«La prima stesura la devi buttare giù col cuore. E poi scrivi con la testa. Il concetto chiave dello scrivere, è scrivere. Non è pensare» (cit. Scoprendo Forrester)
martedì 17 novembre 2020
Le interviste di Basket Timeout. Con Riccardo Pratesi
mercoledì 11 novembre 2020
Nel ricordo di Romano Piccolo, riviviamo un pezzo di storia di Caserta
Romano
ha giocare, poi allenato, infine organizzato l’attività della società che nel
1971 ha visto l’ingresso dell’imprenditore Giovanni Maggiò. Negli anni ‘70 si è
rivelato un autentico pioniere quando ha creato a Caserta anche la prima
squadra femminile. Era la Zinzi Basket, così denominata per via dello sponsor,
e partendo da zero, e dalla serie C, ha raggiunto la massima categoria in
appena cinque stagioni. Nel 1984, nel ruolo di general manager, ha ripetuto l’impresa
di raggiungere la serie A disputando il campionato con una squadra composta
interamente da juniores.
«Il mio rapporto con
Romano era intenso - ha dichiarato Teresa Antonucci, ex
giocatrice della Zinzi -, quasi familiare
per diversi intrecci anche extra cestistici. Non abbiamo mai smesso di
sentirci, ci telefonavamo regolarmente. Questo rapporto dal 1968, quando
insieme a tante bambine abbiamo iniziato il minibasket, non è mai finito.
Teneva molto al gruppo. Parecchie di noi sono state davvero cresciute da lui da
quando eravamo piccole fino all’adolescenza. Poi man mano il gruppo si è andato
sfoltendo e si sono aggiunge altre ragazze che anche grazie al suo saper fare
si sono subito inserite. Era molto abile nel coinvolgere. E poi era un
affabulatore, sapeva intrattenere con i suoi tanti racconti e aneddoti».
«Nel periodo in cui
allenava il basket femminile - ha ricordato Nando Gentile
- ha iniziato a giocare mia sorella Imma.
Lei è cresciuta grazie agli insegnamenti di Romano, e tante volte ci siamo
confrontati per capire cosa fosse meglio per la sua carriera. Per mia sorella è
stato anche un manager».
Tanti
progetti hanno portato il marchio di Romano Piccolo, che da grande appassionato
della pallacanestro seguiva qualsiasi cosa, dalla Nba alle minors, senza fare
alcuna distinzione ma sempre con l’occhio di chi vuol imparare qualcosa di
nuovo. E poi trasmetteva una passione che inesorabilmente ti contagiava.
Dopo
aver fondato la Juvecaserta, sempre insieme ai fratelli, ha dato vita alla
Little Basket, nome azzeccato visto che era la traduzione di Piccolo in
inglese. Praticamente la squadra di famiglia che ha disputato qualche
campionato di serie D e che è diventata punto di riferimento cittadino
dell’attività cestistica dopo il primo fallimento della Juvecaserta del 1998. I
figli Valerio e Gianluca hanno giocato e poi allenato, così come il nipote
Francesco che ha condiviso con lo zio Romano non solo la passione per il basket
ma anche quella per la scrittura, tanto da essere diventato un importante
scrittore e sceneggiatore vincitore del premio Strega e del David di Donatello.
Romano
è stata una persona poliedrica, ed ha vissuto l’ascesa della Juvecaserta, poi
diventata campione d’Italia nel 1991, in qualità di giornalista per la rivista
Superbasket diretta da Aldo Giordani che lo considerava “il decano dei miei collaboratori”. È stato anche dipendente e poi
proprietario di una concessionaria d’automobili, ma quello del giornalista è
stato un mestiere che ha ricoperto in maniera a dir poco perfetta. Conciliava
la conoscenza avanzata del gioco con la capacità di scrittura sopraffina. Per
questo ha scritto anche per diverse riviste e quotidiani sia locali che
nazionali. Ha inoltre pubblicato alcuni libri sulla storia della Juvecaserta
(ripubblicato in più edizioni) e soprattutto sulla città di Caserta che amava
alla follia. E per farlo ha studiato la storia, perché in qualsiasi aspetto
della vita credeva che solo conoscendo la storia si potevano affrontare i
problemi del presente.
«Romano era un
conoscitore del basket - ha commentato Nando Gentile -, e questo ha fatto sì che da giornalista
abbia scritto con dati soprattutto tecnici. Per tutta la sua vita è stato sul
campo, e la passione che aveva lo ha fatto essere innanzitutto un tifoso. E
questo gli ha permesso di svolgere il suo lavoro con grande amore».
Proprio
come una persona illuminata, Romano in qualità di dirigente ha preceduto i
tempi capendo che spesso è meglio unire le forze piuttosto che dividersi. E
così quando ha vissuto un momento di impasse con la Zinzi, allenando e
procacciando anche le risorse, ha deciso di fondersi con il Basket Vomero. E fu
in quel momento che si gettarono le basi della Phard che ha vinto prima l’EuroCup
nel 2004/05 e poi lo scudetto nel 2006/07. Era il 1997 ed insieme all’allora
presidente Gianfranco Gallo ha costituito una formazione egualmente composta da
giovanissime casertane e napoletane.
«Dopo aver fatto delle
splendide squadre, Romano stava vivendo una fase di stallo a Caserta -
ha dichiarato Gallo -. Io presi in
gestione il PalaVesuvio di Ponticelli e l’idea di fondere le due realtà gli è
piaciuta immediatamente. Disputava l’A2 a Caserta e trasferì tutta l’attività a
Napoli dove invece facevamo settore giovanile. Furono tre anni bellissimi, ma
il regalo che più di ogni altra cosa ci ha fatto è stato quello della cultura
cestistica che possedeva. Lui veniva dall’epopea della Juvecaserta con
allenatori quali Tanjevic e Marcelletti, con l’importanza data al settore
giovanile e quella mentalità del duro lavoro. Quella cultura l’ha portata a
Napoli, perché dopo i tre anni che Romano è stato con noi, la squadra fu
promossa in A1, vinse per la prima volta nella storia della città lo scudetto,
e abbiamo vinto altri tre scudetti giovanili. Quindi al femminile abbiamo
ripetuto quell’ascesa che ha vissuto Caserta al maschile, con le dovute
differenze, grazie soprattutto al seme che ha piantato lui. Questo è stato il
più grande regalo che Romano ha fatto alla città di Napoli - ha concluso
Gallo -, e che purtroppo per tante
difficoltà sia economiche che d’impiantistica non è riuscito a realizzare a
Caserta».
«Una volta organizzammo a Caserta un torneo juniores al quale fu invitata la squadra campione d’Italia di Milano. In finale - ha raccontato Teresa Antonucci - incontrammo proprio loro e vincemmo la partita di un punto grazie ad un ultimo tiro nato da una nostra azione classica. Il suo commento a fine gara fu che quel match era stata una partita a scacchi tra lui e l’allenatore milanese Zigo Vasojevic. Questa cosa ci fece ridere tutte».
Chi scrive è riuscito a vivere dei momenti particolari con “zio Romano”, come affettuosamente lo chiamavamo tutti noi dell’ambiente cestistico e non per quella capacità di metterti sempre a tuo agio nel parlare con lui, come se fosse uno di famiglia. Una fortuna poter sedere proprio di fianco a lui in tribuna stampa, al posto numero 28, per tutta la stagione 2016/17. E sue sono state più volte le dichiarazioni d’amore verso la Juvecaserta rilasciate alla rivista Basket Magazine e raccolte dal sottoscritto. Dichiarazioni come quella del novembre 2017, quando la società di Pezza delle Noci era fallita per la seconda volta nella propria storia. «Provo un dolore terrificante perché non è possibile ciò che è successo - aveva commentato Romano Piccolo -. Talmente che mi manca la squadra ho sognato di fare un sei al Superenalotto, così da comprare un titolo sportivo. Io mi ero offerto - aveva rivelato - per fare da collaboratore in maniera totalmente gratuita. Ma questa mia richiesta non ha mai ricevuto risposta». Il sottoscritto ha scambiato due parole con lui in occasione dell’11° Trofeo Irtet d’inizio ottobre svolto a Caserta, perché ancora oggi in città dove c’era la pallacanestro c’era anche Romano. E ci eravamo dati appuntamento per una chiacchierata con argomento piuttosto intuibile: «Chiamami il pomeriggio perché la mattina ho da fare». Arrivederci “zio Romano”.
Vuelle Pesaro. Il ritorno all'antico risveglia la passione
Repesa e Delfino possono rilanciare la Vuelle dopo le ultime sofferte annate
Il ritorno all'antico risveglia la passione
Un coach importante e un ex protagonista della Nba: Pesaro riscopre il fascino dei grandi nomi
di Giovanni Bocciero*
STAGIONI scarse di risultati, poche risorse economiche a disposizione, e un tifo caldo a sostenere quanto a criticare l’operato di squadra e società. Questa è Pesaro, piazza storica della pallacanestro italiana che quest’anno, nonostante l’emergenza Covid, ha deciso di rilanciarsi sul palcoscenico nazionale. E lo ha fatto calando due pezzi grossi, in panchina e sul campo: Jasmin Repesa e Carlos Delfino, nomi altisonanti che ricordano quelli a cui la città marchigiana era stata abituata per decenni, in un passato che oggi appare troppo remoto e il presente senza nulla in comune, come fosse un altro mondo.
Se il curriculum di Jasmin Repesa - preceduto dalla buona tradizione con il basket croato della VL da Aza Petrovic (fratello di Drazen, immenso campione Nba, scomparso prematuramente in un incidente stradale) e Pero Skansi - parla di 10 campionati e 10 trofei vinti tra Croazia, Italia e Turchia. Carlos Delfino chiama 9 anni di Nba, un oro e un bronzo olimpici, un oro e un argento ai campionati americani. Al coach che guidò la Fortitudo - eterna rivale dei pesaresi, e pure Carlito è un ex dell'Aquila, vedi il destino! - allo scudetto '05 è stato affidato il compito di risollevare le sorti della Vuelle, che ha vissuto le ultime otto annate in perenne apnea riuscendo a conservare la serie A spesso e volentieri solo all’ultima occasione utile.
«L’arrivo di Repesa può significare sicuramente una ripresa, ma per parlare di rilancio bisogna ancora aspettare - ha esordito il giornalista Massimo Carboni -. Questa ripresa è incominciata con il più grande acquisto che la Vuelle potesse fare, ovvero affidando il ruolo di coach a Repesa. Lui è uno di quegli allenatori sui quali si può fare un investimento sicuro, perché credo che fra le tante caratteristiche positive ne abbia due particolarmente importanti. La prima è che sa leggere le partite in maniera efficace, in quanto determina una tattica da perseguire anche e soprattutto in base ai giocatori che ha a disposizione. Non è un coach che chiede a un giocatore qualcosa che non riesce a fare, o che non sa fare, per limiti tecnici o caratteriali. Questa sua capacità di lettura - ha continuato l’ex inviato di Radio Rai - è notevole, ed è un punto assolutamente positivo perché sa cosa chiedere in base al materiale umano che ha a disposizione. L’altro punto è la grande capacità di saper lavorare sui giovani. Questa versione di Pesaro è un misto tra giocatori esperti e più giovani, e la gioventù è materiale sul quale Repesa sa lavorare meglio di chiunque altro suo collega. La ripresa credo che parta da questi due aspetti, e poi si potrà anche arrivare ad un vero e proprio rilancio».
«Il rilancio di Pesaro è
basato sul fatto che ha preso un grande allenatore quale è Repesa -
ha invece dichiarato coach Valerio Bianchini -. Nelle ultime stagioni la squadra ha sempre avuto tecnici modesti, che
non riuscivano ad influire sullo sviluppo della società. Il suo arrivo credo
che rappresenti un’evoluzione, perché non solo è un uomo di alta rappresentanza
nel mondo del basket, ma darà sicuramente un’impronta forte all’organizzazione,
come per la costruzione di una squadra degna della serie A, cosa che prima non
accadeva. Questa evoluzione naturalmente comporta che la società si sia
adeguata alle sue esigenze. Tutto ciò è molto positivo, e il pubblico
sopraffino di Pesaro - ha concluso il Vate -, che per anni è stato costretto a soffrire, finalmente adesso può
godersi una squadra in grado di competere con le altre».
L’ala
argentina Carlos Delfino, nonostante i suoi 38 anni e gli acciacchi fisici è stato il colpo del
mercato estivo. A lui si sono aggiunti altri giocatori d’esperienza come Ariel
Filloy o Tyler Cain, e scommesse interessanti quali Justin Robinson oltre ai
giovani da lanciare Henri Drell e Marko Filipovity.
«A Pesaro è cambiata l’aria questa estate, c’è un entusiasmo diverso - ha commentato la giornalista Camilla Cataldo - che non si respirava da molto tempo. Il paradosso è che chiaramente nessuno può entrare al palazzetto, e mi auguro che la situazione futura cambi in positivo. Questa è la pecca e la preoccupazione principale per l’annata più del risultato del campo perché ci sarebbe un buco di 500 mila euro che va coperto. La società non ha mai fatto il passo più lungo della gamba, e quest’anno ha provato ad alzare un po’ l’asticella. Si spera dunque che in qualche maniera si riesca a coprire questo investimento. Per quanto riguarda la squadra si è andati al di là di ogni aspettativa. Giocatori come Cain, Delfino o Filloy erano impensabili solo pochi mesi fa. È stata importante la volontà in estate di mantenere la categoria perché a giugno sembrava che si potesse fare un passo indietro, e invece i consorziati hanno voluto riprovarci tutti uniti e compatti. È stata una spinta grande, un valore aggiunto, un passo in più proprio del gruppo consorziato nel quale è scattato qualcosa che ha fatto la differenza. Da lì si è deciso di puntare su una figura come Repesa che - ha continuato la giornalista del Corriere Adriatico - è venuto a Pesaro accettando una sfida nuova nella sua carriera a livello sia di obiettivi che di risorse. Ha pesato l’amicizia con Ario Costa, ma non ha avuto pretese fuori dal budget della Vuelle, ed alla fine ha deciso di cavalcare questa avventura che l’ha visto firmare addirittura un contratto triennale. Repesa rappresenta la ciliegia sulla torta di questo progetto, e insieme hanno costruito una squadra che per qualità non era pensabile, con giocatori più conosciuti, che hanno già vinto, in controtendenza col recente passato in cui si puntava più sui rookie. Quest’anno si vuol provare a puntare a qualcosa di più di una salvezza risicata. Poi a detta di tutti, e anche secondo me, il livello medio del campionato si è alzato con tutte le squadre che si sono rinforzate rispetto ad un anno fa e con due retrocessioni i rischi sono maggiori. Quello che si è visto sin qui è un qualcosa di diverso, perché c’è una squadra vera, ci si diverte, si lotta e si vede una pallacanestro di livello. Anche il ritorno di Walter Magnifico, in questo senso, è un’operazione che è stata accolta favorevolmente dalla piazza - ha concluso Cataldo - e che ha rappresentato un riconciliarsi al cento per cento con i tifosi e ripartire tutti uniti in questa nuova avventura. Insomma gli ingredienti per fare bene ci sono davvero tutti».
I
successi degli scudetti ’88 e ’90, e prim’ancora la Coppa delle Coppe dell’83 e
la Coppa Italia dell’85, senza dimenticare l’ultimo trionfo della Coppa Italia
del ’92, sono soltanto un lontano ricordo per una piazza che, nelle parole
degli intervistati, ha dei tifosi con una grande peculiarità: l’essere fedeli, sempre
e comunque. «Chiamiamola passione,
chiamiamolo tifo caldo, ma la caratteristica principale della tifoseria
pesarese - ha sottolineato Carboni - è
la fedeltà. Quando arriva il risultato così come la stagione tribolata, con un
piede più in A2 che in A1, il pubblico è sempre lì. Ovvio che è anche
autorizzato ad arrabbiarsi quando le cose vanno male, quando la società non può
rispondere a quelle che sono le esigenze della piazza. Però è fedele, e questo
sta a significare che spinti dalla passione, dall’amore per la maglia, è sempre
presente e pronto ad incitare. Diciamo che il pubblico pesarese è come quella
moglie che perdona il marito quando rientra tardi a casa».
«Dati i miei trascorsi posso
solo immaginare l’umore della piazza. La partecipazione e la grande competenza
dei tifosi pesaresi è notoria, così come la loro personalità -
ha commentato Bianchini -, che
evidentemente sono capaci di esaltarti nel momento della vittoria e criticarti
in quello della sconfitta. Però restano sempre fedeli. Non dimentichiamoci che
Pesaro anche in queste ultime stagioni difficili, soprattutto l’anno scorso
quando non si vedeva una vittoria neppure a pagarla, ha sempre avuto almeno 4
mila spettatori. Si tratta di un pubblico che molte città invidierebbero».
«Pesaro è una piazza appassionata nel bene e nel male. I tifosi sono intenditori, non a caso si dice che in città ci siano 100 mila allenatori, quanto gli abitanti - ha ricordato Cataldo -, perché si mastica pallacanestro da una vita. Ancora si ricordano i tempi di Daye e Cook, e certamente sono stati abituati bene nonostante sia passato davvero tanto tempo. Quindi nel bene o nel male c’è sempre entusiasmo, con uno zoccolo duro sempre presente al palazzo, e quest’anno c’è stato questo evidente cambio di prospettiva garantito dall’arrivo di Repesa. È pur vero che si va molto dietro al risultato, ma la carica che c’è oggi non la si vedeva da molto tempo. Si è visto anche un bel modo di lavorare, con grande carica, e questo è una cosa che i tifosi poi riconoscono».
E proprio l’emergenza Covid, con l’ingresso solo parzialmente garantito nei palazzetti è un handicap non indifferente, che potrà avere ripercussioni soprattutto economiche. Non a caso mentre scriviamo la Vuelle, che può vedere vanificato il buon lavoro fatto in estate, sta pensando di giocare a Rimini per sfruttare l’ordinanza dell’Emilia-Romagna sulla maggiore percentuale d’ingresso degli spettatori.
«La Vuelle sa che il pubblico è ogni anno il principale sponsor della società, con circa 4-500 mila euro derivanti dagli spettatori - ha ricordato Camilla Cataldo -, e magari quest’anno si sarebbe potuto toccare il record degli abbonati almeno per gli ultimi anni. Non ci saremmo meravigliati se in alcune partite il palazzo si fosse riempito. Lo abbiamo visto proprio l’anno scorso durante la Coppa Italia, quando lo spettacolo era all’altezza, c’è stato il tutto esaurito per tutti i giorni della manifestazione. È stato un colpo d’occhio notevole che testimonia le potenzialità del bacino pesarese. La società non ha mai fatto passi più lunghi della gamba. Non hanno mai chiuso un bilancio in rosso. In qualche modo credo che sopperiranno, magari i consorziati si guarderanno intorno per cercare nuovi soci, o in tasca per ripianare il disavanzo. Ma ci si augura che in parte possa essere riaperto il palazzetto agli spettatori. Mi rendo conto che le difficoltà sono enormi - ha concluso Cataldo -, e si naviga davvero a vista».martedì 10 novembre 2020
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mercoledì 4 novembre 2020
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Le interviste di Basket Timeout. Con Sabrina Cinili
Intervista esclusiva a Sabrina Cinili, ala del Famila Schio, con la quale abbiamo discusso delle difficoltà nel giocare dovute al Coronavirus e della salute da preservare degli atleti in generale. Ripercorrendo alcune tappe fondamentali della sua carriera abbiamo parlato anche delle esperienze all'estero, delle motivazioni che la spingono a dare sempre il massimo, dello sviluppo del basket femminile e del suo sogno nel cassetto.