Dopo l'esaltante stagione in Toscana, le deludenti esperienze a Nanterre e Salonicco
Il viaggio di Petteway ricomincia a Pistoia
"Ho colto al volo questa opportunità: è come iniziare da zero. Salvezza? Possiamo fare di più"
di Giovanni Bocciero*
PISTOIA. Si
dice che l’assassino torna sempre sul luogo del delitto. Questa può essere la
metafora giusta per Terran Petteway, l’ala polivalente che questa stagione ha
deciso di ritornare a Pistoia per ritrovare un po’ di serenità nella sua
carriera. Lui arrivò in Toscana, direttamente da oltreoceano, nell’estate del
2016 dopo aver provato a farsi largo in Nba e fortemente voluto da Enzo
Esposito. In quella stagione mise in mostra tutto il suo talento, facendo
registrare addirittura una prestazione da 43 punti con 10/14 da 3. Grazie anche
alla sua esplosione Pistoia raggiunse i playoff coronando così l’ennesimo
ottimo campionato. Sembravano aprirsi per lui le porte della pallacanestro
d’élite, ma prima Nanterre (con cui esordisce in Champions League, ndr), poi al
Paok Salonicco e lo scorso anno a Sassari, raccoglie delle delusioni che ne
tarpano le ali. Non si sa se l’assassino torni sul luogo del delitto perché sia
un pazzo, o perché sia furbo. Petteway è sicuramente tornato a Pistoia perché è
l’ambiente dove può tornare a mostrare tutto il suo potenziale.
Dopotutto è
cresciuto a pane e basket. «Ho cominciato
a giocare a pallacanestro all’età di circa cinque anni - ha esordito -, spinto dal fatto che si trattava di una
cosa di famiglia visto che anche i miei fratelli ci giocavano. Ho provato a
giocare anche a football americano, ma il basket è sempre stata una costante
per me». E se gli domandate cos’è che più gli piace del gioco, vi
risponderà senza esitazione: «La
competitività. Ogni volta devi competere contro qualcuno. Questo significa
metterti alla prova, affrontare delle sfide, e lo devi fare davanti al
pubblico. Questo è quello che preferisco del gioco».
Terran ha deciso di tornare a... casa. "Avevo un ricordo bellissimo della città e dei suoi tifosi, l'ambiente migliore per mettermi alla prova dopo due anni insoddisfacenti". |
Nella sua
carriera non ha avuto un avversario che davvero lo abbia impensierito più del
dovuto, e neppure un punto di riferimento da emulare. «Ho giocato contro tanti giocatori, sia nelle varie pre-season Nba alle
quali ho preso parte che giocando qui in Europa, che non saprei dire un
avversario in particolare. È davvero difficile sceglierne solo uno». «Non ho un
personaggio sportivo a cui mi ispiri in particolare forse perché - ha
rivelato Petteway - perché non guardo
molte partite nel tempo libero, ma mi dedico ad altro. Ad esempio quando non
sono impegnato con gli allenamenti o le partite mi piace stare in famiglia e
giocare alla playstation con gli amici. Cose normali che mi distraggono dalla
routine». Senz’altro gli piace di più il rapporto umano vissuto che quello
virtuale. Proprio per questo «non mi
piacciono molto i social media, perché secondo me nell’usarli si nascondono più
aspetti negativi che positivi. Per questo non li uso a meno che non debba
proprio».
In campo è
un ragazzo serio, abituato a fare i fatti, che si fa apprezzare soprattutto per
questo. Fuori dal campo appare riservato, quasi introverso. Prega tutti i
giorni ma «non direi di essere una
persona religiosa, anche se posso affermare di credere in Dio. Non sono però un
frequentatore assiduo della chiesa». Condanna ovviamente il razzismo anche
se non è mai stato soggetto. «Fortunatamente
non mi è mai successo personalmente di essere al centro di un episodio di
razzismo. A volte sono stato fischiato insieme alla squadra, ma si è trattato
di nulla di grave». L’anno prossimo negli Stati Uniti si voterà per il
nuovo presidente e, quello attuale ovvero Donald Trump non è molto simpatico
soprattutto agli atleti di colore per tanti suoi gesti ed esternazioni al
limite proprio del razzismo. Su questo argomento Petteway è stato davvero di
poche parole, perché alla domanda su cosa pensasse del presidente americano ha
risposto con un secco «no comment». Altro
grande tema di attualità è quello riguardante l’ambiente, e su questo ha
risposto: «Non ho un’idea precisa, ma
ovviamente capisco che è importante la salvaguardia del nostro pianeta».
Nell’ascoltare
le sue risposte si capisce che si tratta di un ragazzo con la testa sulle
spalle, che ha dei profondi valori. Ma non fatevi ingannare dal suo percorso di
studi, perché la laurea in studi etnici che potrebbe incuriosire molti è stata
una scelta molto ben oculata: «Se devo
essere onesto, era la cosa più semplice da poter studiare». Inoltre è molto
autocritico e sa perfettamente quali sono i suoi difetti: «Come tutti i giocatori, credo che ci sia sempre qualcosa su cui dover
lavorare e migliorare. Io personalmente ho tante cose da migliorare - ha raccontato
-, non solo una. La mia forza, però,
credo sia quella di cercare di giocare per la squadra. Ci sto lavorando tanto,
soprattutto dal punto di vista della mentalità. Voglio rimanere sempre positivo
e trasferire questa positività agli altri».
Abbiamo
detto che Pistoia solo tre anni fa sembrava la sua rampa di lancio. Lui che ha
avuto un’ottima carriera collegiale all’università del Nebraska, tanto da
provare anche a giocarsi le proprie carte in ottica Nba. Purtroppo il
campionato professionistico americano non lo ha mai preso, finora, davvero in
considerazione. Per questo ha ripiegato sul Vecchio Continente dove le varie
esperienze che ha vissuto lo hanno forgiato più dal punto di vista mentale che
da quello tecnico. E se gli domandante se è soddisfatto della sua attuale
carriera, non aspettatevi parole dolci. «Sono
grato per le opportunità che ho avuto sin qui, ma in realtà non sono ancora
felice della strada intrapresa nella mia carriera. Nelle ultime due stagioni mi
sono ritrovato a dover rescindere il contratto che avevo con le squadre, quindi
non posso dire che siano stati anni positivi per me». Proprio per questo ha
deciso di tornare a Pistoia, dove sembrava stesse spiccando il volo. «L’essere ritornato a Pistoia è stata
un’opportunità per iniziare da zero, per mettermi alla prova. Sono grato di
poter essere tornato qui, e che la società abbia creduto in me. Avevo dei
bellissimi ricordi del campionato, della città, e soprattutto dei tifosi e,
davvero, non posso che essere felice di essere tornato».
In questo
primo scorcio di stagione si è percepito quanto Petteway sia stato segnato
dagli ultimi anni non proprio esaltanti. Non a caso non è più quel giocatore
accentratore che, forse, guardava più alle sue statistiche personali che alle
prestazioni della squadra; ma sembra aver capito quanto sia importante rendere
partecipi tutti i compagni tant’è che sono lievitate le assist che
distribuisce. «Negli anni sono maturato
molto. Soprattutto dopo le ultime due stagioni nelle quali sono stato tagliato,
ho avuto tanto tempo per pensare a come reagire. E questo credo che mi abbia
permesso di crescere sotto il punto di vista della leadership. Inoltre ho
potuto lavorare tanto per migliorare alcuni aspetti del mio gioco. Oggi cerco
di coinvolgere di più i miei compagni, anche perché tutti si aspettano che prenda
il pallone e tiri. Sto lavorando per cercare di maturare ancora di più, e credo
di essere sulla buona strada».
Quando lui
giocò a Pistoia, nel 2016/17, è stato anche l’ultimo campionato il club è
riuscito a raggiungere i playoff. Da tre stagioni infatti l’obiettivo primario
è la salvezza. «Non possiamo pensare
troppo al futuro - ha continuato Petteway -, ma dobbiamo concentrarci su ogni singolo giorno. Di questo ne
parliamo molto nello spogliatoio. Dobbiamo pensare ad una partita alla volta, e
vedere solo alla fine dove ci avrà portato questa mentalità. Ma una cosa la
posso dire, ovvero che pensiamo davvero di poter fare bene in questo
campionato». L’amalgama tra i giocatori, e l’unione d’intenti con
l’allenatore Michele Carrea sono punti fondamentali per raggiungere i
risultati. «Io e il coach abbiamo un buon
feeling. Su alcune cose siamo d’accordo, su altre meno, ma non abbiamo mai
avuto problemi a parlare, a confrontarci. Lavoriamo bene insieme e sono molto felice
di questo rapporto che c’è tra di noi».
Oggi pensa a Pistoia, e alla salvezza. Ma quando
smetterà di fare il giocatore, cosa vorrà fare Petteway? «Voglio senza alcun dubbio rimanere nell’ambiente, e ci spero tanto. Ho
dedicato tutta la mia vita alla pallacanestro e voglio che continui a farne
parte anche in futuro. Non importa se nel ruolo di allenatore o anche in altri
modi, questo si vedrà più in là». Avendo giocato sia in Italia che in
Francia, però, non potevamo non sottoporgli la domanda su quale due due paesi
preferisce: «Senza alcun dubbio l’Italia,
che è un paese fantastico. La Francia non mi è piaciuta molto, la trovo troppo
lontana dal mio modo di essere. Anche e soprattutto per questo sono tornato
molto volentieri in Italia».
LA SCHEDA
Terran Petteway è nato l’8 ottobre del 1992 a
Galveston, in Texas. Al liceo ha guidato la locale squadra dei Tornados venendo
nominato due volte quale Offensive player of the year e guadagnandosi un posto
tra i dieci migliori talenti dello stato. Per questo sceglie di andare
all’università di Texas Tech, quella di Davide Moretti, ma dopo un anno appena
si trasferisce all’università del Nebraska dove si mette in luce come uno dei
migliori marcatori della Big Ten. Dopo un anno trascorso in G-League si
trasferisce a Pistoia e inizia a girare per l’Europa: Nanterre, Paok Salonicco,
Sassari.
* per la rivista BASKET MAGAZINE
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