«La prima stesura la devi buttare giù col cuore. E poi scrivi con la testa. Il concetto chiave dello scrivere, è scrivere. Non è pensare» (cit. Scoprendo Forrester)
lunedì 19 dicembre 2022
Il Regno Unito per il basket: un bacino dal potenziale incredibile
La Ncaa a Londra, atmosfera, colori e storie
La Ncaa a Londra, atmosfera, colori e storie
Non è stata la sua innata bellezza, rappresentata da monumenti come il Big Ben o il Tower Bridge, oppure le luci natalizie che in questo periodo rendono ancora più magica Piccadilly Circus. Londra è stata meta di centinaia di tifosi ed appassionati della Ncaa, noi compresi, per l’evento del London Showcase organizzato dalla Basketball Hall of Fame di Springfield all’impianto della 02 Arena. Un ritorno in Europa e in particolare nel Regno Unito per il college basket a distanza di qualche anno, dopo le esibizioni di Belfast, e soprattutto dopo essersi messi quasi completamente alle spalle la pandemia. In campo domenica scorsa quattro università, antipasto con la sfida tra Maine e Marist e piatto forte rappresentato dall’incontro tra due grandi nobili come Michigan e Kentucky.
Non c’erano di certo manifesti e cartelloni pubblicitari a ricordare l’evento di pallacanestro londinese, così come ad esempio avviene a Roma per il Sei Nazioni di rugby per intenderci. E non è successo di imbatterci nelle squadre o in tifosi in giro per la città. Ma man mano che si avvicinava l’ora del big match tra Wildcats e Wolverines, bastava andare in metropolitana in direzione di North Greenwich per iniziare a scorgere qualche felpa di entrambe le fedi sotto al cappotto, o qualche accessorio come sciarpa e cappello che si mimetizzavano tra i vagoni spesso affollati.
Più ci si avvicinava all’arena e più l’area si faceva frizzante, come è logico che avvenga per ogni evento di cartello. Tanti i tifosi americani che si sono imbarcati nella trasferta transoceanica per non perdersi questo appuntamento, come due coppie in particolare. Liam, sfegatato tifoso Cats, e Maeve, con t-shirt sulla quale campeggiava la scritta Michigan e riempita da un pancione in dolce attesa. Oppure Karl e Maggie, entrambi provenienti dal Kentucky ma lui sostenitore della Big Blue Nation e lei parteggiate per gli acerrimi rivali dei Cardinals di Louisville. L’amore e qualche birra, alla fine, mette tutti d’accordo.
Una tifosa dei Wildcats a bordo campo si fa scattare una foto mentre Hunter Dickinson completa il riscaldamento |
I 20 mila posti della O2 Arena, ad onor del vero, non erano esauriti ma il calore non è mancato. Tant'è che il centro di Kentucky Oscar Tshiebwe nel post partita ha detto di essersi sentito come a casa. Nonostante l'importanza però, questo evento non era targato Nba, come ci ha ricordato Phil, un appassionato inglese che si è accomodato in tribuna con la sua bella casacca dei Sacramento Kings. Sul retro il nome di DeMarcus Cousins, giocatore che ci ha detto di amare alla follia e per questo, di riflesso, diventato un tifoso di Kentucky anche se non segue le vicende sportive della squadra in maniera continua. Tifa Duke l’amico Mark, anche lui di riflesso perché ama i Boston Celtics ed in particolare Jayson Tatum che proprio dall’università di Durham è uscito. Ma anche se in campo non c’erano i Blue Devils, a questo incontro non si poteva mancare.
Oh, e qui apriamo una piccola parentesi. Il buon Mark, insieme a Phil, non sono voluti mancare alla partita anche perché nell'impianto non mancano gli svaghi al termine dell'incontro. Più così come altri diversi locali di più o meno famose catene, bar, sale giochi, negozi di lusso e chi più ne ha più ne metta. E solo due giorni prima l’arena aveva ospitato un concerto. E dopo circa un’ora dalla sirena del match, il tempo di andare in conferenza stampa, gli addetti avevano già smontato metà parquet per preparare l’arena all’evento successivo. Siamo anni luce indietro.
Per onor di cronaca, perché non dobbiamo dimenticare che siamo stati lì particolarmente per veder giocare le squadre, nella prima gara Marist l’ha spuntata 62-61 su Maine che ha avuto due tiri consecutivi per vincerla. Kentucky ha invece battuto Michigan 73-69 dopo un match equilibrato con una folata per tempo. I ragazzi di coach Juwan Howard hanno provato la rimonta finale con un Hunter Dickinson (23 punti e 9 rimbalzi) che nel secondo tempo ha dominato sotto canestro. Ma i cinque giocatori in doppia cifra e soprattutto il computo dei rimbalzi da 46 a 33 ha premiato meritatamente i Wildcats di coach John Calipari.
E pace per Michael e Daniel, i fratelli di Ann Arbor arrivati a Londra per sostenere i Wolverines con tutto il loro affetto. Persino indossando due costumi da mucca con sopra le magliette della squadra a celebrare l’uno lo stesso Howard (no. 25) e l’altro l’indimenticato Trey Burke (no. 3) che nel 2013 trascinò Michigan fino alla finale per il titolo persa contro Louisville. Rispetto ad una classica gara di college mancavano le bande musicali e le cheerleader, ma il punteggio non ha mai condizionato l’atmosfera della partita con i tifosi sparsi un po’ a macchia di leopardo sulle tribune e pronti ad intonare i noti cori ‘Go Blue’ e ‘Big Blue Nation’.
L’atmosfera, gli spalti, le attività collaterali. E persino il viaggio di ritorno in metropolitana ha regalato un quadretto interessante. Seduti l’una di fronte all’altra due coppie di tifosi sui 60 anni circa. Quella di sinistra tifosa di Kentucky. Quella di destra parteggiante di Michigan. A rompere il ghiaccio la donna del Kentucky: “Una partita con meno di cinque punti di scarto è sempre una bella partita”, riferendosi agli ‘avversari’. “Absolutely”, la risposta secca dell’uomo del Michigan. E poi hanno continuato a chiacchierare della partita, della città, dell’odio comune per Michigan State che proprio in occasione dello scorso Champions Classic ha battuto i Wildcats, per finire a parlare delle proprie vite personali, come l’uomo del Kentucky che ha raccontato di aver lavorato per un periodo proprio ad Ann Arbor.
Scendendo dalla metropolitana, e chiudendosi le porte del vagone alle spalle, è terminata questa avventura a contatto, seppur per poche ore, con quell’ambiente del quale siamo follemente appassionati. “È stata un’esperienza incredibile e di crescita”, come detto all’unisono dai due allenatori, pronti a ritornare negli States per gettarsi a capofitto nel momento clou della stagione.
* per la testata BasketballNcaa.com
sabato 15 ottobre 2022
I campioni di Eurobasket: la 'familia' non tradisce
Smentito una volta di più chi parlava di Spagna più debole per l'assenza di tanti veterani
Seleccion inesauribile con Scariolo che porta gradualmente in condizione la squadra al massimo del rendimento e dell'autostima
di Giovanni Bocciero*
BERLINO - “È finito il ciclo vincente”. “Deve pensare solo a ricostruire”. Questi i commenti
che avevano anche delle verità come fondamenta. Eppure la Spagna è ritornata
sul tetto d’Europa nonostante fossero davvero in pochi a credere in una
vittoria degli iberici guidati da Sergio Scariolo. Il ct, che ha avuto la
benedizione in persona del vate Valerio Bianchini, del quale è stato assistente
ai tempi della Scavolini Pesaro, ha dimostrato ancora una volta quanto è
importante conoscere la propria squadra, e a maggior ragione conoscere gli
avversari. Dopotutto, se all’età di 29 anni guidi la tua squadra, quella stessa
Scavolini, a vincere lo scudetto, significa che di pallacanestro qualcosa ne devi
pur sempre capire. E Bianchini gli ha dato la sua benedizione proprio perché Scariolo
ha fatto conciliare in questo cammino europeo la pallacanestro tradizionale con
quella contemporanea, composta da un gioco collettivo che deve tenere ben
presente la tecnica quanto la tattica, tanto offensiva quanto difensiva,
puntando sulla transizione ed il tiro da tre punti che sono molto più
congeniali ai tempi d’oggi. Ma soprattutto, senza che le emozioni dominino sulle
vicende sportive, perché farsi prendere dal momento ed essere poco lucidi
costringono a prendere una decisione che il più delle volte non ti porta e
nemmeno ti avvicina all’obiettivo che chiunque abbia preso parte a questo
Eurobasket aveva: vincere.
Il ct Sergio Scariolo, al suo quarto Eurobasket vinto |
Naturalmente
non possiamo paragonare il successo della Spagna ad un impresa sportiva, perché
dopotutto c’è il palmares che parla. Per le ‘furie rosse’ di Scariolo (prima
coach dal 2009 al 2012 e poi di nuovo dal 2015) si tratta dell’ottava medaglia
conquista tra Europei, Mondiali ed Olimpiadi. Dunque, non possiamo che parlare
di lui e dei suoi giocatori come di una vera e propria dinastia, per la quale
nel corso degli anni pur se sono cambiati alcuni interpreti non si è modificata
la cultura del successo che li ha portati a trionfare di nuovo a Berlino. Senza
Ricky Rubio, senza il Chacho Rodriguez, senza l’ultimo infortunato Sergio
Llull, al posto del quale ormai in partenza per l’Eurobasket è stato richiamato
Alberto Diaz. Sì, proprio colui che è stato capace di mettere la museruola ad
un immarcabile Dennis Schroder nella semifinale vinta contro i padroni di casa
della Germania in una Mercedes Benz Arena stracolma con 16 mila spettatori, tanti
dei quali per lo più tedeschi molto rumorosi.
Ma
forse proprio da quella partita si possono estrapolare due lezioni molto
importanti. La prima è di natura algebrica ma cade a pennello in questa
circostanza. Ovvero, per la proprietà commutativa cambiando gli addendi non
cambia il risultato. Ebbene, cambiando i dodici del roster spagnolo non è
cambiato il risultato, perché la nazionale iberica si è ritrovata ad alzare il
trofeo continentale pur con sette esordienti, tra cui quel Lorenzo Brown
naturalizzato in una settimana e voluto fortemente dallo stesso Scariolo
proprio per mettere una toppa nel reparto dove avvertiva una carenza.
Burocrazia a parte, la scelta che pur aveva fatto storcere il naso ad un
senatore come Rudy Fernandez si è poi rivelata assolutamente decisiva. E quindi
siamo qui a celebrare l’ennesimo trionfo della Spagna, che dal 2009 in poi sotto
la guida del tecnico bresciano ha collezionato quattro ori europei (Polonia
2009, Lituania 2011, Francia 2015 e Germania 2022), un bronzo europeo (Turchia
2017), un oro mondiale (Cina 2019), un bronzo olimpico (Rio de Janeiro 2016) ed
un argento olimpico (Londra 2012). Arrivati a questo punto, con Juancho e Willy
Hernangomez rispettivamente di 26 e 28 anni, che da questa competizione hanno
definitivamente ricevuto le chiavi della squadra in mano; uno Xabi
Lopez-Arostegui di 25 anni che ha visto crescere il suo impiego e il suo ruolo;
un Usman Garuba di 20 anni capace di giocare non solo col fisico ma anche con
tecnica e letture, in attacco e in difesa; e poi con i vari Dario Brizuela (27
anni) sempre utile, Jaime Pradilla (21) e Jaime Fernandez (29) quasi sempre
partiti in quintetto così come Joel Parra (22) che sta studiando come i
fratelli Hernangomez quando c’erano ancora i fratelli Pau e Marc Gasol, questa
nazionale può soltanto aprire un nuovo ciclo con una nuova generazione di
campioni. Ma è una cosa normale, perché se lo sport ci insegna una cosa in
particolare, è che il tempo passa per tutti. Bisogna saperlo accettare e
guardare al futuro con rinnovata fiducia.
La
seconda lezione è di natura prettamente tattica, perché sempre l’allenatore
bresciano è stato capace di mettere dei granelli di sabbia nell’attacco
perfetto della Germania con quella incredibile difesa a zona mista, ormai una
rarità vederla applicata su di un parquet. Una ‘box and one’ con Diaz, sempre
quello richiamato all’ultimo proprio come il nostro Amedeo Tessitori, che si è
appiccicato a Schroder togliendolo dalla partita, facendolo diventare innocuo e
a tratti addirittura facendolo innervosire. Significa proprio questo conoscere
la propria squadra e sfruttarne le potenzialità, così come conoscere gli
avversari e bloccarne le migliori qualità. Poi è logico che se quel Diaz si
tuffa a terra sbucciandosi le ginocchia per recuperare il pallone a 2’ dalla
fine della finale, e poi chiude i conti della stessa partita a poco più di un
giro d’orologio dalla fine con una tripla che non è proprio la sua
caratteristica principale, allora sei l’uomo del destino. Che si è trovato al
posto giusto al momento giusto.
C’è
anche da dire che la Spagna è stata capace di crescere partita dopo partita,
perché ad inizio Eurobasket ha dimostrato di avere qualche fragilità. Ma è
stata in grado di saper uscire dalle difficoltà come un gruppo unito. Le ‘furie
rosse’ hanno vinto il proprio girone battendo nell’ultimo incontro la Turchia di
misura (72-69) dopo essere stati battuti addirittura dal Belgio (83-73). Trovando
la giusta quadra strada facendo, si sono sbarazzati prima della Lituania
(102-94) agli ottavi e poi della Finlandia (100-90) di un monumentale Markkanen
ai quarti. In semifinale, come già detto, è arrivata la vittoria in rimonta
contro la Germania, capovolgendo le sorti di una partita che sembrava quasi
compromessa (96-91). E poi naturalmente c’è stata la vittoria in finale contro
la Francia (88-76), dove l’insieme ha fatto nuovamente la differenza. I numeri
spesso, nella pallacanestro, non dicono tutto ma fotografano abbastanza bene la
situazione. E allora basta dire che gli spagnoli hanno costretto i transalpini ad
un 9/23 da tre con tiri spesso e volentieri contestati bene, e a perdere 19
palloni che sono stati prontamente convertiti in 33 punti. Un’enormità che però
ci permettono di ritornare alla disamina di Bianchini con la quale abbiamo
esordito. La Spagna è stata capace di adeguarsi all’avversario, al contesto,
alle situazioni, e poi la forza del gruppo e soprattutto quella classe operaia
che ha giocato anche scampoli di garbage time assolutamente non paragonabile,
ad esempio, al Theo Maledon che gioca in Nba o all’Amath M’Baye fresco di firma
con i campioni d’Eurolega dell’Efes, hanno contribuito a modo loro al resto.
Resta il fatto poi che una miglior finale dell’Eurobasket con a sfidarsi Spagna e Francia, forse, non la si poteva chiedere. E poco importa se tutti si aspettavano la Serbia di Nikola Jokic, la Slovenia di Luka Doncic o la Grecia di Giannis Antetokounmpo. La pallacanestro è e resta uno sport di squadra, nonostante tutti vorremmo vedere le cosiddette ‘stelle’ competere per la vittoria di un trofeo. Di fronte per la finalissima dell’Europeo si sono ritrovati i campioni del mondo ispanici ed i vicecampioni olimpici transalpini, a sottolineare che di meglio davvero non si poteva chiedere. La sostanza delle cose sta tutta lì. È il gruppo, la squadra, il sapersi dividere responsabilità e competenze che fa la differenza, e non il singolo, l’accentratore, colui che attira su di sé tutto ciò che c’è da poter attirare sul parquet che ti porta al successo.
Ed anche in questo, ancora una volta, Sergio Scariolo c’ha visto giusto. Perché tornando al simbolo di questa vittoria, ovvero il 28enne Alberto Diaz da Malaga, 188 cm che sembravano però molti di più sul rettangolo di gioco di Berlino, quando si è dovuto decidere chi avrebbe sostituito Llull, tutto o quasi faceva credere che sarebbe stato il baby prodigio del Real Madrid Juan Nunez. E invece nessuna decisione è stata migliore. Dopotutto all’indomani dell’infortunio del veterano blancos, proprio Scariolo scriveva sul suo profilo twitter che “continuiamo a lavorare, competere e migliorare. La familia non si è mai arresa, e di certo non lo farà adesso”. ‘La familia’, appunto, non la squadra, la nazionale, la selezione, ma la famiglia. Ed è proprio così che la Spagna ha affrontato questo Europeo, come una famiglia pronta a sudare, a correre, a lottare, a sacrificarsi insieme, nessuno escluso. Tutti a remare nella stessa direzione, con un unico obiettivo: vincere. Che poi era l’obiettivo di tutti, ma solo i più forti riescono a raggiungerlo. E non è detto che questi abbiamo il miglior giocatore in squadra.
mercoledì 21 settembre 2022
Eurobasket, il pagellone dell'Italia
L’Italia ha chiuso Eurobasket 2022 ancora una volta con un pugno di mosche in mano. E’ brutto dirlo, a maggior ragione dopo i tanti meriti e complimenti ricevuti per il doppio confronto contro Serbia e Francia. Ma purtroppo il risultato è sempre quello, come un anno fa quando proprio contro i francesi ci siamo giocati fino ad un minuto dalla fine la semifinale olimpica di Tokyo 2020. Proprio come all’Europeo 2015 quando contro la Lituania abbiamo avuto il possesso per accedere alla semifinale, prima di perdere al supplementare. Gira e rigira, la situazione è sempre la stessa, una Nazionale che riesce anche ad appassionare, ma che alla fine non riesce a centrare un risultato importante da tempo. Qualcuno potrà dire: ma come, e il preolimpico vinto lo scorso anno? Certo, nessuno si dimentica dell’impresa di Belgrado, ma non è stata di certo una medaglia da appendersi al collo.
L’Italia del ct Gianmarco Pozzecco non ha giocato un buon girone, e non solo per la sconfitta sanguinolenta contro l’Ucraina. Il gioco non è mai stato continuo, a tratti ha latitato, eppure ci si poteva aspettare di tutto. Un po’ come contro la Grecia dove ad un black out che poteva costare caro ha risposto con una reazione d’impeto, di voglia, di aggressività andando ad un passo da un’altra impresa, che avrebbe cambiato le sorti del piazzamento per gli ottavi di finale ma che proprio come a Belgrado non avrebbe consegnato nessuna medaglia da appendersi al collo. Perché poi, vuoi o non vuoi, sono i risultati quelli che contano, e purtroppo per l’Italbasket questi latitano da anni ormai. Ma quello che si è visto nelle due gare di Berlino è parecchio interessante. Dunque, aspettiamo prima di bollare tutto e tutti come già in parecchi stanno facendo.
Foto credit: pagina facebook Italbasket |
Simone Fontecchio 8,5: tutti lo indicheranno per i liberi sbagliati o l’appoggio che ci avrebbero potuto garantire la vittoria contro la Francia e la conseguente prosecuzione del cammino, ma è da un anno abbondante che l’ex Virtus ed Olimpia è l’Italia. Ha raggiunto un grado di maturazione tale che non ha paura di prendersi responsabilità, ed è anche per questo che gli Utah Jazz l’hanno portato dall’altra parte dell’oceano. Poche forzature, silente aspetta il momento giusto per colpire, e se non segna si rende utile con un assist o una buona difesa. E’ ancora incredibile da spiegare la parabola che ha avuto in due anni giocati all’estero.
Nicolò Melli 8: l’uomo che è stato capace prima di fermare Nikola Jokic, e poi Rudy Gobert. Gli è entrato sotto pelle ed ha realizzato due clinic difensivi che andrebbero mostrati ad ogni settore giovanile. Forse il giocatore meno sostituibile di chiunque altro in questa Nazionale, e quello che sa rispondere ‘presente’ meglio di chiunque altro. Perché se c’è da sacrificarsi e difendere, lui c’è. Perché se c’è da essere aggressivi ed attaccare, lui c’è. Perché se c’è bisogno di segnare un tiro pesante, lui c’è.
Gigi Datome 7: l’esperienza fatta persona. Per via del fisico e dell’età non gli si poteva chiedere di essere continuo per tutto l’arco della singola partita, e questo Pozzecco lo sapeva benissimo dopo lo scudetto vinto insieme appena pochi mesi fa. Ma il capitano è sempre il capitano, il fuoriclasse che segna quando gli altri non ci riescono, per un motivo o un altro. E poi quelle giocate di pura astuzia, come i rimbalzi scippati dalle mani degli avversari, o gli sfondamenti subiti ad interrompere i contropiede.
Marco Spissu 7: se c’è un giocatore che è letteralmente cambiato tra Milano e Berlino, questo è senz’altro lui. Nel girone si è spesso limitato a svolgere il compitino, quasi a non volersi prendere responsabilità. Poi contro la Serbia prima e la Francia poi ha liberato il folle che era in lui, assomigliando per caratteristiche tanto fisiche quanto caratteriali proprio al suo allenatore.
Pippo Ricci 6,5: di una utilità pazzesca, che non è certamente esule da errori, ma che s’impegna il doppio per rimediare. Senza paura si è preso tiri importanti che ha anche mandato a segno come fosse lì per fare solo quello. Ha battagliato, si è dimenato, ed ha sempre meritato lo spazio che gli è stato concesso.
Alessandro Pajola 6,5: il suo apporto alla fine è stato decisivo, perché se c’è qualcuno che può incidere fattivamente per le sorti di una partita pur senza segnare nemmeno un punto, questo è proprio lui. Quando si tratta di dover difendere, di dover sudare la maglia, non ha eguali, ed è proprio per questo che si è guadagnato lo spazio dopo aver iniziato in fondo alle rotazioni, lasciato nel dimenticatoio. Quando Pozzecco ha dovuto cercare e trovare nuove energie, non se l’è fatto dire due volte.
Achille Polonara 6,5: giocatore che forse appare meno di quanto realmente faccia, anche perché vive di troppi alti e bassi nella stessa partita. Quando riesce ad incidere offensivamente si carica anche difensivamente. Ma da lui ci si può aspettare di tutto, perché con quelle capacità e quel fisico può tutto. La tripla folle contro la Serbia è la sua personale fotografia di questo Eurobasket.
Stefano Tonut 6: la più grande incognita dell’avventura azzurra, perché per i mezzi che possiede ci si aspettava sicuramente di più in quanto ad apporto offensivo. Anche perché è stato uno dei pilastri di questa Nazionale per minutaggio. Però se non imbeccato, è riuscito davvero pochissime volte ad incidere.
Nico Mannion 6: una sufficienza per incoraggiarlo, perché è il futuro dell’Italia e perché evidentemente veniva da un anno poco felice. Ha però dimostrato di non perdere mai la fiducia in sé stesso, di provare ad essere aggressivo quando attaccava il ferro con continuità, e d’impegnarsi anche in difesa (memorabile la rubata per il vantaggio contro la Francia) che resta il suo tallone d’Achille.
Paul Biligha 6: alzi la mano chi non lo vorrebbe sempre nella sua squadra. Se c’è bisogno di aggressività, energia, durezza difensiva, non si può non ricorrere al gladiatore di Perugia. Non ha mai sfigurato quando chiamato in causa, per quelle che ovviamente sono le sue caratteristiche.
Tommaso Baldasso 6: aggregato al gruppo ha portato il suo apporto negli scampoli di minuti che gli sono stati concessi. Sempre pronto alla giocata, ma per lui niente più.
Amedeo Tessitori 6: ancor meno spazio per lui che è stato richiamato giusto in tempo per prendere il posto dell’infortunato Gallinari. La sua una sufficienza più per dirgli grazie comunque.
Gianmarco Pozzecco 6,5: la sua principale qualità è quella di coinvolgere tutti. Lo sapevamo, lo faceva da giocatore, lo fa adesso da allenatore. Parla con il suo staff continuamente e spesso ha ceduto la parola proprio ai collaboratori. Dopo un girone così così, a Berlino si è vista una squadra per nulla frenetica, anche quando c’era da inseguire, ma soprattutto capace di entrare sotto pelle agli avversari in difesa. Ecco, queste sono due cose interessanti che si spera possano essere approfondite in futuro. Il Poz però resta il Poz, e dunque l’istinto prevarrà sempre e comunque.
lunedì 29 agosto 2022
Eurobasket dietro l'angolo, le avversarie dell'Italia
Il girone C dell'Eurobasket 2022 è quello che riguarda l'Italbasket, perché si giocherà al Mediolanum Forum di Milano, impianto da oltre 12 mila posti che è stato bellissimo vedere strapieno in occasione delle ultime finali scudetto tra l’Olimpia e la Virtus. L’Italia se la dovrà vedere con Grecia, Estonia, Ucraina, Gran Bretagna e Croazia.
L’Ucraina dovrebbe avere i suoi migliori interpreti in Artem Pustovyi, Sviatoslav Mykhailiuk e Alex Len, ma non dovrebbero di certo far tremare l’Italia del ct Pozzecco, così come la giovane Estonia, che potrà contare sui veterani Sander Vene e Kristjan Kitsing intorno ai quali agiranno i vari Maik Kotsar, Henri Drell e Kristian Kullamae. La Gran Bretagna dell'ex Sassari Gabriel Olaseni dovrebbe essere la squadra cuscinetto di questo raggruppamento, e il fatto che il miglior giocatore Myles Hesson gioca in Giappone la dice piuttosto lunga.
Inutile dire che tutti gli appassionati aspettano la sfida che l’Italia avrà con la Grecia di Giannis Antetokounmpo. La stella Nba guiderà la squadra del ct Dimitrios Itoudis, che conterà su Nick Calathes, Tyler Dorsey, Georgios Papagiannis, Ioannis Papapetrou e Kostas Sloukas. La terza incomodo tra azzurri ed ellenici per il possibile primo posto in classifica sarà la Croazia, altra nazionale che ha pagato a caro prezzo le finestre Fiba venendo eliminata dalle qualificazioni alla World Cup 2023. Proprio per questo, forse, i croati del ct Damir Mulaomerovic cercheranno di rifarsi all’Europeo potendo contare sul trio composto da Bojan Bogdanovic, Ivica Zubac e Dario Saric, senza dimenticare Kruno Simon e Mario Hezonja. Ancora una ferita aperta la grande delusione che la Croazia ci ha regalato nel preolimpico di Torino del 2016. Dunque, nessuna distrazione e concentrazione per evitare qualsiasi passo falso.
Simone Fontecchio, foto credit Italbasket |
giovedì 23 giugno 2022
Basket serie A: le mie Finals 2022
Gara 2: Dopo un inizio terribile Shengelia trascina la Virtus
Gara 3: Finalmente Melli, e poi che Grant: Olimpia sul 2-1
Gara 4: Shields è un killer e azzanna la partita
Gara 5: Jaiteh inizia il lavoro, Belinelli lo completa
Gara 6: Datome scuce lo scudetto alla Virtus: sono 29 per l'Olimpia
Scudetto: Ettore come Charlie e il Vate: il ristretto club dei 3x3
venerdì 10 giugno 2022
Affari di famiglia. Da Luigi a Francesco Rapini, 80 anni di grande basket
Francesco e Andrea Rapini |
Italbasket, la lunga estate già caldissima
venerdì 20 maggio 2022
Serie A2. Giuri, bilancio di una vita da giocatore tranquillo
Affari di famiglia. Da Vincenzo ad Emiliano, Busca vuol dire basket
La famiglia Busca. In alto da destra, nonno Vincenzo, il figlio Emiliano, il nipote Sean e l'altro figlio Alessandro. In basso da destra i nipoti Nicole, Leonardo e Christopher |