mercoledì 22 gennaio 2020

Il ritorno - Il viaggio di Petteway ricomincia a Pistoia

Dopo l'esaltante stagione in Toscana, le deludenti esperienze a Nanterre e Salonicco
Il viaggio di Petteway ricomincia a Pistoia
"Ho colto al volo questa opportunità: è come iniziare da zero. Salvezza? Possiamo fare di più"


di Giovanni Bocciero*


PISTOIA. Si dice che l’assassino torna sempre sul luogo del delitto. Questa può essere la metafora giusta per Terran Petteway, l’ala polivalente che questa stagione ha deciso di ritornare a Pistoia per ritrovare un po’ di serenità nella sua carriera. Lui arrivò in Toscana, direttamente da oltreoceano, nell’estate del 2016 dopo aver provato a farsi largo in Nba e fortemente voluto da Enzo Esposito. In quella stagione mise in mostra tutto il suo talento, facendo registrare addirittura una prestazione da 43 punti con 10/14 da 3. Grazie anche alla sua esplosione Pistoia raggiunse i playoff coronando così l’ennesimo ottimo campionato. Sembravano aprirsi per lui le porte della pallacanestro d’élite, ma prima Nanterre (con cui esordisce in Champions League, ndr), poi al Paok Salonicco e lo scorso anno a Sassari, raccoglie delle delusioni che ne tarpano le ali. Non si sa se l’assassino torni sul luogo del delitto perché sia un pazzo, o perché sia furbo. Petteway è sicuramente tornato a Pistoia perché è l’ambiente dove può tornare a mostrare tutto il suo potenziale.
Dopotutto è cresciuto a pane e basket. «Ho cominciato a giocare a pallacanestro all’età di circa cinque anni - ha esordito -, spinto dal fatto che si trattava di una cosa di famiglia visto che anche i miei fratelli ci giocavano. Ho provato a giocare anche a football americano, ma il basket è sempre stata una costante per me». E se gli domandate cos’è che più gli piace del gioco, vi risponderà senza esitazione: «La competitività. Ogni volta devi competere contro qualcuno. Questo significa metterti alla prova, affrontare delle sfide, e lo devi fare davanti al pubblico. Questo è quello che preferisco del gioco».
Terran ha deciso di tornare a... casa. "Avevo un ricordo bellissimo
della città e dei suoi tifosi, l'ambiente migliore per mettermi alla
prova dopo due anni insoddisfacenti".
Nella sua carriera non ha avuto un avversario che davvero lo abbia impensierito più del dovuto, e neppure un punto di riferimento da emulare. «Ho giocato contro tanti giocatori, sia nelle varie pre-season Nba alle quali ho preso parte che giocando qui in Europa, che non saprei dire un avversario in particolare. È davvero difficile sceglierne solo uno». «Non ho un personaggio sportivo a cui mi ispiri in particolare forse perché - ha rivelato Petteway - perché non guardo molte partite nel tempo libero, ma mi dedico ad altro. Ad esempio quando non sono impegnato con gli allenamenti o le partite mi piace stare in famiglia e giocare alla playstation con gli amici. Cose normali che mi distraggono dalla routine». Senz’altro gli piace di più il rapporto umano vissuto che quello virtuale. Proprio per questo «non mi piacciono molto i social media, perché secondo me nell’usarli si nascondono più aspetti negativi che positivi. Per questo non li uso a meno che non debba proprio».
In campo è un ragazzo serio, abituato a fare i fatti, che si fa apprezzare soprattutto per questo. Fuori dal campo appare riservato, quasi introverso. Prega tutti i giorni ma «non direi di essere una persona religiosa, anche se posso affermare di credere in Dio. Non sono però un frequentatore assiduo della chiesa». Condanna ovviamente il razzismo anche se non è mai stato soggetto. «Fortunatamente non mi è mai successo personalmente di essere al centro di un episodio di razzismo. A volte sono stato fischiato insieme alla squadra, ma si è trattato di nulla di grave». L’anno prossimo negli Stati Uniti si voterà per il nuovo presidente e, quello attuale ovvero Donald Trump non è molto simpatico soprattutto agli atleti di colore per tanti suoi gesti ed esternazioni al limite proprio del razzismo. Su questo argomento Petteway è stato davvero di poche parole, perché alla domanda su cosa pensasse del presidente americano ha risposto con un secco «no comment». Altro grande tema di attualità è quello riguardante l’ambiente, e su questo ha risposto: «Non ho un’idea precisa, ma ovviamente capisco che è importante la salvaguardia del nostro pianeta».
Nell’ascoltare le sue risposte si capisce che si tratta di un ragazzo con la testa sulle spalle, che ha dei profondi valori. Ma non fatevi ingannare dal suo percorso di studi, perché la laurea in studi etnici che potrebbe incuriosire molti è stata una scelta molto ben oculata: «Se devo essere onesto, era la cosa più semplice da poter studiare». Inoltre è molto autocritico e sa perfettamente quali sono i suoi difetti: «Come tutti i giocatori, credo che ci sia sempre qualcosa su cui dover lavorare e migliorare. Io personalmente ho tante cose da migliorare - ha raccontato -, non solo una. La mia forza, però, credo sia quella di cercare di giocare per la squadra. Ci sto lavorando tanto, soprattutto dal punto di vista della mentalità. Voglio rimanere sempre positivo e trasferire questa positività agli altri».
Abbiamo detto che Pistoia solo tre anni fa sembrava la sua rampa di lancio. Lui che ha avuto un’ottima carriera collegiale all’università del Nebraska, tanto da provare anche a giocarsi le proprie carte in ottica Nba. Purtroppo il campionato professionistico americano non lo ha mai preso, finora, davvero in considerazione. Per questo ha ripiegato sul Vecchio Continente dove le varie esperienze che ha vissuto lo hanno forgiato più dal punto di vista mentale che da quello tecnico. E se gli domandante se è soddisfatto della sua attuale carriera, non aspettatevi parole dolci. «Sono grato per le opportunità che ho avuto sin qui, ma in realtà non sono ancora felice della strada intrapresa nella mia carriera. Nelle ultime due stagioni mi sono ritrovato a dover rescindere il contratto che avevo con le squadre, quindi non posso dire che siano stati anni positivi per me». Proprio per questo ha deciso di tornare a Pistoia, dove sembrava stesse spiccando il volo. «L’essere ritornato a Pistoia è stata un’opportunità per iniziare da zero, per mettermi alla prova. Sono grato di poter essere tornato qui, e che la società abbia creduto in me. Avevo dei bellissimi ricordi del campionato, della città, e soprattutto dei tifosi e, davvero, non posso che essere felice di essere tornato».
In questo primo scorcio di stagione si è percepito quanto Petteway sia stato segnato dagli ultimi anni non proprio esaltanti. Non a caso non è più quel giocatore accentratore che, forse, guardava più alle sue statistiche personali che alle prestazioni della squadra; ma sembra aver capito quanto sia importante rendere partecipi tutti i compagni tant’è che sono lievitate le assist che distribuisce. «Negli anni sono maturato molto. Soprattutto dopo le ultime due stagioni nelle quali sono stato tagliato, ho avuto tanto tempo per pensare a come reagire. E questo credo che mi abbia permesso di crescere sotto il punto di vista della leadership. Inoltre ho potuto lavorare tanto per migliorare alcuni aspetti del mio gioco. Oggi cerco di coinvolgere di più i miei compagni, anche perché tutti si aspettano che prenda il pallone e tiri. Sto lavorando per cercare di maturare ancora di più, e credo di essere sulla buona strada».
Quando lui giocò a Pistoia, nel 2016/17, è stato anche l’ultimo campionato il club è riuscito a raggiungere i playoff. Da tre stagioni infatti l’obiettivo primario è la salvezza. «Non possiamo pensare troppo al futuro - ha continuato Petteway -, ma dobbiamo concentrarci su ogni singolo giorno. Di questo ne parliamo molto nello spogliatoio. Dobbiamo pensare ad una partita alla volta, e vedere solo alla fine dove ci avrà portato questa mentalità. Ma una cosa la posso dire, ovvero che pensiamo davvero di poter fare bene in questo campionato». L’amalgama tra i giocatori, e l’unione d’intenti con l’allenatore Michele Carrea sono punti fondamentali per raggiungere i risultati. «Io e il coach abbiamo un buon feeling. Su alcune cose siamo d’accordo, su altre meno, ma non abbiamo mai avuto problemi a parlare, a confrontarci. Lavoriamo bene insieme e sono molto felice di questo rapporto che c’è tra di noi».
Oggi pensa a Pistoia, e alla salvezza. Ma quando smetterà di fare il giocatore, cosa vorrà fare Petteway? «Voglio senza alcun dubbio rimanere nell’ambiente, e ci spero tanto. Ho dedicato tutta la mia vita alla pallacanestro e voglio che continui a farne parte anche in futuro. Non importa se nel ruolo di allenatore o anche in altri modi, questo si vedrà più in là». Avendo giocato sia in Italia che in Francia, però, non potevamo non sottoporgli la domanda su quale due due paesi preferisce: «Senza alcun dubbio l’Italia, che è un paese fantastico. La Francia non mi è piaciuta molto, la trovo troppo lontana dal mio modo di essere. Anche e soprattutto per questo sono tornato molto volentieri in Italia».

LA SCHEDA
Terran Petteway è nato l’8 ottobre del 1992 a Galveston, in Texas. Al liceo ha guidato la locale squadra dei Tornados venendo nominato due volte quale Offensive player of the year e guadagnandosi un posto tra i dieci migliori talenti dello stato. Per questo sceglie di andare all’università di Texas Tech, quella di Davide Moretti, ma dopo un anno appena si trasferisce all’università del Nebraska dove si mette in luce come uno dei migliori marcatori della Big Ten. Dopo un anno trascorso in G-League si trasferisce a Pistoia e inizia a girare per l’Europa: Nanterre, Paok Salonicco, Sassari.



* per la rivista BASKET MAGAZINE

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