A 40 anni Valerio è tornato a Roseto dove mosse nel 1998 i primi passi di una carriera lunga ma meno ricca dei risultati che avrebbe meritato
Amoroso: "Non ho rimpianti
ma ora mi conosco meglio"
Carattere di fuoco, senza peli sulla lingua, spesso scomodo, ammette: "Sono fatto così, e certe volte avrei dovuto reagire in maniera diversa". Ma questa è anche la sua forza, che l'ha portato a farsi apprezzare più nei piccoli centri che nelle metropoli: "Perché lì c'è più passione e più disponibilità a conoscerti come realmente sei, dandoti fiducia"
di Giovanni Bocciero*
DA
ROSETO A ROSETO. Nel mezzo una carriera lunga 23 stagioni. A 40 anni Valerio
Amoroso è ancora in prima linea, a dare battaglia come se fosse il primo
giorno. E con la Pallacanestro Roseto, impegnata in serie B, non si pone
limiti. «Siamo partiti abbastanza bene ma si può fare sempre meglio - ha
esordito l’atleta -, anche perché in squadra ci sono ragazzi in gamba che si impegnano
dalla mattina alla sera. Mi aspetto un’ottima annata perché comunque abbiamo
tanto talento e c’è la possibilità di poter fare davvero bene. Roseto poi è una
piazza che in questo momento ha bisogno di rialzare la testa. Viene da due anni
di Stella Azzurra nei quali ci si è un po’ disaffezionati al basket perché i
tifosi non sentivano propria la squadra. La mancanza di pubblico è pesante
perché qui si può arrivare anche a 4 mila spettatori. Non c’è questa forza in
più che ci spinge, però a differenza di quando ho avuto la mia prima esperienza
sono passati tanti anni e sono cambiate tante cose, ad iniziare da come si
gioca. Prima si respirava un’aria diversa - ha continuato Valerio - perché c’era
il tifo organizzato e se camminavi per strada la gente ti fermava. Oggi c’è un
distacco ancora più marcato anche a causa del Covid che ha stravolto un po’
tutto».
Valerio Amoroso, 40 anni, Roseto ha puntato su un amato cavallo di ritorno per il rilancio (foto Tommarelli) |
L’ala
napoletana, che a Roseto era arrivato come astro nascente, oggi è tra i
pilastri della squadra di coach Tony Trullo. Ma non chiamatelo chioccia, perché
«questo ruolo spetta al capitano Antonio Ruggiero. È lui che ci fa da mentore,
da leader in campo e fuori. È lui la figura di riferimento a cui guardiamo».
Lui preferisce impegnarsi a dare il suo contributo. «A me piace lottare,
mettermi in gioco, lavorare e farlo per bene. È ciò che faccio da una vita.
Quando i momenti sono difficili e c’è da combattere, di sicuro io do il meglio
di me perché mi piace stare in quelle situazioni. Sono a mio agio». Ma proprio
questa sua grinta lo ha portato spesso ad essere odiato dal pubblico
avversario. «In realtà a volte non piaccio neppure a quello di casa - ha
puntualizzato Valerio -. A Caserta, mentre giocavo per la Juve, facevano cori
contro mia madre. Ma io gioco per me, per quello che faccio e che sono. Magari
per questo è più facile odiarmi».
DA SAN SEBASTIANO AL VESUVIO alla serie A, cosa serve per riuscire in una parabola
come la tua? «Credo che quello che ho vissuto io non lo vivano i ragazzi di
oggi, dove tutto è più semplice, più leggero. Alla loro età avevo meno
possibilità, ma buttavo l’anima ogni giorno. Si poteva sbagliare davvero poco
perché c’era più competizione e c’erano persone meno competenti. Con il tempo ho
capito e apprezzato cosa significasse lavorare - ha continuato Amoroso -, e che
il talento non basta per arrivare a certi livelli. Adesso invece di competenza
ce n’è tanta e basta informarsi per cercare il posto giusto dove giocare. Al
contrario, è diminuita la passione e c’è difficoltà a trovare ragazzi che
vogliano davvero sacrificarsi». Forse è questo il marchio di fabbrica che
permette al suo amico Poeta di essere ancora decisivo in A. «Peppe è un grande
giocatore e se lo merita. Sta fisicamente molto bene, ma si impegna tanto e lo
si vede da come gioca. Se però dei vecchietti come noi riescono ancora a fare
la differenza in determinate categorie vorrà pur dire qualcosa. Il basket è certamente
cambiato, ma se in meglio o in peggio non ne ho idea».
Per il lungo nato a Cercola in provincia di Napoli una carriera di successi (foto Tommarelli) |
Talento e punti nelle mani: anche a 40 anni un pericolo costante per le difese (foto Tommarelli) |
MA COSA FARA' AMOROSO una volta terminata la carriera da giocatore? «Mi piacerebbe rimanere nella pallacanestro, ma bisogna vedere un po’ di cose. In primis ciò che la vita ti offre. A me piace leggere il gioco, stare a contatto con i giocatori, gestirli, capirli. Non escludo di fare il dirigente o l’allenatore, ruoli entrambi fattibili. Bisogna però vedere cosa c’è in giro. Sto studiando per diventare allenatore, ma è tutto un work in progress. L’importante è trovare qualcuno voglioso di investire e costruire». Lui, napoletano purosangue, ha un grande cruccio che si porterà per sempre dietro. «Noi giocatori difficilmente siamo profeti in patria. Casa mia ormai è Civitanova Marche e a Napoli ci torno per trovare i genitori. Da noi c’è sempre stata la mentalità che l’atleta straniero è più forte di quello sotto casa. Quindi non ho mai avuto l’opportunità di mettermi in mostra a casa mia, cosa che mi sarebbe piaciuta tanto. Ho avuto l’occasione a Scafati, da giovane - ricorda Valerio -, ma sono andato via. A Caserta, da napoletano, l’esperienza è andata malissimo. Insomma, nel proprio luogo di nascita non si è mai visti bene quanto invece lo si è lontano, dove non ti conoscono e ti apprezzano per quello che sei».
* per la rivista BASKET MAGAZINE