giovedì 4 aprile 2024

Immagini e colori della Final 4 di Coppa Italia al PalaTiziano


Immagini e colori della Final four di Coppa Italia della Lega Nazionale Pallacanestro tenutasi al PalaTiziano di Roma il 16 e 17 marzo 2024. Due giorni che hanno riacceso le luci sulla capitale, così come dichiarato in una bella intervista da coach Valerio Bianchini. In campo quattro delle migliori squadre dei campionati di serie A2 e serie B Nazionale, quelle che sono riuscite a staccare il biglietto per questa manifestazione tricolore.

Nella prima giornata gli Herons Montecatini hanno avuto ragione di Roseto in semifinale, così come Forlì l'ha spuntata nel finale punto a punto con Cantù, con una prova solida di Xavier Johnson. La Libertas Livorno ha poi schiantato Ruvo di Puglia, mentre Mark Ogden ha preso per mano la Fortitudo Bologna che ha superato in gran bellezza Trapani, suscitando la grande amarezza del presidente Antonini.

Amarezza che nel secondo giorno di gare si è tramutato di fatto nell'esonero di coach Daniele Parente. Mentre in campo cresceva l'attesa per la sfida di serie A2 tra Forlì e Fortitudo, con diversi protagonisti non al meglio fisicamente, il folletto Josè Alberto Benites spingeva gli Herons a vincere il trofeo di serie B. L'ultimo atto della manifestazione romana si è concentrata sulla finale di serie A2, che ha visto ancora un maturo e solido Johnson aiutare Forlì nella rimonta e vittoria ai danni di una Fortitudo arrivata troppo stanca nel finale di gara.



L'addio di David, il professor Logan in pensione

Decisione improvvisa ma irremovibile per l’esterno di Chicago che spiega i motivi di una "fuga" improvvisa

Il professor Logan va in pensione

Giunto in Italia 19 anni fa chiamato da Pavia, nel nostro Paese ne ha trascorsi oltre la metà trovandovi la sua isola felice: «Mi sono goduto ogni istante da voi. Non so quando, ma tornerò»


di Giovanni Bocciero*

 

DUE MESSAGGI, uno prima della corsa in aeroporto e un altro successivo, e via dritto negli Stati Uniti. Senza voltarsi indietro, per quello che non si sapeva se fosse solo un arrivederci o un addio definitivo. Era il 29 gennaio, due giorni dopo il successo interno di Scafati contro Treviso. David Logan s’imbarca su un aereo per fare ritorno a casa apparentemente senza spiegazioni, tutto riassunto in quei messaggini inviati al general manager Alessandro Giuliani e al direttore sportivo Nicola Egidio.

Nel cuore della notte il primo whatsapp: «Devo andare negli Stati Uniti per una situazione famigliare». Poi quando i dirigenti gialloblù cercano di mettersi in contatto con il giocatore, il secondo messaggio: «Sto bene, ti contatterò una volta arrivato a casa». Da lì in poi cala il silenzio, mentre ovviamente inizia il tram tram della notizia. C’è addirittura chi specula sulla causa di questa fuga nel mancato versamento degli stipendi. Nulla di più lontano dalla realtà dei fatti, su cui si esprime direttamente il patron del sodalizio campano, Nello Longobardi: «I più maliziosi hanno pensato a stipendi non corrisposti: il 20 gennaio ha ricevuto la mensilità prevista, come tutti gli altri».

Nelle ore successive si è cercato di fare luce su questo vero e proprio caso, che non ha portato però a nessuna spiegazione. «David ha lasciato le chiavi dell’auto al proprietario della casa dov’era in affitto - ha dichiarato il presidente gialloblù - ed è volato in America. A nessuno ha comunicato questa necessità, non conosciamo i motivi. Con David ho un rapporto splendido, ogni martedì è da me in azienda per prendere un tè. Lo aspettavo anche questa settimana. Sono sorpreso, amareggiato. Pur essendo introverso, David mi ha volentieri confidato questioni personali. Anche questa volta lo avrei ascoltato e sicuramente avrei parlato con lo staff per consentirgli di tornare negli Stati Uniti così da risolvere qualsiasi situazione».

L’ANNUNCIO SHOCK… Dopo giorni di supposizioni e domande senza risposte, c’ha pensato lo stesso giocatore a risolvere il mistero che stava tenendo in ansia tutta la pallacanestro italiana, preoccupata per quello che potesse essere successo all’atleta americano sparito così all’improvviso. Da un giorno all’altro. Senza molte spiegazioni e ulteriori dettagli di quello che in realtà era un addio.

Il primo febbraio, Logan ha fatto sapere attraverso il profilo social dell’agenzia del suo agente John Foster di volersi ritirare dal basket giocato. «A questo punto della mia carriera penso di aver fatto tutto ciò che potevo nel gioco della pallacanestro. Voglio ringraziare mia moglie e i miei figli per avermi sempre supportato negli anni. Voglio ringraziare il mio agente e tutte le squadre per cui ho giocato in questi anni. Spesso quando pensi che sei alla fine di qualcosa, sei all’inizio di qualcos’altro. Mi ritiro dallo sport che amo».

…CHE COVAVA DA TEMPO. Questa decisione è arrivata come un fulmine a ciel sereno, perché presa in corso di stagione e perché in campo il nativo di Chicago stava ancora dicendo la sua. Ma in realtà era un qualcosa che covava da tempo, sin dall’estate. Non è una novità, infatti, che prima di rinnovare l’ingaggio con Scafati il giocatore si sia preso del tempo. Il direttore tecnico Enrico Longobardi proprio ad inizio stagione raccontava alla nostra rivista di come abbiano aspettato Logan, che dopo la parentesi di Cantù voleva smettere. Interloquendo però con il procuratore, per capire se magari fosse solo dovuto alla stanchezza dell’annata, hanno atteso qualche settimana prima di concludere l’accordo.

La piazza campana, pur se sta disputando una stagione molto positiva, strizzando l’occhio alla zona playoff e mantenendo a debita distanza la zona calda della classifica, ha affrontato bene diverse situazioni che le sono capitate tra capo e collo. Perché non solo c’è stato l’addio improvviso di Logan al quale si è messo una pezza piuttosto velocemente con l’ingaggio di Gerry Blakes; ma poco prima Scafati era stata costretta a sostituire coach Pino Sacripanti con Matteo Boniciolli a causa di questioni di salute.

David Logan in maglia Pavia con Danilo Gallinari 
19 ANNI: DA PAVIA A SCAFATI. «Ho condiviso la mia decisione con i compagni di squadra, e parlo tutt’ora con molti di loro», le prime parole di David Logan dopo l’annuncio che lo ha visto appendere le scarpette al chiodo a 41 anni, compiuti lo scorso 26 dicembre. Ha iniziato la carriera da professionista a Pavia, nel 2005, e delle 19 stagioni trascorse sul parquet la metà le ha vissute nel nostro paese. «Da quando ho incominciato a Pavia all’ultima esperienza a Scafati, nel corso di questi 19 anni, sono diventato sicuramente un giocatore migliore».

La passata stagione l’esterno statunitense ha trascinato alla salvezza la formazione gialloblù, mettendo canestri decisivi in serie per le importanti vittorie contro Brindisi, Pesaro e Brescia. In occasione proprio del successo di Pesaro, coach Sacripanti si era lasciato andare a delle dichiarazioni entusiastiche e piuttosto forti nel post gara: «Quando hai un giocatore come David l’allenatore non conta. Ti siedi in panchina e preghi che continui a segnare».

A tal proposito il cecchino ha semplicemente detto che durante le gare «ho sempre cercato di giocare con la massima sicurezza, facendo tutto quello che mi riusciva meglio. Quando si sta in campo la cosa fondamentale è rimanere in partita e non farsi distrarre oppure perdere la concentrazione». Taciturno ma chirurgico, tanto in campo quanto fuori, si è conquistato a ragione il soprannome di “professore”. «Il nickname me l’hanno dato i tifosi quando giocavo a Sassari. E devo dire che mi piace tanto».

L’ISOLA DEL TESORO. E proprio a Sassari ha marchiato a fuoco la sua incredibile carriera, protagonista dello storico triplete in maglia Dinamo nell’annata 2014/15. Appena atterrato sull’isola conquista la Supercoppa con 11 punti e 5.5 assist di media. Poi alza la Coppa Italia venendo nominato Mvp della manifestazione. Infine trascina la squadra allo Scudetto con una serie di prestazioni superlative nell’arco dei playoff: dai 27 punti in gara 4 dei quarti contro Trento, ai 7 punti decisivi nell’81-86 dopo un supplementare in gara 7 di semifinale al Forum di Assago contro Milano, alle pazzesche triple nel 115-108 dopo tre overtime di gara 6 di finale contro Reggio Emilia.

Nel finale di stagione del 2017 ha giocato per undici partite ad Avellino, dove era arrivato dopo aver iniziato in Lituania al Lietuvos Rytas. Dopo aver girovagato per mezza Europa, prende e va a giocare in Corea del Sud. Quella scelta, a 36 anni, sembrava essere un po’ il suo viale del tramonto, ma nel febbraio del 2019 fa ritorno in Italia per non lasciarla più. Ed anche in questa circostanza, nonostante il pedigree, riparte addirittura da Treviso in serie A2, dove «sono andato con l’unico obiettivo - ha dichiarato Logan - di riportare la squadra in massima serie».

Dopo una seconda avventura a Sassari nel 2021/22, la stagione successiva resta free agent per tutta l’estate prima di venire ingaggiato a campionato iniziato da Scafati, con la cui maglia stabilisce qualche record. Con la salvezza conquistata sul campo, decide di terminare la stagione scendendo nuovamente di categoria per disputare i playoff promozione tra le fila di Cantù. «Ho deciso di accettare l’offerta per lo stesso discorso che ho fatto con Treviso, riportare Cantù in serie A - ha continuato l’americano -. Mi sono convinto dopo averne parlato a lungo con coach Sacchetti», tecnico col quale ha un rapporto fantastico dopo aver vinto insieme il triplete a Sassari.

L’ITALIA NEL CUORE. Ovunque lo hanno apprezzato nel nostro paese, che sia stato beniamino o avversario. Dopotutto un talento cristallino come lui può solo che essere applaudito. «Non c’è un campo in particolare più caloroso di un altro - ha riflettuto l’esterno di Chicago -. In quasi tutti i palasport italiani si può respirare la grande passione. Però se proprio devo dirne uno, allora scelgo Bologna sia quando ho giocato contro la Virtus che contro la Fortitudo».

I nove punti nella gara di Scafati contro la sua ex Treviso sono stati il suo ultimo palcoscenico. Per quello che è stato David Logan sul parquet, si sarebbe meritato una serata speciale con tanto di standing ovation da parte di una tifoseria che lo ha idolatrato sin dal primo giorno. Ma per carattere lui non è fatto per stare sotto i riflettori per ciò che non sia infilare il pallone nel cesto. E per il futuro «ancora non ho pensato a cosa farò, non ho davvero nulla in programma. Ora voglio solo rilassarmi e trascorrere le giornate con la mia famiglia. Ho qualche idea su cui riflettere ma nulla di definito e certo».

Adesso non ci rimane che far ammirare alle giovani generazioni qualche filmato delle sue inimitabili prestazioni, incisive ma pacate, mai sopra le righe. E sarà sempre un piacere poterlo vedere ritornare in Italia. «Mi sono goduto ogni istante di questi dieci anni che ho vissuto lì. Mi piace tutto del paese e soprattutto il cibo. Non so precisamente quando ritornerò, ma sicuramente in occasione di qualche partita dei playoff o anche per una competizione come la Coppa Italia».

 

PROFILO

David Logan, classe 1982, è partito dai Greyhounds di Indianapolis, piccolo college di Division II, e da senior ha avuto 28.6 punti di media e vinto il titolo di giocatore dell’anno. Dopo la prima esperienza da ‘pro’ a Pavia e una comparsata in G-League, ha girato l’Europa ed il mondo: Polonia, Spagna, Grecia, Israele, Germania, Lituania, Francia e Corea del Sud. In serie A ha diversi record: 37 punti segnati nel 2016 con Sassari contro Reggio Emilia; 9 triple segnate nel 2023 con Scafati contro Verona; in carriera ha segnato 3585 punti, 660 triple, ed è l’unico con Mario Boni ad aver segnato almeno 29 punti a più di 40 anni. Dodici i trofei messi in bacheca e cinque i diversi premi di Mvp conquistati.


* per la rivista Basket Magazine

Alle radici della Coppa Italia della GeVi Napoli

Difesa arcigna e rapidità in attacco le armi preferite del coach croato, già sperimentate con la nazionale polacca riportata ai vertici europei

La scuola di Novosel nelle scelte di Milicic

Dal vecchio e glorioso Napoli del grande tecnico scomparso l'anno scorso, passando per la Coppa Italia vinta nel 2006 con Mimmo Morena capitano


di Giovanni Bocciero*


C’È UN SOTTILE FILO ROSSO che unisce il passato ed il presente del Napoli Basket, e che con grande timidezza prova a guardare al futuro. Ovviamente l’attuale centro di gravità non può che essere coach Igor Milicic, che ha portato una ventata di aria fresca al club partenopeo. Dopo due stagioni con la salvezza in serie A raggiunta a denti stretti, il progetto societario questa estate ha svoltato. Sì, perché è parso chiaro sin da subito che il presidente Federico Grassi un’altra annata in apnea non l’avrebbe voluta vivere.

Per evitare un altro campionato per deboli di cuore, era necessario provare a fare un salto di qualità fuori dal campo. Ecco allora la scelta di Alessandro Dalla Salda in qualità di amministratore delegato, seguito poi da Pedro Llompart nel ruolo di responsabile dell’area sportiva, sino ad entrare nel dettaglio dell’area tecnica con la panchina affidata al croato Milicic, salito alla guida di un roster completamente rinnovato.

BAMBOLE RUSSE. Tre scelte che si sono incastrate quasi come fossero delle bambole russe. Stessa forma, stessa consistenza, solo grandezze diverse derivanti dal ruolo ricoperto ma differenti dal punto di vista di osservazione. Naturalmente se si fa un discorso di organizzazione, di strategia, ovvio che il lavoro di Dalla Salda non può passare inosservato. Ha ristrutturato l’organigramma della società e diviso le responsabilità in macro aree. Tra l’altro, sue le parole all’atto di insediamento sul potenziale di una realtà come Napoli, unica nel panorama italiano per bacino d’utenza a poter aspirare a competere con due “franchigie europee” come Olimpia Milano e Virtus Bologna.

Se invece l’attenzione si sposta dalla stanza dei bottini al campo - quello più visibile ed ovviamente più ricercato dal pubblico - gli occhi non possono che essere puntati su Igor Milicic. L’allenatore è il principale fautore del miracolo all’ultima Final Eight di Coppa Italia. Un successo arrivato 18 anni dopo quello del 2006 dell’allora SSB Napoli. Ma soprattutto sull’onda della vittoria dello scudetto nel calcio, che ha riaffermato la città di Napoli ai più alti livelli sportivi nazionali.

MILICIC STYLE. Milicic è arrivato a Napoli un po’ come un oggetto misterioso. Certo, di lui si parlava bene soprattutto dopo l’exploit che ha avuto con la Polonia ad Eurobasket 2022. Una competizione nella quale ha saputo guidare la nazionale ad uno storico quarto posto, con Michal Sokolowski - del quale parleremo più avanti - e Mateusz Ponitka che in campo ha giganteggiato. E proprio in virtù di quella esposizione mediatica, il giocatore ha poi rescisso prima dell’inizio del campionato con la Reggiana di Dalla Salda - che ci aveva visto lungo - per accasarsi al Panathinaikos. Quella Polonia ha superato la Slovenia, campione in carica, detronizzando Luka Doncic e compagni ai quarti di finale, con una prestazione nel pieno stile del basket offerto da Milicic.

Una pallacanestro decisamente a passo con i tempi, fatta di una arcigna difesa ed un attacco pungente che entrato in ritmo è poi difficile da contenere. Per chi non si ricordi, in quel quarto all’Europeo la nazionale polacca ha segnato 58 punti nel solo primo tempo, con un perentorio parziale da 22-2. Giocare con una difesa asfissiante ed un attacco veloce porta comunque a spendere tante energie. È per questo impossibile reggere 40’ con questa intensità, quindi bisogna mettere in conto anche il più classico dei passaggi a vuoto. Non a caso la Slovenia quella gara l’aveva ribaltata con un parziale di 24-6, prima di subire il ritorno polacco per il definitivo 90-87.

CORSI E RICORSI STORICI. Facciamo però un passo indietro, e ritorniamo a quel sottile filo rosso. E sì, perché prima di Milicic c’era già stato un altro allenatore di origine croata che aveva entusiasmato il popolo napoletano appassionato di pallacanestro. Stiamo parlando di Mirko Novosel, una leggenda del basket mondiale che è scomparso l’estate scorsa. Allenatore di Napoli dal 1988 al 1990, dopo aver vinto praticamente ogni cosa con la Jugoslavia ed il Cibona Zagabria, il suo modo di intendere e giocare la pallacanestro hanno influenzato generazioni di allenatori.

Senza ombra di dubbio è stato un precursore, perché Novosel ci teneva al fondamentale del tiro, prim’ancora che si arrivasse alla moderna esagerazione delle triple dei giorni nostri. Questa visione però, già all’epoca induceva le sue squadre a giocare allargando quanto più possibile il campo, e non solo per tirare ma in modo da poter sfruttare gli ampi spazi che si creavano per attaccare ed arrivare al ferro.

Tanti sono stati i giocatori napoletani formati dal modo di giocare a basket di Novosel. Uno su tutti Mimmo Morena, storico capitano del Basket Napoli che nel 2006 ha alzato la Coppa Italia a Forlì. Un successo che non viene ricordato adesso solo perché un’altra squadra partenopea è riuscita in questa impresa. Questo è bene ricordarlo. Quella Napoli era una formazione da album dei ricordi della serie A. E Morena era il classico lungo atipico, che toccato da Novosel a fronte dei suoi 210 cm d’altezza aveva delle mani fatate che lo rendevano forse addirittura più pericoloso nel tiro dalla distanza, piedi a terra, che non sotto canestro.


LA STORIA SI RIPETE. La Napoli del presidente Maione e di coach Bucchi contava in campo su Sesay, Morandais, Stefansson, Rocca, Spinelli, Cittadini, Larranaga e soprattutto Lynn Greer, il folletto di Philadelphia. A guardarla oggi, questa formazione ha tante similitudini con quella attuale, ed ovviamente tanto del proprio gioco assomiglia a quello predicato dall’inizio della stagione da Milicic. In particolare non si può non vedere in Jacob Pullen la freddezza che aveva appunto Greer. In un’amichevole dell’epoca, coach Marcelletti che allenava a Caserta rimase sbigottito nel vedere il giocatore di Philadelphia, a tal punto da esporsi a definirlo il miglior giocatore del campionato. Non ci andò per nulla lontano. Pullen per certi versi lo ricorda parecchio in campo, decisivo quando è necessario. Anche alla Final Eight di Torino, quando sembrava eclissato, ha mandato a bersaglio due triple vitali, prima nel supplementare in semifinale con Reggio Emilia, e poi nell’ultimo atto contro Milano compiendo il controsorpasso nel tiratissimo finale.

UNA FOTO DAL CAMPO. Ad inizio stagione era stata posta una domanda piuttosto chiara al coach croato, ovvero se esistesse uno stile Milicic che potesse spiegare il modo di giocare delle sue squadre ai tifosi che non lo conoscessero. La risposta fu semplice e chiara, senza veli: «Non so se esiste un vero stile perché faccio fare un po’ di tutto. Quello che cerco è di ottenere il massimo dai giocatori. In squadra abbiamo molti tiratori, per questo vogliamo giocare velocemente per creare opportunità di tiro. Oltre al fatto che abbiamo un centro che corre bene il campo, e che assieme ai buoni playmaker può giocare in velocità. La cosa principale per me, però, è che la mia squadra deve giocare una difesa solida». È l’esatta fotografia della partita della Polonia contro la Slovenia, e di quello che ha fatto vedere Napoli in questa prima parte di stagione. Parentesi Coppa Italia compresa.

È in questo contesto che il dirigente Llompart con il direttore sportivo Giuseppe Liguori sono andati alla ricerca dei giocatori giusti da inserire nello scacchiere azzurro a disposizione dell’allenatore. Costruita prima la base italiana con Alessandro Lever, Giovanni De Nicolao insignito del ruolo di capitano, e Michele Ebeling, poi si è pensato all’ossatura della squadra con gli ingaggi di Tomislav Zubcic, Tariq Owens, Jacob Pullen, Tyler Ennis, Markel Brown rinforzo di dicembre e Michal Sokolowski.

Ognuno con le giuste caratteristiche per interpretare la pallacanestro dell’allenatore e per questo utile alla causa. Basti pensare alla bidimensionalità di Zubcic, grande protagonista ad inizio stagione, o a Owens che si è calato alla perfezione nel ruolo di “signore degli anelli”, o ancora a Pullen decisivo in più d’una occasione così come Ennis che con le sue qualità di grande passatore (è primo nella classifica degli assist) è il vero fulcro del gioco di Napoli.

IL PRETORIANO. E poi c’è lui, Sokolowski, lasciato per ultimo ma in realtà il primo colpo di mercato del club azzurro di questa estate. Già in Italia in quel di Treviso, è il pretoriano di coach Milicic che gli ha affidato un ruolo importante nella nazionale polacca e che già la passata stagione lo ha voluto con sé nell’avventura al Besiktas. Non è un caso se il classe ’92 di Varsavia è tra i giocatori con il più alto minutaggio dell’intero campionato. Si sbatte sempre e comunque in campo, rendendosi prezioso in tanti modi diversi: si getta a terra per recuperare un pallone, si lancia in aria per spizzare un rimbalzo, segna una tripla preziosa oppure semplicemente difende forte. Ecco, se chiedessimo a Milicic quale sia il suo giocatore ideale, molto probabilmente risponderebbe facendo il nome di Sokolowski piuttosto che elencare una serie di caratteristiche.

Con la vittoria della Coppa Italia il coach ha fatto breccia nel cuore dei tifosi napoletani, che lo hanno osannato al rientro della squadra alla stazione di Napoli. È riuscito a compattare un gruppo di giocatori che sembra giocare innanzitutto per la città. Lo si apprezza nelle parole dei protagonisti, che spesso sottolineano di voler regalare delle gioie ai napoletani. Non è un aspetto ininfluente o secondario, ma descrive anche il lavoro che il tecnico sta svolgendo nello spogliatoio.

IL FUTURO È L’EUROLEGA. Cosa riserverà il futuro è ancora presto per dirlo. «Sono stati sei anni duri fino ad oggi - le parole recenti del presidente Grassi -, tutti dicevano che nel giro di mesi saremmo falliti come le precedenti società. Vincere in questa città è più importante che farlo in altri posti. Speriamo di qualificarci per i playoff, nei quali proveremo eventualmente a dire la nostra, consapevoli che abbiamo un roster ridotto rispetto alle corazzate».

La società è forte e stabile dal punto di vista economico, ed ha dimostrato di poter puntare ad avviare un progetto che possa regalare altre soddisfazioni e soprattutto duraturo nel tempo. Il vero quesito è se Igor Milicic sarà ancora sulla panchina di Napoli. Non ci sono voci di corridoio in tal senso, è ancora troppo prematuro. Ma per quello che sta facendo il tecnico croato, non potrà rimanere ancora a lungo indifferente ad una compagine di grande livello europeo, magari già in Eurolega.

PROFILO

Igor Milicic è nato a Slavonski Brod, in Croazia, nel 1976. Ex cestista, dopo gli inizi a Rijeka e Spalato si è trasferito in Polonia. Ha giocato anche in Grecia e Turchia, ma gli ultimi sei anni di carriera li ha trascorsi nuovamente in Polonia tra Prokom Sopot e Azs Koszalin. Proprio in quest’ultima, appese le scarpette al chiodo nel 2014, inizia ad allenare. Passa poi al Wloclawek con cui vince tutto: due campionati, una coppa nazionale e una supercoppa polacca. Presa la cittadinanza, dal 2021 è ct della rispettiva nazionale. Prima di arrivare la scorsa estate a Napoli, ha allenato anche lo Stal Ostrow, dove ha vinto un’altra Polska Liga ed una Coppa di Polonia, ed il Besiktas.


*per la rivista Basket Magazine

martedì 12 marzo 2024

Bortolani, quanto amore dopo tanto viaggiare

Ventitré anni, siciliano di nascita, ma cresciuto a Milano nel vivaio dell'Olimpia, sta finalmente cogliendo i frutti di un lungo lavoro

Bortolani, quanto amore dopo tanto viaggiare

Dopo sei anni in giro per l'Italia con una sfortunata puntata in Spagna, è tornato a casa entrando nel cuore dei tifosi con una serie di grandi prove nel momento più difficile dell'Armani


di Giovanni Boccciero*


Giordano Bortolani sta ripagando la fiducia dell’Olimpia. Cresciuto nel settore giovanile, è stato mandato sempre in prestito, forse troppe volte. Chi lo ha allenato ha sempre creduto in lui. Tiratore puro, bello da vedere ed efficace, rappresenta il futuro dell’Italia. Bisogna sapere aspettare. Nell’epoca del tutto e subito questa espressione ha un sapore quasi strano. Un proverbio cinese riferisce che “a chi sa attendere, il tempo apre ogni porta”, rimandando all’importanza di una virtù, ormai quasi dimenticata: quella della pazienza. Oggigiorno non si riconosce più alcun valore alla pazienza, nonostante essa sia essenziale. Magari potremmo chiedere a Giordano Bortolani se ha avuto la giusta pazienza nell’attendere il suo momento per esprimersi in casacca Olimpia Milano.

Giocoforza, volente o nolente, coach Ettore Messina l’ha buttato nella mischia e lui si è fatto trovare pronto. Ed è proprio questa un’altra virtù che spesso passa inosservata quando si discute sui giovani da lanciare, quella della prontezza. Perché è facile dire che i giovani vanno fatti giocare, ma allo stesso tempo questi devono essere pronti a cogliere l’attimo. È ovvio che l’errore è permesso, ma ciò di cui proprio non possono fare a meno è l’attitudine a reggere il campo.

FATTO QUESTO PREMABOLO, concentriamoci su Giordano Bortolani, che è di sicuro un gioiellino che non scopriamo oggi. Cresciuto nel settore giovanile della stessa Olimpia Milano, si è definito un ‘siciliano trapiantato a Milano’. All’anagrafe il suo luogo di nascita è Sant’Agata di Militello, provincia di Messina, ma il capoluogo lombardo è senz’altro la sua città. Figlio d’arte, papà Lorenzo ha giocato a Capo d’Orlando. È lì che ha conosciuto mamma Anna Maria. I genitori si sono poi trasferiti all’ombra della Madonnina. Per questo Giordano è mezzo siciliano e mezzo milanese, dove ha iniziato prima a frequentare la scuola e poi a giocare a pallacanestro al centro Schuster proprio come il papà.

La chiamata dell’Olimpia è arrivata molto presto. Nel gennaio del 2012 ha fatto un provino per l’Under 13, e quella maglia non se l’è più tolta da dosso. A quell’età Giordano non si prendeva troppo sul serio, ma come ogni bambino sognava un giorno di giocare in prima squadra. Il primo passo è stato diventare campione d’Italia con l’Under 14; sei anni dopo, nel gennaio del 2018, è arrivato l’esordio e il primo canestro in Serie A, in una partita dal sapore particolare contro Capo d’Orlando. Chissà cosa avrà provato nel segnare la tripla in step back.

L’ASCESA È STATA QUASI FULMINEA, tanto da conquistare anche l’azzurro delle giovanili. Nell’estate del 2018 arriva la prima convocazione con l’Italia per l’Europeo Under 18 disputato in Lettonia. «Ritengo che Giordano sia paragonabile ai più grandi giocatori che ho allenato - ha esordito Andrea Capobianco -, perché ha una facilità di fare canestro devastante e può segnare in mille modi diversi. Per questo è uno di quei giocatori che piacerebbe sempre allenare. L’ho sempre utilizzato come una vera guardia. Credo che sia già tra gli italiani più importanti, che può ulteriormente migliorare anche perché sta facendo un percorso formativo in un club come Milano e con un allenatore come Messina che rappresentano il meglio che si possa avere. Nessuno di noi ha la palla magica, ma credo che Giordano sarà un giocatore prezioso per il futuro dell’Italia. Lo sta dimostrando cosa è capace di fare. Poi una carriera dipende come sempre da tanti fattori».

Un infortunio gli ha costretto a saltare l’edizione del torneo di Mannheim, riconosciuto da tutti come un Mondiale giovanile per la qualità delle nazionali partecipanti, ed è stato escluso solo all’ultimo taglio per l’Europeo Under 20. «Già quando veniva in nazionale avevo delle richieste maggiori per Giordano - ha continuato Capobianco -. Questo perché, pur sembrando antipatico, avevo delle grandi aspettative e credevo fortemente in lui. Può sembrare un ragazzo dal carattere chiuso, ma in fondo è di cuore ed ha tanta voglia di fare. Ed è per questo che con lui si è spesso esigenti. Alle prime convocazioni, a 17 anni, avrei detto che doveva acquisire ancor più sicurezza nel modo di giocare. Quando un giocatore è forte deve essere anche capace di mettere in pratica questa sua forza. Penso che grazie alle esperienze fatte stia crescendo, e si vede giorno dopo giorno come stia lavorando per continuare a migliorare».

IL PUNTO PIU’ ALTO DELLA SUA CARRIERA, sin qui, l’ha certamente raggiunto nell’anno in cui ha giocato a Treviso. Disputando la BCL è stato premiato quale ‘Best Young Player’ della manifestazione. Un riconoscimento non casuale. «Giordano è qualcosa di abbastanza unico - ha detto Max Menetti, allenatore di quella Treviso -. È un ragazzo estremamente semplice, sincero, trasparente, e in maniera franca dice sempre quello che pensa nel bene e nel male. Dal punto di vista tecnico è un giocatore con un tiro naturale così bello ed efficace, che non ho dubbi che sia uno dei migliori tiratori d’Europa. Finalmente sta trovando spazio anche in Eurolega, e questo dà la cifra del suo talento. Gli gioverà trovare continuità nel giocare stabilmente in una squadra, perché ha cambiato troppe città e troppi allenatori in poco tempo. Gli auguro che possa rimanere a lungo a Milano, perché questo gli darà un grande vantaggio in questa fase in cui sta trovando continuità anche nel rendimento».

Incrociate le spade con Manresa, in quella stessa stagione europea, è proprio il club iberico che lo prende nell’estate del 2022. «Con Manresa, che con coach Pedro Martinez giocava una pallacanestro celestiale, credo che sia stato sfortunato - ha analizzato ancora Menetti -. Quella stagione il club rifondò completamente la squadra, fu un anno difficile tant’è che si salvarono all’ultimo cambiando circa una ventina di giocatori. Quindi, al di là dell’impatto nella pallacanestro estera che non è comunque mai semplice, credo che sia capitato nell’annata sbagliata. E da giocatore giovane, per la prima volta all’estero, ne risenti. In ottica Italbasket il ct Pozzecco saprà toccare le corde giuste anche rispetto ad una sua crescita caratteriale. So che Gianmarco lo apprezza, e credo che diventerà un atleta azzurro in pianta stabile. Sta raggiungendo adesso la sua maturazione, sta entrando ora nel suo momento migliore e auspico che avrà il suo spazio».

SI ERA TRASFERITO IN SPAGNA con la convinzione di trovare migliori fortune, come fatto in precedenza da altri due ex milanesi come Nik Melli e Simone Fontecchio. Due enfant prodige del nostro basket che oltre ad essere delle belle speranze sono dovuti emigrare per ricevere la giusta attenzione. Giordano, che non è un amante dei social, preferisce la vita reale a quella virtuale, per questo si getta a capofitto nel duro lavoro in palestra. Con chiunque si parla, è un compagno di squadra con il quale si sta bene. Questo è senz’altro un vantaggio in un ambiente dove, purtroppo, sempre più l’individualità del giocatore viene messa al centro dell’attenzione, come ha avuto modo di dire anche il saggio Valerio Bianchini.

A Milano quest’anno ci è tornato per rimanerci, convinto di potersi giocare le sue opportunità, ed ha saputo sfruttare al meglio l’infortunio di Billy Baron e qualche altra defezione del roster meneghino. Dallo scorso 2 gennaio, giorno del match di Eurolega contro l’Olympiacos, ha infilato ben cinque partite consecutive in doppia cifra tra Serie A ed Europa, trascinando il gruppo italiani dell’Olimpia. Ad esempio è stato decisivo nel successo di Trento che ha permesso la qualificazione alle Final Eight di Coppa Italia. Con l’arrivo di Rodney McGruder bisognerà trovare un nuovo equilibrio, ma Giordano di sicuro non si tirerà indietro nel lottare per conquistarsi minuti importanti.

NEL FUTURO PROSSIMO c’è anche l’Italia. «Bortolani è un giocatore che ha delle caratteristiche ben precise - ha detto Charlie Recalcati, senior assistant azzurro -. Milano c’ha puntato sin da giovanissimo, blindandolo con un contratto lungo appena ha terminato il settore giovanile. È vero che poi è andato in prestito in diverse squadre, però è un giocatore sul quale l’Olimpia ha sempre creduto, e adesso sta restituendo parte di quella fiducia che il club ha riposto in lui. È una guardia dai grandi mezzi offensivi, un tiratore puro che ha la mentalità del realizzatore perché non si spaventa dopo il primo errore ma crede molto in sé stesso. Andando avanti nella sua formazione, alla pericolosità offensiva nel tiro da lontano ha aggiunto anche l’uno contro uno e lavora molto bene in penetrazione. È molto solido dal punto di vista fisico, ma deve aggiungere la stessa efficacia nell’applicazione difensiva».

Con l’Italia ha partecipato all’impresa di Caceres, dove gli azzurri hanno battuto la Spagna 68-72 nel match di qualificazione al Mondiale, per il quale poi non è stato convocato. Il prossimo obiettivo è senz’altro la partecipazione al Preolimpico di San Juan. «È un discorso prematuro. Potenzialmente sì - ha continuato Recalcati -, ma quando si costruisce una squadra nazionale bisogna tener conto di tanti fattori: la compatibilità all’interno del roster, e ciò che riesci a fare considerando la concorrenza, che qualche volta può farti preferire ed in altre circostanze no. Giordano deve vivere tutto ciò cercando di fare il meglio possibile per la propria società. Se questo lo porterà ad avere la soddisfazione di giocare per l’Italia ben venga. Ma si tratta pur sempre di un giocatore nel pieno della sua formazione, e per questo sarebbe riduttivo fare un discorso a breve termine».

PROFILO

Bortolani è nato il 2 dicembre del 2000. Dopo aver fatto tutta la trafila nel settore giovanile dell’Olimpia ha esordito in Serie A appena 17enne. Un anno in doppio tesseramento con Bernareggio in Serie B (10.2 punti di media), poi il club meneghino lo ha girato in prestito a Legnano (12.5 punti) e Biella (14.9) in Serie A2, a Brescia (6.2) e Treviso (11.8) in Serie A. Il 20 febbraio 2020 il ct Meo Sacchetti lo ha fatto debuttare con la nazionale maggiore (10 presenze totali), nell’incontro delle qualificazioni all’Europeo di Napoli contro la Russia. Lo scorso anno ha concluso la stagione a Verona (10 punti di media) in Serie A.


* per la rivista Basket Magazine

giovedì 29 febbraio 2024

L'anno da sogno in "Napoli nel Cuor3"

L'anno da sogno in "Napoli nel Cuor3"

Storia di identità e di passione

QUANDO SI VINCE AL SUD si prova una sensazione differente rispetto al successo di una squadra del Nord. Lo ha dimostrato anche l’ultimo scudetto conquistato dal Napoli. E tra calcio e basket cambia poco la sostanza, perché nelle vittorie di questi due sport ci sono più di una similitudine. Lo scudetto del Napoli, il terzo della propria storia, è stato raccontato nel libro “Napoli nel Cuor3 Identità e passione”, edito da Graus Edizioni, opera prima del nostro collaboratore Giovanni Bocciero, nativo di Maddaloni e cestista fino al midollo. Prestato al romanzo ed al calcio, Bocciero ha ripercorso la trionfale cavalcata degli azzurri di Spalletti in un volume dove oltre ai risultati traspirano altri due valori importanti: l’identità e la passione. L’identità di un popolo, quello napoletano, che viene raccontato con gli occhi di un emigrato che attraverso aneddoti ed esperienze uniche ha cercato di unire quel sentimento che tiene legate le persone dalle stesse origini. La passione è invece quel fuoco che arde in continuazione, e che rappresenta senza alcun dubbio l’anima di una città, che attraverso il successo sportivo è salita alla ribalta delle cronache nazionali per la sua eterna bellezza.



NELLE PAGINE DEL ROMANZO, infatti, si cerca di raccontare con minuzia del dettaglio come Napoli si sia vestita a festa per questo traguardo che in quelle terre coincide con il riscatto sociale. Volendo trovare un parallelo con la pallacanestro, non possiamo non ritornare a quel 1991, quando era la Juvecaserta degli Esposito e Gentile a conquistare il tricolore contro Milano. E se per i primi due scudetti del Napoli c’era una figura che ‘oscurava’ tutti gli altri, ovvero quel fenomeno che rispondeva al nome di Diego Armando Maradona, il successo della passata stagione ha visto una squadra molto più simile a quella Juvecaserta. Una compagine dove ognuno ha portato il suo prezioso e fondamentale contributo: le reti di Osimhen, i dribbling di Kvaratskhelia, la regia di Lobotka, le parate di Meret, la leadership di Di Lorenzo. Quel successo di soli pochi mesi fa sembra già appartenere alla storia per l’andamento del campionato attuale da parte degli azzurri. Ed è proprio quello che invece non ci auguriamo noi. Perché sull’onda emotiva delle vittorie è tutta la città che ne deve beneficiare a livello di impiantistica sportiva, un tema sempre più al centro dell’attività di base. Basti guardare a Caserta, dove il PalaMaggiò ed il PalaPiccolo sono alle prese con interventi strutturali e l’odierna squadra di serie B è costretta ad emigrare in quel di Maddaloni ed Aversa con non poche difficoltà logistiche per allenarsi e disputare le partite.

QUANDO SI LAVORA BENE si può vincere anche al Sud. E non parliamo di dover avere a disposizione risorse economiche infinite, ma di saper spendere quel tanto che si ha in maniera oculata affinché si creino le condizioni per poter aspirare alla vittoria. Proprio come sta succedendo al Napoli Basket, per trovare un altro parallelo con il libro “Napoli nel Cuor3” di Bocciero, che questa estate ha affidato la gestione ad un dirigente competente quale Alessandro Dalla Salda. Si è così costruita una squadra che, in controtendenza con la stagione calcistica, sta infiammando il popolo azzurro che di domenica in domenica riempie fino allo stremo il PalaBarbuto, oggi Fruit Village Arena. E la passione che i tifosi dimostrano, non solo da quest’anno, meriterebbe un impianto decisamente più grande e a passo con i tempi. Considerato che a poche decine di metri c’è lo scheletro del maestoso e storico PalArgento, più volte tirato in ballo per progetti di ricostruzione, sarebbe proprio il momento giusto per dare alla squadra ed ai suoi appassionati una casa degna del suo nome.

Recensione su Basket Magazine

venerdì 16 febbraio 2024

CJ Massinburg, sesto uomo extra lusso

Il segreto della grande stagione della Germani sta anche nel miglior sesto uomo del campionato

CJ Massinburg, a Brescia one million dollars man

Grandi numeri in carriera ma poca attenzione dalla Nba «che resta il mio obiettivo. Faccio quello che il coach mi chiede, ma segnare mi piace di più»


di Giovanni Bocciero*


DALLE PORTE IN FACCIA al colpaccio da un milione di dollari. La carriera di CJ Massinburg, guardia della Leonessa Brescia, si può sin qui riassumere nel detto che ciò che non ti uccide ti fortifica. Temprato dalle esperienze avute, il 26enne è senz’altro l’arma in più della Germani di coach Alessandro Magro. Nato a Dallas, la quarta area metropolitana più popolosa degli Stati Uniti, e nell’ultimo decennio tra le città in più rapida crescita del paese, come qualsiasi adolescente americano «da piccolo ho anche giocato a football americano e baseball, ma - ha raccontato Massinburg - la mia passione e il mio amore sono sempre stati la pallacanestro». E con quella palla a spicchi in mano c’ha sempre saputo fare. Non a caso ha lasciato la South Oak Cliff High School come uno dei migliori giocatori della propria storia, e nell’ultimo anno da studente ha avuto una media di 22.3 punti ad allacciata di scarpe. La prima difficoltà sul suo percorso si presenta quando c’è da scegliere l’università. O meglio, non si deve porre questo problema perché di offerte di borsa di studio per la Division I della Ncaa non ne riceve neppure una. Insomma, il suo cammino si presenta subito arduo e in salita.

SENZA FILE di scout davanti alla porta di casa, si aggrega ad una selezione di giocatori senior nata per caso che inizia a viaggiare per gli Stati Uniti con l’unico scopo di mettersi in mostra così da attirare l’attenzione. CJ ci riesce, tant’è che lo staff tecnico della University at Buffalo decide di offrirgli un posto in squadra.

Quella tra le fila dei Bulls è forse l’avventura che ne marchierà a vita la carriera cestistica. È infatti al college che Massinburg si fa notare a livello nazionale, acquistando quella notorietà necessaria per costruirsi il futuro. Disputa quattro anni in crescendo, dal 2015 al 2019, sia a livello personale che di squadra, diventando un giocatore chiave in uscita dalla panchina. Da freshman si conquista un posto nel miglior quintetto dei novizi grazie alle medie di 11.3 punti e 4.1 rimbalzi. Da sophomore aumenta la produzione offensiva a 14.5 punti, mentre al terzo anno conquista il quintetto titolare e guida la squadra alla conquista della regular season e del torneo della Mid-American Conference, segnando 19 punti nell’incredibile successo contro Arizona al torneo Ncaa.

Nell’ultima stagione con Buffalo dà il meglio di sé. Con 18.5 punti di media è il primo marcatore della squadra diventando uno dei migliori cinque della storia dell’università; trascina i Bulls nella classifica top 25 della nazione per quasi tutta l’annata, risultando l’apice mai raggiunto dal college; e viene nominato Mvp della conference e addirittura miglior giocatore della decade dal quotidiano locale dell’area di Buffalo, che comprende ad esempio anche un’università come St. Bonaventure. Nonostante un record da 31 vittorie in 34 partite, il torneo Ncaa s’interrompe al secondo turno contro la Texas Tech di Davide Moretti capace di arrivare fino alla finale, poi persa contro Virginia.

«Il college è stata una bellissima esperienza - ha ricordato CJ -, e la March Madness mi ricorda molto la Coppa Italia». L’avventura in maglia Bulls l’ha condivisa con Nick Perkins e Wes Clarke, giocatori visti qui in Italia con le casacche di Brindisi, Cantù e Venezia. «Io, Wes e Nick siamo buoni amici, e ci sentiamo ancora spesso».

ACCLAMATO ma non abbastanza per entrare dalla porta principale della Nba. Infatti, la notte del draft 2019 nessuna delle franchigie spende una delle 60 scelte per selezionarlo. «Sono stato triste per cinque minuti. Poi il mio agente mi ha chiamato e mi ha detto che i Brooklyn Nets mi volevano con un contratto da dieci giorni, e questo mi ha fatto tornare di nuovo felice».

Viene aggregato alla formazione della G-League di Long Island, e la prestazione da 28 punti, 6 rimbalzi e 3 assist contro Delaware rimarrà forse la migliore della sua carriera. Due stagioni nella lega di sviluppo, con 10.9 punti, 4.8 rimbalzi e 2.3 assist di media e qualche infortunio, sono sufficienti per indurlo a varcare l’oceano accettando le mire di Limoges che individua in lui il rinforzo giusto per aspirare sempre più in alto. Anche se il sogno resta l’Nba, perché «giocare ai massimi livelli - ha detto CJ - sarebbe fantastico», riconosce che «il basket all’estero ha dato a me e alla mia famiglia grandi opportunità».

In Francia ci rimane una stagione, fa registrare 14.4 punti, 4.3 rimbalzi, 3.5 assist e 15.3 di valutazione, e questo basta per convincere Brescia a fargli firmare un contratto biennale nell’estate del 2022. «I campionati sono più simili che diversi. Una differenza è che quello italiano è più tattico, mentre quello francese è più atletico». Prima di approdare in quella che ai tempi dell’Antica Roma era conosciuta come Brixia, si cimenta nel Basketball Tournament, il torneo estivo ad eliminazione diretta che elettrizza l’America mettendo in palio un milione di dollari alla squadra vincitrice. Gioca con la formazione Blue Collar U, che annovera ex alunni di Buffalo tra cui anche gli ex compagni Perkins e Clarke, con i quali conquista il ricco montepremi ricevendo anche il premio di Mvp.

SBARCA A BRESCIA con la voglia di chi vuole mangiarsi il mondo, rispecchiando in toto l’anima della città che non a caso è denominata la Leonessa d’Italia. La stagione precedente Brescia ha disputato un campionato stratosferico, con Amedeo Della Valle nominato Mvp e Magro coach dell’anno. CJ è un’aggiunta preziosa ad un roster che riprende da dove aveva lasciato, prima di inanellare sette sconfitte consecutive da precipitare in zona retrocessione. La società non si lascia prendere da colpi di testa, decide di proseguire con l’allenatore e coglie un’importante successo nella Final Eight di Coppa Italia giocata a Torino, superando l’Olimpia Milano ai quarti e la Virtus Bologna in finale così da alzare al cielo il primo storico trofeo. «Magro è un grande allenatore, una mente cestistica molto intelligente e, soprattutto - ha sottolineato la guardia -, una brava persona. L’anno scorso ci disse in uno dei momenti brutti della stagione: “finché avete fiato nei polmoni dovete continuare a lottare”. Questo ci ha aiutato dopo le brutte sconfitte».

Per il secondo anno in maglia Germani, Massinburg ha trascorso l’intera estate ad allenarsi duramente tra Dallas e Buffalo: «ho lavorato così tanto da farmi venire la tendinite. Ma non volevo mancare l’occasione di presentarmi al meglio all’avvio della nuova stagione».

DIVENTATO UN PILASTRO della squadra, «non sono stupito del nostro rendimento particolarmente buono - ha evidenziato il numero 5 -. Quest’anno abbiamo fatto tesoro di tutte le lezioni subite l’anno scorso per fare una grande stagione tanto da spingerci al primo posto». Ma se gli si chiede qual è la principale differenza di questo cambio di rotta, non esita ad indicare «l’aggiunta di tre ragazzi chiave come Bilan, Burrell e Christon. Anche quelli confermati stanno rispondendo molto bene, perché un anno in più insieme significa più chimica».

Brescia ha cercato di ben figurare sin dalla Supercoppa, ospitatain casa, ma la Virtus ha impartito una dura lezione anche se poi in campionato la musica è stata diversa. «Ogni sconfitta che abbiamo subito è stata una lezione diversa da imparare. Ad ogni sconfitta penso che siamo migliorati come squadra e come gruppo, anche attraverso la delusione della partita».

Poi Massinburg riflette anche sul livello delle principali favorite, ovvero Bologna e Milano. «Sono squadre di livello Eurolega che hanno la stazza e la fisicità per essere prepotenti. Devi essere pronto quando affronti questo tipo di avversari. Se non sei pronto o se sei intimidito perderai. Se sei pronto e fiducioso, puoi giocare proprio come fosse una qualsiasi altra partita». Ed è con questa convinzione che guardando al futuro dice che: «uno dei miei obiettivi principali è giocare in Eurolega. Mi sento pronto. Affronto ogni giorno con l’obiettivo di migliorare sempre. L’ho fatto dall’high school al college, l’ho fatto in G-League».

Proprio come succedeva a Buffalo, coach Magro lo utilizza in uscita dalla panchina. E Massinburg con le sue qualità tecniche, la capacità di spaccare la partita e l’efficacia dimostrata, riesce spesso e volentieri ed essere decisivo. CJ è l’arma segreta della Leonessa, non è egoista e non vuole sempre il pallone tra le mani. «È difficile dire quale sia la mia migliore abilità, perché io scendo in campo con la mentalità di fare tutto ciò che è necessario per la mia squadra. Se c’è bisogno che segni, segno, così come di difendere, prendere un rimbalzo o fare un passaggio. Possiedo gli strumenti per influenzare il gioco in diversi modi, ma se dovessi sceglierne uno prediligo sicuramente segnare».

Con il suo fondamentale apporto, e con una delle valutazioni di plus/minus migliori dell’intera Serie A, è stato nominato sesto uomo del mese di novembre. E proprio contro la Virtus Bologna ha firmato i suoi massimi stagionali con i 27 punti e il 31 di valutazione. E pensare che a Brescia di concorrenza sugli esterni ce n’è fin troppa, tra lui, Christon, Della Valle, Petrucelli e Cournooh. «Giocare con guardie così brave e intercambiabili rende il gioco molto più semplice. Tutti possiamo ruotare e giochiamo in modo altruistico con l’obiettivo comune di vincere».

Ed ha raccontato che «non mi piace fare trash talking con gli avversari. Mi piace invece farlo con i miei compagni di squadra quando siamo in allenamento. Ad esempio, io e John (Petrucelli, ndr) giochiamo uno contro l’altro, e siccome è un ottimo difensore quando gli segno mi piace punzecchiarlo perché non sono molti i giocatori che riescono a segnare contro di lui. Tutti i miei compagni di squadra sono fantastici, e i ragazzi più esperti sanno sempre dare il consiglio giusto».

FUORI DAL CAMPO non fa cose molto diverse da chiunque altro. «Mi piace giocare a bowling, ascolto musica e gioco a ping pong». Prova a vivere la città, «che è bella, con gente simpatica e tifosi appassionati». E se gli si chiede cosa pensa di fare una volta aver smesso col basket giocato, risponde secco che «voglio allenare, voglio avere un impatto positivo nella vita dei giovani che crescendo riescono ad emergere».

Il giocatore al quale si ispira è «LeBron James, per la sua longevità, la sua capacità di gestire la pressione con classe e il suo impatto fuori dal campo», anche e soprattutto su temi sociali quali il razzismo, che per fortuna «non ho mai sperimentato con episodi diretti». Massinburg ride alla domanda se vede James come candidato alla presidenza degli Stati Uniti: «no, spero che non si candidi mai alla presidenza. Viene già criticato per ogni cosa che fa». Diverso il discorso di vederlo capitanare Team Usa alle prossime Olimpiadi, «spero proprio di sì, sarebbe una bella cosa da vedere perché è alla fine della sua carriera». E se lo augura anche per vedere tornare al successo gli States dopo non aver vinto l’ultimo Mondiale. «Pensavo che gli Stati Uniti avrebbero vinto. La mia seconda scelta era l’Australia, ma per la Germania è stata una vittoria impressionante».

PROFILO

Christian Jalon Massinburg, meglio conosciuto come CJ, è nato a Dallas il 14 aprile del 1997. Gioca nel ruolo di guardia ed è alto 1.96 metri per 92 kg. Cresciuto nella città natia, ha giocato quattro anni al college con i Buffalo Bulls. Non scelto dalla Nba al draft 2019, ha militato per due stagioni in G-League con i Long Island Nets prima di firmare nell’estate del 2021 per Limoges. Dopo un solo campionato in Francia, è arrivata la chiamata di Brescia che lo ha ingaggiato con un contratto biennale. La scorsa stagione è stato gran protagonista nella vittoria in quel di Torino della Coppa Italia, e quest’anno ha ritoccato il suo massimo in punti: 27.


* per la rivista Basket Magazine

sabato 20 gennaio 2024

Napoli nel Cuor3, identità e passione. Un libro di Giovanni Bocciero

Napoli nel Cuor3, identità e passione. Un libro di Giovanni Bocciero


All’interno di Storie di Graus, libri da raccontare, Ivan Scudieri incontra l’autore Giovanni Bocciero per presentare Napoli nel Cuor3, Un libro che racconta della trionfale stagione degli azzurri alla conquista del terzo scudetto, Graus Edizioni.

«Vincere a Napoli è una cosa unica. E se vivi al nord e tifi Napoli, “giochi” sempre in trasferta. Dopo trentatré anni, generazioni di tifosi si sono stretti in un abbraccio ricco di emozioni. Ovunque nel mondo, napoletani che mai si sono interessati al calcio hanno rivendicato questo trionfo come celebrazione della propria terra d’origine. Con la città che si colora di azzurro, i Quartieri Spagnoli, Forcella e il Rione Sanità sono diventati meta di turisti, vogliosi di vivere la parte verace di Napoli. Una città dove “la magia diventa realtà e lo sport può rappresentare la chiave per il riscatto sociale”».

Clicca qui per l'intervista


La conferma Pinkins, lottatore mancato

La carriera dell'ala forte di Marianna è decollata a Scafati dopo anni nelle leghe minori europee

La conferma Pinkins, lottatore mancato

Tanta energia sul parquet per Kruize che si sta imponendo tra i protagonisti di Serie A


di Giovanni Bocciero*


INIZIARE DAL BASSO per mirare ad arrivare al proprio massimo. Si può forse riassumere così la carriera di Kruize Pinkins, ala classe 1993 dello Scafati Basket, che si sta facendo ammirare come uno dei principali protagonisti del campionato di serie A. Ha dovuto lottare, sgomitare, combattere, arpionare qualsiasi pallone e addirittura gettarsi a terra per sbucciarsi le ginocchia se ce ne fosse stato bisogno. «Certo che sì - ha esordito il cestista nativo di Marianna, città della Florida -, ho lottato per tutto ciò che ho avuto da quando ho iniziato la mia carriera da professionista. È ciò che rende speciale questo sport ed il mio percorso, in un certo senso. Il giocare a pallacanestro mi ha portato in posti che non avrei mai pensato di vedere. A volte devi solo scommettere su te stesso». Cosa che fa ancora oggi con la canotta gialloblù indosso. E pensare che «il mio primo sport non è stato nemmeno il basket. Mia mamma mi ha portato a fare lotta quando ero molto giovane, cosa che non è durata molto una volta che ho potuto iniziare a giocare a pallacanestro e a football americano. Però ho sempre giocato a basket, ed è sempre stato il mio sport preferito».

«È un giocatore positivo - ha commentato coach Pino Sacripanti -, un ragazzo generoso. Pensa al risultato della squadra prima che di sé stesso, ed è un piacere onestamente allenarlo. Credo che possa ancora migliorare sulla comprensione del gioco, un aspetto sul quale sta lavorando giorno dopo giorno, e che può renderlo ancora più utile all’interno di un sistema. Ormai ha una certa esperienza, ma non giocando da tanto ad un certo livello si sta abituando a questo standard. Si sta concentrando anche fuori dal campo, perché tendeva a mettere qualche chilo di troppo mentre oggi sta molto più attento. Così facendo può arrivare a giocare per una squadra che faccia le coppe europee, avvalorato dal fatto che il livello dell’attuale campionato di serie A è alto e lo sta vedendo grande protagonista».

Pinkins si è definitivamente consacrato sulla scena della pallacanestro italiana grazie alla vittoria per 103-107 che ha contribuito a regalare a Scafati sul parquet di Pesaro dopo un tempo supplementare. Una prestazione che lo ha visto segnare 33 punti in 39 minuti di gioco per 42 di valutazione. Così facendo l’ala statunitense ha insidiato il record del club che detiene un vecchio fromboliere come Rick Apodaca, con 36 punti e 45 di valutazione. Ma contro Pesaro il numero 12 gialloblù ha migliorato il suo stesso primato in valutazione, che era il 39 realizzato nel trionfale derby contro Napoli della passata stagione, oltre ad essere la migliore prestazione fatta registrare in questo campionato (almeno fino al momento in cui scriviamo, ndr). «Onestamente in campo pensavo solo a vincere la partita, perché ce lo stavamo meritando. Durante l’incontro avevamo avuto un grande vantaggio, poi abbiamo permesso ai nostri avversari di avvicinarsi. Sono rimasto concentrato cercando di aiutare la squadra a ottenere la vittoria. Solo dopo ho capito che è stato un match piuttosto importante per me, per quello che sono riuscito a fare, ed è stato piuttosto bello».

A qualcuno forse meraviglia quello che è capace di fare Pinkins in campo. Ma chi l’ha seguito anni addietro può senz’altro affermare che è tutta farina del suo sacco. «Direi che la mia migliore abilità - ha detto l’ala - è l’energia che metto sul parquet e la mia versatilità». Caratteristiche queste che gli hanno permesso nell’arco della sua carriera di chiudere diverse stagioni con la doppia-doppia in punti e rimbalzi di media, nonostante un’altezza che si assesta sui 2.01 metri. Sin dal Chipole College (due stagioni a 16 punti e 9 rimbalzi di media) si è fatto apprezzare per la volontà di arrivare per primo sul pallone vagante. Qualità che dopo essere stato snobbato gli ha aperto le porte del campionato universitario per eccellenza ricevendo la borsa di studio dai San Francisco Dons, volando così dall’Oceano Atlantico della Florida a quello Pacifico della California.

Dopo aver provato a ripercorrere le orme di una leggenda come Bill Russell, alle medie di 13.9 punti e 6.2 rimbalzi con 9 doppie-doppie e una menzione per il miglior quintetto della West Coast Conference, ha iniziato il suo girovagare per l’Europa. Prima tappa in Germania, all’Hanau militante in seconda divisione, dove nella prima stagione ha registrato 13.1 punti e 9.1 rimbalzi di media, mentre nella seconda si è migliorato con 17.9 punti, 9.6 rimbalzi e 2.5 assist che è il suo massimo in carriera. Nell’estate del 2017 è arrivata la chiamata di Mitteldeutscher che lo ha fatto esordire in Bundesliga: chiude l’annata con 11.1 punti e 5.9 rimbalzi. L’anno successivo è approdato in Italia, ancora per giocare in una seconda lega. È Casale Monferrato che se l’è cullato, e lui ha ripagato la fiducia forse con la migliore stagione a livello statistico: 16.8 punti e 10.2 rimbalzi. Ha deciso però di uscire dal secondo anno di contratto con la squadra per accettare l’offerta da parte dell’ambiziosa Torino, che ha puntato su Pinkins per cercare la promozione in serie A. Al primo anno ha chiuso con 15.6 punti e 7.2 rimbalzi, quello successivo con 11.8 e 6.4. Due anni comunque positivi pur non riuscendo a cogliere il salto di categoria.

Nel 2021 si è trasferito in Francia per giocare con l’ambizioso Limoges del tecnico italiano Massimo Cancellieri, che lo aveva già affrontato. In Pro A ha fatto registrare 5.6 punti e 3.1 rimbalzi, con le peggiori percentuali della sua carriera: 42% da 2 e 29% da 3. Dopo essere stato etichettato quale classico giocatore da seconda categoria, è stata la neopromossa Scafati a puntarci forte per l’esordio in serie A. Ed alle pendici del Vesuvio sta trovando di sicuro la sua dimensione ideale. «Scafati è stata buona con me, e ringrazio tutti perché nel mio caso mi sono ambientato sin da subito. I tifosi sostengono davvero la squadra, e il club ha una sua storia affascinante. È stato tutto molto bello sin dal primo giorno». Il primo campionato in gialloblù l’ha terminato con 12.9 punti e 6.4 rimbalzi di media, cifre che in questa stagione sta quasi migliorando con 15.4 punti, 5.6 rimbalzi e le migliori percentuali al tiro di sempre (64% dal campo ed il 53% dall’arco) dopo le prime otto partite giocate.

Pinkins sta sfruttando il gioco di Scafati per mettersi in mostra, e Scafati sta beneficiando della versatilità di Pinkins per raggiungere i suoi obiettivi. «I miei compagni di squadra sono ragazzi fantastici, sia dentro che fuori dal campo. Siamo un gruppo che ha tanta fame di migliorare, e ognuno cerca di essere la sua migliore versione per il bene della squadra. Tutti parliamo tra di noi, ed è bello vivere l’atmosfera che c’è nello spogliatoio. Coach Sacripanti è una brava persona, ovviamente un allenatore esperto, che crede davvero nei suoi giocatori. È difficile trovare questa qualità nella maggior parte dei tecnici, perché spesso alcuni lo dicono ma non lo pensano sul serio. Poter continuare ad essere allenato da lui è stata la ragione per cui volevo ritornare a Scafati».

Proprio al coach abbiamo chiesto se potesse paragonare il nativo di Marianna con uno dei tanti giocatori che ha avuto l’opportunità di allenare nella sua lunga carriera: «Non credo che lo possa paragonare a dei ‘quattro’ che ho già allenato in passato. Maarten Leunen ad esempio era un secondo playmaker in campo, mentre Shaun Stonerook era capace di rendersi utile facendo tante cose. Ecco, Pinkins sa fare tante cose sul parquet ma con una fisicità ed un atletismo diversi. Lui è un atleta che può ricoprire entrambi i ruoli di ala, anche se in quello di ‘quattro’ è più funzionale perché può giocare sia fronte che spalle a canestro. E da quando lo alleno credo sia anche migliorato sulle letture. La sua migliore qualità è comunque la presenza costante in partita. Sai che c’è sempre sia a livello fisico che tattico, e segue scrupolosamente le indicazioni che ci diamo».

«Abbiamo creduto sin dall’anno scorso in Pinkins - ha detto il direttore tecnico Enrico Longobardi -, ed è per questo che nel costruire la squadra si è deciso di puntare nuovamente su di lui». «È un’ala pura dalla grande bidimensionalità, capace di giocare sia esterno che interno - ha aggiunto il direttore sportivo Nicola Egidio -, ma credo che in particolare lui sia il nostro equilibratore». All’alba dei 31 anni, che Pinkins compirà il prossimo 25 gennaio, ha di sicuro ancora diverse stagioni avanti. Eppure uno sguardo di cosa sarà il suo futuro da grande già se lo sta immaginando. «Mi piacerebbe insegnare il basket ai bambini più piccoli - ha rivelato l’ala americana -, non solo gli aspetti fisici del gioco ma anche quelli mentali perché è qualcosa di cui avrei avuto bisogno io stesso crescendo e giocando a basket. Voglio dire, non avevo solo bisogno di qualcuno che mi dicesse di correre intorno ai coni oppure di segnare, ma qualcuno che mi insegnasse in che modo farlo. Oltre a trasmettermi tante altre cose per capire molto di più questo gioco». Per il momento, però, è concentrato solo sulla stagione di Scafati. «Rimaniamo con la nostra ambizione che è quella di una salvezza tranquilla».

Il profilo di Pinkins

La carriera di Pinkins è stata tutta un conquistarsi, spesso a suon di doppie-doppie. La miglior prestazione a livello collegiale l’ha visto segnare 26 punti e prendere 13 rimbalzi. All’esordio in Europa nella seconda divisione tedesca con Hanau ha raccolto sette nomination ed un premio di giocatore della settimana, dopo una prestazione da 17 punti e 14 rimbalzi, ed al termine del campionato è stato selezionato per il miglior quintetto. Nelle tre stagioni in serie A2, ha collezionato 34 doppie-doppie, con i massimi di 34 punti e 15 rimbalzi entrambi a Casale. In serie A sono quattro le doppie-doppie in due campionati, con 11 rimbalzi arpionati in tre occasioni.

L'addio obbligato al coach della salvezza: Sacripanti era la chiave di tutto

SCAFATI E L'AGGUATO DEL DESTINO: la Givova si è trovata tra capo e collo un fulmine a ciel sereno. Sacripanti ha dovuto lasciare per sottoporsi a un delicato intervento chirurgico che richiederà una lunga convalescenza. Toccanti le parole di Nello Longobardi e coach nel momento del commiato. Ora è arrivato l'esperto Matteo Boniciolli in cerca di rivincita. Fino al forfait del suo coach Scafato stava andando discretamente: «il campionato è molto equilibrato, lo si vede di domenica in domenica - ha esordito il ds Egidio -. Non si può sottovalutare nessun impegno. Il nostro obiettivo resta oggettivamente la salvezza, che dobbiamo raggiungere il prima possibile. Ma credo che possiamo toglierci qualche soddisfazione in più. Adesso è presto per fare ipotesi, diciamo che possiamo farci un’idea più chiara su dove possiamo arrivare solo al termine del girone d’andata». «Abbiamo costruito il roster conservando una base - ha aggiunto il dt Longobardi -, per questo abbiamo confermato Pinkins, Logan, De Laurentiis e Rossato. Su Rossato credo che ci siano pochi giocatori in giro che possono vantare una così lunga permanenza in uno stesso club. Logan lo abbiamo davvero aspettato. Dopo la parentesi a Cantù ci aveva fatto sapere che voleva smettere. Insistendo per capire se magari fosse dovuto alla stanchezza, con il suo procuratore ci siamo presi qualche settimana durante le quali non abbiamo cercato nessun’altro, e la cosa si è conclusa bene».

Alessandro Gentile e Strelnieks hanno rappresentato due innesti di alto spessore. «Con Gentile ci siamo trovati sin da subito in sintonia - ha commentato il ds -, non a caso ci abbiamo messo poco a concludere l’accordo. Era in cerca di una piazza che potesse rilanciarlo ad un certo livello, e noi abbiamo visto in lui una grande opportunità per aggiungere un giocatore dal grande pedigree. L’aggiunta di Strelnieks, invece, è stata fatta per potenziare il roster. Valutata la sua condizione fisica, la trattativa per ingaggiarlo è stata molto rapida. È il pezzo che ci mancava, e lo si è visto sin dalle prime partite che è un facilitatore, un giocatore capace sia di realizzare nei momenti difficili che di passare». Ma la chiave di volta era Pino Sacripanti come ci aveva dichiarato il dt gialloblù prospettando per lui un lungo futuro a Scafati. Poi, il destino maledetto. Ora tocca al coach triestino.