giovedì 27 aprile 2017

UWashington: da Roy a Fultz

UWashington: da Roy a Fultz

Seattle, soprannominata Emerald City per le bellezze naturali e gli edifici luccicanti, è di diritto una delle capitali del basket mondiale. Non basterebbe un libro per citare tutti i cestisti nativi della città, che pur sparsi per il globo si identificano per il caratteristico tatuaggio "206" che rappresenta il prefisso telefonico dell'area metropolitana. A Seattle è situato il campus dell'University of Washington, che insieme agli atenei di Gonzaga ed Oregon costituisce i programmi cestistici più blasonati del Northwest. E poco importa se le altre due hanno partecipato all'ultima Final Four di Phoenix mentre gli Huskies sono arrivati penultimi nella Pac-12 e mancano al Torneo NCAA addirittura dal 2011. Dopotutto in favore del college di Seattle possono parlare tutti i giocatori che hanno spiccato il volo verso il professionismo. Dal 2002 sono stati scelti al Draft NBA Nate Robinson, Brandon Roy, Bobby Jones, Spencer Hawes, Isaiah Thomas, Terrence Ross, Tony Wroten, C.J. Wilcox, Marquese Chriss e Dejounte Murray. Gran parte del merito è da attribuire alle abilità di reclutatore dimostrate da Lorenzo Romar, che dopo quindici stagioni è stato recentemente esonerato dal ruolo di head coach in virtù degli scarsi risultati centrati nonostante il talento a disposizione.


Brandon Roy quando giocava per gli Huskies (Foto Olympian)

Appunto il talento, forse il migliore della nazione, come quello di Markelle Fultz che il prossimo giugno si unirà alla lista degli ex Huskies scelti al Draft NBA. E addirittura il playmaker punta alla prima chiamata assoluta. Ma neanche una stagione da 23.2 punti con il 41.3% da tre, conditi da 5.9 assist e 5.7 rimbalzi della baby star è risultata utile a Washington per tornare alla Big Dance. Oltretutto una curiosità, l'università di Seattle ha avuto sia al maschile che al femminile il miglior marcatore della Pacific Coast, Kelsey Plum con 31.7 punti e per l'appunto Fultz. Ok la lista, ma Brandon Roy per tutto ciò che ha fatto vedere quando militava nei Portland Trail Blazers, e Markelle Fultz per quello che s'intravede e che ben presto sarà chiamato a dimostrare sul parquet sembrano essere una spanna sopra tutti gli altri. Escluso ovviamente il funambolico Isaiah Thomas che dall'alto dei suoi 175 cm sta facendo delle cose a dir poco sconvolgenti pur venendo scelto soltanto con la sessantesima ed ultima chiamata. Ma restiamo in tema e tracciamo questa linea diretta che porta da Roy a Fultz.



Brandon Roy era un talento chiacchierato già nell'estate del 2002, quando era appena uscito dall'high school e sembrava orientato ad approdare direttamente in NBA. All'epoca non c'era ancora nessuna regola che vietasse il salto professionistico di coloro che venivano chiamati per questo prep-to-pro. Quell'estate furono cinque i liceali a giocarsi le proprie carte oltre a Roy, ovvero Amar'e Stoudemire, Lenny Cooke, DeAngelo Collins e Giedrus Rinkevicius. Di questi soltanto Stoudemire le giocò davvero bene visto che fu scelto dai Phoenix Suns con la nona chiamata e si è costruito una carriera di tutto rispetto. Cooke e Collins non furono scelti e sono finiti a girovagare tra NBDL, Filippine e Cina. Rinkevicius proprio come Roy non assunse alcun agente e dopo aver testato il terreno decise di ritornare sui suoi passi e andare all'università. Roy scelse dunque di giocare per Washinton, la squadra accademica della sua città. La sua fu una scelta saggia? Ancora oggi non sapremmo dirlo, sta di fatto che nonostante il tanto clamore intorno a se, pensava anche di non poter sfondare nella pallacanestro. Per questo da giovane ha lavorato al porto di Seattle pulendo i container per 11 dollari l'ora.
Di fondo c'era anche un problema. Il talento ex Portland soffriva di una forma di dislessia che ha influenzato parecchio la sua vita scolastica. Non a caso nell'anno da freshman ha avuto l'ok a giocare dalla commissione NCAA soltanto per il secondo semestre. Tutta questione di parametri scolastici da raggiungere dato che i voti che aveva non erano sufficienti a causa, appunto, del suo disturbo nell'apprendimento. Nella stagione 2002/03 ha disputato solo 13 partite, forse non abbastanza per la sua voglia di dimostrare dato che al college, alla fine, c'è rimasto per tutti e quattro gli anni. Nei due ultimi campionati ha anche trascinato gli Huskies alle Sweet Sixteen, il punto più alto della loro storia moderna. Le cifre statistiche di anno in anno sono andate aumentando, fino ai 20.2 punti, 40.2% da 3, 5.6 rimbalzi e 4.1 assist nella stagione da senior in cui disputò tutte le 33 gare in calendario.
Una volta laureatosi, fu scelto dai Minnesota Timberwolves con la sesta scelta, e subito scambiato coi Trail Blazers che lo fecero esordire neanche a dirlo, per uno scherzo del destino, contro gli allora Seattle SuperSonics. È inutile ripercorrere passo per passo la carriera da pro di Roy, nominato Rookie of the Year nel 2007 e che ha chiuso con all'attivo 321 partite giocate e 6107 punti realizzati. Potevano e dovevano essere certamente di più le gare e i punti, ma il destino quando ci si mette può essere davvero crudele. Quel talento aveva delle ginocchia di cristallo, che puntualmente facevano crack. E così nel dicembre del 2011 decise di appendere le scarpe al chiodo. Ma la voglia di giocare, di vincere, di lottare contro ogni ostacolo della vita era più forte. Il ritiro dura giusto sei mesi, perché lo ingaggiano i Timberwolves e ci riprova. Non andrà bene. Dopo cinque partite è costretto a fermarsi di nuovo e a saltare poi l'intera stagione. Il contratto biennale su cui aveva posto la sua firma viene strappato e allora sì, finisce qui la sua carriera. Senza un vero addio, un saluto al pubblico, lo scrosciante applauso dei tifosi. Che meriterebbe. Nulla di tutto questo. Anzi, finisce mestamente nel dimenticatoio.


La storia di Fultz ha anch'essa un che di magico. Per i primi due anni di high school viene relegato nel varsity team, praticamente la squadra dei ragazzini scartati e non meritevoli di giocare in quella vera. Due anni e lo staff tecnico della DeMatha Catholic deve ricredersi. Anche perché nel giro di pochi mesi cresce in altezza di circa 20 centimetri. Una cosa frequente a quell'eta. Ma anche i miglioramenti prettamente tecnici che compie il ragazzo sono impressionanti. Così qualche università inizia a seguirlo con attenzione grazie alla soffiata di uno scout di Baltimora, tale Jide Sodipo. Fultz viene attratto dalla prospettiva che gli pone dinanzi coach Romar, e così attraversando tutti gli States, lascia Washington D.C. - sua città natale - per lo Stato di Washington. Nel frattempo Fultz rimedia la convocazione per i Campionati americani Under 18 del 2016 che gli USA vincono agevolmente e viene eletto anche Mvp. Non è tutto oro quel che luccica però.
Inizia la stagione universitaria e lui è in cima a qualsivoglia Mock Draft continuando la strada degli one-and-done. Tutti erano pronti a scommettere che sarebbe stato per primo il suo nome ad essere pronunciato dal commissioner Adam Silver nella sera del prossimo 22 giugno. E adesso invece pare che gli addetti ai lavori possano preferirgli il diretto concorrente Lonzo Ball o Josh Jackson. Questo perché pur mettendo insieme le cifre prima menzionate, alcuni aspetti del suo gioco sembrano non abbiamo convinto del tutto. Una scarsa voglia difensiva e il troppo egoismo a gonfiare i suoi numeri sarebbero alla base di questi giudizi. Le potenzialità non si discutono affatto, ma avrebbe bisogno dell'impegno e della forza di volontà che Roy ha messo a livello accademico per spazzare via ogni nuvola. Il futuro per lui appare comunque molto roseo.

Nonostante tutti i nomi degli ex Huskies che precedentemente abbiamo nominato, è da sottolineare come Washington abbia avuto i riflettori puntati addosso soltanto quando poteva schierare sul parquet prima Roy e poi Fultz. Da questo punto di vista si può senz'altro dire che l'università per appeal sia tornata indietro di undici anni. E questo interesse mediatico sarebbe potuto continuare anche nella prossima stagione, dato che a Seattle era già atterrato Michael Porter Jr., prospetto numero 1 del paese e alunno del liceo Nathan Hale. Purtroppo il susseguirsi delle cose, con l'esonero di coach Romar e il conseguente trasferimento del padre assunto come assistente a Missouri, ha fatto sì che il ragazzo strappasse la lettera di intenti con il college del Northwest e seguisse il padre ritornando così nel suo Stato natale dato che è di Columbia. Per gli Huskies è un duro colpo da digerire, anche perché se Fultz fosse rimasto un altro anno e Porter non avesse cambiato la sua decisione, si sarebbe potuto assistere a giocate adrenaliniche tra i due. Come successo ai Campionati americani dove entrambi facevano parte della selezione statunitense.




C'è una curiosità da evidenziare comunque. La Nathan Hale ha chiuso al primo posto e da imbattuta il ranking nazionale Super 25. Trascinata dalle prestazioni diverse volte sublimi di Michael Porter. Ma merita grande considerazione anche il lavoro dello staff tecnico capace di mettere su un gruppo di grande qualità a sostegno del miglior talento del paese. E allora vanno fatti i complimenti anche a coach Brandon Roy. E già, proprio lui. Da fenomeno quale era sul parquet ha intrapreso questa nuova carriera da allenatore pronto ad insegnare e condividere con i futuri campioni i segreti di questo mestiere. E al suo primo incarico ha da subito fatto ritornare a parlare di sè. Perché è pur vero che le luci del palcoscenico erano tutte per Porter, ma anche Roy è stato più volte al centro dell'attenzione. E dato che negli States ci tengono al valore dell'alma mater, perché nei prossimi anni - se tutto dovesse andare bene - Washington non può pensare di assumere come head coach Roy, che proprio come Romar da giocatore è stato un Huskies? Così facendo il cerchio si chiuderebbe.


Brandon Roy con Michael Porter Jr. (Foto Slam)

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