Tra tanti alti e pochi bassi, la Pallacanestro Reggiana festeggia i suoi primi cinquant'anni di vita
Mezzo secolo per Reggio Emilia
Dove Kobe imparò a giocare a basket
Da Montecchi a Basile, da Frosini a Faye, il ritratto di una città accogliente, speciale, innamorata della pallacanestro. Enrico Prandi: «Nati come fucina di giovani talenti. A capo della società da sempre imprenditori reggiani. La svolta nel 1978». Le perle le due finali scudetto del 2015 e 2016
di Giovanni Bocciero*
50 anni portati bene, è proprio il
caso di dirlo. La Pallacanestro Reggiana è un esempio fulgido di quella
provincia italiana che ha regalato storie meravigliose al basket nostrano. Un
club sano, mai fallito nell’arco del suo percorso, da imitare sotto tutti i
punti di vista, e specialmente per come lavora coi giovani.
«Il primo pensiero corre alla
fondazione ed alla nascita di mia figlia - ha ricordato Enrico Prandi,
fondatore ed ex presidente della società e poi commissioner della Lega Basket
dal 2002-2007 -, motivo per cui fu posticipata da giugno al 3 settembre del
1974. Il progetto alla base della Reggiana non era certo quello di fondare un
club che arrivasse a disputare la serie A. Volevamo altresì che la città avesse
una sua squadra, e che potesse attirare qualche sponsor per permettere una
florida attività giovanile così da diventare vivaio per i club maggiori presenti
nei dintorni. Strada facendo trovare delle intese era difficile, così ci siamo
tenuti i giovani e vincendo sul campo un campionato dopo l’altro siamo arrivati
sino allo spareggio per l’A2». Era il 1982, si giocava a Udine contro Pavia.
Con l’ex presidente della Reggiana abbiamo
fatto qualche passo indietro, alle origini del basket in città. «A Reggio
Emilia c’era una latente passione per la pallacanestro sin dal dopoguerra, che
poi è diventata tradizione coinvolgendo la provincia intera. Mancava però una
squadra che potesse convogliare questo patrimonio. Infatti, già all’inizio
degli anni ’80 contavamo 1500 abbonati».
Prandi ricorda anche un momento
spartiacque. «Una tappa fondamentale è stato il primo campionato di serie B nel
1978/79, che ci mise difronte ad una categoria in cui capimmo che con le sole
forze locali non potevamo fare di più. Così, in un’ottica di crescita costante,
ci guardammo intorno e con l’intento di potenziare la squadra cominciammo a
prendere giocatori provenienti da altre città. In virtù della rinuncia all’A1 della
Fernet Tonic, terza squadra di Bologna, cogliemmo l’opportunità di prendere
Mario Ghiacci».
A chi ha vissuto da protagonista
questi 50 anni, in tante vesti diverse e oggi più che mai tifoso, abbiamo
chiesto il quintetto simbolo della Reggiana. «Scegliere cinque giocatori non è
facile. Di sicuro non può mancare Pino Brumatti, così come Bob Morse e Mike
Mitchell. Senza voler trascurare nessuno, e restando nell’arco temporale della
mia presidenza - ha sottolineato Prandi -, dico due nazionali come Piero
Montecchi e Gianluca Basile. Ma la squadra che ha fatto le due finali scudetto
andrebbe presa in toto».
Proprio a Montecchi e Basile, il primo
giocatore biancorosso dal 1982-87 e poi di nuovo dal 1995-98, il secondo suo
compagno di squadra nei tre anni e mezzo dal 1995-99, abbiamo chiesto cosa
significa Reggio Emilia. «In una sola parola, è casa mia - ha detto Montecchi -,
dove sono nato, cresciuto, diventato grande. Anche se per anni ho vissuto
lontano, le mie radici sono ben salde. E questo vale anche per la squadra, naturalmente,
non solo personale».
«Per me è dove tutto è nato - ha esordito
Basile -, dove mi è stata data l’opportunità di realizzare il mio sogno. Sono
arrivato che avevo 18 anni, per giocare con la squadra Juniores. Mi hanno
accolto in maniera superlativa, e li ringrazio ancora oggi. Ero un ragazzo che
andava via da una realtà che non gli poteva offrire nulla. Grazie alle persone
che mi hanno voluto bene, il trasferimento non è stato difficile. Potrebbe
sembrare ovvio, ma non lo è. Mi presentai con un polso fratturato ma mi è stata
data l’occasione di esprimermi al meglio».
«Una storia che dura da mezzo secolo è
di grandissima eccellenza - ha continuato Montecchi - sotto tutti i punti di
vista: umano, sportivo, valoriale. I grandi risultati del club sono coincisi
con la sua serietà in un percorso nel quale ha saputo trovare imprenditori che
la accompagnassero nel modo giusto per rimanere sempre ad altissimo livello».
La storia della Reggiana è fatta di
alti e bassi, di speranze e grandi delusioni. Ma facendo anche di necessità
virtù, è stata scritta con pagine indelebili. «Quando la squadra retrocesse in
A2 - ha ricordato Basile -, ci fu una nuova cordata che acquistò la società che
era a rischio fallimento. Così il club decise di allestire un roster con un
paio di veterani più i ragazzi del vivaio, con Giordano Consolini come
allenatore, mio coach delle giovanili».
«Nell’arco di questi 50 anni ne sono
passati di giocatori: grandi, meno bravi, fortunati o sfortunati - ha rievocato
invece Montecchi -, di ogni paese. Basta vedere le foto dei singoli anni per
farsi un’idea». Come allora dimenticare Joe Bryant, ma soprattutto il
piccolissimo Kobe, che a Reggio Emilia ha trascorso gli anni dell’adolescenza e
per questo vi era legatissimo. Fuori dal PalaBigi campeggia un murale a
ricordare proprio il fenomeno dei Lakers.
Alessandro Frosini è stato nella città
del Tricolore dal 2009-2020, prima da giocatore e poi da novello direttore
sportivo. «Il club vive in simbiosi con la città. Non ce ne sono così tanti di
luoghi in giro per l’Italia, nonostante c’è passione per la pallacanestro un
po’ ovunque. Quello di Reggio Emilia è un modo di essere, tu puoi essere
chiunque: un tifoso, un dirigente, un giocatore delle giovanili o uno sponsor,
ma sei Reggio Emilia».
«Ho scelto la Reggiana - ha proseguito
Frosini -, perché per esigenze personali dovevo riavvicinarmi alla mia famiglia.
Cercavo un club con la giusta situazione, dove si potesse giocare una
pallacanestro di un certo livello con un progetto serio. È stata la prima volta
che non sono passato per il mio procuratore, ma ho telefonato direttamente il
capo allenatore che era Alessandro Ramagli. Gli ho detto che sapevo stessero
cercando il quarto lungo, e mi sono così proposto. Lui mi rispose che non sarei
stato un rincalzo, ma il titolare. A me poco interessava in quel momento,
volevo solo continuare a giocare arrivato alla soglia dei 37 anni. La
trattativa si concluse con quella stessa chiacchierata».
È così che nasce la sua avventura a
Reggio Emilia, in un club serio ed ambizioso con la voglia di ritornare in
serie A e che poi è arrivato a giocarsi due finali scudetto consecutive, nel
2015 e 2016. «Dopo due anni da giocatori ho proseguito per altri nove da
direttore sportivo. Anche nella nuova veste la cosa è nata strada facendo, con
alcuni incastri che mi hanno favorito. E posso dire che negli ultimi sei mesi della
mia carriera ho rivestito praticamente entrambi i ruoli, grazie anche al
rapporto instaurato con Dalla Salda, e - ha concluso Frosini - in una stagione
molto difficile in cui la squadra si salvò all’ultima giornata».
Non solo il sogno scudetto, negli anni
sono stati tanti i giovani formatisi in biancorosso. La lista, piuttosto lunga,
comprende alcuni come Nicolò Melli, Angelo Gigli, Federico Mussini, Giovanni
Pini, Riccardo Cervi, Momo Diouf. Negli anni 2000, nell’Italbasket del ct Carlo
Recalcati, giocavano quattro giocatori passati per Reggio Emilia: oltre a Basile
e Gigli, Marco Mordente e Giorgio Boscagin. E addirittura, nella stagione
2014-15, la Reggiana guidata da coach Max Menetti in panchina e Andrea
Cinciarini in campo, è stata l’unica società di serie A ad avere il minutaggio
degli italiani superiore a quello degli stranieri.
L’ultimo prospetto lanciato la passata
stagione è Momo Faye. «Sono arrivato a Reggio Emilia che conoscevo poco, solo
quello che mi hanno raccontato, soprattutto di come lavorano con i giovani per
farli crescere e diventare professionisti. Sono stato subito ben accolto, mi
sono adattato alla città ed alle persone. Tutti mi hanno aiutato con la scuola
e ad imparare l’italiano».
«Sulla storia del club ovviamente non
so tutto, ma mi sono informato il più possibile. Sono attratto dai tanti
giocatori famosi che hanno giocato a Reggio Emilia, come Amedeo Della Valle,
Achille Polonara, e questo mi trasmette le motivazioni di dare ancora di più.
Mi piacciono tanto i tifosi, che sono molto attaccati al basket, ed ogni sabato
o domenica vengono numerosi al palazzetto. Questo è fantastico, perché anche
quando ti incontrano in giro per la città - ha concluso Faye - ti dimostrano
tutto il loro affetto».
In questi 50 anni, comun denominatore
è stato il PalaBigi, il palazzo che ha visto la crescita e l’evoluzione della
società. «È il punto fermo dell’attività e dei tifosi - ha commentato Montecchi
-. Immagino che le proprietà che si sono succedute nel corso degli anni non
siano così d’accordo, perché con un impianto più grande si sarebbe potuto avere
un altro respiro. Però un palazzetto così, anche se vintage, acquisisce un
grande fascino».
«Il PalaBigi è un’istituzione, e anche
se ormai molto datato seppur ristrutturato ed ampliato, continua a svolgere
quel ruolo di fortino per la squadra - ha detto Frosini -. Rappresenta la
grande forza della società ma anche un limite, perché nel momento in cui siamo riusciti
ad arrivare a livelli altissimi giocandoci le finali scudetto, aver avuto
l’opportunità di giocare in un impianto con maggiore capacità avrebbe fatto sì
che l’evento fosse seguito da molte più persone».
«L’unica cosa che posso augurare alla
Reggiana, oltre ad altri cinquant’anni di attività - ha concluso Montecchi -, è
di riuscire in quel miracolo soltanto sfiorato di vincere almeno uno scudetto
che sarebbe un fiore all’occhiello per tutti i reggiani». Stesso pensiero anche
per Prandi, che c’ha tenuto a sottolineare come le «le proprietà che si sono
succedute siano state sempre reggiane. E quest’ultima con Veronica Bartoli è
illuminata per la nascente ‘Casa biancorossa’».
Italbasket,
la prima ufficiale al PalaBigi contro l’Islanda
Come omaggio per i 50 anni di storia
della Pallacanestro Reggiana, la Fip ha indicato come sede di gioco della
prossima partita dell’Italbasket proprio Reggio Emilia, a distanza di 24 anni
dall’ultima apparizione. Gli azzurri del ct Gianmarco Pozzecco sfideranno
l’Islanda al PalaBigi, lunedì 25 novembre 2024. Si tratta della quarta partita
del girone di qualificazione all’Eurobasket 2025. La nazionale ha già messo in
carniere due vittorie nella finestra dello scorso febbraio, con la Turchia per 87-80
a Pesaro, e in Ungheria per 62-83. Prima della gara di Reggio Emilia, gli
azzurri giocheranno in Islanda, a Reykjavík, il 22 novembre 2024. Al PalaBigi
si tratta della prima partita ufficiale della nazionale, che aveva disputato due
amichevoli in passato. Il 6 gennaio 1978, con la Turchia per la Coppa Decio
Scuri (107-77 per gli azzurri); e il 26 febbraio 2000, con la Francia, altra
vittoria per 69-65.
* per la rivista Basket Magazine