Come riformare il basket italiano
Prendendo spunto da una domanda posta da un utente Facebook nel gruppo de La Giornata Tipo, ho pensato di scrivere questo articolo cercando di analizzare le varie idee espresse da altri utenti affinché si possa risanare la nostra tanto amata pallacanestro. Una mission complicata, per qualcuno a dir poco impossibile, eppure dalla passione di noi tanti appassionati può nascere qualcosa di davvero importante. Magari potremo essere insieme da spunto per la federazione. Chissà. Innanzitutto permettetemi di ringraziare Luigi, Flavio, Carlo, Raffaello, Paolo, Martino, Andrea, Nicola, Luca, Fabio, Michele e tutti gli altri che hanno lasciato un semplice commento alla discussione. Ripeto, è dalla fusione dei loro pensieri che nasce questo articolo che vuol cercare di fare solo bene a tutto il movimento della palla a spicchi italiano. Per riformare il nostro basket bisogna inevitabilmente iniziare dal minibasket, passare per le giovanili così da arrivare al livello senior. Tre macro-aree sulle quali in diverso modo bisogna intervenire.
LA BASE DELLA PIRAMIDE. Alla base della pallacanestro c'è ovviamente il minibasket. Un suo ampliamento vorrebbe significare l'allargamento della base. E se è vero che il professionismo rappresenta la punta della piramide, quanto più la base si allarga tanto più la piramide si alza. Di conseguenza il livello della Nazionale maggiore dovrebbe aumentare. A parole è tutto bello e così facile da realizzare, nei fatti ci sono mille difficoltà ad iniziare dalle scuole. Si necessita di un vero e proprio investimento economico nel minibasket da parte della stessa federazione, ma con il pieno coinvolgimento delle scuole che devono rappresentare il bacino principale dal quale abbeverarsi. Un'idea avanzata e parecchio apprezzata è quella di spostare tutta l'attività di educazione fisica al pomeriggio e organizzare tali ore per tipologie di sport e non per classe. Così si garantirebbe ad ogni singolo bambino di praticare lo sport che preferisce.
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DA AZZURRA LANCIANO |
Una tale riorganizzazione non va pensata solo in ottica pallacanestro, ma di salute. Bene che negli ultimi 15 anni la fascia d'età tra i 6 e i 10 anni abbia guadagnato circa il 5% di praticanti, male invece che a partire dagli 11 anni si registri il fenomeno del drop out, con più di un ragazzo su due che abbandona qualsivoglia attività fisica, arrivando ai 18 anni con poco più di un ragazzo su tre che svolge attività sportiva continuativa. Ecco, in questa ottica la federazione dovrebbe avere la lungimiranza di inserirsi in questo scenario e offrire una possibile soluzione del problema con iniziative, eventi, manifestazioni che facciano guadagnare tesserati e appassionati. Sarebbe bello poter creare un percorso sportivo-scolastico in stile Stati Uniti, con le scuole protagoniste dello sviluppo fisico ed educativo dei ragazzi. Ma purtroppo sia per nostra cultura, sia per evidenti difficoltà economiche da parte degli istituti scolastici, tutto ciò è soltanto una chimera. Si può però provvedere ad un cambiamento che parta da impianti e strutture. Vedere le palestre scolastiche aperte e gratuite a chiunque voglia fare due tiri a canestro, oppure una maggiore proliferazione di campetti all'aperto nei parchi pubblici può senz'altro invogliare più bambini, ragazzi, persone ad avvicinarsi al nostro sport. La federazione deve senz'altro fare la sua parte, con investimenti, convenzioni, agevolazioni da stipulare anche con i ministeri interessati. Impensabile? Magari sì, ma perché non provarci!
I COSTI DA ABBATTERE. Veniamo adesso alla parte più consistente dell'attività delle società, ovvero quella legata ai campionati da disputare e dunque ai costi da sostenere. È innegabile che la federazione deve cercare di non immaginare i club come delle vacche da mungere, ma piuttosto degli utenti ai quali offrire servizi. Ergo, vista anche la particolare situazione economica che vive il paese, sarebbe un gesto di buonsenso abbassare tutti i costi legati a iscrizioni, tesseramenti, tasse gara e via discorrendo.
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DA BASKET INCONTRO |
Questo permetterebbe ai dirigenti di concentrarsi solo sull'attività cestistica piuttosto che rincorrere sponsor per trovare le risorse necessarie a sopravvivere (che è comunque una cosa da fare ma non dedicandoci l'intera giornata). Questa è una cosa che si può realizzare, perché non ci sono attori esterni ai quali dare retta o convincere. Ci vuole solo buona volontà nell'attuarlo. Una costola della voce spese è il vincolo dei giocatori, disciplina che a gran voce si richiede di regolamentare meglio. Forse non nella forma ma nella sostanza. Il parametro Nas andrebbe abolito per i tesseramenti nei campionati regionali proprio per cercare di venire incontro alle società che fanno salti mortali per restare in vita. Vedersi eliminati costi di tesseramento permetterebbe di costruire roster all'altezza della categoria, e come detto in precedenza permetterebbe comunque di avere una base quanto più ampia possibile nella terra di mezzo del semiprofessionismo. Quanti ragazzi nel salto dal giovanile al senior si perdono? Purtroppo tanti! Bisogna invece che il movimento abbia quella continuità nei propri numeri. Forse non è un caso che la pallacanestro secondo i dati Coni del 2016 sia scesa al quarto posto delle discipline con il maggior numero di praticanti, superata dal tennis e sempre dietro a calcio e pallavolo. Importanti sono anche le collaborazioni tra club, che nelle ultime stagioni si stanno intensificando e stanno portando anche a risultati interessanti. Mettere in comune risorse, atleti, energie per creare una fitta rete di partnership è la miglior strada da intraprendere. Ed anche in questo caso bisogna superare quel malcostume tutto italiano nel voler coltivare il proprio orticello in maniera maniacale.
UN MODELLO DA SEGUIRE. Con la diminuzione delle spese le società possono concentrarsi esclusivamente sul lavoro in palestra, tornando ad investire nel settore giovanile e facendo attenzione a toccare degli ulteriori tasti come preparazione, educazione, competitività. Il fulcro di tutto ciò sono i coach, coloro i quali devono rappresentare il giusto mix tra preparazione tecnico-tattica, rapporto umano e risultati sportivi. Non è facile trovare tutto questo in una sola persona, e il lavoro e l'esperienza possono fare la differenza. Una cosa che bisogna provare ad inculcare ai ragazzi sin da giovanissimi è l'intensità del gioco, come espresso anche da coach Maurizio Mondoni. Se guardiamo dall'altra parte dell'oceano, gli americani con le proprie selezioni giovanili si differenziano proprio perché giocano con due o tre marce in più rispetto a chiunque altro. Spesso invece capita di vedere in Italia delle partite giovanili dove si gioca con ritmi da campionati amatoriali. Nulla di più sbagliato. Guai poi a mettere i risultati avanti a tutto. Se un ragazzo non è portato o non ha le potenzialità per diventare un fenomeno - anche se per l'età non si possono fare tali valutazioni a cuor leggero - non deve essere escluso ma piuttosto incluso, perché potrà diventare l'arbitro o l'allenatore del futuro, restando fedele al basket e diventando una risorsa per il movimento. Questo non significa che non bisogna spingersi oltre i propri limiti, per questo il coach deve avere quel tatto per capire con chi può forzare la mano e con chi invece deve andarci più leggero. La costituzione di seconde squadre può essere la soluzione, così come è importante un continuo colloquio con le famiglie affinché si faccia capire ai genitori quanto sia vitale il percorso che i ragazzi devono compiere. Vincere non sempre è la soluzione a tutti i problemi. Diversi mesi fa in un'intervista a coach Andrea Capobianco ho affrontato proprio il problema di quei ragazzi che dopo aver vinto tanto e subito da giovani, lasciano perché da senior non si accontentano solo di partecipare.
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DA PALLACANESTRO REGGIANA |
Quindi oltre a dargli gli strumenti per giocare a pallacanestro, bisogna anche dargli gli strumenti per saper affrontare la vita. Addentrandoci in una questione prettamente tecnico-tattica, bisogna tirare in ballo la pallavolo che è spesso indicata come la disciplina che ci ruba i ragazzi di due metri e passa, ma bisogna farsi un esame di coscienza. Quanti ragazzi più alti della media in tenera età vengono messi sotto canestro dagli allenatori senza che apprendano davvero appieno il gioco della pallacanestro e con l'unico obiettivo di vincere qualche partita in più? Purtroppo succede quasi in tutte le nostre palestre. E allora che c'entra la pallavolo? Per come è strutturato il gioco e per come ho potuto osservare in alcuni allenamenti di questa disciplina, i giocatori alti o bassi che siano ricoprono ogni posizione imparando a fare tutto in campo. E dunque ritorna l'importanza di avere coach preparati e pazienti, vogliosi di lavorare e che sappiano trasferire passione ai ragazzi. Ma che soprattutto gli diano quegli strumenti per saper fare di tutto in campo.
LA PUNTA DELL'ICEBERG. E veniamo al professionismo, dove la battaglia è accesa tra i protezionisti ed i meritocratici. Un italiano di livello medio-basso costa ad una società di serie A quanto uno straniero buono. L'opinione del direttore tecnico federale Boscia Tanjevic è chiara, limitare i posti agli stranieri per liberarne agli italiani che, giocoforza, devono essere impiegati dagli allenatori. Di conseguenza immaginiamo che questa sia la linea della federazione, ovvero quella del protezionismo. Ci sono poi i paladini della meritocrazia che non guardano alla nazionalità ma pensano solo al fatto che chi abbia le caratteristiche e le potenzialità per giocare, deve giocare. Come un po' in tutte le cose, alla fine la verità sembra trovarsi nel mezzo. Piuttosto che attaccarci alle regole dovremmo pensare al bene del movimento. Una domanda alla quale non c'è purtroppo risposta ma che tante volte mi pongo è: sarebbe cambiata la nostra mentalità se nel 2015 lo scudetto l'avesse vinto Reggio Emilia con quel folto gruppo italiano? Forse sì, forse no.
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DA GAZZETTA.IT |
Ma senza fare retorica è palese che per vedere più italiani giocare questi devono essere preparati ad affrontare uno scenario di alto livello. Come? Grazie alla preparazione che gli deve essere impartita dai tecnici durante le giovanili. Vien da sé che con giocatori italiani all'altezza ne beneficia anche la Nazionale. Delicato il discorso della visibilità, e sinceramente non voglio prendere le parti né di chi si accontenta della trasmissione su Sky né di chi vorrebbe un ritorno alla Rai. Una cosa però voglio senz'altro esprimerla, e ancora una volta bisogna utilizzare il paragone con la pallavolo. Tale sport ha un alto seguito quando trasmessa in televisione anche e soprattutto perché fa risultato. Si è certi che trasmettere le partite della Nazionale di basket in chiaro, che non si qualifica per le Olimpiadi da ben tre edizioni, e che non raccoglie una medaglia europea o mondiale da quindici anni, avrebbe solo una parte dello stesso seguito? Forse no, forse sì! Certo è che iniziare a tornare a vincere con la Nazionale maggiore può essere da traino per il movimento, e attrarre nuovi praticanti e soprattutto sponsor. Sembra chiaro, dunque, che per riformare la pallacanestro italiana bisogna dar vita ad un vero e proprio circolo virtuoso che può essere esemplificato secondo queste poche ma necessarie attività, nelle quali la federazione deve svolgere un ruolo da protagonista: a) investire nel minibasket per allargare il numero di praticanti; b) abbassare i costi per far svolgere al meglio l'attività giovanile e semiprofessionistica; c) accrescere il livello professionistico con ricadute sulla Nazionale. Step che devono seguire una loro consequenzialità, ma che ognuno nella propria macro-area diventa decisivo per il futuro dell'intero movimento.