Ha compiuto 80 anni. Pozzo di scienza cestistica e miniera di aneddoti, racconta la sua carriera, di successi in ogni ruolo
Charlie Recalcati, l'uomo di tutte le stagioni
Introdotto alla pallacanestro da una leva di Arnaldo Taurisano, con Cantù ha vinto quasi tutto. Diventato quasi per caso coach nell'esperienza a Parma, è tra i più vincenti della serie A e della nazionale.
Lungo la sua carriera si è più volte riproposto il rapporto con Pozzecco. che ha spinto a fare il corso da allenatore. Sul suo recente addio all'Italia del Poz: «Lascia a Banchi quello che ho lasciato io nel 2009»
di Giovanni Bocciero*
Patrimonio della pallacanestro
italiana, rappresenta una stella polare da ammirare. Questo è Carlo Recalcati,
che poco più di un mese fa ha compiuto 80 anni, e da quando era adolescente li
ha trascorsi da prima con un pallone a spicchi tra le mani, e poi a dare
indicazioni dalla panchina. Un mito per l’Italia del basket, prima da giocatore
poi da allenatore, portando in campo eleganza innata e competenza acquisita.
Riavvolgendo il nastro della vita di
Charlie Recalcati, iniziamo dalla fine e dalla sua ultima fatica, quella
letteraria, che insieme all’amico ed ex compagno Cesare Angeletti l’ha visto
ricordare Arnaldo Taurisano con un libro. «Tau era un pignolo e ricercatore,
per questo non si limitava come fanno tutti a dire che il basket è nato da
Naismith, ma è andato in fondo e trovato le idee dalle quali lo stesso Naismith
ha preso spunto. Lo raccontiamo nella prima parte del libro, insieme
all’evolversi delle regole del gioco. La seconda parte invece, è un vero e
proprio trattato di tecnica per spiegare la costruzione della sua difesa, con
raddoppi a tutto campo e rotazione dei giocatori. Una difesa molto dispendiosa
che aveva la sua efficacia e che ho provato in prima persona quando allenato da
lui».
Nel 1980, a Parma, si è però
realizzato l’episodio spartiacque della vita di Recalcati. «Arrivai l’anno
prima in una squadra costruita per essere promossa, con giocatori esperti e io
quello di punta, ma mi fratturai il malleolo e per due mesi sono stato fuori.
Quando sono rientrato il campionato era compromesso. L’anno successivo la
proprietà decise di confermare solo me come veterano, e costruì un roster
prendendo ragazzi da vari settori giovanili. Dovevamo salvarci e avrei dovuto
solo giocare, ma a dieci giorni dall’inizio della preparazione l’allenatore si
dimise e mi chiesero se volessi fare anche da tecnico. Avevo delle perplessità,
perché già mi stavo preparando al dopo basket con un’attività assicurativa. Una
chiacchierata molto producente con l’assistente, il professor Antonio
Ievolella, mi spinse a ricoprire il doppio ruolo».
«L’anno dopo avevo già pronto un
contratto a Bergamo come giocatore. La squadra però non fu promossa, e così
cambiarono le strategie della società, che mi chiese se volessi allenare
piuttosto che giocare. Con tanti miei ex compagni in squadra, vincemmo due
campionati consecutivi venendo promossi dalla serie B alla serie A. Ma devo
ringraziare Parma - ha ricordato Recalcati - per quell’esperienza che mi ha
introdotto a fare l’allenatore». Nel 1984 è ritornato a Cantù nelle vesti di tecnico,
dopo i lunghi 17 anni trascorsi da giocatore nei quali ha vinto due scudetti e
ben sette trofei internazionali. Era un’altra epoca però, la società costretta
a cedere giocatori importanti per rientrare nei costi, come Antonello Riva,
rimase comunque competitiva tanto in ambito nazionale quanto continentale.
La successiva esperienza di Reggio
Calabria è stata positiva tanto dal punto di vista tecnico quanto da quello
umano. «In quei cinque anni la mia famiglia è stata circondata dal calore dei
reggini. Per noi milanesi è difficile esternare certe manifestazioni d’affetto,
anche se le abbiamo dentro». Archiviata in pochi mesi la sfortunata avventura
con l’Arese, Recalcati è ripartito da Bergamo in serie B perché «non mi
piacquero una serie di proposte di club della A che non avevano programmi ben
precisi». Nel 1997 non può rifiutare la chiamata di Varese, dove al secondo
anno vince lo storico scudetto della stella. Nel 1999 invece, quando «ero già a
Malaga, dove stavo scegliendo casa prima di firmare il contratto, mi arrivò la
proposta della Fortitudo». Con l’Aquila è tricolore al primo tentativo.
Quel successo gli spalanca le porte
della nazionale italiana, della quale è ct fino al 2009. Per le prime stagioni
in maniera esclusiva, perché «credo che bisogni rendersi conto della situazione
interna del movimento. Bisogna imparare a conoscere le dinamiche di gestione
della federazione, gli uffici, la politica delle elezioni. È bene che il ct sia
informato e capisca ciò che avviene. Quegli anni sono stati di formazione, e
tecnicamente bisognava anche pensare al futuro, ad un ricambio generazionale
della squadra. Considerato quanto giocavano poco gli italiani, già all’allora,
era necessario seguire anche i campionati di LegaDue e serie B per capire cosa
potessero offrire. Dopo due anni di ricerca abbiamo trovato Soragna, e
successivamente in un raduno di giocatori che militavano solo in cadetteria
abbiamo scoperto Poeta».
Nell’estate del 2003 si divide tra
nazionale e club, perché va ad allenare Siena. «Sono stati tre anni molto
intensi, non ho mai avuto un giorno di pausa. Per esempio, non ho mai visto né
il palio di luglio né quello di agosto, perché appena finivo i playoff con
Siena partivo con l’Italia. E quando a settembre inoltrato terminavo con la
nazionale, ricominciavo con Siena. È chiaro che dovevo avere persone di fiducia
da ambo le parti, sia a livello dirigenziale che nello staff tecnico, come
Frates in azzurro e Pianigiani al club. Nonostante non mi fossi mai riposato
per tre anni, avevo la giusta serenità».
Nonostante le fatiche del doppio
incarico, a Siena vince lo scudetto al primo colpo, e con la nazionale prima il
bronzo all’Europeo e poi quella storica medaglia d’argento all’Olimpiade di
Atene, tirando fuori il meglio di quella selezione. «Nei due anni precedenti
avevamo fatto tanti raduni e disputato tante partite. Ho aggiustato la squadra
strada facendo, perché all’Europeo l’escluso di lusso fu Pozzecco, che in
quella nazionale centrava poco. Invece per l’Olimpiade avevo maturato l’idea
che Basile dovesse giocare solo da guardia, e dunque dovendo rimodulare un po’
tutti i ruoli fu escluso De Pol. Sono state scelte dure, ma essere ct significa
anche dover mettere da parte l’affetto. Sono decisioni che ti costano dal punto
di vista umano ma che rendono da quello tecnico».
Per il Mondiale in Giappone del 2006,
e il successivo Europeo 2007, Recalcati già immagina la nazionale del futuro. «Bisogna
avere una visione a lungo termine, e quando cambi non puoi pensare di ottenere
risultati nell’immediato. Così, per quelle competizioni, iniziai a rinunciare a
qualche giocatore maturo per inserire qualche giovane. Con me hanno esordito
Gallinari, Belinelli che giocò una gara stratosferica contro gli Stati Uniti, e
poi Bargnani, Datome. Non erano atleti pronti, ma volevamo creare qualcosa di
buono per il futuro. Mi subentrò Pianigiani, che guidò quella nazionale piena
di talento ma non capace di raccogliere risultati. Capita purtroppo».
E proprio al Poz, Recalcati ha
lasciato la sua eredità. «Desideravo a fine carriera fare un passaggio del
testimone tra me e uno dei miei assistenti. Quando si è paventata la
possibilità di Pozzecco ct dell’Italia, si è ricordato di una chiacchierata che
avevamo fatto e mi ha voluto come senior assistant. Potevo fare l’assistente solo
di un capo allenatore che si fidasse ciecamente di me, che mi rispettasse come
persona sapendo che non gli avrei mai potuto fare le scarpe. Altrimenti sarei
diventato scomodo per un allenatore che non mi conoscesse profondamente. Col
Poz non si è mai realizzato nei club, ma addirittura in nazionale».
Ma qual è l’eredità che il Poz lascia
dopo la nazionale? «Ha iniziato a ringiovanire la squadra, e quindi ha lasciato
quello che ho lasciato io nel 2009. Oggi tutti ammirano Diouf, sul quale ha
iniziato a lavorare tre anni fa. Ma pochi sanno che lo ha proposto lui a Mrsic
al Breogan, perché andasse a giocare per un coach che conosceva e che sapeva lo
avesse fatto lavorare in un certo modo. Trento ha imposto Niang come grande
talento, ma la visione del Poz è stata quella del coraggio di buttarlo nella
mischia, e ne ha subito raccolto i frutti. Come Procida e Spagnolo, che ha
voluto sin dall’inizio della sua esperienza azzurra, dando un’iniezione di
freschezza tecnica ed atletica».
Adesso, però, tocca a Banchi
continuare il lavoro. «Ha fatto molto bene sia da coach nei club che come ct
della Lettonia. Ha esperienza ed ha il taglio giusto per ricoprire questo
incarico. Torno però al mio concetto precedente, ovvero che sarebbe bene che
per un paio d’anni facesse solo il tecnico della nazionale per capire
l’organizzazione della federazione, andare a fondo nel movimento e comprendere
cosa possono offrire i settori giovanili».
Giunti alla fine di questa storia,
dobbiamo lasciarvi con un ultimo appuntamento. Perché quello che avete potuto
immaginare leggendo queste righe, lo potrete presto vedere tramite la
realizzazione di un docufilm. Infatti, Recalcati è stato anche attore
protagonista «nell’interpretare me stesso, tra vecchi video e filmati che
testimoniano le tappe di Cantù, Parma, Bergamo, Reggio Calabria, Varese, Bologna,
Siena e Venezia. Sarà la storia della mia vita, e spero proprio che sia un bel
film».
Il profilo
Recalcati è nato l’11 settembre 1945 a Milano, dove ha iniziato a giocare a basket. Da giocatore ha scritto la storia di Cantù, con cui ha giocato per 17 anni vincendo 2 scudetti, 3 Coppe Korac, 1 Coppa Intercontinentale e 3 Coppe delle Coppe. Ha inoltre collezionato 166 presenze con l’Italia (18esimo di sempre) dal 1967 al 1976, mettendo a segno 1245 punti che lo rendono il 20esimo nella classifica all-time, e vincendo due medaglie di bronzo agli Europei del 1971 e del 1975. Ha disputato le Olimpiadi del 1968 e del 1976, ed il Mondiale del 1970. Appese le scarpette al chiodo è diventato allenatore, con una carriera ultra quarantennale che l’ha portato a sedere su dieci panchine di differenti club, oltre a quella della nazionale. Recalcati è il coach più vincente della serie A, con 546 partite vinte in carriera, ed è diventato il secondo tecnico a vincere tre scudetti con tre squadre diverse dopo Bianchini: con Varese quello della stella (1998/99), e con Fortitudo Bologna (1999/00) e Siena (2003-04) al primo tentativo. I ricordi più belli però, sono legati alla sua esperienza sulla panchina dell’Italia, guidata per 242 volte (secondo di sempre dietro Gamba) dal 2001 al 2009, vincendo il bronzo europeo nel 2003 e soprattutto lo storico argento olimpico di Atene 2004.
