i vice campioni del mondo del 2017, solo Okeke, Mezzanotte e Pajola trovano posto nelle squadre del massimo campionato. Sono 18 gli under 22


di Giovanni Bocciero*



Questo campionato non è per gli italiani, a maggior ragione se giovani. Se stessimo scrivendo un poema cestistico potrebbe essere questa la giusta locuzione introduttiva. Come un cane che si morde la coda torniamo sul problema dello scarso utilizzo dei nostri giovani in serie A. Un trend che si riflette sulla nazionale tanto che il ct Meo Sacchetti per le ultime convocazioni è stato costretto ad attingere anche dal campionato di A2. Numeri davvero esigui quelli che raccontano di appena dieci under 20 aggregati ai roster, meno di uno a squadra. Numeri che prendono più corpo se allarghiamo il range agli under 22, salendo così a 18 elementi. Un dato comunque insufficiente per un movimento che deve inesorabilmente ripartire dalla linea verde.
ANDREA MEZZANOTTE, NEO ACQUISTO DI TRENTO
IN MAGLIA AZZURRA AL MONDIALE U19 DEL 2017
Anche nella pallacanestro come nel mondo del lavoro sembra che i giovani per realizzarsi e trovare spazio decidano di emigrare. Basti pensare che quest’anno saranno 17 gli azzurri che giocheranno negli Stati Uniti tra Ncaa e junior college. Non a caso la federazione ha avviato una collaborazione con Riccardo Fois, assistant coach di Gonzaga University, per monitorare tutti questi ragazzi oltreoceano. Certamente sarà un’esperienza che li arricchirà tecnicamente quanto umanamente, con la speranza che al loro ritorno possano rinvigorire le fila della nazionale.
Fa male però constatare che dell’Italia under 19 vice campione del mondo due stagioni fa, solo in tre militano in massima categoria. Stiamo parlando dei classe ‘98 David Okeke a Torino, elogiato da coach Larry Brown come possibile prospetto Nba, e Andrea Mezzanotte a Trento che assaporerà per la prima volta la massima serie dopo anni di gavetta a Treviglio; e del classe ’99 Alessandro Pajola a Bologna che cercherà di conquistare quanti più minuti possibili. Questi atleti insieme a Leonardo Candi (classe ‘97) sono tra i favoriti a succedere come miglior under 22 del campionato a Diego Flaccadori, unico capace di vincere tre volte il premio.
MATTEO SPAGNOLO, PROSPETTO DEL 2003
TRASFERITOSI IN ESTATE AL REAL MADRID
E gli altri giovani italiani? Ci si attende l’exploit da Riccardo Bolpin (altro ‘97) ritornato in A a Pistoia, mentre può trovare spazio e far bene il 2000 Luca Conti passato in estate da Trento a Pesaro. Poi bisogna purtroppo guardare all’A2 o addirittura all’estero. Nel secondo campionato militano i vari classe ’98 Tommaso Oxilia, Lorenzo Bucarelli, Lorenzo Penna, Riccardo Visconti, e i 2000 Mattia Palumbo, Matteo Laganà e Federico Miaschi, ai quali però nessuno ha voluto offrire un posto e dei minuti importanti in serie A. Mentre invece rivolgendoci all’estero ci sono tre dei nostri migliori under 18: i 2002 Sasha Grant al Bayern Monaco e Lorenzo Guerrieri al Barcellona, e il 2003 Matteo Spagnolo al Real Madrid. E non fa sorridere che in Italia solo Pesaro ha aggregato alla prima squadra il 2001 Nicolas Alessandrini.
Questi giovani espatri sono segno che i nostri allenatori sono preparati e competenti nel formare i talenti, ma devono anche trovare il coraggio di metterli in campo e non farli svernare tra giovanili e categorie minori. Il gap con le altre nazioni è proprio che i pari età stranieri hanno più minuti da “pro” nelle gambe. Ad esempio in Francia giocatori poco più che ventenni sono già i leader delle proprie squadre e si dichiarano con cognizione per il draft Nba, per non parlare degli atleti dell’Est Europa che rimpinguano club di ogni paese, compresi quelli italiani.


LE NOMINATION DI BM - I TOP 5
1) Leonardo Candi - Grissin Bon R. Emilia - play - 21 anni - 190 cm
2) Alessandro Pajola - Segafredo Bologna - play - 19 194 cm
3) David Okeke - Auxilium Torino - ala - 20 - 203 cm
4) Andrea Mezzanotte - Dolomiti Energia Trento - ala - 20 - 208 cm
5) Luca Conti - Victoria Libertas Pesaro - ala - 18 - 195 cm



* dalla rivista BASKET MAGAZINE

James è la stella tra debutti assoluti e clamorosi ritorni

Mike e i suoi fratelli - I dieci campioni che danno forma ai roster della serie A per una stagione da bridivi

James è la stella tra debutti assoluti e clamorosi ritorni


Nuotatori mancati, mascelle rotte, tatuaggi e squalifiche monstre: dieci ritratti dei protagonisti che si daranno battaglia sui parquet italiani


di Giovanni Bocciero*


Il mercato anche quest’anno ha portato in Italia tanti giocatori stranieri. Alcuni alla loro prima esperienza, altri di ritorno dopo aver lasciato un buon ricordo o semplicemente essersi trovati bene. L’arrivo di questi volti nuovi rappresenta un po’ la cartina di tornasole del livello della nostra serie A, che negli ultimi anni di certo non ha brillato. Quest’anno la tendenza sembra essersi invertita, con l’ingaggio di atleti di grande qualità.

TESSUTI PREGIATI. Senza alcun dubbio Milano è la principale destinazione per i migliori stranieri a livello europeo, e questa estate la compagine meneghina è riuscita a mettere le mani su un vero top player: Mike James. Il playmaker americano è uno di quelli che si è dovuto sudare tutto in carriera. Già al liceo si mise in mostra guidando la propria scuola al successo statale. Eppure le offerte universitarie che gli giunsero provenivano solo da college di division III, non proprio Kansas o Duke insomma. Infastidito ripiegò su uno junior college dove viaggiò a 26 punti di media.
MILANO INSEGUE IL BIS SCUDETTO CON LA CLASSE
DI MIKE JAMES E NEMANJA NEDOVIC
Le sue qualità realizzative non sono in discussione, eppure le uniche porte che gli si aprirono una volta laureatosi a Lamar University sono state quelle dell’Europa. Un’Europa neppure troppo aristocratica, tanto che si è ritrovato ad Omegna nella nostra A2. Con il lavoro e la caparbietà però, il passo dal Piemonte ai Phoenix Suns via Panathinaikos è stato breve, e adesso cercherà di fare grande le “scarpette rosse” in giro per il Vecchio Continente.
In questa mission avrà il supporto del serbo Nemanja Nedovic, altro ex Nba che è cresciuto in Italia. Infatti il papà è stato un giocatore di pallamano per la squadra di Ascoli Piceno, ed il piccolo Nemanja dopo aver provato lo sport del padre, il tennis ed aver addirittura avuto un’offerta dalla federazione del nuoto per concorrere per il tricolore, si è follemente innamorato della palla a spicchi. Prospetto sin da giovane, è stato compagno di Steph Curry ai Golden State Warriors prima di ritornare in Europa dove ha trovato la sua dimensione. Rispetto a James è meno realizzatore, ma grazie alla sua intelligenza può essere un play aggiunto per coach Simone Pianigiani.

EXPO LOMBARDIA. Sempre in Lombardia, e precisamente a Cantù, è tornato un giocatore che conosce molto bene il nostro campionato: Tony Mitchell. L’ala che ha addirittura vinto il premio di Mvp quando vestiva la casacca di Trento vorrà trascinare i brianzoli nella speranza che si rigeneri dopo le ultime stagioni un po’ opache. Tutti ci auguriamo di ritornare ad ammirare quello straordinario atleta, che però circa un anno fa è stato squalificato per l’intera stagione del campionato australiano per aver lanciato la palla addosso all’arbitro. E scavando nel suo passato si scopre che non è stato l’unico gesto inconsueto, perché anche all’università dell’Alabama fu espulso per comportamento irrispettoso.
TORNA TONY MITCHELL, IL TERZO ATTO A CANTU':
SARA' L'MVP VISTO A TRENTO O LA METEORA DI SASSARI?
Restando nella stessa regione, Brescia ha messo a segno il colpo Jordan Hamilton mentre Cremona ha ingaggiato l’intrigante Peyton Aldridge. Hamilton arriva in Italia con l’ambizione di prendere il posto da go-to-guy lasciato da Marcus Landry. Le potenzialità ci sono, e non mancano neppure le motivazioni. Infatti l’ex Denver Nuggets sin da piccolissimo ha sempre lottato per raggiungere i propri obiettivi. Si narra che quando aveva dieci anni già si confrontasse con ragazzi più grandi in diversi playground del sobborgo di Los Angeles. E non lo faceva per pavoneggiarsi, ma semplicemente perché spinto dalla voglia di guadagnarsi il rispetto.
Invece per Aldridge la pallacanestro è stata una vera e propria dichiarazione d’amore. Il lungo scelto da coach Meo Sacchetti non era portato solo per il basket, tanto che all’high school si dilettava a giocare anche a football. Addirittura è stato seguito a lungo dal mitico coach di Alabama Nick Saban, che lo voleva come quarterback della sua squadra. Nulla da fare, perché terminata la scuola Aldridge ha deciso di accettare l’offerta di Davidson, college che fu di quel Curry. Cremona non poteva fare ingaggio migliore, perché il nativo dell’Ohio è giocatore a cui piace molto giocare sul perimetro grazie ad un’ottima mano. Inoltre non si tira mai indietro, tanto che in passato ha giocato con la mascella rotta pur di non mancare ad un prestigioso torneo giovanile.

SAPORE DI NBA. Il football stava per strappare al basket un altro giocatore come Norris Cole. L’ex Miami Heat, due volte campione Nba, aveva ricevuto anche una borsa di studio ma fortunatamente ha scelto quella di Cleveland State per la pallacanestro. Oltretutto all’ultimo anno si rese protagonista di una partita monstre da 41 punti, 20 rimbalzi e 9 assist. Nonostante fosse portato per lo sport, la famiglia ha preteso ed ottenuto che studiasse e pregasse. Il neo play di Avellino è infatti molto religioso e tiene alla propria famiglia, così come il nuovo volto di Torino Tony Carr.
Il nativo di Philadelphia è alla sua prima esperienza da professionista dopo essere stato scelto all’ultimo draft Nba da New Orleans con la chiamata numero 51. Atleta longilineo ma dal grande impatto offensivo, è una scommessa ma anche la punta di diamante della squadra di coach Larry Brown che lo ha voluto fortemente. Ha sempre giocato nella sua città sino al college, e quindi questo sarà un vero banco di prova per lui. Pur lontano dalla famiglia ha due tatuaggi che gliela faranno sempre ricordare. Uno è il ritratto della nonna e l’altro è l’insegnamento del nonno: “dare to be great”.

STAGIONE DI RITORNI: BANKS RITROVA COACH VITUCCI A
BRINDISI. TRA STONE E VENEZIA UN AMORE TRICOLORE
VECCHIE CONOSCENZE. Tra i volti nuovi ci sono anche giocatori che riabbracceranno vecchi allenatori, o che torneranno a vestire la maglia con cui hanno già vinto. Nel primo caso stiamo parlando di Adrian Banks, guardia alla sua quinta esperienza in serie A. È stato portato la prima volta a Varese da Frank Vitucci nel 2012, poi lo stesso tecnico lo volle nel 2014 ad Avellino e adesso gli affiderà la leadership della nuova Brindisi.
Diverso il discorso per Julyan Stone che ritorna per la terza volta sempre a Venezia. La prima esperienza la fece nella stagione 2014/15, ripetuta nel 2017 dove fu grande protagonista dello scudetto. L’estate scorsa sarebbe dovuto rimanere in laguna, ma rescisse il contratto per avvicinarsi al padre malato e così trovò sistemazione agli Charlotte Hornets. Adesso che il padre si è ripreso, ha deciso di iniziare il terzo capitolo di questa autentica storia d’amore col club orogranata.

TOP SCORER. Altra storia interessante è quella del tiratore ingaggiato da Bologna, Kevin Punter. Scorer di razza, ha segnato tanto ovunque ha giocato, e lo scorso anno ha trascinato l’Aek Atene alla vittoria della Champions League. Eppure gli scarsi voti scolastici gli stavano per far abbandonare il basket. Per accedere alle università della division I ha frequentato una prep school lontano da casa. Al termine dell’anno accademico i risultati dei test non erano sufficienti, e così in preda al panico ha telefonato alla mamma dicendo che avrebbe abbandonato questo sogno. Per fortuna ci ha ripensato ed è arrivato a primeggiare al college con Tennessee, dove ha anche lavorato per sistemare la sua meccanica di tiro, oggi molto efficace.


LE NOMINATION DI BM - I TOP 10
1) Mike James - AX Armani Milano - play - 28 anni - 183 cm
2) Tony Mitchell - Red October Cantù - ala - 29 - 198 cm
3) Nemanja Nedovic - AX Armani Milano - guardia - 27 - 193 cm
4) Norris Cole - Sidigas Avellino - play - 30 - 188 cm
5) Adrian Banks - Happy Casa Brindisi - guardia - 32 - 191 cm
6) Tony Carr - Fiat Torino - guardia - 21 - 196 cm
7) Jordan Hamilton - Germani Brescia - ala - 28 - 201 cm
8) Julyan Stone - Umana Venezia - play - 30 - 198 cm
9) Kevin Punter - Segafredo Bologna - guardia - 25 - 190 cm
10) Peyton Aldridge - Vanoli Cremona - ala - 23 - 203 cm



* dalla rivista BASKET MAGAZINE

giovedì 27 settembre 2018

Bianchini su nazionale, Tanjevic, gli Nba e riforme

Bianchini su nazionale, Tanjevic, gli Nba e riforme



Interessante intervista al leggendario coach Valerio Bianchini in merito alle prestazioni della nazionali di Meo Sacchetti, alle riforme proposte da Boscia Tanjevic e alle accuse e utilizzo dei giocatori Nba.




lunedì 13 agosto 2018

Come riformare il basket italiano...

Come riformare il basket italiano


Prendendo spunto da una domanda posta da un utente Facebook nel gruppo de La Giornata Tipo, ho pensato di scrivere questo articolo cercando di analizzare le varie idee espresse da altri utenti affinché si possa risanare la nostra tanto amata pallacanestro. Una mission complicata, per qualcuno a dir poco impossibile, eppure dalla passione di noi tanti appassionati può nascere qualcosa di davvero importante. Magari potremo essere insieme da spunto per la federazione. Chissà. Innanzitutto permettetemi di ringraziare Luigi, Flavio, Carlo, Raffaello, Paolo, Martino, Andrea, Nicola, Luca, Fabio, Michele e tutti gli altri che hanno lasciato un semplice commento alla discussione. Ripeto, è dalla fusione dei loro pensieri che nasce questo articolo che vuol cercare di fare solo bene a tutto il movimento della palla a spicchi italiano. Per riformare il nostro basket bisogna inevitabilmente iniziare dal minibasket, passare per le giovanili così da arrivare al livello senior. Tre macro-aree sulle quali in diverso modo bisogna intervenire.

LA BASE DELLA PIRAMIDE. Alla base della pallacanestro c'è ovviamente il minibasket. Un suo ampliamento vorrebbe significare l'allargamento della base. E se è vero che il professionismo rappresenta la punta della piramide, quanto più la base si allarga tanto più la piramide si alza. Di conseguenza il livello della Nazionale maggiore dovrebbe aumentare. A parole è tutto bello e così facile da realizzare, nei fatti ci sono mille difficoltà ad iniziare dalle scuole. Si necessita di un vero e proprio investimento economico nel minibasket da parte della stessa federazione, ma con il pieno coinvolgimento delle scuole che devono rappresentare il bacino principale dal quale abbeverarsi. Un'idea avanzata e parecchio apprezzata è quella di spostare tutta l'attività di educazione fisica al pomeriggio e organizzare tali ore per tipologie di sport e non per classe. Così si garantirebbe ad ogni singolo bambino di praticare lo sport che preferisce. 
DA AZZURRA LANCIANO
Una tale riorganizzazione non va pensata solo in ottica pallacanestro, ma di salute. Bene che negli ultimi 15 anni la fascia d'età tra i 6 e i 10 anni abbia guadagnato circa il 5% di praticanti, male invece che a partire dagli 11 anni si registri il fenomeno del drop out, con più di un ragazzo su due che abbandona qualsivoglia attività fisica, arrivando ai 18 anni con poco più di un ragazzo su tre che svolge attività sportiva continuativa. Ecco, in questa ottica la federazione dovrebbe avere la lungimiranza di inserirsi in questo scenario e offrire una possibile soluzione del problema con iniziative, eventi, manifestazioni che facciano guadagnare tesserati e appassionati. Sarebbe bello poter creare un percorso sportivo-scolastico in stile Stati Uniti, con le scuole protagoniste dello sviluppo fisico ed educativo dei ragazzi. Ma purtroppo sia per nostra cultura, sia per evidenti difficoltà economiche da parte degli istituti scolastici, tutto ciò è soltanto una chimera. Si può però provvedere ad un cambiamento che parta da impianti e strutture. Vedere le palestre scolastiche aperte e gratuite a chiunque voglia fare due tiri a canestro, oppure una maggiore proliferazione di campetti all'aperto nei parchi pubblici può senz'altro invogliare più bambini, ragazzi, persone ad avvicinarsi al nostro sport. La federazione deve senz'altro fare la sua parte, con investimenti, convenzioni, agevolazioni da stipulare anche con i ministeri interessati. Impensabile? Magari sì, ma perché non provarci!

I COSTI DA ABBATTERE. Veniamo adesso alla parte più consistente dell'attività delle società, ovvero quella legata ai campionati da disputare e dunque ai costi da sostenere. È innegabile che la federazione deve cercare di non immaginare i club come delle vacche da mungere, ma piuttosto degli utenti ai quali offrire servizi. Ergo, vista anche la particolare situazione economica che vive il paese, sarebbe un gesto di buonsenso abbassare tutti i costi legati a iscrizioni, tesseramenti, tasse gara e via discorrendo. 
DA BASKET INCONTRO
Questo permetterebbe ai dirigenti di concentrarsi solo sull'attività cestistica piuttosto che rincorrere sponsor per trovare le risorse necessarie a sopravvivere (che è comunque una cosa da fare ma non dedicandoci l'intera giornata). Questa è una cosa che si può realizzare, perché non ci sono attori esterni ai quali dare retta o convincere. Ci vuole solo buona volontà nell'attuarlo. Una costola della voce spese è il vincolo dei giocatori, disciplina che a gran voce si richiede di regolamentare meglio. Forse non nella forma ma nella sostanza. Il parametro Nas andrebbe abolito per i tesseramenti nei campionati regionali proprio per cercare di venire incontro alle società che fanno salti mortali per restare in vita. Vedersi eliminati costi di tesseramento permetterebbe di costruire roster all'altezza della categoria, e come detto in precedenza permetterebbe comunque di avere una base quanto più ampia possibile nella terra di mezzo del semiprofessionismo. Quanti ragazzi nel salto dal giovanile al senior si perdono? Purtroppo tanti! Bisogna invece che il movimento abbia quella continuità nei propri numeri. Forse non è un caso che la pallacanestro secondo i dati Coni del 2016 sia scesa al quarto posto delle discipline con il maggior numero di praticanti, superata dal tennis e sempre dietro a calcio e pallavolo. Importanti sono anche le collaborazioni tra club, che nelle ultime stagioni si stanno intensificando e stanno portando anche a risultati interessanti. Mettere in comune risorse, atleti, energie per creare una fitta rete di partnership è la miglior strada da intraprendere. Ed anche in questo caso bisogna superare quel malcostume tutto italiano nel voler coltivare il proprio orticello in maniera maniacale.

UN MODELLO DA SEGUIRE. Con la diminuzione delle spese le società possono concentrarsi esclusivamente sul lavoro in palestra, tornando ad investire nel settore giovanile e facendo attenzione a toccare degli ulteriori tasti come preparazione, educazione, competitività. Il fulcro di tutto ciò sono i coach, coloro i quali devono rappresentare il giusto mix tra preparazione tecnico-tattica, rapporto umano e risultati sportivi. Non è facile trovare tutto questo in una sola persona, e il lavoro e l'esperienza possono fare la differenza. Una cosa che bisogna provare ad inculcare ai ragazzi sin da giovanissimi è l'intensità del gioco, come espresso anche da coach Maurizio Mondoni. Se guardiamo dall'altra parte dell'oceano, gli americani con le proprie selezioni giovanili si differenziano proprio perché giocano con due o tre marce in più rispetto a chiunque altro. Spesso invece capita di vedere in Italia delle partite giovanili dove si gioca con ritmi da campionati amatoriali. Nulla di più sbagliato. Guai poi a mettere i risultati avanti a tutto. Se un ragazzo non è portato o non ha le potenzialità per diventare un fenomeno - anche se per l'età non si possono fare tali valutazioni a cuor leggero - non deve essere escluso ma piuttosto incluso, perché potrà diventare l'arbitro o l'allenatore del futuro, restando fedele al basket e diventando una risorsa per il movimento. Questo non significa che non bisogna spingersi oltre i propri limiti, per questo il coach deve avere quel tatto per capire con chi può forzare la mano e con chi invece deve andarci più leggero. La costituzione di seconde squadre può essere la soluzione, così come è importante un continuo colloquio con le famiglie affinché si faccia capire ai genitori quanto sia vitale il percorso che i ragazzi devono compiere. Vincere non sempre è la soluzione a tutti i problemi. Diversi mesi fa in un'intervista a coach Andrea Capobianco ho affrontato proprio il problema di quei ragazzi che dopo aver vinto tanto e subito da giovani, lasciano perché da senior non si accontentano solo di partecipare. 
DA PALLACANESTRO REGGIANA
Quindi oltre a dargli gli strumenti per giocare a pallacanestro, bisogna anche dargli gli strumenti per saper affrontare la vita. Addentrandoci in una questione prettamente tecnico-tattica, bisogna tirare in ballo la pallavolo che è spesso indicata come la disciplina che ci ruba i ragazzi di due metri e passa, ma bisogna farsi un esame di coscienza. Quanti ragazzi più alti della media in tenera età vengono messi sotto canestro dagli allenatori senza che apprendano davvero appieno il gioco della pallacanestro e con l'unico obiettivo di vincere qualche partita in più? Purtroppo succede quasi in tutte le nostre palestre. E allora che c'entra la pallavolo? Per come è strutturato il gioco e per come ho potuto osservare in alcuni allenamenti di questa disciplina, i giocatori alti o bassi che siano ricoprono ogni posizione imparando a fare tutto in campo. E dunque ritorna l'importanza di avere coach preparati e pazienti, vogliosi di lavorare e che sappiano trasferire passione ai ragazzi. Ma che soprattutto gli diano quegli strumenti per saper fare di tutto in campo.

LA PUNTA DELL'ICEBERG. E veniamo al professionismo, dove la battaglia è accesa tra i protezionisti ed i meritocratici. Un italiano di livello medio-basso costa ad una società di serie A quanto uno straniero buono. L'opinione del direttore tecnico federale Boscia Tanjevic è chiara, limitare i posti agli stranieri per liberarne agli italiani che, giocoforza, devono essere impiegati dagli allenatori. Di conseguenza immaginiamo che questa sia la linea della federazione, ovvero quella del protezionismo. Ci sono poi i paladini della meritocrazia che non guardano alla nazionalità ma pensano solo al fatto che chi abbia le caratteristiche e le potenzialità per giocare, deve giocare. Come un po' in tutte le cose, alla fine la verità sembra trovarsi nel mezzo. Piuttosto che attaccarci alle regole dovremmo pensare al bene del movimento. Una domanda alla quale non c'è purtroppo risposta ma che tante volte mi pongo è: sarebbe cambiata la nostra mentalità se nel 2015 lo scudetto l'avesse vinto Reggio Emilia con quel folto gruppo italiano? Forse sì, forse no.
DA GAZZETTA.IT
Ma senza fare retorica è palese che per vedere più italiani giocare questi devono essere preparati ad affrontare uno scenario di alto livello. Come? Grazie alla preparazione che gli deve essere impartita dai tecnici durante le giovanili. Vien da sé che con giocatori italiani all'altezza ne beneficia anche la Nazionale. Delicato il discorso della visibilità, e sinceramente non voglio prendere le parti né di chi si accontenta della trasmissione su Sky né di chi vorrebbe un ritorno alla Rai. Una cosa però voglio senz'altro esprimerla, e ancora una volta bisogna utilizzare il paragone con la pallavolo. Tale sport ha un alto seguito quando trasmessa in televisione anche e soprattutto perché fa risultato. Si è certi che trasmettere le partite della Nazionale di basket in chiaro, che non si qualifica per le Olimpiadi da ben tre edizioni, e che non raccoglie una medaglia europea o mondiale da quindici anni, avrebbe solo una parte dello stesso seguito? Forse no, forse sì! Certo è che iniziare a tornare a vincere con la Nazionale maggiore può essere da traino per il movimento, e attrarre nuovi praticanti e soprattutto sponsor. Sembra chiaro, dunque, che per riformare la pallacanestro italiana bisogna dar vita ad un vero e proprio circolo virtuoso che può essere esemplificato secondo queste poche ma necessarie attività, nelle quali la federazione deve svolgere un ruolo da protagonista: a) investire nel minibasket per allargare il numero di praticanti; b) abbassare i costi per far svolgere al meglio l'attività giovanile e semiprofessionistica; c) accrescere il livello professionistico con ricadute sulla Nazionale. Step che devono seguire una loro consequenzialità, ma che ognuno nella propria macro-area diventa decisivo per il futuro dell'intero movimento.