L'ala inglese di 24 anni, da otto stagioni in Italia, si sente pronto per la serie A
Il talento Wheatle, londinese che a Pistoia continua a splendere
«Da piccolo pensavo solo al calcio come tutti i ragazzi inglesi, poi mi ha rapito il basket»
di Giovanni Bocciero*
Talento,
capacità, prospettiva ed età, è questa la combinazione giusta per essere
considerato un degno rappresentante della ‘generazione z’ nell’odierna
pallacanestro. Fa quasi specie che a far parte di questo gruppetto vi sia anche
Carl Wheatle. Ormai in Italia da quasi dieci anni, il suo stesso coach
Nicola Brienza, all’inizio di questa stagione a Pistoia si è meravigliato che
il britannico avesse solo 24 anni. Conosciuto agli amanti della palla a spicchi
ormai da tempo, il classe ‘98 che ha compiuto gli anni lo scorso 24 marzo sta
disputando una stagione sopra le righe in A2, viaggiando alle medie di 13.2
punti, 8.1 rimbalzi, 3.4 assist e 1.4 recuperi.
Wheatle
è un osservato speciale, per la verità non nuovo ad attenzioni visto che sin da
giovanissimo ha attratto scout e dirigenti. Nonostante «prima dei 14 anni
giocavo solo a calcio - ha esordito Carl - come fanno tutti i ragazzi
inglesi. Mi sono avvicinato al basket in maniera quasi improvvisa, a scuola,
perché frequentavo un istituto che ci permetteva di partecipare a tornei di
diversi sport. Sin da piccolo mi piaceva stare in movimento e ne ho provati
quanti più ne potessi, come rugby e cricket. Ma in quel momento della mia vita
pensavo solo al calcio. Attraverso la squadra scolastica però, mi ha visto un
allenatore che mi ha chiesto se volessi fare basket in maniera seria. Ho deciso
di provarci anche perché da piccolo lo avevo già giocato nei fine settimana,
quando per non restare da solo in casa i miei genitori mi portavano a giocare
alla squadra più vicina. Non lo avevo mai preso seriamente però. Da lì la cosa
è stata velocissima perché già dopo un anno e mezzo andavo in giro con le nazionali
giovanili, e dopo due anni mi sono trasferito in Italia».
Carl Wheatle in azione, foto Giorgio Tesi Group Pistoia |
A
notarlo mentre era impegnato con la nazionale britannica dell’under 16 è stato
Federico Danna, che non se l’è voluto far scappare. «Mi ha espresso il suo interesse,
ha parlato con il mio allenatore in Inghilterra e così nel 2013 mi sono trasferito
a Biella». Un cambio di vita per nulla semplice per un adolescente. «All’inizio
è stato molto difficile. Avevo 15 anni e il trasferimento da Londra a Biella è
stato complicato per il cambio di stile di vita. Non parlavo italiano e avevo
una vita sociale molto limitata. Facevo fatica ad uscire o solo a comunicare
con i compagni di squadra. Poi ci sono stati dei problemi con i documenti per
il tesseramento e per i primi mesi mi potevo solo allenare e non giocare.
Faticavo a stare nel gruppo - ha ricordato Wheatle -. Ci sono stati
momenti nei quali non volevo più rimanere, ma la famiglia mi ha spinto ad
andare avanti. Era difficile stare lontano da casa, dagli amici, e mi sentivo
davvero isolato da tutto. Pian piano le cose sono migliorate, ho iniziato a
capire l’italiano, e dal secondo anno in poi non ho fatto più fatica perché ho
iniziato a giocare con la prima squadra nella quale si parlava inglese, e
inoltre ho avuto come compagno il georgiano Sandro Mamukelashvili che parlava
la mia lingua. Tutto questo mi ha aiutato un sacco e le cose sono andate sempre
meglio».
A
Biella arriva con la fama del grande attaccante. Ma giorno dopo giorno cresce
cestisticamente, impara l’essenza del gioco e soprattutto trova in coach
Michele Carrea una guida da seguire. «Quando sono arrivato a Biella avevo
ancora tanto da lavorare. A livello giovanile potevo dominare di più col fisico,
ma credo di essere sempre stato un giocatore versatile, capacità che credo sia
il mio punto di forza. Anche nelle giovanili mi è sempre piaciuto portare
palla, difendere, essere partecipe nel gioco in qualsiasi maniera. Il mio
rapporto con Carrea è speciale - ha continuato il ragazzo -. È stato il
primo a darmi la possibilità di giocare da professionista, mi ha sempre spinto
e motivato a fare di più, e il fatto che mi abbia voluto con lui a Pistoia mi
ha dimostrato ancor di più quanto ci tiene affinché abbia un buon futuro da
giocatore. Mi ha dato fiducia, e imparando molto da lui sono diventato l’atleta
che sono oggi».
L’evoluzione
del suo gioco lo porta a trasformarsi in un’ala completa, che gli americani
definiscono tweener. Ma ti senti più un esterno o un interno? «Per
come è il basket moderno credo che la definizione di tweener mi calzi proprio a
pennello. Non mi definisco proprio un interno perché non gioco spalle a
canestro, o faccio a sportellate sotto canestro. Per come gioca la nostra
squadra, ovvero un quattro fuori e uno dentro, io occupo il ruolo di ‘4’ in
attacco ma difendo su tutte le posizioni. Non mi sento né un esterno né un
interno in maniera marcata, ma preferisco adeguarmi all’andamento della partita
o addirittura al singolo possesso cercando di mettere in pratica quello che so
fare».
Ed
è indubbio che le sue capacità sono un fattore imprescindibile per Pistoia, in
piena lotta per la promozione nonostante due corazzate come Udine e Cantù nel
girone Verde di A2. «Coach Brienza mi ha subito spiegato il ruolo che avrei
avuto in squadra. Anche lui mi dà tanta fiducia e tanti consigli. Ma apprezzo
soprattutto il fatto che in campo mi dà tante responsabilità. Mi piace essere
un leader della squadra, e mi sto trovando molto bene. I risultati che stiamo
ottenendo quest’anno sono buoni, ma possiamo fare ancora di più. Sappiamo che
siamo ancora un passo indietro a Udine e Cantù visto che contro di loro abbiamo
perso tutti e quattro i match. Il nostro obiettivo - ha dichiarato Carl -,
in questo momento, è usare le ultime gare della regular season e quelle della
fase ad orologio per prepararci al meglio per i playoff. Possiamo fare bene ma
siamo consapevoli che non sarà per nulla facile arrivare alla promozione».
Wheatle
dopo essere cresciuto a Biella sta ora mettendo radici in Toscana, dove è al
suo terzo campionato consecutivo seppur tra mille ostacoli. Questo però denota
come sia un tipo che si affeziona. «Gli anni che ho trascorso qui a Pistoia
non sono stati i più semplici. Diciamo molto strani tra pandemia,
autoretrocessione e partite giocate in palazzetti chiusi. Di sicuro, però, i
rapporti con le persone valgono tanto per me. Gli anni a Biella sono tutt’oggi
speciali perché lì sono arrivato che ero adolescente e sono cresciuto come
uomo. Sono arrivato anche ad essere capitano della squadra maturando ogni anno.
Qui a Pistoia invece, da quando sono arrivato purtroppo le stagioni sono state
complicate. Ma mi ero ripromesso di voler fare un anno normale con il pubblico,
con i tifosi. Poi sin dall’inizio mi sono trovato bene con la società, la
città, e credo che ogni giocatore sia sempre alla ricerca di una situazione
comoda. Quando ti trovi bene in una piazza in cui la squadra è buona, la
società ti tratta bene e i tifosi sono super, a meno che non ricevi offerte incredibili
da club importanti - ha confessato il britannico - è difficile pensare
di cambiare. Ho avuto la fortuna di giocare per due club come Biella e Pistoia
che sono davvero il top».
Da
rappresentante della ‘generazione z’, Wheatle è anche ambizioso. E come tale, «credo
che la serie A sia nel mio futuro. Gioco con l’obiettivo di arrivarci ogni
anno, e per questa stagione cercherò di raggiungerla con Pistoia. Voglio
dimostrare di essere un giocatore importante anche in quella categoria». In
campo l’atleta britannico è un giocatore semplice, infatti «mi piacciono le
piccole cose, quelle che ti fanno stare dentro il gruppo. Dare un cinque al
compagno dopo un canestro segnato, una buona difesa, quando si gioca in casa
con il pubblico che ti spinge ed esplode dopo una stoppata o un tiro da tre
punti. Sono cose che rendono lo sport davvero bello e che mi gasano. Cose che
non riesco a sopportare, invece, non ce ne sono. Fa tutto parte del gioco, come
una decisione dell’arbitro che non condividi, ma nessuno è perfetto e come
sbagliamo noi giocatori possono sbagliare anche gli arbitri. In trasferta i
tifosi avversari ti possono fischiare, ma è giusto perché vogliono che vinca la
propria squadra. Durante una partita ci possono essere degli alti e dei bassi,
ma è tutto normale».
Fuori
dal campo invece, il giovane Carl apprezza la cucina, ascolta la musica e tifa
per il Manchester United. Quest’ultima cosa stona, e di molto, per un londinese
di nascita. «Non c’è una persona che non mi dica questa cosa. Può sembrare
strano, ma sin da giovane mio padre ha tifato per lo United, e io da quando son
nato ho sempre tifato per loro. Quindi magari la domanda va fatta al mio papà.
Oltre al calcio mi piace ascoltare la musica perché mi rende felice. E poi la
cucina, mi piace di più mangiare che cucinare perché sono un po’ pigro. Ma
queste sono le mie passioni oltre al basket».
Ma
in futuro, dopo la pallacanestro, cosa vorrai fare? «Spero
di avere ancora tanti anni di carriera davanti a me. Ma per il dopo voglio
restare nel mondo dello sport. Non so se come allenatore, o come dirigente, ma
mi piacerebbe restare in questo ambiente. Ho sempre amato fare sport, e non
voglio limitarmi solo alla pallacanestro - ha dichiarato il ragazzo - ma
anche al calcio o al tennis, discipline che ho sempre giocato durante l’estate.
Cosa farò di preciso non lo so ancora, e un’alternativa adesso non ce l’ho, ma
magari la scoprirò andando avanti per la mia strada». Grande attenzione in
questi anni è anche data alla dual career, che per un atleta
professionista vuol dire preparare il terreno per quando smetterà di indossare
la canotta. «Al momento non studio ma ho intenzione di riprendere. Sto considerando
soprattutto qualche facoltà di lingua. Mi piacerebbe imparare lo spagnolo, e mi
sto guardano intorno per capire come fare. Ma dall’anno prossimo - ha
concluso Carl Wheatle - vorrei iniziare a fare una vita piena da
studente-atleta».
* per la rivista Basket Magazine