Cultura sportiva!
Dove e come si insegna?
La tradizione sportiva
italiana è lunga quasi quanto la sua storia. In quasi tutti gli sport, sia
individuali che di squadra, l’Italia può vantare numerosi successi. Tuttavia la
tradizione e le vittorie spesso non sono accompagnate da atteggiamenti consoni
ad una cultura sportiva.
Questo dislivello tra
successi e comportamenti ha un grande responsabile nella mancanza di un
programma politico sportivo che comprenda normative adatte e mirate a
sviluppare la cultura dello sport, che ha radicato nelle persone che praticano
attività agonistiche o che semplicemente le seguono una visione distorta di ciò
che è realmente lo sport e soprattutto di come lo si dovrebbe vivere.
Cos’è la cultura? La
cultura è un concetto ampio e dalle diverse sfaccettature. Il suo significato
lessico è “insieme delle conoscenze relative a una particolare disciplina”. La
cultura è quindi sapere. In sociologia, invece, per cultura si intende
“l’insieme dei valori, simboli, modelli di comportamento e attività materiali
che caratterizzano il modo di vita di un gruppo sociale”. Quindi la cultura è
anche valori. E grazie appunto al sapere e ai valori la cultura è simile ad un
ponte fra ciò che è l’uomo e ciò che può diventare. Quindi la cultura è anche
potenzialità. Ma la cultura è anche il prodotto di un processo di apprendimento
e non qualcosa di innato. Pensiamo all’incontro fra culture diverse. Insomma la
cultura è anche costruzione.
Lo sport è cultura? Lo
sport possiede senz’altro tutti questi elementi: sapere, valori, potenzialità e
costruzione. Sapere: conoscere il movimento fisico, gli stili di vita sani, le
regole di uno sport. E fa parte del sapere anche imparare a conoscere se stessi
e gli altri attraverso lo sport. Platone diceva che “si può scoprire di più una
persona in un’ora di gioco che in un anno di conversazione”. Valori: impegno, divertimento, coraggio, solidarietà, entusiasmo, salute,
forza, rispetto delle regole e degli altri, gioco di squadra, vittoria,
miglioramento, sono solo alcuni dei valori esistenti. A seconda del nostro
sistema di valori le nostre azioni potranno essere molto diverse. Potenzialità: allo sport si conferisce una valenza pedagogica particolare. Le Nazioni Unite nel
2005 hanno promosso l’Anno Internazionale dello Sport e dell’Educazione Fisica che
ha affermato che lo sport è “componente essenziale della nostra società perché
trasmette le regole fondamentali della vita sociale ed è portatore di valori
educativi”. Costruzione: Nelson Mandela diceva che “lo sport ha il potere di
cambiare il mondo, di suscitare emozioni, di ricongiungere le persone, di
risvegliare la speranza dove prima c’era solo disperazione”. Ad avvalorare ciò c'è un dato: aderiscono al Comitato Olimpico Internazionale 205 federazioni
nazionali, mentre alle Nazioni Unite solo 192 paesi. Queste qualità, con regole
e comportamenti di tutti gli attori coinvolti, possono contribuire a formare
quella che possiamo chiamare cultura sportiva.
In Italia lo sport è
considerato cultura? Attraverso lo sport si può educare un Paese. Gli antichi
greci lo consideravano una palestra di vita, mentre per gli americani è il
mezzo per il riscatto sociale. In Italia è visto come un divertimento, un
passatempo, una scusa per evadere dai problemi quotidiani. Tutto nobile, tutto
giusto, tutto consentito. L'aspetto negativo è quando una manifestazione
sportiva diventa la valvola di sfogo delle proprie frustrazioni.
Dove si apprende la
cultura sportiva? La risposta a questa domanda è la stessa di dove
si apprende la cultura in generale. A scuola, ma anche dagli sportivi stessi. E
soprattutto nelle ore di educazione fisica. “Educazione”, appunto. Le domande
che forse dovremmo porci sono: quanti di noi sono stati davvero educati dalle
ore di sport a scuola? Quanti possono affermare di aver appreso lezioni di vita
utili per la quotidianità? Lo sport è uno dei massimi veicoli di aggregazione
sociale, insegna il sacrificio e il rispetto che dovrebbero essere alla base di
ogni società.
Lo sport è cultura. Secondo
il Libro bianco dello Sport 2007 della Commissione Europea, lo sport ha quattro
dimensioni: agonistico, preventivo, educativo, ricreativo. Oltre a migliorare
la salute dei cittadini, ha una dimensione educativa e svolge un ruolo sociale,
culturale e ricreativo. Pensate all’Universiade che solo lo scorso luglio si è
svolta a Napoli e in tutta la Campania. Una metafora di università e stadio, il binomio
perfetto di cultura e sport. In Italia il problema della mancanza di cultura
sportiva si traduce nell’avversario che non è un rivale, ma un nemico; e si va allo
stadio per offendere e non per sostenere. Lo sport è davvero cultura perché infondo non è solo un gioco, ma un vero e proprio stile
di vita.
Tre sono le espressioni
tipiche della condizione umana secondo la filosofia: il gioco, il rito e il
mito. Possiamo definire lo sport la versione moderna e organizzata del gioco. Al gioco succede il rito, come
per la religione, che è rappresentato da una gara. Il gioco e il rito sono le
forme culturali legate all’azione, al corpo, alla prestazione. Il terzo stadio
è il mito, pensate all’odierno idolo sportivo che non rispecchia lo stile di
vita del popolo, perché tende ad imporre il proprio modello a tutte le altre
persone. Come si veste, cosa utilizza, dove va, tutto diviene fenomeno da
seguire. E questo non esclude neppure i comportamenti fuori e dentro il campo.
C’è dunque il rischio, da parte dello sport, di contribuire al fenomeno della
idolatria, così da ritrovarci una società riflesso dello sport e non lo sport
riflesso della società.
Nello sport di alta
prestazione, che è poi quello che maggiormente influenza lo spettatore
sportivo, stanno contribuendo alla sua continua evoluzione l’impatto economico
della sport industry, l’innovazione tecnologica e il peso dei media, che sono
arrivati, ad esempio, a cambiare a seconda delle proprie esigenze le stesse
regole dello sport. Sport e business sono strettamente legati verso il successo
ad ogni costo. Lo sport, oggi, premia la cultura del successo, che sacrifica
l’elemento del gioco in favore del risultato, che va raggiunto a qualunque
costo, anche e soprattutto per gli interessi economici ad esso legati.
È dunque fondamentale
saper riconoscere la differenza tra la vittoria, che deve essere perseguita e
rincorsa fino alla fine, e la sconfitta, che deve essere accettata come parte
integrante del gioco. Deve essere valutata la prestazione e non il risultato.
Si tratta di mentalità ed educazione. Lo sport è uno strumento importante per
accrescere e indirizzare le persone verso determinati comportamenti. E non
stiamo parlando del futuro del giovane sportivo, ma del futuro del giovane
cittadino.
La formazione di una
cultura sportiva mira a sviluppare una mentalità vincente, non solo un
vincitore da podio o da medaglia d’oro. Chi riesce a sviluppare una tale
mentalità impara dall’esperienza sportiva a conoscere se stesso, i propri
limiti e le proprie potenzialità. Acquisisce una capacità di
apprendimento che gli permette di perseguire un miglioramento continuo.
Dovremmo quindi ridefinire il concetto di successo e di vittoria domandandoci
“come abbiamo corso?”, e non “come siamo arrivati?”. Vincere allora può voler significare
non solo essere il migliore, ma anche fare del proprio meglio.
Bisogna essere spinti dal
fair play, che non è una regola come le altre. Il fair play impone il rispetto
delle regole del gioco ma anche delle regole non scritte e universali
dell’umanità. Il fair play non vuole mai una vittoria a qualsiasi prezzo, bensì
vuole il rispetto per l’avversario, i compagni e l’arbitro. E il fair play è ciò che unisce il dilettante e il
professionista, che sull’aspetto morale devono essere uguali in tutto e per
tutto.
Tutti conoscono le battute ciniche “vincere non è importante. È l’unica
cosa” o “il secondo è il primo degli ultimi”. Forse però è meno nota la
definizione “successo è il participio passato del verbo succedere”. Così
l’orgoglio viene ridimensionato. Le sconfitte sono sicuramente più numerose
delle vittorie. Allora uno dei valori educativi fondamentali dello sport è
quello di imparare a perdere con grazia.
È utopia sognare una
cultura sportiva? Forse il semplice fatto di sognarla è già un primo passo
verso una sua più ampia diffusione. Non a caso il giornalista uruguaiano Eduardo
Galeano diceva, riguardo all’utopia: “L’utopia è come l’orizzonte. Mi avvicino
di due passi, si allontana di due passi. Faccio dieci passi e si sposta di
dieci passi. Per quanto cammini, mai lo raggiungerò. Dunque a cosa serve
l’utopia? A camminare”.
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