sabato 23 novembre 2019

Basket serie A2. Su la testa: Caserta e Napoli

Protagonista in serie A in tante delle stagioni precedenti, la regione riparte con due squadre che, nel torneo cadetto, si affiancano a Scafati

Napoli e Caserta piazze storiche, torna la Campania

Dopo il fallimento di Avellino, che riparte dalla serie B, le due squadre, dopo 'promozioni' diverse, si riaffacciano guidate da Pino Sacripanti e da un'icona come Nando Gentile


di Giovanni Bocciero*



UNA NUOVA STAGIONE si sta aprendo per la Campania dei canestri, sotto ogni punto di vista. Sicuramente ha colpito l’esclusione dalla massima serie della Scandone Avellino, che proprio all’ultimo giorno si è potuta presentare all’avvìo della serie B superando il blocco del mercato causato dal lodo esecutivo per le commissioni di Norris Cole ed altre azioni legali. Ma, mentre in Irpinia hanno di che soffrire dopo le ultime ambiziose annate - e augurandosi tempi migliori -, ritornano sul palcoscenico dell’A2 sia Napoli che Caserta. Percorsi differenti e soprattutto “promozioni” diverse, ma quel che conta è che la Campania dei canestri può ritornare a fare affidamento su due piazze storiche, che affiancheranno nel secondo campionato nazionale l’ormai consolidata Scafati.

UNA NAPOLI NUOVA DI ZECCA. La formazione del capoluogo di regione ritrova la serie A2 ad appena un anno di distanza dalla retrocessione in serie B, e soprattutto ritrova come impianto di gioco il PalaBarbuto. Dopo essere stata costretta ad esiliare al palasport di Casalnuovo, la GeVi Napoli Basket è tornata a giocare in città ma ha avuto un inizio di campionato più che tribolato. A pagarne immediatamente le spese è stato il coach, Gianluca Lulli, reo di non essere stato capace di compattare la squadra nelle prime due gare con relative sconfitte. Per il nuovo corso il presidente Federico Grassi non ha badato a spese, e così dopo aver acquistato il titolo sportivo di Legnano ha sottolineato l’ambizione della società facendo firmare un contratto triennale al tecnico Pino Sacripanti, di ritorno in Campania per la terza volta dopo le esperienze a Caserta prima (2009/13) e ad Avellino poi (2015/18).
Terrence Roderick, il 'Maradona' del basket napoletano in azione
Ambizione del presidente rimarcata con la costruzione della squadra, in cui tassello dopo tassello ha sempre più impreziosito il mosaico azzurro. Il quintetto è di prim’ordine, con il miglior straniero che l’A2 abbia mai visto in Terrence Roderick; il playmaker Diego Monaldi prelevato dalla serie A; due solide ali come Daniele Sandri e Stefano Spizzichini; e il centro statunitense Brandon Sherrod anche lui rodato in questo campionato ma subito messo in discussione dal neo coach che come primo rinforzo ha proprio chiesto un lungo. Ad impreziosire la panchina invece, c’è l’esterno Massimo Chessa.
La squadra assemblata è assolutamente da playoff, se non di più, e quest’anno avrà anche un palazzetto all’altezza. Grazie all’Universiade disputata a Napoli nel mese di luglio scorso, il PalaBarbuto è stato messo a nuovo. Dagli spalti al parquet passando per gli spogliatoi, la struttura che sorge difronte allo storico PalaArgento vivrà una seconda vita, offrendo ben altri servizi al pubblico. Nonostante ciò non mancano alcune carenze, come ad esempio i tabelloni elettronici noleggiati per la kermesse internazionale invece di essere acquistati, e dei quali sembra essersene fatto carico la stessa società. Certamente con queste premesse non dovrebbe essere complicato raggiungere il tutto esaurito ad ogni gara, visto che soltanto tre anni fa (la stagione della promozione sul campo in A2, ndr) l’impianto di viale Giochi del Mediterraneo era strapieno. A dimostrazione che il popolo napoletano è sì innamorato del “pallone” ma è anche affezionato alla palla a spicchi. Il tutto però è direttamente proporzionato ai risultati e all’atteggiamento dei giocatori, come già è stato dimostrato con l’esonero di Lulli.
Passando a faccende che riguardano esclusivamente il campo, invece, il veterano e capitano Francesco Guarino ha espresso la voglia di regalare la vittoria di un campionato alla città di Napoli, così come Roderick ha forse l’ambizione di consacrarsi definitivamente al basket che conta, dopo che proprio in terra campana (ad Agropoli nella stagione 2015/16, ndr) ha iniziato a far brillare la propria stella.
Inoltre, cosa da non sottovalutare, già dalla passata stagione il club azzurro si sta ramificando sul territorio per avviare un intrigante progetto che riguardi il settore giovanile. Alla base vi sono partnership con diverse altre società e soprattutto si è dato il via anche ad un reclutamento che guarda fuori regione. Un ottimo progetto che avvalora ancor di più la bontà del nuovo percorso cestistico avviato l’anno scorso a Napoli dal presidente Grassi. Sperando che l’intero ambiente non rimanga nuovamente scottato dalle alte ambizioni.

CASERTA TORNA A SORRIDERE. All’ombra della Reggia di Caserta è stata vissuta un’estate sui generis, ma per una volta c’è stato il lieto fine soprattutto dopo la grande delusione della passata stagione agonistica. La JuveCaserta dopo aver dominato la regular season ed esser stata poi estromessa amaramente dai playoff di serie B, ha provveduto ad un vero e proprio restyling della squadra. Via coach Massimiliano Oldoini, indicato anche ingiustamente come capro espiatorio del fallimento, si è dato il benvenuto ad una bandiera della squadra che vinse lo scudetto del 1991 come Nando Gentile. Il campionissimo di Tuoro (piuttosto attivo nelle ultime due stagioni affiancando progetti di società minori della città, ndr) ha accettato la missione di riportare il club bianconero lì dove merita, ma la tifoseria che subito si era stretta intorno al nuovo condottiero considerato più di un semplice allenatore a Pezza delle Noci non ha fatto mancare diverse critiche dopo l’inizio negativo. Dimenticando che Caserta era stata costruita per la serie B ed è stata costretta a modificare il roster in corsa, epurando quei giocatori che dall’oggi al domani non facevano più al caso del progetto tecnico.
Nando Gentile è tornato a casa come allenatore
Nonostante il destino abbia cambiato le carte in tavola, con l’Amatori Pescara che ha alzato bandiera bianca difronte al controllo della Com.Te.C. così da aprire le porte del ripescaggio in A2 alla JuveCaserta, la dirigenza ed in particolare l’amministratore delegato Antonello Nevola non si sono fatti trovare impreparati. La strategia di mercato, come detto, è inevitabilmente cambiata, eppure la dirigenza è stata capace di ingaggiare quattro giocatori di altissimo spessore per il secondo campionato nazionale come il play Marco Giuri fresco campione d’Italia con la Reyer Venezia e già beniamino del tifo casertano dopo le sue due stagioni a Caserta (2015/17); gli americani Isaiah Swann e Michael Carlson; e infine la ciliegina sulla torta rappresentata da quel Marco Cusin a lungo inseguito e alla fine convinto a scendere in A2 dopo dieci stagioni consecutive in massima serie. Sembrava tutto apparecchiato per la stagione del ritorno, con l’obiettivo adesso spostato verso una salvezza tranquilla magari togliendosi qualche piccola soddisfazione. Ma a Caserta tendenzialmente non si può mai stare tranquilli.
Due gli incidenti di percorso che stanno influenzando l’inizio di campionato della squadra di coach Gentile. Ai principi di agosto lo sponsor principale Decò ha fatto sapere che non avrebbe proseguito la partnership iniziata appena dodici mesi prima, e così la dirigenza con a capo il presidente onorario Gianfranco Maggiò si è subito attivata per reperire le risorse necessarie a sostenere la stagione. Mentre scriviamo, purtroppo, non ci sono novità positive in tal senso e sembra che la stessa amministrazione comunale ha affiancato il club per dare vita ad una rete di imprenditori che possano sostenere e supportare l’attività della JuveCaserta. Aspettiamo come evolverà la situazione sperando che alla fine qualcosa si stringa e non restino soltanto le parole. La seconda riguarda gli infortuni occorsi a Swann e Carlson. Notizie che hanno gettato un po’ nello sconforto la tifoseria, che aveva approvato all’unanimità l’ingaggio soprattutto del primo, ma che non hanno placato le critiche per le prime sconfitte in campionato. Nevola ha scandagliato il mercato in cerca del miglior sostituto possibile di Swann, ed ha messo sotto contratto un fuoriclasse come Seth Allen. Esterno più play che guardia che nonostante fosse ancora in fase di ambientamento ha già dimostrato di possedere abilità incredibili. E dopo aver giocato in Ungheria e Lituania, sembra pronto ad affermarsi nel nostro paese.
In tutto ciò è fondamentale una cosa, che il pubblico torni ad assieparsi sulle tribune del PalaMaggiò. Purtroppo è lecito dire che il tifo bianconero ha saltato il ricambio generazionale, perché sugli spalti sono pochi i padri insieme ai figli, e sono tanti o forse troppi i tifosi appartenenti alla fascia d’età mediamente molto alta. E che per di più sono pronti a giudicare al primo passo falso. Parte di essi devono però capire che la JuveCaserta è comunque una neopromossa, e che quest’anno deve avere un solo obiettivo: salvarsi il prima possibile.

LA “SOLITA” SCAFATI. A completare il tris di squadre campane in A2 c’è la onnipresente Scafati del patron Nello Longobardi, sanguigno come non mai. Il presidente scafatese non ha voluto ascoltare le sirene avellinesi per un possibile trasferimento del titolo, così come non ha voluto lasciare il club per un possibile ingresso in società alla Virtus Roma. Troppo innamorato del suo Scafati Basket che sta disputando il sesto campionato consecutivo di serie A2.
JJ Frazier a colloquio con Ion Lupusor
La formazione gialloblu è ripartita da uno zoccolo duro di giocatori come Claudio Tommasini, Marco Contento e Niccolò Ammannato. Sono ritornati Nicholas Crow e Ion Lupusor, e sono stati ingaggiati JJ Frazier che sarà il play con punti nelle mani, e Raphiael Putney ala di ritorno in Campania dopo l’esperienza a Caserta nel 2016/17. Come ogni anno Scafati appare solida e ben assemblata, ed ha tutte le potenzialità per poter disputare un campionato al di sopra della media. Non a caso ha preso parte alla Final Four di Supercoppa. Ma il patron Longobardi dopo le due sconfitte esterne arrivate all’esordio a Bergamo (del tutto rocambolesca con tiro da oltre la metà campo, ndr) e a Trapani, ha prima richiamato l’attenzione sospendendo gli stipendi e poi ha sollevato dall’incarico il tecnico Giulio Griccioli. Una scossa che servirà a scuotere l’intero ambiente soprattutto con il ritorno in panchina di coach Giovanni Perdichizzi, alla terza esperienza a Scafati dal 2015.



* per la rivista BASKET MAGAZINE. Articolo chiuso il 25 ottobre 2019

martedì 23 luglio 2019

Pescante: "Lo sport deve tornare a scuola". E sull'attuale riforma...

Ottantuno anni appena compiuti, di cui sessantacinque circa nello sport e venticinque da membro del Cio. Mario Pescante è un pilastro dello sport italiano: da atleta amatoriale a dirigente sportivo, docente universitario di diritto dello sport, presidente del Coni dal 1993 al 1998, Sottosegretario con delega allo sport dal 2001 al 2006, e vicepresidente vicario del Cio (primo italiano a ricoprire tale ruolo) dal 2009 al 2012. Ha fatto tanto per lo sport italiano e, nell'immaginario collettino, ne è un po' l'emblema.

"Ho solo un rimprovero da farmi - ha dichiarato in una recente intervista televisiva -, una grande delusione. Ho svolto ruoli di vertice nel Coni ed anche nella politica, ma un sogno non si è realizzato e non si tratta di Olimpiade bensì dello sport nella scuola. Io sono stato un modesto atleta che praticava il mezzo fondo nei campionati studenteschi.
Questi ora sono scomparsi, sono diventati un'altra cosa, mentre allora erano la leva dell'atletica leggera. Non ero tesserato per nessuna federazione ma competevo e nell'anno in cui ho vinto i mille metri, gli ottanta metri li ha vinti un certo Livio Berruti. Io non ero di quel livello e lo percepivo, per questo ho smesso e ho fatto il dirigente sportivo. Mentre Berruti è andato avanti e tre anni dopo ha vinto l'Olimpiade a Roma. Questo era lo sport nella scuola, e io purtroppo non ci sono riuscito. Ho però chiari i motivi del perché non siamo riusciti a smuovere questa situazione. Da qui la necessità di un organismo statale, di un ministero che potesse coordinare vari ministeri come salute e scuola per ricreare quello che non può fare il Coni - ha analizzato l'ex presidente del Coni -, che fa un'azione di supplenza difronte ad autorità ministeriali. Ecco perché dico che l'attuale riforma dello sport è la riforma del Coni, che è una cosa completamente diversa. Sono tranquillo perché siamo in mano a Giancarlo Giorgetti che conosco molto bene, è un grande sportivo, ma non mi sono trovato d'accordo con il metodo operato dato che si è giunti ad una legge che insieme alla Finanziaria nessuno aveva letto, anche per ragioni di tempi che non c'erano. Chiaramente si poteva far meglio, ma non si tratta della riforma dello sport - ha concluso Pescante - ma solo del Coni".

sabato 13 luglio 2019

Per Golden State si apre un nuovo ciclo

Articolo chiuso il 17 giugno 2019


La più 'odiata' tra le franchigie Nba ha concluso i playoff con Durant all'ospedale

Per Golden State si apre un nuovo ciclo

Ai box fino a febbraio Thompson, questa sarà l'estate della ricostruzione intorno a Curry





di Giovanni Bocciero*



TUTTO CIÒ CHE ha un inizio, ha una fine. Non è forse questa la miglior definizione, in senso lato, che si può dare anche ad una dinastia sportiva? Il lungo viaggio di una squadra, che miete record e successi la consegna di diritto alla storia, all’immaginario collettivo di coloro che hanno avuto la fortuna di vivere quei momenti. Da questa definizione non sono esclusi neppure i Golden State Warriors di Steve Kerr, di Steph Curry e Klay Thompson, di Kevin Durant e Draymond Green.
Quest’ultima stagione è stata certamente la più complicata da gestire per coach Kerr, e forse la stessa sconfitta alle Finals non è stata tra le principali preoccupazioni. Le crepe nello spogliatoio intraviste con il famigerato battibecco tra Durant e Green, solo in parte risanate; i numerosi infortuni durante l’anno che li hanno addirittura costretti a giocare senza neppure uno dei loro quattro all-star, con uno staff medico che per una volta non si è dimostrato all’altezza; la pressione dovuta dall’essere bicampioni e dagli haters, tanto che un sondaggio all’inizio delle Finals vedeva 48 Stati d’America su 50 tifare per gli avversari canadesi. Insomma, sarà stato quasi un sollievo mettere una pietra su questa annata.
La decisiva gara 6 delle Finals passerà alla storia non solo per il primo titolo vinto dai Toronto Raptors. Con quella partita si è chiusa la Oracle Arena (i Warriors si trasferiranno ufficialmente dalla prossima stagione al Chase Center di San Francisco, ndr) e si è conclusa, di fatto, anche la dinastia dei Golden State come li abbiamo conosciuti sino a qui. Sì, perché quest’estate qualcosa dovrà per forza cambiare. Soprattutto riguardo all’equilibrio della squadra, che è giunto ad un punto in cui è assolutamente fuori asse.

LA FINE DI UN CICLO… L’antico filosofo greco Eraclito pensava che “su di un cerchio ogni punto d'inizio può anche essere un punto di fine”. E come dargli torto. Se noi prendessimo carta e penna, e disegnassimo un cerchio, sapremmo quando o dove ha inizio, e allo stesso tempo ci accorgeremmo quando questo sta per concludersi arrivando in quel punto dove è inizio e fine contemporaneamente. Ecco. Chi meglio allora dell’ambiente Warriors sa perfettamente quando quella linea curva sta per unirsi, irrimediabilmente, decretando la fine della loro dinastia? Dal di fuori sembra proprio che quel punto di unione tra inizio e fine del cerchio sia ormai prossimo. Prossimo per tutta una serie di fattori dovuti sia al sistema salariale della Nba che alle motivazioni che animano gli stessi atleti. Questo però non significa che la fine debba coincidere con il “non vincere più”. Molto probabilmente ci sarà bisogno di un restyling del parco giocatori. Di sicuro l’estate sarà molto movimentata e tante saranno le scelte che bisognerà prendere. Con un unico grande obiettivo: tenere ben presente il futuro.
Chiunque potrebbe comunque alzare la mano ed obiettare: “ma cosa diavolo dite! Se non fosse stato per gli infortuni…”. Ma questi fanno parte del gioco, e forse nessuno più dei Warriors sanno quanto si possano rivelare un alleato decisivo. Per questo analizziamo perché siamo di fronte alla fine di un ciclo.
Panchina da ringiovanire e rinforzare allungando
una 'coperta' mai così corta
Se c’è una cosa che le ultime Finals hanno fatto emergere prepotentemente, è che nel roster di Golden State si è venuto a creare uno squilibrio tra starters e panchina dovuto soprattutto all’anagrafe. Giocatori come Andre Iguodala (tradato ai Memphis Grizzlies, ndr) o Shaun Livingston, sempre determinanti nei momenti cruciali che hanno visto vincere i tre titoli passati, hanno faticato e non poco a reggere i forsennati ritmi della competizione. Questo è un segnale chiaro che la coperta andrà per forza di cose, e in qualche maniera, allungata. Come si vocifera per Livingston potrebbe anche trattarsi della sua ultima stagione. E dunque per forza di cose andrà rimpiazzato con qualcuno che possa ereditarne l’importanza nelle rotazioni.
Altra questione tattica mai come quest’anno emersa in casa Warriors, è stata quella dell’assenza di un pivot che facesse la differenza in area. La franchigia della Baia ha sofferto nel pitturato non avendo un lungo che sapesse occuparla facendo densità. Non che nelle passate Finals coach Kerr avesse potuto contare su di un portento in questo aspetto, ma comunque giocatori come Andrew Bogut, JaVale McGee o Zaza Pachulia, sia per forza fisica che per atletismo difendevano piuttosto bene il ferro. Tutto un altro discorso se a dover svolgere questo ruolo è DeMarcus Cousins, votato soprattutto all’attacco e poco incline al sacrificio difensivo. Oltretutto la scelta di Cousins di firmare per i Warriors (a soli 5 milioni annui, ndr) è stata dettata sia dall’infortunio che ne ha precluso gran parte della stagione, che dalla grande possibilità di potersi mettere un anello al dito. Purtroppo per lui non si è realizzato. Ma la sua firma è paragonabile ad un one-and-done collegiale - come lo stesso Kerr ha ammesso -, ovvero in free-agency le strade del giocatore e della squadra si separeranno (ha firmato con i Los Angeles Lakers, ndr). E questo aprirà un bel buco in quella posizione, che in qualche modo andrà riempito e non certamente con i rinnovi di Kevon Looney (ha rinnovato, ndr) e Jordan Bell (ha firmato con Minnesota, ndr), o con Damian Jones. Detto ciò, è facile comprendere che tra gli esterni ed il reparto lunghi qualcosa andrà fatto in sede di mercato. Cosa? Questo sarà scandito soprattutto dal salary cap.

…E L’INIZIO DI UN NUOVO VIAGGIO. “Tutte le storie che amiamo hanno una fine, ma è proprio perché finiscono che ne può cominciare un’altra”. Questa citazione di fatto apre una nuova parentesi per Golden State, e al centro non può che esserci Curry. Quest’anno, e non solo per i tanti infortuni dei compagni, se i californiani fossero riusciti a ribaltare la situazione e a vincere il titolo avrebbe meritato il premio di Mvp. E finalmente avrebbe messo in bacheca quest’ultimo trofeo che gli manca. Un adagio recita che “nelle fini le cose si devono sempre, nel bene o nel male, mettere a posto”. Ed è forse stato così, nel senso che pur nella sconfitta Curry ha ricordato che questi sono i suoi Warriors. Con l’ascesa di Thompson e l’arrivo di Durant le luci della ribalta si sono divise sui tre principali protagonisti, e qualcosa avrebbe da recriminare anche Green. Ma se Golden State è arrivata lì dov’è, gran parte del merito è dovuta alla parabola crescente che ha avuto il due volte Mvp del campionato (2015 e 2016, ndr).
Problemi economici per Joe Lacob, proprietario dei Warriors:
Steph Curry guadagna quaranta milioni
E per il futuro sarà ancora lui una delle pietre miliari della franchigia. Lo dice il contratto da oltre 40 milioni di dollari che scadrà nell’estate del 2022. Ed è proprio la sostanza di questo contratto che creerà non pochi problemi di manovra alla dirigenza californiana, nonostante il proprietario Joe Lacob abbia dichiarato di voler pagare anche un’esosa luxury tax purché il roster mantenga tutte le proprie stelle. Nonostante i proclami la questione non è affatto semplice.
Durant, infatti, ha una player option da 31,5 milioni, comunque non abbastanza per quello che è il talento del nativo di Washington, ed ha scelto di diventare free agent (prima di accordarsi con una sign and trade con i Brooklyn Nets per D'Angelo Russell che ha fatto il percorso inverso, ndr). Sicuramente è alla ricerca di una sistemazione che gli offra un contratto almeno pari a quello di Curry, ma dopo l’infortunio non si è più così certi.
Altro nodo delicato è quello del rinnovo di Thompson (ha rinnovato con un contratto da 190 milioni per 5 anni, ndr), che richiede una soluzione già nel prossimo mese. La degna metà degli Splash Brothers, che si è rotto il legamento crociato del ginocchio e non rientrerà prima di febbraio, ha fatto intendere che si sente un Warrior e tale vuole rimanere. Ma vuole anche essere trattato da all-star e dunque punta al massimo salariale (con l’ultimo contratto percepiva 19 milioni annui, ndr).
Due bei grattacapi, soprattutto il secondo, che richiedono delle risposte da parte di Golden State. Cosa succederà? Solo il tempo ce lo dirà. Di sicuro questo è l’inizio di una nuova avventura per Curry e chi gli farà compagnia. Lo sceneggiatore inizierà a scrivere il secondo capitolo del romanzo, e non è detto che questo non possa essere ulteriormente vincente come quello precedente. Cambieranno i protagonisti? Forse. Molto probabile. Aumenteranno gli avversari? Senz’altro. Tra cui i Los Angeles Lakers che neppure a sorpresa hanno messo le mani su Anthony Davis.


TOP NUMBERS - Tutti i record di Curry e Durant avvicina Parker
Quest’anno non è stata una stagione da record per i Golden State Warriors. Nonostante ciò il mostro a tre teste della Baia si è comunque ritagliato il proprio spazio nelle migliori performance individuali. Klay Thompson ha realizzato 52 punti sul parquet dei Chicago Bulls, mentre Steph Curry e Kevin Durant si sono fermati a 51 rispettivamente contro i Washington Wizards e i Toronto Raptors (partita persa all’overtime in regular season). Curry ha inoltre contribuito al nuovo record stagionale della Nba di 27.955 triple segnate con 354 canestri (43.7%). In testa James Harden con 378 ma solo il 36.8%. Inoltre, Curry è diventato il primo nella storia a superare le 400 triple ai playoff e le 100 triple alle Finals. Durant invece è entrato nella top-ten degli scorer all-time ai playoff con 4.022 punti realizzati, ad appena 23 da Tony Parker che occupa la nona posizione.



* per la rivista BASKET MAGAZINE

lunedì 17 giugno 2019

Convegno "Riforma dello Sport. Quali vantaggi per il territorio?"




Dalla nascita del Coni alla riforma


Fine dello Sport elitario. Verso una nuova concezione


Lo Sport si avvicina alle persone, ma il Coni si oppone al cambiamento


Logica della vittoria o etica dello sport


Mondo dello Sport fra disagio previdenziale e ambiguità fiscale


Sindaco De Filippo in difesa Sport ed enti locali


Saluti del Sindaco De Filippo e Dora Olivieri di Ass Maddaloni Donna


04/04/19 Convegno "Riforma dello Sport. Quali vantaggi per il territorio?"

mercoledì 22 maggio 2019

L'Italia sportiva vuole il suo museo, che oggi è una sfida possibile

Il Senatore Claudio Barbaro, nell'editoriale scritto per la rivista Primato edito dall'associazione Asi Nazionale che lui stesso presiede, ha accesso i riflettori sulla necessità di avere un Museo Nazionale dello Sport. Questa volontà nasce da due dati molto importanti: i milioni di turisti che affollano ogni anno i musei italiani; i tanti sportivi e la loro grande partecipazione agli eventi. Diamo qualche numero, così come fatto egregiamente da Barbaro. Nel 2018 si sono contati 63 milioni di turisti venuti da ogni parte del mondo per ammirare quasi 5 mila musei presenti su tutto il nostro territorio. I dati pubblicati dal Ministero della Cultura nel 2017 dicono che sono stati oltre 50 milioni i loro visitatori, raddoppiando quasi la cifra rispetto a dieci anni fa.


Per celebrare degnamente chi ha contribuito a rendere l’Italia
grande nel mondo e per costruire cultura sportiva, Asi presenta una
petizione e lavora ad un progetto di crowdfunding per la realizzazione
di un museo dello sport. L’iniziativa gode del supporto di un Governo

che allo sport ha dimostrato di guardare con altri occhi.
Dall'altro lato lo sport in Italia è un vero e proprio mercato. Recentemente il presidente del Coni Giovanni Malagò ha sottolineato che proprio lo sport è l'unico comparto del Pil che cresce costantemente. Negli ultimi dodici mesi ha toccato un +3,5. Questo perché intorno agli eventi sportivi c'è una grande partecipazione. Sia fisica, cioè in loco, che virtuale, attraverso la televisione o con le nuove forme di fruizione tramite i più svariati devices. Da questa analisi nasce l'idea di rilanciare il progetto di un Museo Nazionale dello Sport. Un luogo che raccolga cimeli capaci di raccontare la grandezza della storia sportiva italiana scritta dalle gesta di indimenticabili atleti.

La prima proposta di un Museo Nazionale dello Sport fu avanzata da Mario Pescante all’inizio degli anni 2000, quando era Sottosegretario ai Beni Culturali con delega allo Sport. Lui voleva recuperare la Casa delle Armi del Foro Italico - negli anni '80 adibita addirittura ad aula bunker per i processi di casa nostra - per crearvi un luogo rappresentativo del mondo sportivo che potesse aiutare a diffondere una vera cultura sportiva

C’è un progetto fermo dalla fine del 2001 di cui si fece promotore
l’allora Sottosegretario ed ex presidente del Coni Pescante 
che sarebbe
dovuto sorgere all’interno del parco del Foro Italico. Studi e disegni
da troppo tempo giacciono in un cassetto. Fonte foto: Primato

La realizzazione di questo 'sogno' non è comunque semplice. Ci sono difficoltà legate principalmente agli investimenti - e quando mai - necessari per creare una struttura che sia un luogo dove poter richiamare i visitatori e fargli vivere un’esperienza divertente e coinvolgente di storia e di sport. Ma le potenzialità ci sono tutte. C’è il prodotto - una grandissima tradizione e storia sportiva - c’è il mercato (i 5000 musei italiani nel 2016 hanno raccolto oltre 110 milioni di persone) e potrebbe facilmente trovarsi la posizione. Insomma, dal punto di vista del marketing, l'idea è ottima.

Come proposto e dichiarato da Pescante a suo tempo, una nuova destinazione per l’Accademia di Scherma del Foro Italico è la scelta più logica e ideale, perché riqualificherebbe tutta l’area già destinata allo sport e in questo modo potremmo utilizzare il Foro Italico a trecentosessanta gradi e farne un polo di attrazione unico”. Magari si potrebbe cercare anche di creare la giusta atmosfera emozionale, sfruttando gli spazi sotterranei ampiamente presenti per ricavarne un anfiteatro - come si evince dal progetto - che rappresenterebbe un ingresso monumentale del museo.

sabato 4 maggio 2019

Il paisà DiVincenzo e tutti gli Italians negli States

Chi è Donte, l'italiano che ha conquistato due titoli Ncaa con Villanova

DiVincenzo, l'azzurro nel cuore

Scelto da Milwaukee, ha potuto giocare nella Nba solo 27 partite, bloccato da un infortunio. In arrivo la naturalizzazione


di Giovanni Bocciero*



COSA HANNO in comune Gregor Fucka, Marcelo Damiao, Nikola Radulovic, Mike Sylvester, German Scarone, Dante Calabria, Dan Gay, Mason Rocca, Mark Campanaro, Christian Burns e Jeff Brooks? Che hanno indossato la casacca azzurra della nazionale di pallacanestro da naturalizzati. Ed è quello che potrebbe accadere anche a Donte DiVincenzo, guardia dei Milwaukee Bucks in procinto di ottenere il passaporto italiano e magari difendere i colori dell’Italia già al prossimo mondiale in Cina.

DA MICHAEL JORDAN A BIG RAGÙ. DiVincenzo è nato e cresciuto nel Delaware, di certo non uno stato conosciuto per la pallacanestro. Tre infatti sono i soli giocatori da lì provenienti che sono riusciti ad arrivare in Nba, tutti con meno di 200 presenze: Terence Stansbury, A.J. English visto anche in Italia a Trieste, Roma, Forlì e Pistoia, e Laron Profit passato per Montegranaro.
CRESCIUTO TRA CALCIO E BASKET, HA SCELTO LO SPORT DEI
CANESTRI MERITANDOSI IL NICKNAME DI 'JORDAN DEL DELAWARE'
Sin da piccolo Donte è un ragazzino che stenta a stare fermo, e così si divide tra il calcio e il basket. Qualche suo professore se lo ricorda, a sei anni, che seguiva il fratello maggiore in palestra mettendosi in disparte a palleggiare e tirare fino a quando il custode non arrivava per chiudere la struttura. In piena adolescenza lascia per sempre i campi in erba per dedicarsi corpo e mente alla pallacanestro. Ben presto si fa notare per le sue qualità tanto da conquistarsi il soprannome di ‘Michael Jordan del Delaware’. È il piccolo stato del Delaware, appunto, per questo pur se si distingue non arriva ad avere una grande fama a livello nazionale. Essendo un prospetto quattro-stelle viene avvicinato comunque da qualche università prestigiosa come Syracuse, Notre Dame e Villanova. Alla fine dopo un vero e proprio percorso spirituale con padre Christian Beretta, cappellano alla Salesianum High, ha scelto di frequentare Villanova perché più vicina a casa. L’ambientamento al college non è semplice, perché passa da una situazione in cui faceva praticamente quel che voleva, fuori e dentro il campo, ad una in cui è costretto ad entrare in punta di piedi.
Oltretutto nel suo primo anno, dopo otto gare, si fa male ad un piede e non contribuisce per nulla alla vittoria del titolo Ncaa del 2016. È un leone in gabbia, si lega particolarmente a padre Robert Hagen - cappellano della squadra - che lo aiuta a superare il difficile momento. Nel secondo anno è una furia e nella gara contro Virginia il giornalista Gus Johnson lo chiama Big Ragù. Il nickname è piuttosto semplice da capire date le sue origini italiane e la capigliatura color rosso malpelo. Nonostante ciò ha ancora tanto da imparare, coach Jay Wright lo reputa un gran talento offensivo ma molto meno difensivo, e per l’equilibrio della squadra è relegato a sesto uomo. Ruolo che gli sta stretto ma che accetta con grande dedizione. L’apice l’ha raggiunto nella finale Ncaa del 2018, quando è stato illuminato da una onnipotenza cestistica che gli ha permesso di guidare i Wildcats al successo e di essere nominato quale Most Outstanding Player della partita.

DA EROE ALLA NBA. Quella partita lo hanno reso un vero e proprio eroe, oltre ad avergli spalancato le porte della Nba. Ma DiVincenzo ha comunque vissuto altri momenti importanti lungo la sua giovane carriera che lo hanno forgiato. Ad esempio al liceo è stato protagonista di un palpitante finale thriller che lo ha visto andare in lunetta, a tempo scaduto, nella partita decisiva per la regular season. Purtroppo per lui sbagliò entrambi i tiri liberi e la sua squadra perse contro la Smyrna High. Smaltita l’amarezza però, ha poi trascinato la squadra al suo secondo titolo consecutivo.
La fama spesso accende le luci sul passato, ed è così che la vittoria del titolo Ncaa 2018 ha fatto scoprire un’altra personalità del ragazzo. Ma andiamo con ordine. DiVincenzo sembra essere stato sempre un po’ ribelle, un ragazzo scapestrato che da adolescente ne ha fatte di cotte e di crude. E così dopo essere salito alla ribalta nazionale, in tanti hanno cercato più notizie su di lui spulciando anche tra i social. E sul suo profilo Twitter sono spuntati dei post risalenti al 2011 e al 2012 nei quali faceva commenti razzisti ed omofobi. Questo ha macchiato la sua persona ma non ne ha precluso l’ascesa.
Tecnicamente è molto migliorato sotto la guida di coach Wright, diventando un buon tiratore da tre ed un ottimo passatore. Soprattutto ha imparato a difendere e a rimanere sempre concentrato nell’arco di un’intera partita. Le capacità atletiche non si discutono, con un’esplosività che gli permette di arrivare al ferro come e quando vuole. Tutte queste qualità gli hanno permesso di strappare una chiamata al draft, nel quale a sceglierlo sono stati i Milwaukee Bucks. E qui c’è da aprire una parentesi. Il papà di Donte, infatti, è tifoso proprio dei Bucks sin dai tempi di Lew Alcindor, meglio conosciuto come Kareem Abdul-Jabbar. Conserva con grande gelosia la maglia da gioco di Ricky Pierce, ex cestista passato anche nel Wisconsin tra le tante squadre Nba per cui ha giocato, e quando il figlio è andato a svolgere il work-out a Milwaukee gli ha chiesto di portargli un gadget della franchigia. Per inciso, anche il padre fu oggetto di un tweet poco carino quando Donte decise di abbandonare il calcio - lo sport evidentemente della famiglia, forse anche per le origini italiane - per la pallacanestro. Alla fine c’è finito a giocare nel Wisconsin, e questo ha reso molto felice ed orgogliosa l’intera famiglia. Nonostante tutto.
La carriera di DiVincenzo sembra comunque dover essere un distillato di pazienza, perseveranza e umiltà, perché in questa stagione da rookie ha prima sofferto per un infortunio al tallone d’Achille e a fine marzo è stato fermato da una borsite bilaterale del calcagno che gli ha fatto terminare anzitempo la stagione. Non dovrà essere operato ma seguire soltanto una terapia conservativa che gli dovrebbe permettere di tornare in campo già dall’estate. Chissà se in preparazione per il mondiale.

UN SIMIL-ARCIDIACONO. Tra la carriera di Donte DiVincenzo e quella dal suo compagno Ryan Arcidiacono ci sono molte similitudini. Ed oltre al fatto di aver vinto insieme con Villanova, potrebbero fare uno stesso cammino in Nba. Arcidiacono dopo l’exploit del 2016 in cui fu nominato anch’esso Most Outstanding Player nella finale Ncaa, ha un po’ faticato da professionista ripiegando addirittura nel venire a Caserta - prima che la società fallisse - due stagioni fa. Adesso invece si sta ritagliando un ruolo quasi da protagonista ai Chicago Bulls. Anche per DiVincenzo potrebbero servire un paio di anni prima di affermarsi anche tra i ‘grandi’.
IN ESTATE VERRA' IN ITALIA E SPERA CHE IL PASSAPORTO GLI VENGA
CONSEGNATO IN TEMPO PER PRENDERE PARTE AL MONDIALE
Ma non solo il college e l’Nba, un’altra similitudine che accomuna i due ragazzi è la possibilità di usufruire del passaporto italiano e diventare arruolabile per la nazionale del Ct Meo Sacchetti. Per la verità questa opzione ormai è da scartare per Arcidiacono, i cui nonni rinunciarono alla nostra cittadinanza. Non è però questo il caso dei nonni di DiVincenzo, originari della Sicilia. DiVincenzo aveva già in programma di venire in Italia la prossima estate, ma chissà che causa l’infortunio non possa anticipare il suo primo viaggio nel nostro paese per visitare la Sicilia appunto, della quale il nonno gli ha tanto raccontato. Verrà anche per firmare gli ultimi documenti e ottenere la cittadinanza, ma non è chiaro se il giocatore riuscirà ad ottenere il passaporto in tempo per la competizione mondiale. Con tutta la documentazione a posto, DiVincenzo risulterebbe naturalizzato e questo creerebbe un bel grattacapo a coach Sacchetti. Infatti da regolamento vi è un solo posto per i passaportati, e come DiVincenzo fanno parte di questa categoria anche Burns e Brooks. Entrambi si sono prodigati durante le qualificazioni al mondiale di Cina, e soprattutto il secondo è risultato preziosissimo per raggiungere la qualificazione. Pur non spiccicando una parola in italiano, Donte ha seguito tutte le partite della nazionale sullo smartphone e spera di poter giocare per difendere i colori azzurri. Per la sua famiglia, questo, sarebbe un grande orgoglio. Per il momento si pensa solo a fantasticare, con il desiderio che il tutto si concretizzi e diventi realtà. E Sacchetti permettendo, ovviamente.


LA SCHEDA
Donte DiVincenzo è nato a Newark, stato del Delaware, il 31 gennaio del 1997. Figlio di John F. e Kathie DiVincenzo, si è diplomato alla Salesianum School che ha guidato alla vittoria del campionato statale per due anni consecutivi. Ha frequentato la Villanova University con cui ha vinto due titoli Ncaa facendo registrare il career-high di 31 punti nella finale del 2018 venendo nominato Mvp. È stato scelto dai Milwaukee Bucks con la chiamata numero 17 al draft. Quest’anno in Nba ha giocato 27 partite con un career-high di 15 contro Orlando. In 15’ di media ha 4.9 punti, 2.4 rimbalzi e 1.1 assist.


ITALIANS - Moretti leader di Texas Tech, in evidenza Lever e Stefanini
Sono tanti i giovani italiani che hanno preferito solcare l’oceano per cercare fortuna in America. Infatti se ne contano oltre venti che giocano in giro per gli Stati Uniti, dall’Ncaa alla High School. Un numero cospicuo ed interessante in ottica azzurra tanto da spingere la federazione ad assegnare a Rick Fois - assistant coach alla Gonzaga University e nello staff della nazionale con Ettore Messina - il compito di monitorarli tutti.
DAVIDE MORETTI PROTAGONISTA NELLA FINALE NCAA 2019
Andati negli States per fare la vita dello studente-atleta, quello che maggiormente sta incidendo è sicuramente Davide Moretti. Con Texas Tech ha vinto la Big 12 spodestando dopo 14 anni Kansas, ed il suo contributo è stato consistente: in 21 delle ultime 23 gare è andato in doppia cifra. Ottime anche le stagioni di Alessandro Lever a Grand Canyon e Gabe Stefanini a Columbia, spesso e volentieri leader delle proprie squadre. Mentre Francesco Badocchi ha pagato un infortunio a Virginia, i due napoletani Guglielmo Caruso ed Ethan Esposito hanno ben figurato rispettivamente a Santa Clara e Sacramento State. Scendendo al liceo, la stellina Nico Mannion - promesso sposo di Arizona - è stato in lizza per il premio di Giocatore dell’anno grazie alla sua annata da 30 punti di media, ed ha partecipato al prestigioso McDonald’s All-American. Un altro figlio d’arte si è ben distinto, ovvero Mattia Acunzo che ha vinto da protagonista il campionato statale della Pennsylvania con Kennedy Catholic ed ha accettato la borsa di studio dell’University of Toledo.



* per la rivista BASKET MAGAZINE

venerdì 22 marzo 2019

Serie B - Prova generale per salire in A2

Omegna dominatrice ha fatto bis
Flop doloroso per le corazzate Caserta e San Severo


di Giovanni Bocciero*


LA FINAL EIGHT di Coppa Italia ha permesso di veder giocare tutte insieme le regine del campionato di serie B. Le prime della classe chiamate non solo a contendersi il primo grande obiettivo della stagione, ma anche a rispondere presente a quello che è stato il primo banco di prova in prospettiva della Final Four per la promozione in A2. Insomma, tra Porto Sant’Elpidio prima e Porto San Giorgio poi è andata in scena una kermesse dalla quale poter trarre delle considerazioni di metà stagione.
Il tabellone presentava dai quarti di finale gli incroci tra gironi A-C e B-D, e i risultati sono stati sorprendenti sin da subito. Si può dire che il Nord ha surclassato nettamente il Sud, visto che neanche una formazione dei raggruppamenti meridionali è riuscita ad approdare in semifinale. Se i pronostici sono stati rispettati nel caso di Cesena, che ha fatto durare il tempo di una gara l’esperienza di Salerno, mentre la detentrice del trofeo Omegna è uscita vittoriosa dalla sfida contro Pescara; le eliminazioni di San Severo contro Firenze e Caserta contro Faenza hanno visto estromesse due grandi favorite alla vittoria finale. Risultati che in due piazze molto calde sono stati accompagnati da forti critiche.

I FLOP. Indubbiamente le eliminazioni precoci delle due capolista dei gironi C e D possono essere visti come degli enormi flop. In virtù di questi risultati una parte di entrambe le tifoserie hanno colto l’occasione per criticare squadra e società. Nel caso della Decò Caserta, si è resa protagonista di una prestazione molto al di sotto delle proprie potenzialità. Merito di sicuro anche di una Rekico Faenza coriacea e determinata, ma se questo era il primo banco di prova per la corazzata bianconera possiamo senz’altro dire che Biagio Sergio e compagni sono stati rimandati a giugno. Qualcuno ha ipotizzato che sia mancata un po’ di umiltà, forse a causa del cammino piuttosto lanciato in campionato con sole due sconfitte nei 23 match giocati. Fatto sta che davvero la Juvecaserta è stata irriconoscibile.
Ciro Santangelo/S.C.Juvecaserta Decò 
Troppo confusionaria, mai in ritmo partita, e alla fine ha addirittura alzato bandiera bianca ben prima della sirena finale. Insomma, una pagina da cancellare al più presto. Coach Max Oldoini è stato piuttosto chiaro nella conferenza stampa del post partita, gettando acqua sul fuoco nonostante il grande rammarico: “Non dobbiamo farne un dramma. Fino a questo punto della stagione la squadra ha espresso un’ottima pallacanestro”.
Per l’Allianz Pazienza San Severo la sconfitta ai quarti di finale ha rappresentato un flop ancora più grande. Non a caso i pugliesi arrivavano nelle Marche da unica squadra della cadetteria ancora imbattuta, ma ha trovato sul suo cammino una All Food Fiorentina combattiva, che si è aggiudicata la gara nella volata finale prendendosi la rivincita del quarto di finale dello scorso anno. Essere stati eliminati al primo turno ha dato il là alle sonore critiche di una parte dei supporters che hanno sempre più meno fiducia nella squadra, che ha fallito il terzo appuntamento importante consecutivo dopo la Coppa Italia 2018 e la Final Four promozione dello scorso giugno. Si tratta anche di un altro boccone amaro da buttar giù per coach Giorgio Salvemini, che nelle ultime due stagioni ha portato San Severo ad avere un ruolino di marcia fatto da 56 vittorie a confronto delle sole 10 sconfitte. Si vede però che non basta per raggiungere gli obiettivi, e per questo se sono riaffiorato alcuni brutti ricordi sarà il caso di ritornare in fretta in palestra per resettare il tutto. A prendere le difese della squadra c’ha pensato il presidente Amerigo Ciavarella in persona: “Non nascondiamo la delusione per questa sconfitta, ma adesso non è il momento di disunirsi ma imparare dagli errori”.

LA FINALE. Le semifinali hanno avuto risultati più netti, con Cesena che ha surclassato Faenza nel derby tutto romagnolo trascinata dal solito David Brkic, e Omegna che con lo statuario Jacopo Balanzoni ha disinnescato Firenze. E così le sopravvissute giunte sino al terzo giorno della competizione sono state la Paffoni Omegna e l’Amadori Cesena, qualificatesi da prime nel rispettivo girone e che hanno rispettato il pronostico. Oltretutto due squadre dalla storia e tradizione molto differente. La Fulgor è ormai un club consolidato a livello nazionale, che ha già vinto la Coppa Italia della Lnp ed ha tutte le carte in regola per ritornare in A2. I Tigers sono invece una società nata solo nel 2014, sin da subito con grandi ambizioni, e che dall’estate scorsa si sono trasferiti da Forlì a Cesena per motivi d’impiantistica.
Pronti via, il primo quarto ha visto le formazioni studiarsi e così a risentirne è stato il punteggio piuttosto basso. Già a partire dalla seconda frazione però, Omegna ha fatto valere la miglior struttura del roster e con gli spunti del veterano Carlo Cantone si è involata sulla doppia cifra di vantaggio all’intervallo. Nella ripresa nonostante qualche sussulto dell’Amadori il pallino del gioco è stato sempre nelle mani della Paffoni, che ha toccato addirittura le venti lunghezze di vantaggio. Hanno chiuso la pratica i canestri di Alessandro Grande e Guido Scali, votati rispettivamente Mvp e miglior giovane della competizione.
Per il club piemontese il binomio Coppa-Marche evidentemente porta bene, visto che per il secondo anno consecutivo ha vinto la Coppa Italia di categoria che lo scorso anno si giocò a Jesi e in questo a Porto San Giorgio. Ha vinto al cospetto di un Cesena che c’ha provato ma non è riuscito a guastargli la festa. Il coach dei romagnoli Giampaolo Di Lorenzo ha lasciato ai social il suo messaggio più sincero: “Mi piace pensare che siamo i vice campioni d’Italia. Complimenti di cuore alla Fulgor Omegna, ma siamo solo all’inizio del nostro cammino. Siamo stati grandi”.

LA VINCITRICE. Ad Omegna la pallacanestro si pratica sin dagli anni ‘30, anche se la Fulgor Basket nasce ufficialmente nel dopoguerra (1953). Sin da subito vince campionati in serie e nel 1962 festeggia la promozione in massima serie. La mancanza di un palazzetto all’altezza fece incredibilmente cessare l’attività, che riprese a macinare a pieno regime nel ‘78. Ripartita dalle minors la Fulgor si è riaffacciata in B1 nel 2006. La mancanza di fondi stava per far scomparire di nuovo il club, e così i tifosi diedero vita ad un azionariato popolare raccogliendo 30 mila euro. Una cifra irrisoria, ma quel gesto d’amore fece avvicinare alla società l’imprenditore Ugo Paffoni che segnerà la storia recente. Nel 2012 Omegna si cuce in petto la prima coccarda tricolore, seguita dal bis 2018-2019. Coach Marcello Ghizzinardi ha riposto un altro trofeo nella bacheca del club, ma l’obiettivo primario resta quello della promozione in A2. Il rapporto con la società è forte, ed ha tra le mani un roster lungo e completo che si fonda sul giusto mix tra veterani e giovani prospetti. Il girone A è piuttosto competitivo e sono diverse le formazioni che ambiscono al primo posto, ma la Paffoni ha tutto per primeggiare.

Quarti di finale
Amadori Cesena – Arechi Salerno 59-56
Decò Caserta – Rekico Faenza 62-72
Paffoni Omegna – Amatori Pescara 73-70
Allianz Pazienza San Severo – All Food Fiorentina 64-66

Semifinali
Amadori Cesena – Rekico Faenza 75-50
Paffoni Omegna – All Food Fiorentina 79-68

Finale
Amadori Cesena – Paffoni Omegna 72-81

Vincitrice Coppa Italia serie B: Paffoni Omegna
Mvp: Alessandro Grande (Omegna)
Miglior giovane: Guido Scali (Omegna)



* per la rivista BASKET MAGAZINE