VERSO IL MONDIALE 2023
Basile scommette sull'Italia e sul Poz:
«Bravo a cambiare visione»
Un oro e un bronzo europeo, ma soprattutto l'argento olimpico del 2004. Se si parla di Gianluca Basile in merito alla nazionale di pallacanestro è sicuramento uno dei giocatori più titolati. Eppure, proprio come per l'Italia gli manca nel palmares una medaglia al Mondiale. Competizione che vedrà ormai ad ore gli azzurri esordire contro l'Angola (venerdì 25 alle ore 10:00). Una squadra che ha avuto un cammino perfetto nell'avvicinamento al campionato iridato, con sette vittorie su sette amichevoli disputate contro Turchia, Cina, Serbia, Grecia, Portorico, Brasile e Nuova Zelanda. Successi arrivati anche contro avversarie di un certo livello, che però non contano assolutamente nulla in questa fase se non per far crescere l'autostima del gruppo. «Vincere non è mai semplice, perché sulla carta ci sono tante squadre forti quanto te - ha esordito Basile - o ancora di più. La cosa fondamentale è creare il concetto di squadra, e che tutti e dodici i giocatori capiscano in che contesto si trovano e il proprio ruolo. Quando tutti i meccanismi combaciano ci si può togliere tante soddisfazioni, e credo che la nazionale già dalla partecipazione all'Olimpiade con la gestione di Meo Sacchetti abbia intrapreso la giusta strada. Col Poz allo scorso Europeo si è arrivati ad un buon risultato, e si stanno comportando bene anche in queste amichevoli dove davvero giocano una buona pallacanestro. Sono una squadra atipica perché non hanno un centro di peso sotto canestro, ma c'è Nicolò Melli che è un jolly, che può difendere sui lunghi grossi, poi è dinamico ed ha la giusta intelligenza tattica. Se riescono a creare quella particolare atmosfera nello spogliatoio non dico che sono da medaglia, ma possono andare molto avanti nella competizione. Purtroppo il Mondiale è ancora più difficili degli Europei».
Basile ha vinto quello storico argento olimpico ad Atene con Gianmarco Pozzecco. Ma non solo l'azzurro, i due sono stati compagni di squadra per tre anni alla Fortitudo Bologna, e nella stagione 2013/14 il Poz è stato addirittura allenatore del Baso all'Orlandina. «Non me lo sarei mai aspettato in questo ruolo - ha confessato l'ex guardia tiratrice -, e questo è sicuramente qualcosa di positivo per lui. Credo che quello che sia riuscito a fare meglio è capire che il suo gioco, con quel talento, quella visione, era unico, e che lo poteva mettere in pratica solo lui. Quindi si è dovuto immedesimare in un contesto differente, nel quale non può aspettarsi quelle determinate cose dai giocatori. Ecco perché lo vedo molto focalizzato sui dettagli e le situazioni tattiche, cosa che da giocatore gli riuscivano per talento, perché sapeva inventare come nessun'altro. Nel suo nuovo ruolo ha dovuto capire che chi sta in campo non si chiama Pozzecco, e quindi ha dovuto imparare attraverso la lunga gavetta che ha già fatto alcune dinamiche che vanno al di fuori della sua visione. Visione che ha comunque portato a livello umano perché, essendo stato un atleta difficile da gestire, sa cosa passa per la testa di chi scende in campo e come saperlo prendere affinché possa essere tranquillo. Questo suo modo di fare crea grande fiducia nel rapporto che ha con le persone - ha sottolineato Basile -, le quali arrivano a credere fortemente in lui. Si merita tutto quello che ha raggiunto, e se a volte di sicuro esagera è perché spinto dalla passione. Nessuno può dire che non metta tutto sé stesso in quello che fa».
Pozzecco è stato chiaro sin dall'inizio del raduno. Ha convocato quei giocatori con i quali intende portare avanti un progetto duraturo nel tempo, perché è importante anche a livello di nazionale costruire un gruppo che si conosca quanto più possibile a maggior ragione con le poche occasioni per ritrovarsi. «Se non si crea mentalità nel gruppo si fa fatica pensare di poter non solo sognare una medaglia, ma persino di essere competitivi. La mentalità è ciò che ti rende forte, che ti dà sicurezza, e si costruisce nell'arco degli anni e anche dalle sconfitte. Come il quarto di finale perso contro la Francia dell'estate scorsa. Vedendo come giocano, e considerando che sono comunque tutti dei bravi ragazzi dal punto di vista comportamentale - ha continuato Basile -, credo che la mentalità sia quella giusta. Si percepisce che tutti vogliono fare bene e che nessuno esce fuori dal coro. Si stanno preparando al meglio, sono convinti di poter far bene, e poi dal traguardo del podio sei spesso diviso da una linea sottile che a volte dipende anche dalla fortuna negli incroci. Bisogna guardare una partita per volta e vedere cosa succede».
Il Mondiale sarà l'ultimo palcoscenico da giocatore per Gigi Datome, capitano dell'Italbasket che pur emozionatosi per aver vinto due bronzi europei a livello giovanile con l'U18 e l'U20, non ha conquistato nessuna medaglia con la nazionale maggiore. Chiudere la carriera con l'azzurro indosso e magari sul podio sarebbe un sogno. «Già indossare la maglia azzurra e sentire l'inno ti tocca nel profondo - ha riflettuto l'ex Fortitudo e Barcellona -, si prova orgoglio e soddisfazione per essere arrivato in quel contesto, che è il sogno da bambino. Una serie di cose che ti appagano sicuramente. Il ritiro è una cosa molto soggettiva, non c'è un'età che sia una data di scadenza. Per quello che ho provato io ai miei tempi, il corpo non mi reggeva più come una volta. Vedi ragazzi più veloci, subisci più infortuni, e quindi bisogna iniziare a tirare le somme valutando i pro e i contro nel continuare la carriera. Credo che Datome stia soffrendo almeno da due anni di diversi infortuni che gli hanno fatto giocare molte meno partite, anche se quando poi è in campo fa la differenza con la sua presenza. Gara 7 delle ultime finali scudetto sono un grande esempio. Ma arrivati a questo punto, solo lui poteva prendere una decisione riguardo questa cosa. Per quello che ha fatto, e per la persona che è, c'è solo da alzarsi in piedi per applaudirlo».
Per un Datome che prenderà parte al suo ultimo ballo, ci sono diversi giovani alla loro prima grande esperienza con l'Italia. Parliamo ovviamente di Momo Diouf, Gabriele Procida e Matteo Spagnolo, rigorosamente in ordine di data di nascita essendo un 2001, un 2002 ed un 2003. Segno questo che il Poz non ha paura a lanciare dei giovanissimi. «L'età non è importante, perché ricordo che ai miei tempi Ricky Rubio aveva solo 17 anni ma era già in nazionale e addirittura comandava in campo. E' solo una questione di mentalità e di voler fare bene, e la crescita che hanno avuto Spagnolo e Procida fa ben sperare per il futuro dell'Italia. Voglio però anche lanciare un messaggio a chi è stato tagliato per ultimo o sta nel giro della nazionale, ovvero che un giocatore deve lavorare per migliorarsi sempre, così da presentarsi al prossimo raduno più forte. E' solo il lavoro che ti fa guadagnare sicurezza e prendere coscienza dei propri mezzi, così che si possano raggiungere certi livelli». Ma vede in qualcuno i nuovi Baso e Poz? «Questa domanda non ha risposta. Ogni giocatore ha una sua mentalità ed un suo talento. Ma non mi soffermerei neppure sui singoli, perché anche ai nostri tempi - ha concluso Basile - la forza del gruppo era l'insieme dei giocatori ognuno con la mentalità giusta».