lunedì 8 febbraio 2021

Serie A2. La corsa di Thomas in fuga da Jackson

L'incredibile record del lungo di Scafati: in 13 anni ha indossato 17 maglie diverse in 10 Paesi differenti tra America, Europa ed Asia

La corsa di Thomas in fuga da Jackson

Dai playground in Mississippi al college in Arkansas. Poi il lungo viaggio che l'ha portato in Italia e oggi prova il volo verso la Serie A con la Givova



di Giovanni Bocciero*



VOCE DOPPIA E PROFONDA, senza peli sulla lingua, con un vissuto difficile, eppure con un animo sereno e senza rimpianti. Questo è Charles Thomas, il lungo di Scafati tra i migliori giocatori dell’A2 da diverse stagioni ormai. Non a caso il club del patron Nello Longobardi c’ha puntato ad occhi chiusi, convinto che lui possa essere il trascinatore della squadra che vuole conquistare la promozione. Sul campo sta rispondendo alla grande, spendendo ogni singola goccia di sudore per la causa.
Thomas in una schiacciata esplosiva (foto Givova Scafati)
Nato 35 anni fa a Jackson, Mississippi, città del sud degli Stati Uniti quasi rurale, ha trovato nella pallacanestro la sua salvezza. È cresciuto in un ambiente familiare non semplice, con i genitori poco presenti e spesso ospitato per avere un tetto sulla testa da parenti e amici. «Ho avuto una vita non così differente rispetto a quella di tanti altri giovani afroamericani - ha esordito Thomas -. Ho sempre desiderato andare via non solo dalla mia città, ma proprio dallo stato del Mississippi. E la pallacanestro è stata di fatto la mia salvezza perché mi ha permesso di lasciarmi il passato alle spalle». Forse è proprio per il fatto di non aver avuto una famiglia da spot pubblicitario che lui, invece, è molto legato alla moglie conosciuta giovanissima e ai figli. «La famiglia è una parte molto importante della mia vita - ha confermato il lungo -, ha plasmato la persona che sono ed anche il modo in cui gioco». Ha iniziato a giocare a basket al playground, e c’ha messo poco a capire che il gioco gli piaceva. «A nove anni giocavo nel quartiere, ma è a dodici che ho iniziato a praticarlo in maniera seria con una squadra - ha raccontato il numero 13 gialloblù -. Fare sport era naturale perché in famiglia un po’ tutti sono stati degli sportivi. Insieme a mio cugino li ho provati tutti, dal football al baseball. Quando però ho avuto per la prima volta la palla da basket in mano mi sono sentito bene. Ho provato subito la sensazione di competizione ed ho lavorare ogni giorno per fare sempre meglio. Sono diventato competitivo e questo mi ha permesso di andare via da casa e vedere posti nuovi». Il basket lo ha portato a giocare in tre continenti, permettendogli di viaggiare, lasciare quella casa che sentiva poco come nido, e di diventare così un cittadino del mondo. Prima tappa Fayetteville, sede dell’università dell’Arkansas. Con i Razorbacks ha giocato i canonici quattro anni di college, non da protagonista (8.9 punti e 4.6 rimbalzi in 21.6 minuti con 85 partite su 129 iniziate in quintetto), condividendo lo spogliatoio con i futuri giocatori Nba Patrick Beverly, Sonny Weems e Ronnie Brewer. Però, non è tutto oro ciò che luccica. E Fayetteville non è poi così lontana da Jackson. «Ho subito molteplici episodi di razzismo - ha rivelato Thomas -, soprattutto quando ero più giovane. E al college sono stato chiamato addirittura scimmia». Ed è per questo che strizza favorevolmente l’occhio al movimento Black Lives Matter. «Gli afroamericani fanno parte della storia degli Stati Uniti d’America, e per questo devono poter contare all’interno della comunità come chiunque altro».

Thomas in un'entrata a canestro, una bocca da fuoco per far
sognare Scafati (foto Givova Scafati) 
LA CARRIERA DA 'PRO' non nasce certamente sotto una buona stella. Diverse esperienze in pochi mesi tra Uruguay, Germania e Finlandia, senza neppure essere pagato quanto pattuito. Poi arriva in Bosnia e vince il campionato con il Siroki. Successivamente quattro stagioni in Ucraina dove con altrettante squadre rimpingua il suo palmares con la vittoria di un altro campionato, il premio di Mvp e la convocazione all’All Star Game. Ma vive anche una delle esperienze più terribili della sua vita. Dopo un diverbio con un compagno di squadra è stato minacciato dal presidente del club (non ha mai rivelato in quale squadra fosse accaduto perché ha sempre temuto per la sua incolumità e quella della sua famiglia) con una pistola, e costretto a scendere ugualmente in campo per giocare. Nel 2013 si trasferisce per breve tempo in Francia e in Bulgaria, ma è soprattutto in Medio Oriente, tra Libano e Israele, che gioca e si diverte. In tutto, in tredici stagioni ha indossato ben 17 maglie diverse e in 10 Paesi differenti. La pallacanestro non è solo un lavoro. «Il basket per me rappresenta la vita, ma non sono totalmente concentrato su di esso. È una parte di me ma non è tutto - ha spiegato il lungo -, cioè ne ho bisogno sia per sentirmi bene con me stesso che per mantenermi economicamente, ma al di fuori ho la mia famiglia». E facendo quello che gli piace è arrivato in Italia, quattro anni fa a Cantù, ed è stato amore a prima vista. «Amo viaggiare e non ho un posto preferito in particolare. In Israele ho trovato una società molto globalizzata, simile agli Stati Uniti anche perché tutti parlano inglese. L’Italia però è piena di storia, di cultura. Qui, ai tempi dell’Antica Roma, è nata la democrazia come la conosciamo oggi. E poi la passione che hanno i tifosi è inconfondibile». In Brianza gioca un anno e mezzo, ed ha vissuto un’altra esperienza non proprio indimenticabile a causa della gestione societaria da parte dell’allora proprietario Dmitrij Gerasimenko. In campo però è un guerriero, e dopo i primi mesi non semplici conquista l’affetto dei tifosi. È suo il tiro sulla sirena che permette alla squadra di espugnare Brindisi e conquistare la qualificazione alla Final Eight di Coppa Italia. Ed è sempre lui il trascinatore dei canturini capaci di estromettere dalla manifestazione tricolore la corazzata Milano già agli ottavi. Ovunque ha giocato ha lasciato un bel ricordo, e questo perché nel rettangolo di gioco non si risparmia mai. È arcigno, quasi sanguigno, e questo viene molto apprezzato da chi lo deve sostenere sugli spalti. Ma in realtà «i tifosi non mi conoscono veramente - ha commentato Thomas -. In campo mi sbatto ed esulto perché provo così tante emozioni che mi aiutano ad esprimermi al meglio. Nello spogliatoio trovo sempre diversi modi per scherzare con ognuno dei miei compagni. Ma fuori sono una persona tranquilla e faccio cose normali. Non mi reputo molto religioso ma provo comunque ad avere dei momenti spirituali, profondi». A gennaio del 2019 decide di scendere in A2 per giocare prima a Legnano e poi a Ravenna, dove se il campionato dello scorso anno non fosse stato sospeso poteva ambire non solo alla promozione in A ma anche al premio di Mvp (19.9 punti, 6.5 rimbalzi e una valutazione di 20.2 di media). Quest’anno è arrivata la chiamata di Scafati, ambiziosa come non mai. Ed ha già contribuito a scrivere una pagina di storia gialloblù con la vittoria della Supercoppa Centenario 2020, in cui è stato miglior marcatore della Givova sia in semifinale contro Ferrara (20 punti) che in finale contro Forlì (18 con 7 rimbalzi). Ma le sue prestazioni sono spesso e volentieri a tuttotondo, e lui ne va molto fiero. «Non credo di essere solo un realizzatore, oppure solo un rimbalzista, ma provo ad essere utile in ogni situazione e soprattutto ad essere sempre competitivo. L’importante è mettere tutto se stessi per aiutare la squadra a raggiungere un solo traguardo: la vittoria». Parole sincere e non solo di facciata di un ragazzo che si ispira, sportivamente parlando, al quarterback dei Green Bay Packers, Aaron Rodgers. «È il mio sportivo preferito per due qualità che possiede - ha detto il nativo di Jackson -, la capacità di leggere le situazioni di gioco, e l’abilità di migliorare i compagni di squadra».

L'americano del Mississippi è dotato di grande tecnica
e talento offensivo (foto Givova Scafati)
I COMPAGNI APPUNTO, un motivo in particolare per cui ha deciso di accettare le avance estive della formazione campana e per cui nutre grande stima. Un punto di partenza necessario per aspirare a grandi traguardi. «A Scafati ho ritrovato Randy Culpepper (tagliato a dicembre e con il quale ha giocato a Cantù), Tommaso Marino e Luigi Sergio (con i quali ha giocato lo scorso anno a Ravenna). Credo che come squadra abbiamo una grande possibilità di vincere il campionato, perché siamo di sicuro tra le più forti. Riuscire ad essere promossi in massima serie sarebbe una cosa fantastica, per noi e per l’ambiente di Scafati». Una delle principali rivali per la promozione è la GeVi Napoli, formazione contro la quale sono stati già disputati due derby ufficiali e che hanno visto vincere una gara a testa. In entrambe però Thomas è stato il miglior marcatore della Givova con 25 e 23 punti. «In campionato contro di loro ce la siamo giocata per tre quarti, poi hanno iniziato a fare le cose giuste al momento giusto - ha analizzato Thomas - e alla fine hanno meritato di vincere. Sono una squadra forte e sono avanti in classifica, ma non vediamo l’ora di affrontarli di nuovo». Si vede che ha voglia di raggiungere un altro traguardo importante nella sua carriera, lui che non ha recriminazioni per non aver mai avuto una chance in Nba e che non dà molta importanza ai successi individuali. «Il più grande successo che ho raggiunto non è quello di aver vinto un premio o un singolo campionato, piuttosto di aver aiutato tutte le squadre in cui ho giocato a raggiungere i loro obiettivi. La vittoria dei campionati o dei premi individuali non contano tanto per me quanto quello di aiutare i compagni ad alzare il loro livello di gioco». Ma una volta appese le scarpette al chiodo, cosa farà Charles Thomas? «Forse rimarrò nel mondo della pallacanestro, ma più in generale mi piacerebbe aprire una academy - ha rivelato l’ex Razorbacks - con cui poter aiutare i giocatori di qualsiasi sport a migliorare soprattutto dal punto di vista fisico».


* per la rivista BASKET MAGAZINE