mercoledì 28 febbraio 2018

March Madness 2018

March Madness 2018

Come ogni anno, marzo significa March Madness. Il college basketball vive il mese più folle, più colorato e più divertente della propria stagione. Partite, trasferimenti, partite, trasferimenti e ancora partite e altri trasferimenti, il tutto per arrivare all'atto finale della Championship game di scena a San Antonio il 2 aprile prossimo. Come ogni anno però, ci sono degli step da seguire, iniziando dai tornei di conference che alle vincitrici consento di qualificarsi automaticamente al tabellone del Torneo Ncaa. Risultati e tabellone in continuo aggiornamento.


American   Cincinnati Bearcats



Atlantic 10   Davidson Wildcats

Atlantic Sun   Lipscomb Bisons

Big East   Villanova Wildcats

Big Sky   Montana Grizzlies

Big South   Radford Highlanders

Big Ten   Michigan Wolverines

Big 12   Kansas Jayhawks

Big West   CS Fullerton Titans

Colonial   Charleston Cougars



Ivy League   Pennsylvania Quakers

Metro Atlantic   Iona Gaels

Mid-American   Buffalo Bulls


Missouri Valley   Loyola Chicago Ramblers

Mountain West   San Diego State Aztecs

Northeast   Long Island Blackbirds

Ohio Valley   Murray State Racers

Pac-12   Arizona Wildcats

Patriot   Bucknell Bison








West Coast   Gonzaga Bulldogs

Le vincenti dei 32 tornei qui riportate hanno il biglietto per andare al Torneo Ncaa. Altre 36 sono state invitate dal comitato universitario in quella che tutti gli appassionati conoscono come la Selection Sunday avutasi domenica 11 marzo. Il comitato ha reso ufficiale l'intero tabellone della March Madness, genericamente chiamato bracket, che avrà inizio martedì 13 marzo con i primi match del First Four. Da lì in poi 12 giorni per disputare 63 partite.





mercoledì 21 febbraio 2018

Wendell Carter, l'arma segreta di Duke

Wendell Carter, l'arma segreta di Duke

In pochi sanno che al lungo di Duke Wendell Carter Jr, oltre alla pallacanestro, piace anche il teatro. Alla Pace Academy di Atlanta si è addirittura dilettato a fare l’attore, strappando una parte per un ruolo secondario in uno spettacolo. A lui i riflettori piacciono proprio. Ed essendo sin dal liceo un prospetto nazionale, è abituato a vivere con le luci puntate addosso. A Duke però, come nello spettacolo di Atlanta, il protagonista non è lui... (CONTINUA A LEGGERE)


sabato 10 febbraio 2018

La doppia vita di Mr. Bamforth

Sassari fuori dalla Final Eight priva la Coppa di un sicuro protagonista

La doppia vita di Mr. Bamforth

Sfrontato in campo e taciturno fuori, si divide tra basket e famiglia.
Con "Real Hoops" l'impegno per i bambini meno fortunati


di Giovanni Bocciero*


SASSARI. Madre Teresa di Calcutta diceva che «è necessaria l’infelicità per capire la gioia, la morte per comprendere la vita». Queste parole sembrano state dette apposta per Scott Bamforth, il giocatore della Dinamo Sassari che di disavventure nella vita ne ha affrontate eccome. Nato e cresciuto ad Albuquerque, è lì che ha scoperto la pallacanestro. «Ho iniziato a giocare quando avevo più o meno 5 o 6 anni. Ho scelto il basket - rivela il ragazzo - perché quando ero giovane mi piaceva davvero tanto, e poi ero bravo. La prima cosa a cui ho pensato quando ho avuto il pallone tra le mani è stata quella di tirare, ovviamente».
ORFANO A 15 ANNI E RIMASTO SOLO HA TROVATO IL CORAGGIO
PER CREARSI UN FUTURO CON LA PALLACANESTRO
La storia di Bamforth è fatta di coraggio e tempra nel superare le difficoltà, e il basket ha rappresentato la sua salvezza, un modo per fuggire dalla realtà. È stato costretto a maturare più in fretta dei suoi coetanei perché all’età di 13 anni perde improvvisamente il padre John per un arresto cardiaco. Dopo due anni muore anche la madre Elisabetta per una insufficienza epatica, causata dalla sua dipendenza all’alcool. Inizia a lavorare per pagare le bollette, affitta le stanze di casa per far quadrare i conti e naturalmente guida senza avere la patente. Quando si ritrova solo al mondo pensa addirittura di farla finita, perché non aveva più nulla per cui vivere. «Credo che la morte è parte della vita. Tutti un giorno dovremo morire, ma questo non rende facile vedere qualcuno vicino a te andarsene. Credo che la mia relazione con Dio sia qualcosa che mi ha fatto superare i momenti difficili della vita».
Dopo il lavoro correva sempre in palestra per allenarsi, e non era raro che dormisse persino sulle tribune. Diverse volte l’hanno dovuto spedire a casa, ma alle prime luci dell’alba lui era lì, pronto ad allenarsi sodo per diventare un giocatore professionista. Ragazzo dalla grande etica del lavoro, i suoi segreti per il successo sono semplici: «lavorare duro ogni giorno, aiutare i miei compagni di squadra e divertirsi mentre si gioca». Non ha un personaggio sportivo a cui si ispira. «Guardo molta pallacanestro ed ho molti amici che giocano ad alto livello, per questo non ho una persona particolare a cui ispirarmi. Aspiro comunque a diventare il miglior giocatore che posso essere». La prima grande chance gliela dà Brian Joyce, coach della Western Nebraska Community College, il quale gli farà da mentore anche al di fuori del campo. Su quei banchi di scuola troverà l’amore di Kendra, giocatrice della squadra di pallavolo, e dopo alcuni anni avranno il loro primo figlio non senza soffrire. Infatti ancora una volta Bamforth deve guardare la morte in faccia. La moglie durante la gravidanza rischia la morte sua e del bambino per una preeclampsia, ma fortunatamente i medici riescono a salvarli. «Come ho detto prima sono molto cristiano. La relazione con Dio è sempre cresciuta e diventata più forte ogni giorno. Ho attraversato alcune situazioni difficili nella mia vita e credo che il Signore sia l’unica cosa che mi ha fatto andare avanti». Dopo un solo anno in Nebraska si trasferisce alla Weber State University, dove conosce Damian Lillard con cui stringe una grande amicizia. «Abbiamo un grande rapporto. Entrambi abbiamo l’obiettivo di diventare il miglior giocatore di basket che possiamo essere. Durante l’estate lavoriamo sempre insieme ed ho appreso tanto da lui». Alla stella NBA toglie il record dell’ateneo di triple segnate in una stagione (103). «Non abbiamo mai parlato di questa cosa, ma entrambi sappiamo che io l’ho battuto. Probabilmente credo sia l’unica cosa in cui lo abbia superato, quindi sono veramente molto felice di questo record».
LILLARD E PORZINGIS I SUOI AMICI. "LA NBA? POSSO
CONTROLLARE SOLO QUELLO CHE DIPENDE DA ME, NON
QUELLO PER CUI NON HO AVUTO CHANCE"
Nonostante la vita difficile è un ottimo giocatore ed un realizzatore pazzesco. Il tipico atleta il cui nome va cerchiato in rosso, come dicono gli scout. Per questo terminata l’università svolge un provino con gli Utah Jazz, che rimangono impressionati dalle sue capacità ma non a tal punto da offrirgli un contratto. Allora prende la decisione di venire oltreoceano, gioca per quattro anni in Spagna tra Siviglia, Murcia e Bilbao e al contempo difende i colori del Kosovo. Nella penisola iberica conosce un’altra stella NBA, il lettone Kristaps Porzingis. «Anche con lui ho un gran bel rapporto, che è cresciuto nel tempo. Abbiamo iniziato a giocare insieme in Spagna, condividiamo una solida fratellanza e ci piace guardarci avere successo». L’americano è un giocatore élite per l’Europa, a cui piace «passare la palla ai compagni e vederli segnare. Mi rende felice quanto tirare e realizzare a mia volta». Questo fa capire quanto sia un ragazzo intelligente, che fa tesoro delle esperienze vissute diventando ogni giorno un giocatore migliore, più utile e decisivo per la propria squadra. Proprio in Spagna ha appreso quanto è importante coinvolgere i compagni. «Credo che maturando come giocatore impari che coinvolgere i tuoi compagni è importante quanto tirare. Ecco perché mi piace passare la palla». In campo è un duro pronto a lottare mentre fuori è silenzioso e spesso rintanato nelle cuffie che porta alle orecchie. «In generale penso di essere una persona tranquilla, ma in campo voglio solo vincere. Ecco perché quando gioco credo di diventare un’altra persona».
Si potrebbe quasi dire che si limita a trascorrere la propria quotidianità tra campo e casa. «Cerco di passare più tempo possibile con i miei figli (ne ha due di 3 e 6 anni, ndr) perché mi fanno divertire e mi rendono felice. Quindi cerco di giocare sempre con loro e fare qualsiasi cosa vogliano. Oltre a passare il tempo libero con i miei figli, mi piace guardare film, programmi televisivi e seguo altri eventi sportivi, soprattutto quelli da combattimento come il pugilato e l’UFC. Non uso molto i social network, ma direi che quello che preferisco di più è Instagram». Bamforth ha una sua idea politica forte e chiara, anche se «in verità non seguo la politica e l’attualità. Penso che negli Stati Uniti ci siano molti problemi da risolvere, quindi non gli presto più di tanto attenzione. Credo comunque che Donald Trump sia la persona meno indicata per essere il presidente degli Stati Uniti. Ha dimostrato di non trattare tutti allo stesso modo, e non penso che una persona con il suo incarico possa fare delle discriminazioni in base al colore della pelle».
"LA MORTE E' PARTE DELLA VITA, MA NON E' FACILE VEDERE
I TUOI CARI ANDARSENE. DIO MI HA DATO LA FORZA PER
ANDARE AVANTI"
Nonostante le sue vicissitudini familiari, il ragazzo vuole restituire qualcosa alla comunità di Albuquerque. Per questo ha fondato insieme a Lamar Morinia l’associazione Real Hoops. «Io e il mio migliore amico abbiamo sempre voluto dare un’opportunità ai bambini per giocare a basket e viaggiare in diversi stati. Quindi abbiamo deciso di creare questa organizzazione in cui i bambini fossero al centro del progetto. Dal mio punto di vista, gli voglio offrire le opportunità che non ho avuto io». Questo non significa però che il suo futuro sarà quello di allenare o fare il dirigente. «Non sono sicuro di quello che farò. Cerco di non pensarci perché tutto quello che ho conosciuto nella mia vita è il basket. Sono ancora giovane quindi mi piace concentrarmi su cosa sto facendo oggi e non preoccuparmi di cosa farò domani». Si sta affermando come un top player in Europa acquistando credibilità agli occhi degli addetti ai lavori, eppure non si toglie il pallino della NBA dalla testa. «Nulla è impossibile, ma non mi preoccupo di questo. So di essere bravo a giocare con chiunque e l’ho dimostrato. Ma posso controllare solo ciò che faccio, non quello per cui non ho mai avuto una chance».
La sua esperienza a Sassari lo ha visto sin da subito protagonista. Alle sue migliori prestazioni sono legate le vittorie contro la corazzata Olimpia Milano e l’allora capolista ed imbattuta Leonessa Brescia. Per il suo carattere poi, giorno dopo giorno è diventato sempre più il leader dello spogliatoio. «Mi piacciono i miei compagni di squadra e i membri dello staff tecnico. Cerco di divertirmi e godermi ogni giorno insieme a loro. Penso che la città sia davvero carina, ma non l’ho visitata molto tranne che per alcuni ristoranti. Il campionato italiano è davvero una competizione molto dura da affrontare, e giocare la Champions League è senz’altro una grande opportunità che ci permette di confrontarci e di giocare più partite in stagione». L’Italia come la Spagna? «Penso che il campionato spagnolo sia un po’ più tattico rispetto a quello italiano, ma entrambi i tornei sono competitivi e mettono in mostra grandi giocatori». Bamforth ha rinnovato il contratto già a gennaio, senza aspettare eventuali offerte dai grandi club europei. Crede fortemente nel progetto della formazione di Sassari, nonostante il primo obiettivo della Final Eight di Coppa Italia è purtroppo sfuggito. Le sei sconfitte in sette partite al termine del girone d’andata hanno estromesso la Dinamo dalla competizione a cui partecipava da sei anni consecutivi. Nonostante ciò la combo-guard non si pone limiti: «credo che questa squadra può vincere lo scudetto».

Stipcevic: sembra nato con la palla in mano

L'ASSISTANT COACH PAOLO CITRINI: "TRA I PIU'
FORTI MAI VISTI A SASSARI"
«Bamforth è uno dei giocatori più forti che la Dinamo abbia visto negli ultimi anni - ha esordito l’assistant coach Paolo Citrini -, uno di quelli che hanno un talento particolare e la voglia di vincere nel dna. Ha giocato in squadre importanti e campionati di livello ed è un giocatore che non solo è bravo nel segnare in qualsiasi maniera ma anche a creare per gli altri e dare la possibilità ai compagni di entrare in partita. È il terminale principale della squadra e per questa ragione il bersaglio numero uno della difesa avversaria. Scott è un ragazzo sensibile, che ci tiene tantissimo, che ascolta e ha a cuore le sorti della squadra. Non è un mero professionista ma un giocatore che dà tutto. È un padre di famiglia speciale con due bambini piccoli già istruiti al gioco del basket. Ha tutte le carte per essere un giocatore che può fare la differenza e che è già entrato, nel cuore dei tifosi biancoblu. Quest’anno purtroppo ha iniziato la stagione con un infortunio e, sebbene si fosse già intravisto il suo potenziale, al rientro sul parquet si è mostrato in tutta la sua forza e la sua capacità di trascinare i compagni, fare canestro e girare le partite. Possiede dei valori umani importanti che ha ritrovato nella città e nella società. Questo l’ha portato a rinnovare a gennaio senza attendere eventuali chiamate da grandi club europei, e fa capire - ha concluso l’assistant coach - quanto tenga a questa piazza e a questa maglia».
«Seguivo Bamforth dapprima - ha commentato il compagno di squadra Rok Stipcevic - ma non lo conoscevo personalmente. Giocandoci insieme ho capito che ha un talento incredibile e sembra nato con la palla in mano. Sa usare perfettamente sia la mano sinistra che la destra, è bravissimo nel pick and roll e ha delle ottime capacità da passatore, come pochi giocatori. Inoltre ha grandi doti di lettura. Fuori dal campo è un bravissimo ragazzo, sempre pronto a dare una mano e fare gruppo. Sono contento di averlo in squadra, è uno che lavora duro per migliorarsi ogni giorno e posso dire di aver trovato - ha concluso Stipcevic - un ottimo compagno di squadra dentro e fuori dal campo».



*: per la rivista BASKET MAGAZINE