giovedì 17 dicembre 2020

Serie B. La Sebastiani è tornata e con Ndoja e Righetti punta a crescere in fretta

Il campionato cadetto si arricchisce e a Rieti risveglia antichi ricordi e nuovi entusiasmi

La Sebastiani è tornata e con Ndoja e Righetti punta a crescere in fretta

Progetto ambizioso e senza badare a spese quello di Roberto Pietropaoli che ha rilevato il titolo di Valmontone: «Voglio subito la A2»


di Giovanni Bocciero*


È RITORNATO sul panorama cestistico nazionale un nome che ha fatto la storia della pallacanestro italiana: Sebastiani. A Rieti di certo non manca il basket visto che in A2 vi gioca la NPC, ma da quest’anno gli appassionati reatini potranno tornare anche a seguire una formazione in serie B che dalla denominazione ricorda la lunga tradizione cittadina, con la disputa di due semifinali scudetto e la vittoria di una Coppa Korac a fine anni ‘70.

La Real Sebastiani Rieti (che grazie al benestare della famiglia Di Fazi ha ottenuto l’autorizzazione per l’utilizzo del nome) è nata dalla volontà di Roberto Pietropaoli, fino a pochi mesi fa patron della compagine di calcio a 5. Attività cessata a causa del sequestro del palasport dove disputava le partite casalinghe. Oggi il basket, perché? «La pallacanestro è stata la mia vita - ha esordito Pietropaoli -, perché quando ero giovane ho addirittura fatto le radiocronache delle partite della Sebastiani. In realtà è strano che avessi fatto il futsal». La nuova società che ha grandi ambizioni ha iniziato con l’acquisto di un titolo. «Rieti ha rilevato il titolo sportivo di Valmontone, dove ero diesse da qualche stagione - ha dichiarato Paolo Moretti (Aggiornamento: il diesse Moretti ha rescisso il contratto l'1 dicembre scorso ed al suo posto è stato ingaggiato Domenico Zampolini nelle vesti di general manager) -, e sono stato travolto dal vulcanico patron che mi ha voluto per questo nuovo corso».

«Il progetto nasce per arrivare in serie A - ha chiarito Pietropaoli -, dove merita di stare la Sebastiani. La massima categoria è un impegno economico enorme per la nostra città, ma l’idea è quella di ritornarci e anche di ben figurare per la storia e i risultati raggiunti nel passato. È chiaro che oggi sono tempi diversi, ma credo che una discreta A1 a Rieti si possa fare». Le fondamenta del progetto vedono alcuni imprenditori romani affiancare Pietropaoli. «Sono un commercialista, e chi oggi mi dà una mano sono miei clienti. Gran parte del sacrificio economico lo faccio io - ha continuato il patron -, ma per il loro aiuto non posso che ringraziarli».

Roberto Pietropaoli (foto ufficio stampa Real Sebastiani) 

La nascita di questa nuova realtà ha comunque creato un dualismo con il club già presente in città ed operante dal 2011. Una convivenza che riguarda in particolar modo l’utilizzo del PalaSojourner. «Il palasport è chiuso per lavori di ristrutturazione, ma contemporaneamente è stato emanato un bando per la gestione - ha raccontato il diesse Moretti - che è stato vinto dalla NPC. Noi chiediamo di giocare in alternanza. Nel frattempo la proprietà ha deciso di costruirsi una casa propria, individuando una tensostruttura inserita in un centro sportivo al centro della città. Nel giro di venti giorni abbiamo montato parquet, canestri, e svolgiamo tutta la nostra attività lì, compresa quella giovanile che prevede la collaborazione con il club La Foresta Rieti. Le partite di Supercoppa le abbiamo giocate a Ferentino, mentre per il campionato abbiamo indicato sede di gioco Valmontone, sperando di avere disponibile il PalaSojourner. Anche perché non abbiamo bisogno di utilizzarlo per gli allenamenti ma solo per le gare». «Per l’uso del palasport dobbiamo trovare un punto d’incontro con il gestore - ha continuato Pietropaoli -, e spero che prevalga il buonsenso perché una società come la nostra, che disputa il campionato di B, non può giocare fuori città. Per evitare qualsiasi tipo di discussione ci siamo fatti la nostra casa, così come tanti club di serie A. Mi sono preso in affitto per 15 anni questa tensostruttura. L’abbiamo messa a nuovo, con tanto di palestra, e sarà il punto di riferimento di tutta la nostra attività».

Dalle parole di Roberto Pietropaoli si capisce che non ha nessuna intenzione di fare una “guerra cittadina”, ma anzi, ha un messaggio per tutti i reatini. «Li invito a seguire entrambe le realtà. Nella mia professione ho imparato che la concorrenza spesso stimola, fa crescere, e fa venire fuori quella voglia di superarsi. Quindi credo che tutti devono fare il proprio, nessuno deve remare contro. È giusto che a Rieti si esulti se fa risultato la NPC, così come se lo fa la Sebastiani. Poi è logico che ci sarà chi è più simpatizzante dell’una o dell’altra, ma parliamo sempre e solo della città di Rieti. Ed io che ci sono nato, cresciuto, ci vivo e la amo, penso che sia un orgoglio, chiunque vinca».

Juan Marcos Casini (foto ufficio stampa Real Sebastiani)

Il roster reatino è stato allestito con atleti forti, esperti e di ben altra serie, come il veterano Juan Marcos Casini, tre stagioni all’NPC Rieti e ora capitano della Sebastiani, mentre sono scesi di categoria l’esterno Federico Loschi, il centro Marco Di Pizzo, e gli ultimi innesti Andrea Traini e Klaudio Ndoja. Completano la squadra, che si presenta lunga e profonda, giocatori dai lunghi trascorsi in cadetteria e sempre protagonisti come le guardie Riccardo Bottioni e Manuel Diomede, e i lunghi Mathias Drigo ed Enzo Cena. Insomma ci sono tutti gli ingredienti per vedere una Rieti dominare il proprio girone e puntare dritta alla promozione. Ambizione per nulla nascosta. «Dobbiamo andare di corsa in A2 - ha sentenziato il patron -. Questo deve essere solo un anno di transizione. Non credo che la società, con un roster del genere, possa rimanere un altro anno in B. Ho voluto ingaggiare giocatori anche di categoria superiore con contratti pluriennali proprio per vincere subito e avere una base già pronta per la prossima stagione. Poi è logico che il campo è sovrano, e non è detto che se fai la squadra più forte vinci. Non è sempre un’equazione così scontata, però se non si fa una squadra di livello non puoi neppure aspettarti di vincere. Io ho fatto il mio - ha concluso Pietropaoli -, adesso il resto lo dovrà fare la squadra».

Ora la palla passa a coach Alex Righetti, alla sua terza esperienza da capo allenatore in B dopo Tiber Roma e Valmontone, che è voglioso di fare bene in una piazza storica. «Rieti ha un passato importante, ed è chiaro che arrivare in una società che riprende il nome della Sebastiani è uno stimolo per chiunque. Abbiamo la fortuna di vivere in una città che parla di pallacanestro, che è appassionata, dove tra l’altro vi sono due squadre che hanno giocato entrambe le ultime Final Eight di Supercoppa. Credo che di questo si debba essere orgogliosi, perché altrimenti si parla solo della rivalità tra la Sebastiani e l’NPC, e non che entrambe - ha osservato Righetti - portano in giro per l’Italia il nome della città».

L’ex argento ad Atene 2004 sa che bisogna lavorare duro per raggiungere l’obiettivo promozione. «L’avventura è iniziata molto bene. Siamo una squadra nata questa estate ma il progetto è molto ambizioso. Sarà un percorso importante e difficile, perché quando ci sono obiettivi di questo genere non è mai facile. La passione e la voglia di fare bene sono però la base per cercare di ambire ai risultati. Tutto questo c’è - ha continuato il coach -, e siamo contenti di vivere una realtà che ci dà stimoli ogni giorno. Adesso non ci resta che lavorare duro evitando di farci prendere dalla pressione, che alla lunga può diventare deleteria e farci perdere lucidità».

Alex Righetti (foto ufficio stampa Real Sebastiani)

Bisogna considerare anche il momento storico, con la pandemia in atto che potrà condizionare e non poco il regolare svolgimento del campionato. «Sarà una stagione diversa in tutto, dalla programmazione ai tamponi che dovremo fare, alle eventuali situazioni che ogni squadra dovrà affrontare. All’attenzione che dovranno avere tutti i componenti della squadra nel quotidiano, perché un comportamento superficiale può compromettere una o più partite. Non sto qui a dire cosa bisogna fare e cosa no, ma posso dire che bisogna essere responsabili. Ci saranno dei casi, ma se stiamo attenti e usiamo le giuste precauzioni possono essere limitati. Per il campionato, spero che un caso di positività si possa trattare come un infortunio. Ovvio che chi risulta positivo deve avere un trattamento di riguardo - ha concluso Righetti -, ma fermarci ogni volta che succede qualcosa ha poco senso». E Rieti, che ha disputato la Final Eight con ben tre assenze connesse al Covid, ha già constatato una eventualità di questo genere.

Mentre scriviamo la società è tentata dall’ingaggiare il centro Marco Cusin. Ma per il momento il colpo grosso del mercato è stato Klaudio Ndoja. «Ho scelto Rieti per la storia e la tradizione, e perché ci sono poche realtà che progettano per il futuro. Nella mia carriera ho sempre cercato di scegliere progetti importanti, e qui a Rieti c’è un modo di fare le cose molto professionale, che mi sento di dire migliore di tante realtà di A e A2. Mi interessava far parte di qualcosa che andasse al di là della serie. Non mi è mai dispiaciuto sporcarmi le mani scendendo di categoria - ha proseguito l’ala italo-albanese - e fare un passo indietro per poterne poi fare due in avanti. Questo è ciò che mi ha spinto a fare questa scelta, unita ovviamente alla serietà del patron Pietropaoli, che ha dimostrato di saper raggiungere traguardi importanti seppur in un altro sport. E siccome l’obiettivo mio e della società è quello di vincere, non è stato difficile accettare». Rieti è tra le favorite della cadetteria. Ma cosa potrà dare Ndoja? «È chiaro che partiamo per vincere. Questo fa sì che ci sia grande responsabilità e consapevolezza più che pressione. Sappiamo che squadra è stata costruita e conosciamo i nostri obiettivi. Abbiamo la fortuna di poter continuare a giocare nonostante il periodo, e sono certo che i risultati arriveranno. Non so cosa posso dare in più alla squadra. So però che tutti insieme vogliamo regalare la vittoria alla società e alla città. Cosa possiamo dare singolarmente - ha concluso Ndoja - è poco importante. Conta il risultato finale della squadra».



* per la rivista BASKET MAGAZINE

martedì 17 novembre 2020

Le interviste di Basket Timeout. Con Riccardo Pratesi

Intervista esclusiva a Riccardo Pratesi, giornalista de La Gazzetta dello Sport, con il quale abbiamo affrontato diversi argomenti legati agli Stati Uniti. Dalla sua esperienza diretta negli States al prossimo draft Nba con il nostro Nico Mannion nonché il mercato piuttosto in fibrillazione. Ma anche la bolla di Orlando e la prossima stagione Ncaa in attesa di Paolo Banchero.



mercoledì 11 novembre 2020

Nel ricordo di Romano Piccolo, riviviamo un pezzo di storia di Caserta

di Giovanni Bocciero*

Questo anno a Caserta sarà ricordato non solo per la pandemia da Covid, ma anche e soprattutto per la scomparsa prima della Juvecaserta (fallita per la terza volta in 22 anni) e poi di Romano Piccolo. Una vera e propria istituzione, un’eccellenza casertana, nonché tra i fondatori del club bianconero nel 1951. Ma sarebbe riduttivo considerarlo solo il padre putativo dell’unica formazione del Sud Italia ad essere riuscita a vincere uno scudetto nel basket. Messaggi di cordoglio per la sua dipartita sono giunti, tra gli altri, dal presidente federale Gianni Petrucci e dal giornalista Flavio Tranquillo.

«Romano è stato un uomo di basket - ha esordito Nando Gentile -. Ha creato la pallacanestro a Caserta, che prima di lui non si conosceva. Ed è stato il primo a mettere su una struttura societaria come la Juvecaserta. E poi si è interessato tanto dell'attività femminile. Insomma ha vissuto la sua vita per questo sport. Ricordo quando ero un ragazzo delle giovanili bianconere e lui allenava la Zinzi, e abbiamo fatto tante volte delle amichevoli. È stata una persona che ha fatto tanto per la città, che si è interessato sempre e solo al bene della pallacanestro. Ha vissuto totalmente la sua vita cercando di fare il possibile per la crescita dei giovani e del basket casertano».

83 anni, nato a Piacenza perché il padre militare era di stanza lì ma casertano doc, è stato giocatore, allenatore, dirigente, presidente, addirittura procuratore, e poi giornalista e scrittore, facendo dello sport e della pallacanestro in particolare uno stile di vita. Sin da ragazzo si è contraddistinto quale portiere della Casertana, impegnato a mantenere inviolata la porta della squadra rossoblù. Poi insieme ai fratelli Corrado e Santino ha preferito buttare il pallone in una retina, dando vita allo Sporting Club Juventus Caserta. Il basket è arrivato in città intorno al 1945, insieme ai soldati americani, e quel gioco in qualche modo ha ammaliato la famiglia Piccolo.

Romano ha giocare, poi allenato, infine organizzato l’attività della società che nel 1971 ha visto l’ingresso dell’imprenditore Giovanni Maggiò. Negli anni ‘70 si è rivelato un autentico pioniere quando ha creato a Caserta anche la prima squadra femminile. Era la Zinzi Basket, così denominata per via dello sponsor, e partendo da zero, e dalla serie C, ha raggiunto la massima categoria in appena cinque stagioni. Nel 1984, nel ruolo di general manager, ha ripetuto l’impresa di raggiungere la serie A disputando il campionato con una squadra composta interamente da juniores.

«Il mio rapporto con Romano era intenso - ha dichiarato Teresa Antonucci, ex giocatrice della Zinzi -, quasi familiare per diversi intrecci anche extra cestistici. Non abbiamo mai smesso di sentirci, ci telefonavamo regolarmente. Questo rapporto dal 1968, quando insieme a tante bambine abbiamo iniziato il minibasket, non è mai finito. Teneva molto al gruppo. Parecchie di noi sono state davvero cresciute da lui da quando eravamo piccole fino all’adolescenza. Poi man mano il gruppo si è andato sfoltendo e si sono aggiunge altre ragazze che anche grazie al suo saper fare si sono subito inserite. Era molto abile nel coinvolgere. E poi era un affabulatore, sapeva intrattenere con i suoi tanti racconti e aneddoti».

«Nel periodo in cui allenava il basket femminile - ha ricordato Nando Gentile - ha iniziato a giocare mia sorella Imma. Lei è cresciuta grazie agli insegnamenti di Romano, e tante volte ci siamo confrontati per capire cosa fosse meglio per la sua carriera. Per mia sorella è stato anche un manager».

Tanti progetti hanno portato il marchio di Romano Piccolo, che da grande appassionato della pallacanestro seguiva qualsiasi cosa, dalla Nba alle minors, senza fare alcuna distinzione ma sempre con l’occhio di chi vuol imparare qualcosa di nuovo. E poi trasmetteva una passione che inesorabilmente ti contagiava.

«Aveva una passione smodata per l’America. Ricordo che andò a fare un viaggio - ha rivelato Teresa Antonucci -, e al ritorno ci portò delle sopra maglia dei Lakers che all’epoca erano gialle e bordeaux, che noi indossavamo nonostante avessimo il completo da gara rosso. Queste sopra maglia portavano il nostro cognome, ma siccome erano state fatte in America non tutti erano scritti correttamente e questa cosa ci faceva sorridere. Eravamo però orgogliose di averle e ne facevamo bella mostra quando andavamo in giro per i campi».

Dopo aver fondato la Juvecaserta, sempre insieme ai fratelli, ha dato vita alla Little Basket, nome azzeccato visto che era la traduzione di Piccolo in inglese. Praticamente la squadra di famiglia che ha disputato qualche campionato di serie D e che è diventata punto di riferimento cittadino dell’attività cestistica dopo il primo fallimento della Juvecaserta del 1998. I figli Valerio e Gianluca hanno giocato e poi allenato, così come il nipote Francesco che ha condiviso con lo zio Romano non solo la passione per il basket ma anche quella per la scrittura, tanto da essere diventato un importante scrittore e sceneggiatore vincitore del premio Strega e del David di Donatello.

Romano è stata una persona poliedrica, ed ha vissuto l’ascesa della Juvecaserta, poi diventata campione d’Italia nel 1991, in qualità di giornalista per la rivista Superbasket diretta da Aldo Giordani che lo considerava “il decano dei miei collaboratori”. È stato anche dipendente e poi proprietario di una concessionaria d’automobili, ma quello del giornalista è stato un mestiere che ha ricoperto in maniera a dir poco perfetta. Conciliava la conoscenza avanzata del gioco con la capacità di scrittura sopraffina. Per questo ha scritto anche per diverse riviste e quotidiani sia locali che nazionali. Ha inoltre pubblicato alcuni libri sulla storia della Juvecaserta (ripubblicato in più edizioni) e soprattutto sulla città di Caserta che amava alla follia. E per farlo ha studiato la storia, perché in qualsiasi aspetto della vita credeva che solo conoscendo la storia si potevano affrontare i problemi del presente.

«Romano era un conoscitore del basket - ha commentato Nando Gentile -, e questo ha fatto sì che da giornalista abbia scritto con dati soprattutto tecnici. Per tutta la sua vita è stato sul campo, e la passione che aveva lo ha fatto essere innanzitutto un tifoso. E questo gli ha permesso di svolgere il suo lavoro con grande amore».

Proprio come una persona illuminata, Romano in qualità di dirigente ha preceduto i tempi capendo che spesso è meglio unire le forze piuttosto che dividersi. E così quando ha vissuto un momento di impasse con la Zinzi, allenando e procacciando anche le risorse, ha deciso di fondersi con il Basket Vomero. E fu in quel momento che si gettarono le basi della Phard che ha vinto prima l’EuroCup nel 2004/05 e poi lo scudetto nel 2006/07. Era il 1997 ed insieme all’allora presidente Gianfranco Gallo ha costituito una formazione egualmente composta da giovanissime casertane e napoletane.

«Dopo aver fatto delle splendide squadre, Romano stava vivendo una fase di stallo a Caserta - ha dichiarato Gallo -. Io presi in gestione il PalaVesuvio di Ponticelli e l’idea di fondere le due realtà gli è piaciuta immediatamente. Disputava l’A2 a Caserta e trasferì tutta l’attività a Napoli dove invece facevamo settore giovanile. Furono tre anni bellissimi, ma il regalo che più di ogni altra cosa ci ha fatto è stato quello della cultura cestistica che possedeva. Lui veniva dall’epopea della Juvecaserta con allenatori quali Tanjevic e Marcelletti, con l’importanza data al settore giovanile e quella mentalità del duro lavoro. Quella cultura l’ha portata a Napoli, perché dopo i tre anni che Romano è stato con noi, la squadra fu promossa in A1, vinse per la prima volta nella storia della città lo scudetto, e abbiamo vinto altri tre scudetti giovanili. Quindi al femminile abbiamo ripetuto quell’ascesa che ha vissuto Caserta al maschile, con le dovute differenze, grazie soprattutto al seme che ha piantato lui. Questo è stato il più grande regalo che Romano ha fatto alla città di Napoli - ha concluso Gallo -, e che purtroppo per tante difficoltà sia economiche che d’impiantistica non è riuscito a realizzare a Caserta».

Nella lunga vita di Romano Piccolo sono davvero tanti i ricordi, le storie e gli aneddoti da poter raccontare. «Uno dei ricordi che più mi legano a lui è una trasferta a Patti - ha ricordato Gallo -, dove vincemmo dopo ben tre supplementari. Siccome quel campo era molto caldo per uscire siamo stati scortati dalla polizia. Oltretutto quella trasferta l’abbiamo dovuta fare in macchina perché all’ultimo momento venne meno il pullman. Lui non aveva paura di nulla e nessuno, con un atteggiamento da guascone, al quale interessava solo vincere e faceva di tutto per riuscirci».

«Una volta organizzammo a Caserta un torneo juniores al quale fu invitata la squadra campione d’Italia di Milano. In finale - ha raccontato Teresa Antonucci - incontrammo proprio loro e vincemmo la partita di un punto grazie ad un ultimo tiro nato da una nostra azione classica. Il suo commento a fine gara fu che quel match era stata una partita a scacchi tra lui e l’allenatore milanese Zigo Vasojevic. Questa cosa ci fece ridere tutte».

Chi scrive è riuscito a vivere dei momenti particolari con “zio Romano”, come affettuosamente lo chiamavamo tutti noi dell’ambiente cestistico e non per quella capacità di metterti sempre a tuo agio nel parlare con lui, come se fosse uno di famiglia. Una fortuna poter sedere proprio di fianco a lui in tribuna stampa, al posto numero 28, per tutta la stagione 2016/17. E sue sono state più volte le dichiarazioni d’amore verso la Juvecaserta rilasciate alla rivista Basket Magazine e raccolte dal sottoscritto. Dichiarazioni come quella del novembre 2017, quando la società di Pezza delle Noci era fallita per la seconda volta nella propria storia. «Provo un dolore terrificante perché non è possibile ciò che è successo - aveva commentato Romano Piccolo -. Talmente che mi manca la squadra ho sognato di fare un sei al Superenalotto, così da comprare un titolo sportivo. Io mi ero offerto - aveva rivelato - per fare da collaboratore in maniera totalmente gratuita. Ma questa mia richiesta non ha mai ricevuto risposta». Il sottoscritto ha scambiato due parole con lui in occasione dell’11° Trofeo Irtet d’inizio ottobre svolto a Caserta, perché ancora oggi in città dove c’era la pallacanestro c’era anche Romano. E ci eravamo dati appuntamento per una chiacchierata con argomento piuttosto intuibile: «Chiamami il pomeriggio perché la mattina ho da fare». Arrivederci “zio Romano”.


*per Basket Magazine

Vuelle Pesaro. Il ritorno all'antico risveglia la passione

Repesa e Delfino possono rilanciare la Vuelle dopo le ultime sofferte annate

Il ritorno all'antico risveglia la passione

Un coach importante e un ex protagonista della Nba: Pesaro riscopre il fascino dei grandi nomi


di Giovanni Bocciero*


STAGIONI scarse di risultati, poche risorse economiche a disposizione, e un tifo caldo a sostenere quanto a criticare l’operato di squadra e società. Questa è Pesaro, piazza storica della pallacanestro italiana che quest’anno, nonostante l’emergenza Covid, ha deciso di rilanciarsi sul palcoscenico nazionale. E lo ha fatto calando due pezzi grossi, in panchina e sul campo: Jasmin Repesa e Carlos Delfino, nomi altisonanti che ricordano quelli a cui la città marchigiana era stata abituata per decenni, in un passato che oggi appare troppo remoto e il presente senza nulla in comune, come fosse un altro mondo.

Se il curriculum di Jasmin Repesa - preceduto dalla buona tradizione con il basket croato della VL da Aza Petrovic (fratello di Drazen, immenso campione Nba, scomparso prematuramente in un incidente stradale) e Pero Skansi - parla di 10 campionati e 10 trofei vinti tra Croazia, Italia e Turchia. Carlos Delfino chiama 9 anni di Nba, un oro e un bronzo olimpici, un oro e un argento ai campionati americani. Al coach che guidò la Fortitudo - eterna rivale dei pesaresi, e pure Carlito è un ex dell'Aquila, vedi il destino! - allo scudetto '05 è stato affidato il compito di risollevare le sorti della Vuelle, che ha vissuto le ultime otto annate in perenne apnea riuscendo a conservare la serie A spesso e volentieri solo all’ultima occasione utile.

«L’arrivo di Repesa può significare sicuramente una ripresa, ma per parlare di rilancio bisogna ancora aspettare - ha esordito il giornalista Massimo Carboni -. Questa ripresa è incominciata con il più grande acquisto che la Vuelle potesse fare, ovvero affidando il ruolo di coach a Repesa. Lui è uno di quegli allenatori sui quali si può fare un investimento sicuro, perché credo che fra le tante caratteristiche positive ne abbia due particolarmente importanti. La prima è che sa leggere le partite in maniera efficace, in quanto determina una tattica da perseguire anche e soprattutto in base ai giocatori che ha a disposizione. Non è un coach che chiede a un giocatore qualcosa che non riesce a fare, o che non sa fare, per limiti tecnici o caratteriali. Questa sua capacità di lettura - ha continuato l’ex inviato di Radio Rai - è notevole, ed è un punto assolutamente positivo perché sa cosa chiedere in base al materiale umano che ha a disposizione. L’altro punto è la grande capacità di saper lavorare sui giovani. Questa versione di Pesaro è un misto tra giocatori esperti e più giovani, e la gioventù è materiale sul quale Repesa sa lavorare meglio di chiunque altro suo collega. La ripresa credo che parta da questi due aspetti, e poi si potrà anche arrivare ad un vero e proprio rilancio».

«Il rilancio di Pesaro è basato sul fatto che ha preso un grande allenatore quale è Repesa - ha invece dichiarato coach Valerio Bianchini -. Nelle ultime stagioni la squadra ha sempre avuto tecnici modesti, che non riuscivano ad influire sullo sviluppo della società. Il suo arrivo credo che rappresenti un’evoluzione, perché non solo è un uomo di alta rappresentanza nel mondo del basket, ma darà sicuramente un’impronta forte all’organizzazione, come per la costruzione di una squadra degna della serie A, cosa che prima non accadeva. Questa evoluzione naturalmente comporta che la società si sia adeguata alle sue esigenze. Tutto ciò è molto positivo, e il pubblico sopraffino di Pesaro - ha concluso il Vate -, che per anni è stato costretto a soffrire, finalmente adesso può godersi una squadra in grado di competere con le altre».

L’ala argentina Carlos Delfino, nonostante i suoi 38 anni e gli acciacchi fisici è stato il colpo del mercato estivo. A lui si sono aggiunti altri giocatori d’esperienza come Ariel Filloy o Tyler Cain, e scommesse interessanti quali Justin Robinson oltre ai giovani da lanciare Henri Drell e Marko Filipovity.

«A Pesaro è cambiata l’aria questa estate, c’è un entusiasmo diverso - ha commentato la giornalista Camilla Cataldo - che non si respirava da molto tempo. Il paradosso è che chiaramente nessuno può entrare al palazzetto, e mi auguro che la situazione futura cambi in positivo. Questa è la pecca e la preoccupazione principale per l’annata più del risultato del campo perché ci sarebbe un buco di 500 mila euro che va coperto. La società non ha mai fatto il passo più lungo della gamba, e quest’anno ha provato ad alzare un po’ l’asticella. Si spera dunque che in qualche maniera si riesca a coprire questo investimento. Per quanto riguarda la squadra si è andati al di là di ogni aspettativa. Giocatori come Cain, Delfino o Filloy erano impensabili solo pochi mesi fa. È stata importante la volontà in estate di mantenere la categoria perché a giugno sembrava che si potesse fare un passo indietro, e invece i consorziati hanno voluto riprovarci tutti uniti e compatti. È stata una spinta grande, un valore aggiunto, un passo in più proprio del gruppo consorziato nel quale è scattato qualcosa che ha fatto la differenza. Da lì si è deciso di puntare su una figura come Repesa che - ha continuato la giornalista del Corriere Adriatico - è venuto a Pesaro accettando una sfida nuova nella sua carriera a livello sia di obiettivi che di risorse. Ha pesato l’amicizia con Ario Costa, ma non ha avuto pretese fuori dal budget della Vuelle, ed alla fine ha deciso di cavalcare questa avventura che l’ha visto firmare addirittura un contratto triennale. Repesa rappresenta la ciliegia sulla torta di questo progetto, e insieme hanno costruito una squadra che per qualità non era pensabile, con giocatori più conosciuti, che hanno già vinto, in controtendenza col recente passato in cui si puntava più sui rookie. Quest’anno si vuol provare a puntare a qualcosa di più di una salvezza risicata. Poi a detta di tutti, e anche secondo me, il livello medio del campionato si è alzato con tutte le squadre che si sono rinforzate rispetto ad un anno fa e con due retrocessioni i rischi sono maggiori. Quello che si è visto sin qui è un qualcosa di diverso, perché c’è una squadra vera, ci si diverte, si lotta e si vede una pallacanestro di livello. Anche il ritorno di Walter Magnifico, in questo senso, è un’operazione che è stata accolta favorevolmente dalla piazza - ha concluso Cataldo - e che ha rappresentato un riconciliarsi al cento per cento con i tifosi e ripartire tutti uniti in questa nuova avventura. Insomma gli ingredienti per fare bene ci sono davvero tutti».

I successi degli scudetti ’88 e ’90, e prim’ancora la Coppa delle Coppe dell’83 e la Coppa Italia dell’85, senza dimenticare l’ultimo trionfo della Coppa Italia del ’92, sono soltanto un lontano ricordo per una piazza che, nelle parole degli intervistati, ha dei tifosi con una grande peculiarità: l’essere fedeli, sempre e comunque. «Chiamiamola passione, chiamiamolo tifo caldo, ma la caratteristica principale della tifoseria pesarese - ha sottolineato Carboni - è la fedeltà. Quando arriva il risultato così come la stagione tribolata, con un piede più in A2 che in A1, il pubblico è sempre lì. Ovvio che è anche autorizzato ad arrabbiarsi quando le cose vanno male, quando la società non può rispondere a quelle che sono le esigenze della piazza. Però è fedele, e questo sta a significare che spinti dalla passione, dall’amore per la maglia, è sempre presente e pronto ad incitare. Diciamo che il pubblico pesarese è come quella moglie che perdona il marito quando rientra tardi a casa».

«Dati i miei trascorsi posso solo immaginare l’umore della piazza. La partecipazione e la grande competenza dei tifosi pesaresi è notoria, così come la loro personalità - ha commentato Bianchini -, che evidentemente sono capaci di esaltarti nel momento della vittoria e criticarti in quello della sconfitta. Però restano sempre fedeli. Non dimentichiamoci che Pesaro anche in queste ultime stagioni difficili, soprattutto l’anno scorso quando non si vedeva una vittoria neppure a pagarla, ha sempre avuto almeno 4 mila spettatori. Si tratta di un pubblico che molte città invidierebbero».

«Pesaro è una piazza appassionata nel bene e nel male. I tifosi sono intenditori, non a caso si dice che in città ci siano 100 mila allenatori, quanto gli abitanti - ha ricordato Cataldo -, perché si mastica pallacanestro da una vita. Ancora si ricordano i tempi di Daye e Cook, e certamente sono stati abituati bene nonostante sia passato davvero tanto tempo. Quindi nel bene o nel male c’è sempre entusiasmo, con uno zoccolo duro sempre presente al palazzo, e quest’anno c’è stato questo evidente cambio di prospettiva garantito dall’arrivo di Repesa. È pur vero che si va molto dietro al risultato, ma la carica che c’è oggi non la si vedeva da molto tempo. Si è visto anche un bel modo di lavorare, con grande carica, e questo è una cosa che i tifosi poi riconoscono».

E proprio l’emergenza Covid, con l’ingresso solo parzialmente garantito nei palazzetti è un handicap non indifferente, che potrà avere ripercussioni soprattutto economiche. Non a caso mentre scriviamo la Vuelle, che può vedere vanificato il buon lavoro fatto in estate, sta pensando di giocare a Rimini per sfruttare l’ordinanza dell’Emilia-Romagna sulla maggiore percentuale d’ingresso degli spettatori.

«La Vuelle sa che il pubblico è ogni anno il principale sponsor della società, con circa 4-500 mila euro derivanti dagli spettatori - ha ricordato Camilla Cataldo -, e magari quest’anno si sarebbe potuto toccare il record degli abbonati almeno per gli ultimi anni. Non ci saremmo meravigliati se in alcune partite il palazzo si fosse riempito. Lo abbiamo visto proprio l’anno scorso durante la Coppa Italia, quando lo spettacolo era all’altezza, c’è stato il tutto esaurito per tutti i giorni della manifestazione. È stato un colpo d’occhio notevole che testimonia le potenzialità del bacino pesarese. La società non ha mai fatto passi più lunghi della gamba. Non hanno mai chiuso un bilancio in rosso. In qualche modo credo che sopperiranno, magari i consorziati si guarderanno intorno per cercare nuovi soci, o in tasca per ripianare il disavanzo. Ma ci si augura che in parte possa essere riaperto il palazzetto agli spettatori. Mi rendo conto che le difficoltà sono enormi - ha concluso Cataldo -, e si naviga davvero a vista».


* per la rivista BASKET MAGAZINE

martedì 10 novembre 2020

Le interviste di Basket Timeout. Con Alex Righetti

Intervista esclusiva ad Alex Righetti, coach della Real Sebastiani Rieti ed ex giocatore della Nazionale medaglia d'argento alle Olimpiadi di Atene 2004. Con lui abbiamo parlato di tanti argomenti riguardati il Covid, la sua carriera cestistica e i successi raggiunti, le esperienze in Azzurro, la nuova avventura da allenatore e le ambizioni di una piazza storica come Rieti.



mercoledì 4 novembre 2020

Verso il Draft 2020. Il meteorite di nome Obi Toppin

Obi Toppin in volo

Venuto fuori dal nulla, ma con un impatto paragonabile alla caduta di un meteorite. Dopo aver frequentato tre diverse high school, Obadiah ‘Obi’ Toppin non riceve nessuna offerta di D-I. Trascorre un anno in una prep school, qualcosa si muove, arriva Dayton e accetta di corsa. Esordisce in Ncaa a 20 anni, brillando all’interno degli schemi di coach Grant. Al primo anno è Freshman of the Year dell’A-10 ed è anche inserito nel primo quintetto – l’ultimo esordiente a fare doppietta: Lamar Odom nel 1999. Da sophomore guida i Flyers a un’annata incredibile (record 29-2) che, senza pandemia, l’avrebbe forse vista alla March Madness da seed #1. È la consacrazione di Toppin, vincitore del National College Player of the Year.

Le interviste di Basket Timeout. Con Sabrina Cinili

Intervista esclusiva a Sabrina Cinili, ala del Famila Schio, con la quale abbiamo discusso delle difficoltà nel giocare dovute al Coronavirus e della salute da preservare degli atleti in generale. Ripercorrendo alcune tappe fondamentali della sua carriera abbiamo parlato anche delle esperienze all'estero, delle motivazioni che la spingono a dare sempre il massimo, dello sviluppo del basket femminile e del suo sogno nel cassetto.



martedì 27 ottobre 2020

Le interviste di Basket Timeout. Con Marco Atripaldi

Intervista esclusiva a Marco Atripaldi, club manager della Pallacanestro Biella, con il quale abbiamo parlato dell'attività cestistica riguardo all'ultimo Dpcm del 25 ottobre 2020, dell'emergenza Covid che sta portando conseguenza economiche a livello di botteghino e non solo, di serie A e A2, settore giovanile, governance sportiva e tanto altro.



lunedì 19 ottobre 2020

Le interviste di Basket Timeout. Con Niccolò Trigari

Intervista esclusiva a Niccolò Trigari, giornalista di Eurosport, con il quale abbiamo parlato dei nuovi equilibri dell'Eurolega, delle ambizioni europee dell'Olimpia Milano, degli italiani in giro per l'Europa, di Serie A e dei suoi protagonisti, ma soprattutto degli sviluppi legati all'emergenza Covid che, soprattutto in A2, sono sempre più di grande attualità.



martedì 13 ottobre 2020

Campania felice. Napoli e Scafati, derby da serie A. In B Salerno preme per salire

La corsa verso la serie A vede in prima fila le due squadre campane: ogni loro confronto quest'anno varrà doppio

Napoli e Scafati, derby da serie A

Importanti investimenti, addizioni tecniche di peso, panchine prestigiose: GeVi e Givova non hanno trascurato alcun dettaglio. Pesa nella regione la nuova delusione della Juve Caserta, mentre in serie B c'è Salerno che preme per salire, Partenope e Pozzuoli che completano il quadro ampiamente positivo della Campania ed Avellino che stringe i denti per riuscire ad esserci 


di Giovanni Bocciero*

Quest'anno il campionato di serie A2 parlerà molto campano. O almeno sono queste le premesse visto quanto hanno imbastito in sede di mercato la GeVi Napoli e la Givova Scafati. Le due formazioni si sono addirittura infastidite in alcune trattative, proprio perché aspiravano ad ingaggiare i migliori giocatori su piazza. Alla fine hanno costruito due roster molto competitivi, costosi e profondi. Con i giusti paragoni, fanno pensare al duello in massima categoria tra Olimpia Milano e Virtus Bologna. L’obiettivo per entrambe è quello di agguantare la promozione, a maggior ragione quest’anno che saranno due le squadre a festeggiare il salto in serie A.

Napoli ha investito davvero tanto, per questo ci si chiede perché non abbia accettato il ripescaggio in massima serie. «Con il budget che abbiamo speso non si poteva fare l’A1, anche perché si sarebbe passati al professionismo - ha esordito il presidente Federico Grassi - e quindi si raddoppiavano le tasse e tutti gli altri corollari che vi sono intorno. Stando ai fatti non potevamo farla solo per lottare per la salvezza perché Napoli non è piazza da bassa classifica. Abbiamo così preferito fare un’A2 di vertice e provare a conquistarla sul campo, provando anche a creare entusiasmo tra gli imprenditori napoletani che potrebbero darci una mano in futuro. Adesso avremmo rischiato di fare tre mesi di A1 e finire come tante altre società del passato - ha ammonito il massimo dirigente - perché ci mancano almeno 2 milioni di budget. Al contrario, abbiamo valutato tutto e budgettizzato l’intera stagione avendo messo già a bilancio spettanze e tasse. So che Napoli vuole l’A1, ma ci vuole tempo. Speriamo di riuscirci l’anno prossimo, così da crescere e capire anche come strutturarci per la categoria, perché oltre agli imprenditori dobbiamo crescere come società. Dobbiamo arrivare in A1 per restarci - ha concluso Grassi - e non per essere delle meteore».

Nell’ottica della crescita si è lanciato anche il progetto ‘Napoli Academy’, che vede «sei ragazzi aggregati alla prima squadra - ha detto coach Pino Sacripanti -. Stiamo facendo un buon lavoro sul settore giovanile, mi auguro che Napoli possa diventare una vera scuola di basket facendo crescere giocatori importanti». Tornando al presente, sulla carta la formazione napoletana sembra essere la grande favorita, il che inevitabilmente accresce la pressione. «Non credo tanto a ciò che si racconta - ha smorzato il tecnico -. Dobbiamo vedere in campo che squadra siamo, che squadra saremo e che squadre saranno le altre. È facile dire Napoli è la più forte, ma anche Torino, Scafati, Udine, Ravenna, Forlì lo sono. Almeno otto o nove squadre possono ambire alle due promozioni. Poi c’è sempre qualche sorpresa, così come chi può fallire, e sarà il campo a dirlo. Non credo sulla pressione da testa di serie, ma se lo saremo me la prendo volentieri perché vorrà dire che siamo forti davvero e ne sarei molto contento. Abbiamo costruito una squadra con giocatori navigati tra A1 e A2, con requisiti precisi: pronti per la categoria, atletici e fisici, e che sposassero a lungo termine il progetto. Ai giocatori chiedo di essere bravi nel saper diminuire il minutaggio ma non perdersi in efficacia, ciò che avviene quando si va in squadre con ambizione e un roster lungo. Bisogna essere capaci di dare tutto per il collettivo - ha concluso il tecnico - e meno per se stessi».

Jordan Parks (ex Treviso) e Josh Mayo (da Varese) per
Napoli una coppia da serie A. Andrea Zerini altro colpo
del ricco mercato azzurro (ufficio stampa Napoli)
Tra i volti nuovi Andrea Zerini rappresenta il diamante incastonato nella corona azzurra insieme agli americani Josh Mayo e Jordan Parks. «È stato facile scegliere Napoli perché ho parlato col coach del progetto, e mi ha illustrato le intenzioni della società e la sua volontà - ha rivelato Zerini - di come costruire la squadra. Questa è una sfida e voglio dimostrare di essere un giocatore importante aiutando la squadra a salire di categoria. C’è un po’ di pressione per essere favoriti, perché la squadra è stata costruita per un obiettivo chiaro. Sta a noi dimostrare di meritare queste pressioni, che fanno parte del gioco e stuzzicano. Con Scafati saranno delle partite toste perché anche loro sono un’ottima squadra. I derby poi - ha concluso il lungo - sono partite a sé e spero di giocarle con il pubblico perché saranno sicuramente emozionanti».

Reduce dalla passata stagione, il play Diego Monaldi non vede l’ora di incominciare. «Quest’anno la squadra si è rinforzata e l’augurio è che vista l’ottima qualità del mercato fatto ci siano tante persone a seguirci e sostenerci. Le pressioni ci sono sempre, indifferentemente se si lotta per un obiettivo o l’altro. Sappiamo cosa dobbiamo fare, quindi pensiamo partita dopo partita e a vincerne il più possibili, e a fine anno tireremo la linea per vedere che risultato abbiamo centrato. Il sogno è quello della promozione, ci sono le possibilità - ha concluso Monaldi -, ma dobbiamo lavorare duro e seguire il nostro percorso».

L’alter ego di Napoli nel girone meridionale dell’A2 sarà Scafati, che ha rilanciato il proprio progetto e vuol tornare a recitare il ruolo di protagonista. «Con il supporto dei soci Acanfora e Rossano siamo riusciti a rilanciare un progetto abbastanza ambizioso - ha esordito il patron Nello Longobardi - e che richiami alla nostra storia dopo qualche campionato di delusione. Siamo riusciti ad avere un buon budget grazie a tanti sponsor e partner. Sicuramente Napoli ha speso molto ed ha un allenatore dal prestigioso curriculum come Sacripanti. Sia noi che loro siamo due ottime squadre, ma nel nostro girone non dimenticherei Forlì, Ravenna, Ferrara, o rivali toste come Rieti e San Severo. Insomma ci sono diverse squadre molto competitive».

Scafati avrebbe potuto addirittura giocare un derby nel derby se fosse stata ripescata Salerno, che avrebbe sicuramente acceso il calore del pubblico, misure anti Covid permettendo. «È dispiaciuto per Salerno perché un derby con loro ci avrebbe portato molto interesse. Sta facendo degli ottimi campionati in B e speriamo che quanto prima possa raggiungere l’A2. Probabilmente le tempistiche hanno permesso a Lega e Federazione - ha commentato il patron scafatese - di fare una scelta diversa da quella del buonsenso, che ci ha costretto ad un girone da 13 visto che abbiamo perso strada facendo Caserta che è un’altra nobile decaduta del basket nazionale e campano. Per quanto riguarda la chiusura dei palazzetti, questo influirà molto sul nostro ambiente perché noi contiamo su uno zoccolo duro di circa 1700 tifosi. Quando siamo stati ai vertici abbiamo contato oltre 2500 spettatori. Giocare senza pubblico, purtroppo, è come andare a mare senza prendere il sole. Però da questo punto di vista dobbiamo anche seguire delle linee guida tecniche, scientifiche e mediche. C’è l’intenzione di riaprire parzialmente le strutture sportive al chiuso, però per capire davvero il da farsi sarà importante l’evolversi della situazione Coronavirus delle prossime settimane - ha concluso Longobardi - così da garantire una capienza minima in percentuale a quella che è la capienza totale delle strutture».

Con Tommaso Marino assieme a Charles Thomas, Scafati
ha ricostruito il duo che lo scorso anno aveva trascinato
Ravenna a dominare e che in A2 farà la differenza
(ufficio stampa Scafati)

Tra gli acquisti estivi della formazione gialloblù spiccano il funambolico play Tommaso Marino, e l’esterno campano Luigi Sergio, compagni di squadra con l’altro volto nuovo Charles Thomas nella Ravenna capolista del girone Est lo scorso anno. «Scafati è ambiziosa e l’ho scelta - ha dichiarato Marino - perché sono ad un punto della mia carriera dove mi interessa provare a vincere un trofeo importante che sia una soddisfazione di squadra. Quindi il motivo per cui sono qui è per provare a fare una stagione vincente come successo lo scorso anno a Ravenna. Poi arrivare alla vittoria è difficile, e bisogna che si allineino tante cose. L’ambiente è fantastico, molti compagni li conoscevo già, mentre i membri della società mi hanno accolto benissimo. Non posso lamentarmi. Nel nostro girone Napoli ha fatto una squadra molto forte con l’obiettivo dichiarato di salire. So che il derby è una partita molto sentita, alla quale i tifosi e la società tengono molto, ma non mi piace caricarmi o caricare i compagni di ulteriore pressione. Le partite del campionato sono tante e quelle contro Napoli valgono due punti come contro chiunque altro. È ovvio che sappiamo il valore del match - ha concluso Marino -, ma se avremo la giusta mentalità le affronteremo tutte come contro di loro».

«Scafati è stata una delle società più pronte sul mercato - ha dichiarato Sergio -, dimostrandosi attiva nel programmare la stagione e questo mi ha colpito. È stata la marcia in più nello sceglierla. Accettando quest’offerta mi sono avvicinato a casa (è di Maddaloni, ndr) anche se non era una priorità. Vengo da delle stagioni positive con bei risultati e campionati coinvolgenti. L’obiettivo è quello di continuare su questa strada e mi auguro di poter fare altrettanto bene qui a Scafati, dove darò tutto. Insieme a Napoli abbiamo attrezzato delle squadre importanti, competitive, che proveranno a fare davvero bene. So che qui il derby è una partita dal sapore particolare. L’obiettivo però sarà quello di cercare di fare il migliore percorso e arrivare il più lontano possibile - ha concluso l’ala - raggiungendo traguardi ambiziosi oltre alle singole partite».


Da contraltare
, per due piazze come Napoli e Scafati che si sfregano le mani in attesa di vedere le rispettive squadre scendere in campo, c’è un’altra città campana che era al nastro di partenza dell’A2 e che purtroppo ha avuto l’ennesima delusione sportiva, ovvero Caserta. Il cambio di proprietà non ha permesso allo storico club casertano di salvare il titolo, con un bilancio che presentava troppi debiti pregressi che si aggiravano intorno ai 400 mila euro. «La gestione ultimamente ha avuto un alone di mistero - ha commentato l’ex Luigi Sergio -. Quando c’è stato il passaggio di proprietà gli addetti ai lavori non l’hanno visto di buon occhio e purtroppo non è andata a finire bene. Non so di chi possano essere le responsabilità di questa situazione, so però che Caserta è città che tiene al basket e merita palcoscenici importanti. Serve creare un progetto che abbia una certa continuità e solidità».

Adesso bisognerà ripartire dal basso, di nuovo, con la Juvecaserta Academy che fungeva da serbatoio al settore giovanile bianconero e che quest’anno si è iscritta in serie C Silver. Nuova proprietà anche in questo caso, con Nando Gentile in qualità di responsabile tecnico. La società che giocherà nel vecchio palasport di viale Medaglie d’Oro ha avuto la benedizione di Gianfranco Maggiò, ma adesso bisognerà far innamorare di nuovo i tifosi che dopo l’ennesima delusione sembra non vogliano più sentir parlare di pallacanestro. La passione però è un richiamo forte, non a caso appena tre anni fa, quando la Juvecaserta fu esclusa dal campionato di serie A, per il derby di serie C tra San Nicola e Maddaloni (città limitrofe al capoluogo) si ebbero oltre 2 mila spettatori all’andata e al ritorno. Al campo, anche in questo caso, l’ardua sentenza.

Anche la serie B vedrà la Campania grande protagonista. Quattro le formazioni al via, tra queste la Virtus Arechi Salerno candidata a recitare un ruolo da primattore. La compagine salernitana si è vista respingere la domanda di ripescaggio per l’A2 preferendo rimanere con un organico di 27 squadre. «Nessuno ha capito la scelta di un campionato dispari - ha esordito il ds Pino Corvo -. Abbiamo fatto il versamento nei termini ma presentato domanda di ripescaggio in ritardo perché abbiamo saputo solo il 28 luglio che Caserta era in difficoltà e che si sarebbe potuto liberare un posto. Una società come la nostra, che ha un importante budget per la B e da tre anni investe tanto per fare il salto di categoria doveva quantomeno provarci».

La dirigenza salernitana ha costruito un roster di prim’ordine e, nonostante un po’ di cautela, vuole l’A2. Il ritorno di Roberto Maggio e gli innesti di categoria superiore o dalla grande esperienza come Marco Cardillo, Antonio De Fabritiis e Massimo Rezzano certificano le ambizioni. «Pensare alla promozione è prematuro - ha continuato Corvo -, lo abbiamo assaggiato sulla nostra pelle un paio di volte quanto sia difficile questo campionato».


La formula della B quest’anno non prevede più la Final Four ma quattro promozioni dirette alle vincitrici dei tabelloni playoff. «Sono state allestite squadre molto forti come Rieti, Matera, Taranto, Nardò, per questo il campionato - ha esordito coach Adolfo Parrillo - sarà di una competitività molto alta per le prime sei-sette posizioni. Chiaramente dobbiamo essere tra le prime in assoluto perché abbiamo costruito una squadra con giocatori di alto livello. Il presidente Nello Renzullo ha dimostrato un’altra volta quanto tenga alla pallacanestro, speriamo di toglierci qualche bella soddisfazione».

Per Parrillo nessuna delusione per la mancata A2, ma solo tanta voglia di dimostrare sul campo la propria forza così da far affezionare sempre più i salernitani. «La società ha lanciato il messaggio che se ci fosse stato bisogno noi eravamo pronti. Vediamo se riusciamo a conquistarla sul campo. Non sarà semplice e ci aspettiamo il massimo sostegno dai tifosi. Il palazzetto di Capriglia non è centralissimo eppure l’affetto non è mancato. Speriamo che quanto prima si torni a giocare col pubblico, perché - ha concluso Parrillo - gli spettatori rappresentano un forte stimolo per tutti noi».

Magari non sarà una diretta avversaria per le prime posizioni, ma anche la Partenope Sant’Antimo si appresta a ben figurare al suo secondo campionato cadetto. A disposizione del confermato coach Enzo Patrizio vi saranno il veterano Biagio Sergio protagonista già nella passata stagione, il santantimese doc Carlo Cantone ritornato a casa dopo aver girato e vinto in tutta Italia, e diversi atleti interessanti come il nazionale bulgaro Nikolaj Vangelov.

Più indietro nella griglia di preseason la Virtus Pozzuoli del tecnico Mariano Gentile, che ha allestito un gruppo molto giovane infarcito con prospetti sia locali che provenienti dall’estero. L’obiettivo è una tranquilla salvezza, con qualche incursione come la più classica delle guastafeste.

Infine vi è la Scandone Avellino, al momento in cui scriviamo ancora in alto mare. La compagine ha formalizzato regolarmente l’iscrizione al campionato, ma è in forte ritardo per quel che riguarda la costruzione di staff e roster, con il ruolo di coach che dovrebbe essere ancora rivestito da Gianluca De Gennaro. Se le sensazioni per la disputa del campionato sono comunque positive, diversa è la situazione societaria con la volontà di archiviare quanto prima le beghe giudiziarie della casa madre Sidigas e scindersi completamente così da salvare la storia del club. Ciò sarà possibile solo con il placet di tribunale, azienda e creditori che, con tale scelta, si vanterebbero solo sulla parte aziendale, ovvero Sidigas. «Con De Cesare senza poteri decisionali per la Scandone da maggio 2019, in società si è convinti che nell’anno si risolverà la questione giuridico-sportiva - ha commentato il giornalista Carmine Quaglia -. Ciò significherebbe lasciarsi alle spalle le difficoltà degli ultimi anni così da essere ‘puri’ dal punto di vista sportivo e tornare a ragionare su una nuova proprietà e creare le condizioni per riorganizzarsi».


* per la rivista Basket Magazine

 

lunedì 12 ottobre 2020

Le Interviste di Basket Timeout. Con Davide Villa

Intervista esclusiva a Davide Villa, coach dell'Urania Milano. Con lui abbiamo parlato dell'inizio dell'attività agonistica con la Supercoppa di A2, ma anche di settore giovanile, scuola, basket femminile e i possibili scenari futuri dipendenti dall'emergenza Covid.



giovedì 8 ottobre 2020

Le Interviste di Basket Timeout. Con Antonio d'Albero

Intervista esclusiva a coach Antonio d'Albero, tecnico della formazione svedese del Marbo Basket con il quale abbiamo affrontato tutte le sue esperienze cestistiche che lo hanno portato a girare il mondo. Dai Caraibi al Giappone passando ovviamente per gli Stati Uniti tra liceo e professionismo. Come è vista e praticata la pallacanestro, curiosità, aneddoti e tanto altro.



domenica 4 ottobre 2020

11° Trofeo Irtet e 1° Memorial "Davide Ancilotto". Video integrali di tutte le partite

1° Trofeo Irtet "Davide Ancilotto" cat. U15 Eccellenza

Finale 3°-4° posto

One Team vs Napoli Basket 62-48 (Partita)

Finale 1°-2° posto

Stella Azzurra vs Kioko Caserta 96-69 (Partita)

Semifinali 11° Trofeo Irtet

Gevi Napoli Basket vs Stella Azzurra Roma 85-54 (Partita)

Allianz San Severo vs Virtus Arechi Salerno 87-61 (Partita)

Finale 3°-4° posto

Stella Azzurra Roma vs Virtus Arechi Salerno 99-81 (1°tempo - 2°tempo)

Tabellini
Roma: Thompson Jr. 43, Giordano 11, Visintin 2, Cipolla 2, Ghirlanda, Innocenti, Laster 8, Fokou 5, Menalo 16, Nikolic 4, Thioune 4, Ndzie 4, All. D'Arcangeli.
Salerno: Tortù 8, Gallo 9, De Fabritiis 11, Cardillo 11, Mennella 8, Valentini 25, Di Donato 2, Peluso, D'Amico 2, Dabangdata 5, All. Parrillo.

Finale 1°-2° posto

Gevi Napoli Basket vs Allianz San Severo 104-72 (Partita)

Tabellini
Napoli: Zerini 15, Matera, Iannuzzi 4, Klacar 3, Tolino, Parks 19, Sandri 6, Marini 18, Mayo 9, Uglietti 9, Lombardi 8, Monaldi 13, All. Sacripanti.
San Severo: Mortellaro 9, Antelli 2, Angelucci, Buffo, Contento 3, Pavicevic 2, Di Donato 19, Jones 12, Ikangi 6, Ogide 19, All. Lardo.

martedì 29 settembre 2020

Le interviste di Basket Timeout. Con Raffaele Porfidia

Intervista a coach Raffaele Porfidia, referente tecnico nazionale del Sand Basket, disciplina riconosciuta dall'ente di promozione sportiva Aics. Con lui abbiamo parlato dell'idea e delle regole di questa versione estiva del basket, ma anche di giovani, reclutamento e impianti.




mercoledì 23 settembre 2020

Le interviste di Basket Timeout. Con Alessandro Cittadini

Intervista esclusiva ad Alessandro Cittadini, ex centro della Nazionale italiana che a 40 anni ha deciso di ritornare a giocare con la Cestistica Civitavecchia in serie C Gold. Con il giocatore cresciuto nella Fortitudo Bologna abbiamo parlato dell'amore per la pallacanestro, e ripercorso alcune tappe della sua carriera confrontandole con il presente, tra serie A, A2 e competizioni europee.




mercoledì 16 settembre 2020

Le interviste di Basket Timeout. Con Lino Lardo

Nuovo appuntamento con le interviste di Basket Timeout, con ospite Lino Lardo. Con il coach abbiamo parlato delle sue esperienze in Libano e prima all'Olimpia Milano e poi alla Virtus Bologna, ma anche di cosa bisogna aspettarsi dal prossimo campionato di A2 e soprattutto quali sono le sue aspirazioni da neo Ct della Nazionale femminile.



lunedì 7 settembre 2020

Le interviste di Basket Timeout. Con Pino Corvo

Intervista a Pino Corvo, ds della Virtus Arechi Salerno, con il quale si è discusso di serie B, della A2 a 27 squadre, delle elezioni federali, di giovani talenti, strutture sportive e naturalmente della ripresa delle attività in questo periodo di Covid-19.




sabato 1 agosto 2020

Scenari futuri per il "sistema basket" tricolore. Idea canale tematico

di Giovanni Bocciero*

L’emergenza Coronavirus sta mettendo in grande difficoltà il mondo della pallacanestro. Non solo la stagione è stata sospesa anzitempo, ciò che preoccupa adesso è come riprenderà l’attività agonistica. Il calcio, pur barcollando all’inizio, ha ripreso a giocare. Una condizione, ed una volontà, legata in particolare ai diritti televisivi che sono una gran miniera d’oro per tutto il sistema calcistico. Ma l’emergenza ha messo a dura prova l’intero tessuto imprenditoriale/aziendale, i cui effetti non sono ancora del tutto calcolabili. Diritti tv e aziende, due fattori che caratterizzano a loro modo il sistema calcio e quello basket. Vediamo perché.

La Serie A di calcio percepisce, e percepirà, dai soli diritti televisivi circa 1,34 miliardi di euro annui (includendovi i diritti venduti all’estero) sino al 2021. Diverso il discorso per la prima divisione di pallacanestro, perché circa i 2/3 dei 109 milioni e rotti di ricavi dell’anno 2019 provengono dalle sponsorizzazioni. In questo caso i diritti tv si aggirano sui 2,8 milioni di euro.

Con questi numeri si capisce come il modello di business delle due leghe sia diametralmente opposto. E se l’emergenza ha messo in ginocchio le aziende, aspettiamoci il crollo del modello di business del basket basato, appunto, sulle sponsorizzazioni. Da questo punto di vista il recente stop sulla proposta conosciuta come “credito d’imposta per le sponsorizzazioni” potrebbe rendere ancora più difficile il reperimento di fondi per i club. Inoltre, l’incertezza che influenza l’avvio della prossima stagione, riguardo alla presenza o meno del pubblico nei palazzetti, andrebbe ad intaccare la 2a principale fonte d’entrata, ovvero il botteghino.


Non ci voleva di certo questa premessa per inquadrare lo stato dell’arte di un movimento che conosce perfettamente le sue difficoltà. Ed è un peccato che questa emergenza sanitaria si sia manifestata proprio a metà di questa stagione che stava segnando l’inizio di una nuova primavera per la pallacanestro della massima serie, con pubblico e incassi in netta crescita.

I 2/3 del totale dei ricavi provengono dagli sponsor: si parla quindi di una cifra intorno ai 75 milioni di euro. Dati alla mano, nel massimo campionato italiano di basket gli sponsor sono di fondamentale importanza per garantire ai club il supporto economico necessario. E per le società, il termine “sponsor” può risultare riduttivo, visto l’impegno profuso da chi, associando il proprio marchio a una squadra, ne è spesso anche proprietario o azionista di riferimento. Inoltre, anche se l’impatto dei diritti tv è aumentato del 30% (grazie alla cessione dei diritti esteri a Eurosport, che insieme alla Rai trasmette il campionato in Italia), per un ammontare di circa 2,8 milioni annui fino al 2020, il volume d’affari è “negativo” rispetto al campionato francese che per i diritti interni guadagna 3 milioni a stagione, ed è distante anni luce da Spagna e Turchia. Infatti la Liga ACB da Movistar guadagna 10 milioni di euro, mentre la BSL turca, con il contratto siglato con Turk Telekom, guadagna più di 12 milioni di euro.

In questo senso la nuova governance della Lega Basket A dovrà subito affrontare un tema molto caldo, ovvero il bando per i diritti tv del prossimo triennio. La partnership con Eurosport, siglata nella stagione 2017/18, ha consentito una fruizione delle partite sia in tv che in streaming, permettendo alla Lega tricolore di sfruttare tutto il proprio potenziale. L’audience tv media si è mantenuta sui 120 mila spettatori a partita, mentre nel solo girone d’andata di quest’anno si era passati a 127.965 spettatori con Eurosport che ha fatto segnare un aumento del 39,8% di spettatori a partita per la diretta settimanale. Certo parliamo della massima serie, ma sono interessanti anche altri numeri per capire il bacino d’utenza dal quale la pallacanestro italiana potrebbe attingere. Ad esempio la Lega Basket A (LBA), guidata da pochi mesi dal neo presidente Umberto Gandini, ha trasmesso in diretta sulla pagina Facebook la Next Gen Cup, la competizione dedicata a formazioni Under18. Questo “format” ha fatto registrare ben 9.800 spettatori a partita. Una fan base di livello, se si considera che si tratta solo di settore giovanile, che comunque ha confermato l’audience crescente sui canali social: +19,8% su Instagram, +5,6% su Facebook e +4,4% su Twitter.

Per il futuro, prossimo e lontano, bisognerà focalizzarsi su alcuni punti cardine per la valorizzazione del prodotto basket. Come riuscire però ad accrescere la visibilità? Magari lanciando definitivamente un canale tematico in chiaro con un palinsesto dove poter trasmettere tutta la pallacanestro tricolore. È nei momenti di “crisi” che una scelta ritenuta avventata può rivelarsi una mossa visionaria. Abbiamo anche l’esempio piuttosto audace di Super Tennis. Il bilancio della Sportcast srl, società che gestisce il canale tematico, al 31 dicembre 2018 ha fatto segnare un valore della produzione (10.123.546,00) in crescita dal 2014, passando dal 31% al 42%. Il peso percentuale dei ricavi rispetto alla controllante si è ridotto al 68% essendo 6.863.880,00. In cinque anni di attività (2014-2018), l’ascolto medio si è tenuto sostanzialmente uguale, con un picco nel 2015 di 15.370 mentre negli anni 2017 e 2018 si è aggirato poco oltre i 14 mila spettatori.

La pallacanestro ha una fan base diversa e crediamo più ampia rispetto al tennis, quindi perché non lavorare affinché l’idea di un canale tematico sul basket diventi davvero realtà dopo averne discusso anni addietro, così da riportare la pallacanestro nelle case di milioni di appassionati che non avranno bisogno di pagare un abbonamento per guardarlo?


* per SPORTECONOMY