venerdì 26 luglio 2024

Wembanyama, un fenomeno sulla grande scena dei Giochi

A Parigi tutte le attenzioni saranno su di lui, il gigante nato a due passi da Versailles che ha subito conquistato la Nba. All'unanimità rookie dell'anno, ha sorpreso tutti per l'armonia e la fluidità del gioco, insoliti per un ragazzo di 2,24.

Wembanyama, un fenomeno sulla grande scena dei Giochi

Il prodigio francese non ha deluso le aspettative e ora affronta il suo primo grande appuntamento, con la Francia che vuol sfidare gli Stati Uniti. Un bel banco di prova per capire sin dove si può spingere Victor che, per coach Popovich, «è molto più dotato di quanto lui stesso si immagina».


di Giovanni Bocciero*


Un giocatore dalle particolari caratteristiche si fa presto ad etichettarlo quale ‘unicorno’. Ma se in giro iniziano ad essercene troppe di queste creature leggendarie, è logico pensare che dopotutto così uniche non debbano essere. Forse è semplicemente il dato momento storico che permette la proliferazione di cestisti che, cresciuti secondo un’impostazione ben precisa, vengono fuori con delle peculiari capacità tecniche.

Poi però ammiri Victor Wembanyama, e a questo punto bisogna ristabilire qualsiasi tipo di categoria. Definirlo ‘unicorno’ è riduttivo, perché non c’è altro cestista che gli possa essere equiparato. In nessun caso. L’unicorno è oramai un termine diventato inflazionato nella pallacanestro, perché quel tipo di giocatore non rappresenta più un’eccezione ma un animale esotico in una fauna di normalità.

Nato a dieci minuti dalla Reggia di Versailles, in una città che conta poco meno di 30mila abitanti chiamata Le Chesnay, il fenomenale francese i geni dell’atleta li ha ereditati dai genitori. Papà Felix ex triplista di origini congolesi, nato in Belgio ma naturalizzato francese; mamma Elodie de Fautereau ex giocatrice di pallacanestro e oggi allenatrice. Entrambi alti circa 1,90 metro, hanno avuto tre figli, tutti cestisti, ma è il secondogenito che si appresta ad avere una carriera luminosissima. «Ho potuto scegliere se giocare a basket - ha detto Victor -, ma è sempre stato intorno a me e non l’ho potuto evitare».

Victor Wembanyama, 20 anni, punta di diamante
dell'emergente generazione dorata francese

Semplicemente madre natura. Con l’eccezionale altezza e la disarmante mobilità, Wembanyama ha attirato l’attenzione di allenatori e osservatori quando non era ancora un adolescente. Da bambino ha sperimentato diverse discipline. Prima ha giocato a calcio, da portiere, poi ha praticato lo judo. Fatto sta che quando arriva alla pallacanestro è semplicemente portato per questo gioco. A 10 anni è alto 1,80, e arrivano i primi osservatori per vederlo nelle giovanili del Nanterre.

A 14 anni il Barcellona tenta di accaparrarselo, facendo indossare a quel grattacielo, diventato nel frattempo 2,10, la maglia blaugrana per un torneo. Oltre all’altezza ed alla mobilità «sono rimasto colpito dalle sue mani. Pensavo che avrebbe avuto difficoltà - ha ricordato Carlos Flores, l’allenatore di quella squadra -, ma quando ha avuto il pallone in mano ci ha lasciato senza parole: era grazia e talento». Nonostante l’insistenza dei catalani, la famiglia ha preferito veder crescere Victor vicino casa.

Fenomeno mediatico. Wembanyama si è mostrato al mondo nel 2020, grazie al video in cui sfida Rudy Gobert diventato poi virale. Appena 16enne possedeva una disarmante naturalezza nel mettere palla a terra e un tiro più che fluido. L’anno successivo è al Mondiale under 19, e la sfida con Chet Holmgren ha già una cassa di risonanza globale. La Francia è d’argento, ma Victor ha lasciato il segno.

Il grande interesse intorno al prodigio francese ha indotto la Nba a trasmettere tutte le partite del campionato 2022/23 del Metropolitans. Una decisione per preparare il pubblico statunitense al draft che lo avrebbe visto essere la prima scelta assoluta, il secondo europeo dopo Andrea Bargnani. Terzo lo è diventato poche settimane fa l’altro francese Zaccharie Risacher, seguito dal connazionale di 2,13 metri Alex Sarr dalle spiccate doti da all-around. Giusto per comprendere la fucina di talenti d’oltralpe.

Prim’ancora del draft c’è stata la tournée a Las Vegas del club alla periferia di Parigi, fallito a un solo anno dall’addio di Victor. Lo scopo era far affrontare, con le rispettive squadre, il francese e Scott Henderson, il giovane talento americano sfidante alla scelta numero uno. E in termini pugilistici, quasi ad imitare Muhammad Ali, Wemby aveva detto che l’avversario «avrebbe meritato di essere la prima scelta, se io non fossi nato».

Alla corte dei santoni. Il suo trasferimento al Metropolitans è stato dettato dalla volontà, forte, di essere allenato da Vincent Collet, ct part time della Francia. Con lui ha esordito in nazionale maggiore nella finestra Fiba dell’autunno 2022, segnando 20 punti contro la Repubblica Ceca. Per non pregiudicarsi alcunché nella prima ed attesissima stagione Nba, ha saltato i Mondiali della scorsa estate. Ad aspettarlo a San Antonio ha trovato un altro santone come Gregg Popovich, che con molta probabilità ha posticipato il suo ritiro solo e soltanto per poter allenare il prospetto generazionale.

Dopo 71 gare giocate da ‘pro’, secondo l’allenatore degli Spurs il ventenne ha tutto per diventare il migliore giocatore di sempre. Questo perché «è competitivo, vuole vincere, è molto talentuoso». Ma soprattutto ha aggiunto, alzando se possibile ancor di più l’asticella e aumentando la pressione, che «è molto più dotato di quanto lui stesso si immagina».

Un esordio immaginifico. Nonostante il campionato sia stato negativo per la squadra, arrivata penultima nella Western Conference con 22 vittorie e 60 sconfitte, Victor non ha deluso le attese. Negli Stati Uniti si è parlato di una delle migliori stagioni di sempre per un rookie. Le prestazioni esaltanti non sono mancate, dal career high da 40 punti nella vittoria al supplementare contro New York, al 5x5 nella sconfitta contro i Lakers da 27 punti, 10 rimbalzi, 8 assist, 5 stoppate e 5 rubate; alle due triple doppie da 16 punti, 12 rimbalzi e 10 assist a Detroit, e da 27 punti, 14 rimbalzi e 10 stoppate a Toronto.

Ha fatto registrare 43 doppie doppie, 11 partite da 30 o più punti, e soltanto 3 volte non è andato in doppia cifra. Fa impallidire che soltanto Kareem Abdul-Jabbar, nel lontanissimo campionato 1975/76, abbia prodotto un’annata con numeri migliori in ogni categoria statistica. In un anno Wembanyama ha collezionato oltre 1500 punti, 250 stoppate e 100 triple, riscrivendo la storia della Nba. Ma questo è anche un segno inconfondibile della sua autentica tridimensionalità sui 28x15.

Non stupisce che abbia vinto il premio di Rookie dell’anno all’unanimità, nominato primo da tutti i novantanove votanti tra giornalisti ed esperti. Per continuare a strabuzzarsi gli occhi, c’è da sapere che è diventato, sempre nella lega d’oltreoceano, il giocatore più giovane a registrare una partita da 20 punti e 20 rimbalzi (19 anni e 338 giorni); e il giocatore più giovane di sempre a realizzare una tripla doppia senza palle perse (20 anni e 6 giorni).

Definirlo secondo i canonici ruoli della pallacanestro è assolutamente impossibile. Sono le parole dei campioni, suoi avversari in campo, che ne danno una reale dimensione. LeBron James lo ha chiamato ‘alieno’; per Stephen Curry «è un giocatore da videogame», perché certe cose si possono fare solo nella realtà virtuale e per questo può cambiare il gioco come è stato inteso sino ad oggi. Antetokounmpo ne ha invece parlato come di un «giocatore irripetibile».

Talenti fuori dal campo. Ama i Lego e disegnare. «Si tratta di attività salutari - ha spiegato Victor -, che richiedono precisione, combinando il lavoro delle mani e del cervello. Mi rilassano e mi permettono di pensare». Passatempi che ha coltivato con i genitori. «Fin da piccolissimo mi sono cimentato a disegnare perché mia madre studiava architettura. Un giorno mi ci dedicherò per davvero, ho in mente una storia che disegnerò. Il mio primo Lego è stato un’astronave, per questo sono un appassionato di Star Wars da quando avevo quattro anni. Ho guardato tutti i film con mio padre».

Obiettivo Parigi. Le sue capacità le potremo ammirare anche alle Olimpiadi, che praticamente si giocano a pochi passi da casa sua. «Fare bene sarebbe una grande storia - ha dichiarato il ventenne -, e non c’è altro obiettivo che l’oro». Inutile dire che anche sul palcoscenico dei Giochi attirerà la massima attenzione. Soprattutto, bisognerà capire come si presenterà. Sembra infatti che abbia utilizzato questo periodo di off season per mettere su massa muscolare. Ovviamente è un processo delicato, perché con il fisico che si ritrova non può comunque esagerare.

Nella seppur ancora breve carriera si è dimostrato tutto il contrario di fragile. Al di là delle gare di assenza concordate spesso e volentieri con la stessa franchigia, ha sopportato molto bene lo stress della prima stagione Nba. A Parigi se la dovrà vedere con avversari del suo calibro, e almeno un paio li ha nella sua stessa nazionale. Con Gobert, votato miglior difensore della lega statunitense, oscura la vallata formando praticamente una diga invalicabile. Al netto delle possibili scelte dell’ultimo minuto, non sono da meno neppure il solido Vincent Poirier oppure il grintoso Mathias Lessort.

Con gli Stati Uniti si riproporrebbero i duelli già visti nel corso della stagione con Joel Embiid, Anthony Davis e Bam Adebayo, così come con Nikola Jokic se affronterà la Serbia. Da quest’ultimo ha ancora tutto da imparare, per mentalità e approccio. Con Embiid, che avrebbe potuto giocare proprio con la Francia, non sono mancate delle scintille in occasione degli ultimi confronti. Mancherà invece il duello con Paolo Banchero, altra stella emergente che conosciamo piuttosto bene e che non è stato convocato dal ‘dream team’.

Profilo

Nato il 4 gennaio del 2004, Wembanyama (2,24 metri per 95 kg) è stato precoce per via della sua incredibile altezza. Con Nanterre ha esordito a 15 anni in Eurocup contro Brescia, e l’anno dopo è stato nominato per il miglior quintetto dell’Eurolega Nexg Gen di Kaunas. Nell’estate del 2021 è passato all’Asvel Villeurbanne, si è misurato con il livello Eurolega ed è diventato campione di Francia, ma l’anno successivo ha preferito trasferirsi al Metropolitans. Non ha vinto il titolo ma è stato nominato comunque Mvp del campionato, oltre ad aggiudicarsi per il terzo anno di fila il premio di miglior giovane della Lnb. Ha vinto anche un premio di Mvp dell’All Star Game francese nel 2022.

Statistiche

Wembanyama detiene la media più alta di 5.7 stoppate a gara in una competizione Fiba, realizzata al Mondiale under 19 del 2021. Nella tournée a Las Vegas nell’ottobre del 2022 ha disputato una serie di amichevoli con la casacca del Metropolitans, facendo registrare le medie di 36.5 punti, 7.5 rimbalzi e 4 stoppate. Ha concluso la sua prima stagione Nba con i San Antonio Spurs viaggiando a 21.4 punti, 10.6 rimbalzi, 3.9 assist, 3.6 stoppate e 1.2 recuperi in 29.7 minuti, venendo votato all’unanimità Rookie dell’anno. Con 254 stoppate è risultato il miglior stoppatore della lega, e si è classificato secondo per il premio di Difensore dell’anno.


per la rivista Basket Magazine

lunedì 8 luglio 2024

Italbasket - "Parigi val bene una messa", non per il nostro sistema

L'Italbasket era aggrappata al Preolimpico di San Juan per dare un senso all'estate 2024, così da partecipare alle Olimpiadi che tra poche settimane scatteranno a Parigi. Bissare l'impresa di tre anni fa a Belgrado si presentava comunque già difficile, a maggior ragione con le assenze dei vari Fontecchio, Procida, Spagnolo. Non nascondiamoci dietro un dito, perché chi oggi urla "vergogna" per l'eliminazione, volendo fare paragoni con l'italico calcio, è anche chi mestamente ipotizzava "ma che andiamo a fare" a causa degli infortuni appena menzionati. Quindi, in un qualche modo gli azzurri non hanno fatto e neppure perso nulla.

Certo, la speranza è sempre l'ultima a morire. E certo, nonostante il successo di Madrid e quello all'esordio con il Bahrain, contro Portorico prima e Lituania poi non abbiamo avuto lo stesso atteggiamento subendo gli avversari. Ne avevano di più, senza alcun dubbio, sia tecnicamente che fisicamente che mentalmente. Ma siamo questi, oggi più di ieri. Quindi val la pena puntare il dito contro il ct Pozzecco, o contro il presidente federale Petrucci? Secondo me no, se non per una bieca rivalsa personale. Non confondiamo, gli errori sono stati commessi. Il Poz ha dimostrato nell'arco di questi anni di essere coerente con la sua filosofia, portando avanti il processo di svecchiamento già attuato dal predecessore Sacchetti, e di badare alla creazione di un gruppo vero. Rinunciando anche al passaportato, da Thompson a DiVincenzo, per i quali oltre a difficoltà burocratiche sembra non ci sia mai stato l'affondo concreto.

Ma pur di prendersi il trono della Francia, visto che siamo in tema, Enrico IV rinunciò alla religione protestante convertendosi al cattolicesimo con la storica espressione "Parigi val bene una messa". Divenuta un modo di dire popolare per i francesi, simboleggia il sacrificio per ottenere qualcosa di più importante. In poche parole, una versione d'oltralpe de "il fine giustifica i mezzi" di machiavellismo memoria.

E allora se lo scopo era la qualificazione alle Olimpiadi 2024, come abbiamo già scritto al momento della long list delle convocazioni, un appunto che si può fare al ct è ad esempio la rinuncia scientifica a Della Valle. Tra i migliori italiani della nostra serie A, ormai da anni, avrebbe fatto comodo in quei frangenti o periodi più lunghi di rottura prolungata in attacco. Di evidente siccità offensiva che con l'assenza di Fontecchio era più che prevedibile. Prevedibile perché siamo questi, appunto.

Ed ha ragione Messina quando dice che "è quello che fanno i club per 11 mesi che fa il bene della nazionale", in riferimento alla crescita di Tonut che di certo non dipende dal mese all'anno trascorso in maglia azzurra. Ma al coach di Milano bisognerebbe anche ricordare che nella sfida da dentro o fuori con la Lituania, ad un certo punto l'Italia pendeva dalle labbra di Ricci, autore di due triple che hanno cercato di tenerla a contatto. Eppure l'ala nella decisiva gara 4 per lo scudetto ha collezionato un n.e., così come Bortolani al pari di Caruso. E potremmo ricordare Alviti fino allo scorso anno.

Quindi la soluzione è puntare il dito contro Pozzecco, che con tutti i suoi difetti lavora comunque con il materiale umano a disposizione? Basta puntare il dito contro Petrucci, invocando che la federazione metta regole per far giocare gli italiani? Oppure bisognerebbe che tutti, compreso i citati, prendessimo davvero a cuore la causa della nazionale, a partire dai club? Ci troviamo a dover ancora celebrare Belinelli e Aradori quali Mvp dei campionati di serie A e A2, che oggettivamente appartengono al passato dell'Italbasket.

Il sistema che non permette ai giovani italiani di giocare, di sbagliare, di esprimersi se non con i paletti imposti dall'alto, è poi pronto a salire sul carro dell'Under 17 che ha appena vinto una straordinaria medaglia d'argento al Mondiale di categoria. Ci si riempie la bocca arrogandosi i meriti, che di sicuro ci sono, ma dimenticando un'altra generazione. Quell'Under 19 che nel 2017 conquistò un altro argento mondiale. Di quel roster facevano parte Pajola, Caruso e Visconti, Denegri del quale ci si è accorti soltanto quest'anno, Bucarelli relegato in A2 nonostante di lui si parlasse come prospetto internazionale, e poi Mezzanotte, Penna, Simioni, Oxilia, Antelli, Massone che vivacchiano nelle loro squadre senza avere la fiducia necessaria per essere protagonisti. Oltre allo sfortunato David Okeke.

Certamente non tutti possono essere campioni e arrivare in nazionale maggiore, anche perché l'imbuto si restringe sempre di più a quel livello. Però quello che evidentemente manca è la predisposizione a crederci. A puntarci. A volerci investire. E allora ci si focalizza sulla semplice partita invece di guardare il quadro nel suo insieme. Nella sua complessità. La nazionale rappresenta soltanto la punta dell'iceberg di tutto il movimento, ma comprendo che spesso è più semplice dire che ha sbagliato l'allenatore oppure quel giocatore.

Non fraintendiamoci però, perché magari leggendo di fretta si potrebbe dire che preferiamo fare di necessità virtù. Assolutamente no, perché la convocazione di Della Valle dovrebbe essere ponderata, voluta, e non solo il classico tappabuchi perché manca all'appello Fontecchio. Questo però potrà essere soltanto il riflesso di una larga base di giocatori dalla quale poter pescare. E invece siamo questi. Sempre e comunque. Oggi più di ieri. Sperando nel domani. Anche se ci troviamo a dire più o meno le stesse cose, che presto andranno nel dimenticatoio. Fino alla prossima sconfitta decisiva, contro la Lituania o chi per essa.

Giovanni Bocciero