Tutto cominciò con Franco Marcelletti
Tre allenatori oggi in Serie A, tanti altri che hanno lasciato il segno: ecco come all'ombra di Tanjevic, è nata e si è affermata la dynasty tecnica della JuveCaserta.
di Giovanni Bocciero*
LA
JUVECASERTA ha fatto la storia della pallacanestro tricolore con lo scudetto
del 1991 che risulta essere ancora oggi l’unico successo al di sotto della
Capitale, e centrato con un gruppo del tutto autoctono dai tecnici ai
giocatori. Proprio da quella formazione è nata un’autentica scuola casertana di
allenatori, con Franco Marcelletti
che ha vestito i panni del capostipite infondendo dettami tattici, tecnici ed
organizzativi oltre all’indubbia passione, ad assistenti ed atleti. Adesso sono
alla ribalta delle cronache i vari Sandro
Dell’Agnello, Gennaro Di Carlo e
Vincenzo Esposito, che stanno
facendo davvero bene rispettivamente a Caserta, Capo d’Orlando e Pistoia, ma è
doveroso ricordare tanti altri protagonisti che sono stati seduti su delle
panchine della massima serie come Maurizio
Bartocci e Nando Gentile, oltre
a Giacomo Leonetti che è stato
formatore a livello nazionale, Cristiano
Fazzi e Luigi Corvo che hanno
allenato nelle minors, e tanti altri che invece hanno ripiegato su piccole
società pur di tenere vivo il personale rapporto con la pallacanestro, come Giacomantonio Tufano e Sergio Donadoni.
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MARCELLETTI: "QUANDO IL BASKET DIVENTA MATERIA
DI VITA E SPORT CITTADINO PRODUCE
ALLENATORI E ATLETI DI GRANDE LIVELLO" |
«Si è creata questa vera
e propria scuola - ha esordito Marcelletti - e la testimonianza è che in una realtà come
Caserta, quando il basket diventa una materia di vita e lo sport cittadino,
questa produce giocatori, allenatori che a loro volta hanno svezzato altri
giovani che sono poi diventati atleti di alto livello, ma anche dirigenti come Gino Guastaferro che ormai svolge
questo ruolo in maniera professionistica. Questo è il grande merito di una
città come Caserta». Adesso sotto la lente d’ingrandimento ci sono Esposito
e Dell’Agnello, nei quali lo storico coach del tricolore vede «dal punto di vista caratteriale certamente
il loro modo di allenare assomiglia moltissimo a quel gruppo meraviglioso che
ha vinto lo scudetto. Da giocatori erano accomunati dal fatto di non mollare
mai, di non trovare alibi nei momenti di difficoltà bensì il modo per
superarli. Ad esempio Esposito in quel di Pistoia, con un roster totalmente
rinnovato ed anche più debole di quello della passata stagione, sta dimostrando
con il lavoro di superare la partenza difficile che ha avuto. Dell’Agnello
invece sta facendo un campionato davvero di altissimo livello dopo tutte le
difficoltà affrontate l’anno scorso. Questa caratteristica di sapersi adattare
alla realtà nella quale vivono, e di provare a costruire con il lavoro in
palestra senza attaccarsi a nessun tipo di scusa, è sicuramente ciò che
maggiormente li identifica».
Ma
qual è il segreto che ha permesso di dare vita a questa vera e propria scuola
casertana? «Quello era un gruppo, una
generazione, un periodo in cui tutti quei ragazzi vivevano la pallacanestro a
360° - ha rivelato ancora Marcelletti -.
Oltre al ruolo che ricoprivano in quegli anni, che era evidentemente quello
dell’atleta, vuoi della prima squadra o del settore giovanile, c’era alla base
di tutto un amore sconfinato per questo sport, una passione che non morirà mai,
che non ci abbandonerà e che avremo sempre dentro. E questo ci porta, tutti
insieme, ad informarci, a vedere le partite, ad allenare. La spinta principale
è dunque data da questi due fattori: l’amore e la passione». Aggettivi
questi che, ai giorni nostri, sono sempre meno conosciuti perché «l’avvento del cosiddetto professionismo ha
indubbiamente rovinato il romanticismo di questo sport - ha continuato
l’esperto tecnico -. Giusto per fare un
esempio, io oggi faccio fatica a trovare a Verona degli assistenti per il
settore giovanile, e mi capita di imbattermi in persone che non hanno l’umiltà,
il tempo e la voglia di imparare. Ai miei tempi uscivo di casa alle tre del
pomeriggio e vi ritornavo alle dieci di sera dopo aver allenato tanti gruppi
giovanili dal minibasket agli allievi, e non mi lamentavo».
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MARCELLETTI: "ALLA BASE C'È L'AMORE E LA PASSIONE
PER QUESTO SPORT CHE IN QUELLA GRANDE SQUADRA
ERANO SENTIMENTI COMUNI A TUTTI NOI". |
Tanti
sono stati i giovani allenatori cresciuti all’ombra di Marcelletti, e diversi
sono quelli arrivati ad allenare sino in massima serie. Ma qualcuno poteva mai
credere anni addietro che ci sarebbero stati tre coach casertani, seppur uno
d’adozione, contemporaneamente in Serie A? «Visto
il livello che hanno raggiunto direi proprio che non me lo sarei aspettato -
ha commentato l’allora direttore sportivo della JuveCaserta Giancarlo Sarti -, e va dato merito di questo soprattutto a Marcelletti che, lavorando
sia in prima squadra che con il settore giovanile, ha fatto un grande lavoro
con questi ragazzi. Si è trattata comunque di una crescita che ha coinvolto
tutti, sono state fatte delle cose magnifiche che ci possono soltanto riempire
d’orgoglio. Dell’Agnello, Esposito e Di Carlo sono delle grandissime sorprese,
e stanno facendo senza dubbio un ottimo lavoro. Loro, ma in generale tutti
quelli transitati per Caserta in quegli anni, hanno assimilato certamente
qualcosa dalle varie esperienze avute con Franco, perché già solo stare a bordo
campo ed ascoltare, guardare, rappresentava una lezione di basket. Pian piano
sono maturati come allenatori, mettendo in atto ciò che hanno imparato per fare
cose superbe».
Ma
quanto ha influenzato nelle carriere di Gennaro Di Carlo, Vincenzo Esposito e Sandro
Dell’Agnello il tecnico casertano per eccellenza? «Coach Marcelletti è stato per me un modello di allenatore - ha
dichiarato Di Carlo -, non fosse altro
perché lui era il tecnico della squadra dei miei sogni. Era il coach ideale, dal
quale ho imparato che il capo allenatore non si deve interessare solo della
prima squadra ma anche di tutta la struttura tecnica e societaria del club.
Spesso lo si trovava a vedere gli allenamenti delle giovanili, allenare i vari gruppi
a fine campionato, parlare e correggere gli istruttori. Un vero e proprio
modello al quale io ho sempre fatto riferimento». «Franco mi ha influenzato tantissimo nel corso della mia carriera da
allenatore - ha commentato Esposito -,
perché l’ho avuto sin da quando giocavo nelle giovanili e dunque mi ha lasciato
un segno davvero molto forte in tutto ciò che riguarda la pallacanestro». «I metodi di allenamento di Marcelletti
hanno inciso molto in me - ha dichiarato Dell’Agnello -, perché è stato il tecnico che ho avuto per più anni quando ero
giocatore, prima a Caserta e poi a Reggio Emilia. Da lui credo di aver appreso
molto, essendo sicuramente uno dei migliori allenatori italiani».
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SARTI: "NON MI ASPETTAVO CHE ARRIVASSERO COSÌ IN ALTO.
MERITO DI MARCELLETTI CHE FECE UN LAVORO ECCEZZIONALE
ANCHE CON LE GIOVANILI".
DI CARLO: "MARCELLETTI IL MIO MODELLO DI COACH".
ESPOSITO: "MI HA LASCIATO UN SEGNO MOLTO FORTE".
DELL'AGNELLO: "DA LUI HO APPRESO MOLTO".
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E
cosa invece hanno davvero emulato nel modo di allenare? «Marcelletti trasferiva tutta la sua grande passione, e soprattutto una
sfida continua che alimentava nei confronti di quelle che erano considerate le
squadre più forti dell’epoca - ha chiosato Di Carlo -, che si traduceva nell’abilità di dimostrare che eravamo sempre capaci
di competere. Questa mentalità che si aveva a Caserta ho cercato di farla mia».
«Sicuramente il lavoro quotidiano e la
cura per i dettagli è una delle caratteristiche principali che lo
distinguevano. Forse - ha continuato Esposito - anche in maniera piuttosto esagerata, ma è l’unico modo per tirare
fuori, da giocatori normali, quel qualcosa in più che permette ad un atleta
piccolo di sentirsi più alto». «Tutti
e due, lui quando mi allenava e io quando giocavo, e adesso che io alleno -
ha dichiarato Dell’Agnello -, abbiamo
sempre avuto una smisurata ambizione di vincere sempre e comunque, chiunque
fosse il nostro avversario».
Un pensiero particolare
Marcelletti lo ha dedicato a Gentile, suo braccio armato sul parquet: «Nando sicuramente poteva ancora ricoprire
un ruolo da head coach - ha chiosato il tecnico -, e sono convinto che possiede tutti gli strumenti per poter continuare
a fare l’allenatore ad altissimo livello. Però, pur senza mettere alcun limite
e considerando che oggi svolge un ruolo molto importante come responsabile del
settore giovanile di Milano, il tornare ad allenare è una volontà che spetta
unicamente a lui». L’ex playmaker della JuveCaserta si sente comunque assolutamente
un figlio «di quella scuola casertana
della quale Marcelletti è stato il primo, così come Virginio Bernardi. La caratteristica principale era che fossero
tutti casertani, cresciuti in una società che puntava molto sui giovani e sugli
istruttori del vivaio, e oggi fa indubbiamente piacere vedere tanti allenatori
cresciuti in quell’ambiente allenare in massima serie». Cosa intravede nel
lavoro dei suoi ex compagni? «Premesso
che ognuno interpreta la pallacanestro in modo soggettivo, quello che
maggiormente si nota è che tutti cercano di trasmettere il proprio carattere
alla squadra. Questa impronta caratteriale, molto forte, fa sì che i giocatori
assomiglino ai loro allenatori in tanti piccoli gesti». Cosa invece ha
appreso, e messo in pratica quando allenava, Gentile da Marcelletti? «Più che la tecnica ho sempre cercato di
ripetere il modo di gestire le cose che aveva Franco. Si tratta di quelle piccole
sfumature del mestiere dell’allenatore, come gestire particolari situazioni e fasi
di gioco, gestire il gruppo e il singolo, come rapportarsi con gli altri, tutte
cose in cui lui è stato un maestro». Ma tornerà ad allenare? «Non credo».
*per la rivista BASKET MAGAZINE