La stagione vista a bordo campo da Andrea Meneghin: «Meno scontata del previsto, con qualche italiano in più in evidenza»
«La Virtus cresciuta nel finale, Milano scollata e confusa»
«Brescia ha rispecchiato l'ewsperienza di Poeta in campo. Trento una meravigliosa sorpresa grazie alla filosofia del club. Trapani e Trieste meravigliose guastafeste, Venezia e Tortona hanno deluso. In Italia si fatica a vedere di buon occhio proprietà straniere. In bocca al lupo a Napoli e Rizzetta, a Varese il progetto ha comunque lanciato giovani interessanti anche in ottica nazionale»
di Giovanni Bocciero*
L’epilogo del campionato di serie A è
stato meno scontato del pronostico, anche se lo scudetto alla fine è rimasto
sull’A1 ed ha preso la direzione di Bologna dopo tre anni dominati da Milano.
Fatale, ancora una volta, la maledizione della Supercoppa, che non aiuta per
niente chi inizia la stagione alzando al cielo il primo trofeo dell’anno.
«Complimenti alla Virtus per come ha
affrontato i playoff, per come è cresciuta dopo la delusione dell’Eurolega - il
commento di Andrea Meneghin -, in un ambiente dove pesano le sconfitte e ci si
aspettano sempre grandi risultati. In un momento di forma non ottimale, Banchi
ha fatto una scelta coraggiosa dando le dimissioni e capendo che non riusciva a
dare più nulla alla squadra per farla esprimere al meglio. L’arrivo di Ivanovic
ha riattivato il talento e la fisicità di Bologna, anche in virtù di alcune
scelte di mercato, accorciando le rotazioni e prendendo un giocatore come
Taylor che è risultato un innesto vincente».
«Insomma, una stagione finita nel
migliore dei modi per un gruppo di campioni che ha mentalità vincente, senza
dimenticare la questione Polonara che evidentemente loro sapevano già da molto
prima. Un evento che può scombussolarti ma che ha fatto emergere l’eccezionale
lavoro di squadra della Virtus più che il singolo individuo. Shengelia ha
strameritato il premio di Mvp, ma Bologna ha stupito dal punto di vista
dell’organizzazione difensiva, offensiva e di opzioni».
Milano ha invece rappresentato l’altra
faccia della medaglia delle due grandi. «Sono sempre stato dell’idea che
l’Olimpia si potesse concedere il lusso, tra virgolette, di poter perdere
qualche partita in più. Avendo quel roster da Eurolega con potenziale, secondo
i più esperti, per arrivare sino alla Final four, poneva il vantaggio del fattore
campo come non una priorità - l’analisi dell’oggi commentatore tv -, poi
dimostrato anche in passato. È mancata serenità, forse compattezza di squadra,
al di là degli infortuni coi quali si sono dovuti fare i conti ed in
particolare con quello di Nebo, sul quale si era affidato parecchio peso
difensivo».
«Si è trovato un assetto di emergenza,
con Leday e Mirotic che hanno fatto impazzire e messo in crisi le difese
avversarie, salvo poi, come spesso succede a questo livello, venire colpiti nel
punto debole di quella coppia mettendola in difficoltà. E così quel filotto di
vittorie consecutive anche in campo europeo non è stato replicato nella seconda
parte della stagione, mancando ancora una volta i playoff in Eurolega».
«L’Olimpia si è così potuta concentrare
solo sul campionato, ma non ci è arrivata come sperava. Tanti giocatori per
scelta tecnica, che bisognerebbe chiedere a Messina, non sono stati utilizzati
o usati col contagocce, vedi Caruso piuttosto che Tonut, e ti hanno portato a
competere con una Virtus allo stremo delle energie, con un calo di tensione,
non avendo risposte da diversi giocatori, e con problemi tecnici in campo che
hanno esaltato i meriti degli avversari».
Una scelta ha riguardato anche
rinunciare a Melli, che poi ha vinto l’Eurolega col Fenerbahce. «Coincidenze,
fatti, conseguenze, ognuno può vederli come vuole. Melli inseguiva l’Eurolega
da tutta la propria carriera, e finalmente è riuscito a raggiungerla. Non so
neanche quantificare la sua gioia nell’alzare quel trofeo. Per quanto riguarda
Messina, non si possono negare che ha avuto delle difficoltà nel gestire alcuni
giocatori e dargli fiducia. Quello che ho notato dall’esterno, è che la squadra
tante volte è sembrata scollata sia in attacco che in difesa, confusa».
E proprio perché squadra e tecnico
sono sembrate spesso due entità differenti, con il ritorno di Poeta si va
delineando un altro futuro. «In qualunque sport di squadra c’è sempre un
concorso di colpa su queste situazioni, proprio perché c’è necessità di avere
unità d’intenti. Fortunatamente, chi ancora oggi lavora meglio insieme ed è
focalizzato all’unisono riesce a portare a casa il risultato. Obiettivamente,
non posso sapere quale fosse la situazione all’interno dello spogliatoio di
Milano, ma certamente non è sembrata determinata come in altre occasioni e in
altre annate. Da fuori è sembrato che non ci fosse la giusta armonia tra staff
e giocatori, tant’è che nelle difficoltà si è reagito in maniera diversa
rispetto alla Virtus».
Veniamo ai vinti, quella Brescia
giunta sino in finale al primo anno da head coach di Poeta. «Nel loro modo di
giocare si è vista tutta l’esperienza da giocatore di Poeta. Ha messo tutti
nelle migliori condizioni per potersi esprimere, con gerarchie definite e tanta
semplicità e passione. Seppur con un roster poco lungo, la squadra ha trovato
il suo equilibrio grazie anche ad atleti che sanno giocare. Nel corso della
stagione hanno lavorato bene e approfittato delle settimane senza impegni
europei per recuperare gli acciacchi fisici».
«E poi si vedeva che andavano in
palestra per divertirsi, e questo rende tutto più bello nonostante la fatica -
la chiosa di Meneghin -. Inevitabilmente i risultati e le gioie poi arrivano.
Un traguardo storico come la finale scudetto, credo possa essere paragonata
alla vittoria della Coppa Italia seppur con un sapore diverso, ma con tutta
l’energia e l’entusiasmo dell’ambiente. Reputo che il segreto di Poeta così
come per tutto lo staff, al di là del fatto che in qualunque momento è sempre
rimasto calmo, sia stato di mettere i giocatori nelle migliori condizioni
possibili coprendo i difetti e amplificando ed esaltando i punti di forza».
La serie A ci ha regalato anche due
matricole terribili. «Le due neopromosse Trapani e Trieste sono state delle
meravigliose sorprese, perché hanno disputato un campionato spettacolare. Ai
siciliani è mancata lucidità in semifinale, però ciò non toglie l’esaltante
cavalcata arrivando a giocarsi il primo posto in stagione regolare, esprimendo
un gioco spumeggiante, divertente, aggressivo, spettacolare, che ha esaltato
diversi protagonisti ed in particolare il gran lavoro di Repesa. Molto bene
anche Trieste, che però ha trovato sul proprio cammino Brescia, ed è andata
avanti anche in Coppa Italia pur avendo un giocatore importante come Ross fuori
per infortunio. Sono arrivati ad un passo dal giocarsi la finale facendo
tremare Trento sino all’ultimo».
Ecco Trento, che ha vinto la Coppa
Italia e fatto incetta di premi individuali: ben cinque. «Trento assolutamente
una nota lieta grazie alla filosofia della società. Per gli investimenti fatti,
il mix di gioventù e veterani, e l’idea di giocare sempre le coppe europee, ha
permesso di coronare un sogno con la Coppa Italia. Vinta soffrendo, sin dal
quarto con Reggio Emilia, prima del trionfo con Milano. Trento ha espresso un
gioco aggressivo, bello, mai banale, esaltando l’atletismo ed i giovani,
studiati con un lavoro di scouting alle spalle strepitoso».
«Senza nulla togliere alle qualità di
Galbiati che ha saputo fare non bene, ma benissimo - la valutazione di Meneghin
-, con il rammarico forse di aver disputato i playoff non al completo per una
serie di infortuni che hanno un po’ stravolto l’identità della squadra. Adesso
sotto con una nuova sfida, perché la squadra deve essere ricostruita, ed è
stata affidata ad un altro grande allenatore come Cancellieri».
Non solo Eurolega, non solo Milano e
Bologna. Altri club hanno disputato le coppe europee con risultati non sempre
lusinghieri. E il doppio impegno alla lunga si è fatto sentire. «Per Tortona
alti e bassi in campionato, e quando sembrava aver trovato la dritta via ha
avuto qualche scivolone di troppo. Anche la stagione europea bene fino ad un
certo punto. Annata sotto le aspettative perché ci si aspettava di più. Però
siccome c’è stata tanta competizione, con Trapani e Trieste che hanno fatto le
guastafeste togliendo due posizioni, hanno messo in difficoltà quelle dietro,
tra cui Tortona, ma anche Venezia e Reggio Emilia».
«Gli emiliani hanno conquistato i
playoff con qualche turno d’anticipo, e a tratti sono stati devastanti. Credevo
potessero vincere la Coppa Italia per come hanno giocato 35’ contro Trento. Poi
sono state decisive un paio di giocate di talento dei trentini. Nel finale di
stagione gli acciacchi hanno compromesso anche il cammino in Bcl, ma hanno
giocato un basket molto europeo con quella durezza difensiva e il tatticismo di
Priftis. Venezia ha invece deluso più di tutti, nonostante i tanti infortuni
che gli ha impedito di giocare spesso senza la formazione titolare. Con quel
roster ci si aspettava che facesse di più. È andata vicina all’impresa con
Bologna in gara 5, e conquistati i playoff di Eurocup, ma per il potenziale
poteva e doveva andare più avanti e invece si è spesso persa nei dettagli».
Un’altra proprietà straniera si è
appena affacciata nel nostro paese, a Napoli. Esperienze, queste, piuttosto
alterne e non sempre foriere di buoni risultati. «In Italia è difficile operare
per una proprietà straniera, perché siamo un po’ tutti abituati alle grandi
famiglie o al mecenate di turno, imprenditori del posto e magari anche tifosi.
La storia del nostro basket - ha rammentato il commentatore tv - è sempre stata
segnata da squadre abbinate a illustri marchi. Per il tifoso italiano c’è
sempre il timore che una proprietà estera possa non far funzionare tutto bene».
«Però vedi Trieste, dove la
pallacanestro è rinata sposando perfettamente i valori della città e trovando
feeling con i tifosi che è la cosa principale. Dare solidità, fare
investimenti, portare giocatori con nome ma efficienti in campo è essenziale.
Da contraltare a Pistoia si è visto un anno disastroso, dove la proprietà ha
lasciato cuori infranti. Le altre hanno sempre fatto il massimo, come Scola a
Varese ad esempio. Ma si tratta di una piazza non semplice. Sbagliando s’impara
e, pur facendo tutto in buona fede è importante crescere, capire e non ripetere
gli stessi errori».
«Però la stessa Varese sta investendo
molto sui giovani, vedi Librizzi o Assui, che giocano e permettono anche di
creare identità e attaccamento. E questo senza un budget di prim’ordine. La
società è presente e cerca di fare il meglio possibile, ottenendo il massimo
risultato ottimizzando i costi. La passione e il pubblico arrivano dai
risultati, e Napoli non può trascendere da questo. Adesso bisogna vedere
l’operato della nuova proprietà con Rizzetta in testa, ma già la firma di Magro
come allenatore mi sembra un ottimo inizio».
Cosa ha lasciato questo campionato in
ottica nazionale? «Le risposte degli italiani ci sono state, ed anche
parecchie. Per il discorso nazionale però, a volte non bastano i grandi numeri,
perché bisogna che ci si sposi con l’idea di gioco dell’allenatore, e con
l’identità e la struttura del gruppo. Gli italiani hanno dimostrato di essere
pronti in caso di chiamata, ma sono tante piccole cose, soprattutto
caratteriali, che comportano una convocazione».
«Logico che più profili abbiamo meglio è per il bene della nazionale». E allora Della Valle? «La meriterebbe, e so che culla così tanto il sogno dell’Olimpiade che si è reso disponibile per il 3x3 per rappresentare l’Italia. Se Pozzecco dovesse chiamarlo - ha concluso l’ex medaglia d’oro europea a Parigi 1999 -, immagino che lui correrebbe di corsa senza creare problemi. Ma è il coach e lo staff a decidere».
* per la rivista Basket Magazine
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