Smentito una volta di più chi parlava di Spagna più debole per l'assenza di tanti veterani
Seleccion inesauribile con Scariolo che porta gradualmente in condizione la squadra al massimo del rendimento e dell'autostima
di Giovanni Bocciero*
BERLINO - “È finito il ciclo vincente”. “Deve pensare solo a ricostruire”. Questi i commenti
che avevano anche delle verità come fondamenta. Eppure la Spagna è ritornata
sul tetto d’Europa nonostante fossero davvero in pochi a credere in una
vittoria degli iberici guidati da Sergio Scariolo. Il ct, che ha avuto la
benedizione in persona del vate Valerio Bianchini, del quale è stato assistente
ai tempi della Scavolini Pesaro, ha dimostrato ancora una volta quanto è
importante conoscere la propria squadra, e a maggior ragione conoscere gli
avversari. Dopotutto, se all’età di 29 anni guidi la tua squadra, quella stessa
Scavolini, a vincere lo scudetto, significa che di pallacanestro qualcosa ne devi
pur sempre capire. E Bianchini gli ha dato la sua benedizione proprio perché Scariolo
ha fatto conciliare in questo cammino europeo la pallacanestro tradizionale con
quella contemporanea, composta da un gioco collettivo che deve tenere ben
presente la tecnica quanto la tattica, tanto offensiva quanto difensiva,
puntando sulla transizione ed il tiro da tre punti che sono molto più
congeniali ai tempi d’oggi. Ma soprattutto, senza che le emozioni dominino sulle
vicende sportive, perché farsi prendere dal momento ed essere poco lucidi
costringono a prendere una decisione che il più delle volte non ti porta e
nemmeno ti avvicina all’obiettivo che chiunque abbia preso parte a questo
Eurobasket aveva: vincere.
Il ct Sergio Scariolo, al suo quarto Eurobasket vinto |
Naturalmente
non possiamo paragonare il successo della Spagna ad un impresa sportiva, perché
dopotutto c’è il palmares che parla. Per le ‘furie rosse’ di Scariolo (prima
coach dal 2009 al 2012 e poi di nuovo dal 2015) si tratta dell’ottava medaglia
conquista tra Europei, Mondiali ed Olimpiadi. Dunque, non possiamo che parlare
di lui e dei suoi giocatori come di una vera e propria dinastia, per la quale
nel corso degli anni pur se sono cambiati alcuni interpreti non si è modificata
la cultura del successo che li ha portati a trionfare di nuovo a Berlino. Senza
Ricky Rubio, senza il Chacho Rodriguez, senza l’ultimo infortunato Sergio
Llull, al posto del quale ormai in partenza per l’Eurobasket è stato richiamato
Alberto Diaz. Sì, proprio colui che è stato capace di mettere la museruola ad
un immarcabile Dennis Schroder nella semifinale vinta contro i padroni di casa
della Germania in una Mercedes Benz Arena stracolma con 16 mila spettatori, tanti
dei quali per lo più tedeschi molto rumorosi.
Ma
forse proprio da quella partita si possono estrapolare due lezioni molto
importanti. La prima è di natura algebrica ma cade a pennello in questa
circostanza. Ovvero, per la proprietà commutativa cambiando gli addendi non
cambia il risultato. Ebbene, cambiando i dodici del roster spagnolo non è
cambiato il risultato, perché la nazionale iberica si è ritrovata ad alzare il
trofeo continentale pur con sette esordienti, tra cui quel Lorenzo Brown
naturalizzato in una settimana e voluto fortemente dallo stesso Scariolo
proprio per mettere una toppa nel reparto dove avvertiva una carenza.
Burocrazia a parte, la scelta che pur aveva fatto storcere il naso ad un
senatore come Rudy Fernandez si è poi rivelata assolutamente decisiva. E quindi
siamo qui a celebrare l’ennesimo trionfo della Spagna, che dal 2009 in poi sotto
la guida del tecnico bresciano ha collezionato quattro ori europei (Polonia
2009, Lituania 2011, Francia 2015 e Germania 2022), un bronzo europeo (Turchia
2017), un oro mondiale (Cina 2019), un bronzo olimpico (Rio de Janeiro 2016) ed
un argento olimpico (Londra 2012). Arrivati a questo punto, con Juancho e Willy
Hernangomez rispettivamente di 26 e 28 anni, che da questa competizione hanno
definitivamente ricevuto le chiavi della squadra in mano; uno Xabi
Lopez-Arostegui di 25 anni che ha visto crescere il suo impiego e il suo ruolo;
un Usman Garuba di 20 anni capace di giocare non solo col fisico ma anche con
tecnica e letture, in attacco e in difesa; e poi con i vari Dario Brizuela (27
anni) sempre utile, Jaime Pradilla (21) e Jaime Fernandez (29) quasi sempre
partiti in quintetto così come Joel Parra (22) che sta studiando come i
fratelli Hernangomez quando c’erano ancora i fratelli Pau e Marc Gasol, questa
nazionale può soltanto aprire un nuovo ciclo con una nuova generazione di
campioni. Ma è una cosa normale, perché se lo sport ci insegna una cosa in
particolare, è che il tempo passa per tutti. Bisogna saperlo accettare e
guardare al futuro con rinnovata fiducia.
La
seconda lezione è di natura prettamente tattica, perché sempre l’allenatore
bresciano è stato capace di mettere dei granelli di sabbia nell’attacco
perfetto della Germania con quella incredibile difesa a zona mista, ormai una
rarità vederla applicata su di un parquet. Una ‘box and one’ con Diaz, sempre
quello richiamato all’ultimo proprio come il nostro Amedeo Tessitori, che si è
appiccicato a Schroder togliendolo dalla partita, facendolo diventare innocuo e
a tratti addirittura facendolo innervosire. Significa proprio questo conoscere
la propria squadra e sfruttarne le potenzialità, così come conoscere gli
avversari e bloccarne le migliori qualità. Poi è logico che se quel Diaz si
tuffa a terra sbucciandosi le ginocchia per recuperare il pallone a 2’ dalla
fine della finale, e poi chiude i conti della stessa partita a poco più di un
giro d’orologio dalla fine con una tripla che non è proprio la sua
caratteristica principale, allora sei l’uomo del destino. Che si è trovato al
posto giusto al momento giusto.
C’è
anche da dire che la Spagna è stata capace di crescere partita dopo partita,
perché ad inizio Eurobasket ha dimostrato di avere qualche fragilità. Ma è
stata in grado di saper uscire dalle difficoltà come un gruppo unito. Le ‘furie
rosse’ hanno vinto il proprio girone battendo nell’ultimo incontro la Turchia di
misura (72-69) dopo essere stati battuti addirittura dal Belgio (83-73). Trovando
la giusta quadra strada facendo, si sono sbarazzati prima della Lituania
(102-94) agli ottavi e poi della Finlandia (100-90) di un monumentale Markkanen
ai quarti. In semifinale, come già detto, è arrivata la vittoria in rimonta
contro la Germania, capovolgendo le sorti di una partita che sembrava quasi
compromessa (96-91). E poi naturalmente c’è stata la vittoria in finale contro
la Francia (88-76), dove l’insieme ha fatto nuovamente la differenza. I numeri
spesso, nella pallacanestro, non dicono tutto ma fotografano abbastanza bene la
situazione. E allora basta dire che gli spagnoli hanno costretto i transalpini ad
un 9/23 da tre con tiri spesso e volentieri contestati bene, e a perdere 19
palloni che sono stati prontamente convertiti in 33 punti. Un’enormità che però
ci permettono di ritornare alla disamina di Bianchini con la quale abbiamo
esordito. La Spagna è stata capace di adeguarsi all’avversario, al contesto,
alle situazioni, e poi la forza del gruppo e soprattutto quella classe operaia
che ha giocato anche scampoli di garbage time assolutamente non paragonabile,
ad esempio, al Theo Maledon che gioca in Nba o all’Amath M’Baye fresco di firma
con i campioni d’Eurolega dell’Efes, hanno contribuito a modo loro al resto.
Resta il fatto poi che una miglior finale dell’Eurobasket con a sfidarsi Spagna e Francia, forse, non la si poteva chiedere. E poco importa se tutti si aspettavano la Serbia di Nikola Jokic, la Slovenia di Luka Doncic o la Grecia di Giannis Antetokounmpo. La pallacanestro è e resta uno sport di squadra, nonostante tutti vorremmo vedere le cosiddette ‘stelle’ competere per la vittoria di un trofeo. Di fronte per la finalissima dell’Europeo si sono ritrovati i campioni del mondo ispanici ed i vicecampioni olimpici transalpini, a sottolineare che di meglio davvero non si poteva chiedere. La sostanza delle cose sta tutta lì. È il gruppo, la squadra, il sapersi dividere responsabilità e competenze che fa la differenza, e non il singolo, l’accentratore, colui che attira su di sé tutto ciò che c’è da poter attirare sul parquet che ti porta al successo.
Ed anche in questo, ancora una volta, Sergio Scariolo c’ha visto giusto. Perché tornando al simbolo di questa vittoria, ovvero il 28enne Alberto Diaz da Malaga, 188 cm che sembravano però molti di più sul rettangolo di gioco di Berlino, quando si è dovuto decidere chi avrebbe sostituito Llull, tutto o quasi faceva credere che sarebbe stato il baby prodigio del Real Madrid Juan Nunez. E invece nessuna decisione è stata migliore. Dopotutto all’indomani dell’infortunio del veterano blancos, proprio Scariolo scriveva sul suo profilo twitter che “continuiamo a lavorare, competere e migliorare. La familia non si è mai arresa, e di certo non lo farà adesso”. ‘La familia’, appunto, non la squadra, la nazionale, la selezione, ma la famiglia. Ed è proprio così che la Spagna ha affrontato questo Europeo, come una famiglia pronta a sudare, a correre, a lottare, a sacrificarsi insieme, nessuno escluso. Tutti a remare nella stessa direzione, con un unico obiettivo: vincere. Che poi era l’obiettivo di tutti, ma solo i più forti riescono a raggiungerlo. E non è detto che questi abbiamo il miglior giocatore in squadra.
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