domenica 15 dicembre 2024

L'uomo nuovo: Basile e la leggenda del bisnonno pescatore

Portato in Italia da Tortona, con Orzinuovi ed ora a Cantù si è imposto conquistando, con la cittadinanza, anche l'azzurro

Basile e la leggenda del bisnonno pescatore

Dall'emigrazione nel Wisconsin dell'avo palermitano, alla crescita in una grande famiglia di cestisti, all'incontro con Riccardo Fois che gli ha proposto un futuro da italiano. L'esordio da protagonista nel successo di Reykjavik della nazionale gli ha cambiato la carriera e propone nuovi interessanti scenari al club canturino. «Felice di aver ritrovato Brienza, orgoglioso della maglia azzurra». Ala forte o centro, punta sulla sua versatilità. «Posso migliorare, non è questo il momento di porsi limiti»


di Giovanni Bocciero*

 

SOLTANTO LO SCORSO MESE di ottobre si è aggiudicato il premio di Mvp straniero del campionato di serie A2 indossando la casacca di Cantù. Avendo però esordito nell’ultima finestra Fiba per le nazionali con la maglia azzurra, è diventato a tutti gli effetti italiano. Grant Basile è senza dubbio il cestista più chiacchierato di questo periodo in Italia. E con ragione, visto che può essere tanto utile alla nostra nazionale. Come ha già ampiamente dimostrato.

Innanzitutto però, va assimilato quanto prima l’italiano. «Lo sto imparando - ha detto ridacchiando il diretto interessato -, ma è difficile per me coniugare in maniera veloce i verbi. Cerco di ascoltare il più possibile e lo capisco se mi parlano piano. A tutti i tifosi posso solo dire che mi sto impegnando tanto per affrettare i tempi, ma devo ancora continuare a migliorare».


Proprio come sul parquet, perché Basile ha l’ambizione di diventare la miglior versione di sé stesso lungo i 28 metri per 15. «Ogni volta che avrò l'opportunità di giocare per la nazionale penso che sarà un onore. È qualcosa che spero di continuare a fare con grande soddisfazione. In Italia voglio scalare ogni vetta, e per adesso la priorità è vincere il campionato di A2. Sarebbe fantastico riuscirci, e vedere cosa mi aspetta l'anno prossimo. L’obiettivo è diventare il miglior giocatore che posso essere, così da aiutare i miei compagni a diventare una squadra vincente».

Provando a guardare già al futuro, questo gli varrà tanto per la nazionale quanto per il club. Una cosa è certa, lo potrà fare da giocatore italiano, uno status che cambierà completamente la sua carriera da adesso in poi. «Sì, certo. Ovviamente è di grande aiuto essere considerato e poter giocare da italiano. Sarà di sicuro molto utile per il prosieguo della mia carriera».

AVVOLGIAMO IL NASTRO DELLA STORIA. Il bisnonno Nicola, umile pescatore palermitano, circa un secolo fa emigra negli Stati Uniti e si stabilisce nel Wisconsin. La pallacanestro diventa subito lo sport di famiglia. Il nonno Gianluca si appassiona e si cimenta a fare l’allenatore. Papà Michael e mamma Lisa ci giocano, e quando il padre smette inizia anche lui ad allenare. Grant, che ha tre sorelle - di cui una gemella - e un fratello, ne segue le orme.

All’high school si ritrova proprio il papà come coach, che lo instrada anche se sembra non ce ne fosse bisogno. Infatti l’adolescente Grant si fa subito notare con la sua Pewaukee. Vince due titoli interstatali chiudendo le stagioni con una doppia doppia di media: prima 13.6 punti e 11.5 rimbalzi, poi 24.9 e 15. Piazza anche una incredibile prestazione da 29 punti e 23 rimbalzi, con tanto di canestro della vittoria, contro la Whitnall di un certo Tyler Herro.

Sbarca al college, va alla Wright State in Ohio, e in tre anni fa lievitare sempre di più le sue statistiche personali, contribuendo fattivamente alla storica qualificazione dei Raiders al primo turno del torneo Ncaa. Arriva però la sconfitta per mano di Arizona, nel cui staff tecnico c’è l’italiano Riccardo Fois. È questo il crocevia che apre nuovi orizzonti a Basile. Fois dal 2012 è negli Stati Uniti, diventa coach analist di Gonzaga e nel 2017 entra a far parte dello staff dell’Italia guidata da Ettore Messina con il duplice quanto strategico ruolo, per conto della Fip, di osservatore in America di giocatori dalle origini italiane.

Nel post partita i due parlano, il tecnico gli propone la possibilità di vestire l’azzurro che all’atleta stuzzica. È forse il colpo di fulmine. Vengono avviate le pratiche per ottenere la cittadinanza italiana, e nell’estate del 2023, dopo essere arrivato a Tortona, ha avuto il primo vero contatto con l’Italbasket. Ha infatti disputato le due amichevoli con il Green Team di coach Edoardo Casalone in Spagna, contro la selezione iberica. Due prestazioni da 19 punti e 11 rimbalzi.

E 19 sono stati anche i punti realizzati all’esordio assoluto con la nazionale maggiore nell’impegno ufficiale contro l’Islanda a Reykjavik. Una prima che da regolamento gli ha fatto acquisire lo status di italiano, pur non avendo la formazione classica che si guadagna attraverso il percorso del settore giovanile. Ma soprattutto un numero, il 19, che si ripete, e che neanche a farla apposta è il giorno della sua nascita.

UN SEGNO DEL DESTINO. «Sinceramente non me ne sono reso neanche conto - ha riflettuto l’italoamericano, che ovunque gioca indossa il numero 21, disponibilità permettendo -. Certo che è una cosa pazzesca, pensandoci adesso. Posso solo dire che con il Green Team è stata una bellissima esperienza. È stato fantastico poter conoscere e giocare con alcuni di quei ragazzi. L’ambiente in cui si gioca permette che succedano cose inaspettate, e per quanto riguarda la ricorrenza di quel preciso numero, dico che semplicemente a volte le cose funzionano perfettamente».

Nella pallacanestro moderna, Basile è considerato un lungo che può destreggiarsi tra l’ala grande ed il centro, sia perché è capace di aprire il campo con il tiro dall’arco, sia perché ha la stazza per marcare i lunghi avversari. Ma se glielo si chiede, risponde che «è probabilmente una delle cose migliori del mio gioco. Almeno credo. Il fatto di poter ricoprire entrambi i ruoli, a seconda dell'incontro, degli abbinamenti e in base alle situazioni, mi rende versatile. È qualcosa in cui eccello».

Si può dire che è dunque la versatilità la tua miglior qualità? «Penso proprio di sì. Come ho detto, è una grande abilità essere in grado di giocare sia dentro che fuori dall’area. Questo fa sì che le difese debbano fare fatica a capire come vogliono difendere, se decidere di marcarmi sul tiro oppure se scegliere di cambiare per evitare la penetrazione. Saper fare un po' di tutto in base alla zona del campo in cui mi trovo, è fondamentale».

Grant è un ragazzo semplice, ha la testa attaccata al collo e lo sguardo ben puntato sui suoi obiettivi. Come lo si vede, così è. Non ha infatti nessun talento nascosto. «Penso che in campo, ripeto, sono semplicemente un giocatore versatile in grado di fare un po' tutto, che si allena molto. Fuori dal campo invece, guardo tanta pallacanestro per apprendere e capire il più possibile. Non ho davvero abilità nascoste».

Se del ct Gianmarco Pozzecco apprezza la schiettezza, e soprattutto la sintonia che crea con i giocatori per il suo passato con le scarpette ai piedi, un comun denominatore della ancor primordiale avventura italiana di Basile è senz’altro coach Nicola Brienza. Il tecnico lo ha infatti prima allenato a Pistoia, ad inizio della passata stagione, mentre quest’anno lo ha fortemente voluto con sé nell’esperienza a Cantù. Pur spendendo un tesseramento da straniero.

«Lui è fantastico, è stato grandioso per me - ha detto con grande entusiasmo l’italoamericano - poter giocare per qualcuno con cui ho avvertito sin da subito grande familiarità. L'anno scorso è stato un anno molto duro, tanto che ho giocato per quattro squadre diverse». La stagione l’ha iniziata prima da aggregato a Tortona, poi è stato mandato in prestito a Pistoia. Poche fugaci apparizioni e il resto dell’anno l’ha trascorso ad Orzinuovi. Infine ha concluso nella lega estiva canadese con i Saskatchewan Rattlers.

«Questo ha rappresentato una sfida per me. Non avere stabilità è stato difficile. Però adesso è molto bello aver ritrovato un allenatore come Brienza. Stiamo parlando di uno dei migliori tecnici presenti in Italia, e non è un caso che abbia vinto proprio il premio di coach dell'anno nella passata stagione. È un allenatore dal grande talento, ed è fantastico poter giocare per lui».


LA SCELTA DI CANTÙ è stata ponderata attentamente dal giocatore e dal suo entourage. Tortona c’ha investito dall’inizio, e l’estate scorsa gli ha anche proposto un rinnovo del contratto. Cosa che per la verità sarebbe stato automatico se Basile avesse ottenuto lo status di italiano a giugno 2024. Forse il club piemontese sperava che ciò accadesse, e invece c’è stato bisogno di aspettare il mese di novembre. Di firmare ed essere mandato in prestito, seppur in serie A, non ne voleva sapere il ragazzo. Allettato da una sistemazione stabile, così come ci ha detto qualche riga più su.

E allora ecco che nel frattempo si è presentata Cantù, che ha deciso di puntarci forte proponendogli un ruolo da protagonista in una squadra di altissimo livello che ambisce alla promozione. E che adesso, vedendo lo status di Basile cambiare, può addirittura rafforzarsi sul mercato individuando uno straniero che può diventare la ciliegina sulla torta.

Sicuro è che Grant in Italia si sente a casa, e forse non solo per le sue radici. Da famiglia numerosa, ha scherzato sul fatto che il Natale lo festeggiava con cento persone a tavola, sottolineando quella tradizione tutta italiana. In campo, invece, porta quell’etica del lavoro appresa sin da giovanissimo agli ordini del padre-coach. Ma soprattutto, cerca di trasmettere ai compagni quella leadership che ne ha fatto addirittura materia di studio in un master frequentato all’università di Blacksburg.

Ma la Nba è un tuo obiettivo? «Penso che in questo momento la priorità è continuare a scalare il basket europeo - ha tagliato netto Basile -. Ho ancora molta strada da fare, ma non voglio pormi limiti a dove posso giocare. Adesso è fondamentale per me cercare di trovare il modo per vincere la serie A2 e, poi spero, riuscire ad avere un impatto in massima categoria. È in questo modo che voglio salire di livello come giocatore».

L'UOMO NUOVO

Nato il 19 aprile del 2000, a Pewaukee, nel Wisconsin, Grant Basile è un lungo dinamico e alquanto atletico di 206 cm per 107 kg. Portato in Italia da Tortona nella primavera del 2023, lo scorso anno ad Orzinuovi ha viaggiato a 20.9 punti, 9.7 rimbalzi e 1.7 stoppate in 21 presenze tra regular season e fase ad orologio. Quest’anno, sempre in serie A2, gioca per Cantù, ha 18.4 punti con il 60% da 2 ed il 36% da 3, 6.4 rimbalzi e 1.3 assist di media. Nell’ultimo anno di Ncaa, con Virginia Tech, ha avuto 16.4 punti e 5.4 rimbalzi a partita, facendo registrare due gare consecutive da 30 punti e addirittura tre in stagione, diventando il primo Hokie a riuscirci.


*per la rivista Basket Magazine


lunedì 25 novembre 2024

Italbasket convincente in Islanda ma festa rovinata a Reggio Emilia

Gli azzurri vincono e convincono in Islanda, ottimo l’esordio di Basile

Per la terza partita del girone di qualificazione ad Eurobasket 2025, l’Italbasket si è recata a Reykjavik per affrontare l’Islanda. Quarto confronto tra le due nazionali. Tra infortuni vari e indisponibili per l’Eurolega, gli azzurri si presentano in undici elementi, con tre esordienti in Basile, Rossato e Poser. In avvio il ct Pozzecco si affida all’esperienza di Spissu, Tessitori e Vitali, presenti anche due anni orsono nella sconfitta in terra scandinava con Hlinason protagonista con una prestazione da 34 punti, 21 rimbalzi e 5 stoppate.

Memori di quella gara, il piano partita sembra piuttosto chiaro: occupare l’area per non concedere spazio al centro islandese, con Tessitori che prova ad essere pericoloso dalla media e lunga distanza per portarlo fuori dal pitturato in difesa. La svolta del match arriva piuttosto presto, perché l’Italia alza l’intensità difensiva nella seconda metà del primo quarto costruendo il parziale da 19-0 anche per via delle scarse percentuali dalla distanza degli avversari. Le qualità di Basile e la grinta di Rossato emergono sin da subito, con Pozzecco che al 9’ ha mandato in campo già dieci giocatori differenti. Questo permette di tenere alta la concentrazione, ed è per questo che l’Italia raggiunge un vantaggio ben oltre i 20 punti (il massimo sul 23-49). All’intervallo sono nove gli azzurri ad aver segnato almeno 3 punti, con Bortolani migliore a quota 9 chirurgico da 2 (3/3) e meno da 3 (1/4). Ma è tutta la squadra che tira meglio da dentro l’arco (60%) che da fuori (31%), piuttosto in controtendenza oggigiorno.

Dopo l’intervallo è l’Islanda ad entrare in campo con maggiore energia e cattiveria agonistica. Gli azzurri in grande difficoltà sono comunque bravi a non concedere rimbalzi offensivi agli avversari (1 in tutto il match), che col parziale di 15-0 si fa pericolosamente sotto. L’Italbasket, con Pozzecco rimasto negli spogliatoi causa emicrania, perde completamente fluidità in attacco, sbattendo più e più volte contro il totem Hlinason. Dopo oltre 5’ di siccità, ci pensa Basile con la tripla a sbloccare la nazionale. Poi il lungo di Cantù è bravo ad aprire la scatola islandese attirando il centrone avversario fuori dall’area e arrivando velocemente a quota 15 punti. L’assistente Casalone si affida a Rossato ed Akele (che timbra una doppia doppia), e questi rispondono con un ottimo impatto tanto in attacco quanto in difesa. L’Islanda pur essendo un fiume in piena riesce a tornare fino al meno 9. Poi gli azzurri grazie ad una serie di recuperi corrono veloci in contropiede, e di fatto riaprono la forbice. Festeggia anche per Poser, che appena mette piede in campo trova i suoi primi punti in azzurro.

Vittoria convincente per l’Italia, considerando le tante assenze di oggi e i risultati di altre importanti nazionali. Finale 71-95 (qui il boxscore). Appuntamento adesso lunedì 25 novembre al PalaBagi di Reggio Emilia per il return match.

Giovanni Bocciero



Un’Islanda più affamata rovina la festa di Reggio Emilia

Non è stata una bella Italia quella che al PalaBigi di Reggio Emilia ha affrontato per il return match della finestra Fiba l’Islanda. Gli azzurri del ct Pozzecco sono stati battuti da degli avversari che hanno dimostrato di avere più fame e più voglia, con una qualificazione ad Eurobasket 2025 ancora tutta da conquistare. Spissu e compagni hanno iniziato contratti e non hanno mai trovato continuità. Rispetto al match giocato pochi giorni prima, gli scandinavi hanno tirato meglio, in particolare da 3. L’Italia ha cavalcato i reggiani, di nascita o acquisiti. Se Melli nei primi 20’ si è visto poco, molto poco, Vitali è stato il primo a far esplodere il palazzetto con il canestro che ha inaugurato la sfida. Ed ha continuato ad essere una delle poche note liete della prima frazione. Insieme ad Akele, che sull’onda lunga della gara di Reykjavik è stato tra i più propositivi e si è reso protagonista anche di una bella schiacciata. Giocata nata da una delle poche azioni corali delle quali si è fregiata la nazionale italiana prima dell’intervallo.

Appunto, c’è da scindere l’Italbasket del primo tempo da quella del secondo, che invece ha innescato molto bene Melli con i giochi a due di Spissu. In difesa invece, si è concesso molti meno rimbalzi offensivi, sui quali l’Islanda aveva costruito il +14. Ma gli islandesi sanno essere rognosi per davvero, e quando sono entrati in fiducia hanno trovato anche dei canestri dal difficile quoziente. Il Poz ha fatto ruotare dieci elementi nei primi 10’, facendo esordire anche Sarr, che ha sbagliato i liberi che gli sarebbero valsi i primi punti con la nazionale maggiore. Le triple di Ricci e Bortolani hanno permesso il sorpasso, poi ha saggiato il campo anche Tessitori, con Caruso che ha rimediato un n.e.

Ma le idee del ct sono state chiare: Ricci e Melli i titolari, Akele e Basile i principali rincalzi. E proprio la prestazione dell’italo-americano è la fotografia migliore per descrivere l’intera prestazione di squadra rispetto alla gara di pochi giorni fa. Sul finale gli azzurri si sono impigriti di nuovo, hanno rinunciato anche a qualche tiro aperto, e così l’Islanda è ritornata sul +14. Il finale ha visto commettere tutti gli errori da evitare, in particolare la concessione dei rimbalzi agli islandesi. Che di fatto, hanno dimostrato di avere più fame e dunque meritato la vittoria: 74-81.

QUI le statistiche del match

Giovanni Bocciero




giovedì 14 novembre 2024

Italbasket - Back to back con l'Islanda: solite difficoltà per l'Eurolega ma stride l'esclusione di Librizzi

 Sta per ritornare l’Italbasket del ct Gianmarco Pozzecco, chiamata al back to back contro l’Islanda in occasione della seconda finestra Fiba per le qualificazioni ad Eurobasket 2025. Che ricordiamo si disputerà in Lettonia, Polonia, Finlandia e Cipro dal 27 agosto al 14 settembre prossimi. L’obiettivo degli azzurri, centrando due vittorie, è quello di chiudere definitivamente il discorso qualificazione, considerando i successi già incamerati contro Turchia ed Ungheria che valgono il primo posto attuale. Per la doppia sfida all’Islanda, con il match d’andata in programma venerdì 22 novembre alle ore 20.30 italiane a Reykjavik, e il ritorno fissato per lunedì 25 ore 20.30 a Reggio Emilia, il Poz ha selezionato 23 giocatori. Di questi, 15 atleti saranno già a disposizione per il raduno al Centro di preparazione olimpica dell’Acqua Acetosa a Roma dal 18 al 25 novembre, mentre altri 8 azzurri provenienti dai club di Eurolega si aggiungeranno per la gara di Reggio Emilia.

Rispetto all’ultima partita in terra magiara, conclusasi con la vittoria dell’Italia per 62-83, sono 6 i giocatori che tornano ad indossare l’azzurro: Marco Spissu che sta facendo bene a Saragozza, Davide Casarin, Luca Severini, John Petrucelli, Amedeo Tessitori e Giordano Bortolani, questi ultimi due migliori marcatori per l’occasione con 12 punti a testa. Completano il roster Diego Flaccadori, Michele Vitali, le giovani promesse Saliou Niang e Grant Basile, gli esordienti a livello di nazionale senior Riccardo Rossato e Federico Poser, e le vecchie conoscenze Davide Moretti, Davide Alviti e Nicola Akele. Oltre a questi 15 atleti, saranno a disposizione del ct Pozzecco successivamente al match di Reykjavik, il capitano Nicolò Melli, i milanesi Stefano Tonut, Giampaolo Ricci e Guglielmo Caruso, i virtussini Achille Polonara, Momo Diouf e Alessandro Pajola, e l’astro nascente in forza al Barcellona Dame Sarr.

Era il febbraio del 2022 quando l’Italbasket dell’allora ct Meo Sacchetti affrontò l’Islanda. Ci si giocava la qualificazione al Mondiale del 2023, e dopo la sconfitta per 107-105 dopo due tempi supplementari in terra scandinava (Nico Mannion 23 punti e Michele Vitali 22), gli azzurri si rifecero al PalaDozza di Bologna per 95-87 (Amedeo Della Valle top scorer con 26 punti, seguito da Vitali e Mannion con 17 e 16). «Ci attendono due partite decisive e stimolanti - le parole di Pozzecco -. La storia recente ci insegna che l’Islanda è una formazione da non sottovalutare. Sono felice di poter vedere, soprattutto nella prima parte del raduno, giocatori che non ho mai conosciuto o che ho visto poco la scorsa estate. La contemporaneità dei calendari internazionali non ci permette di avere tutti i giocatori che avremmo voluto. Ringrazio le squadre che con entusiasmo hanno accolto le nostre richieste».

Impossibilitati a partecipare a questa finestra per le qualificazioni ad Eurobasket 2025, i golden boys Gabriele Procida e Matteo Spagnolo, grandi protagonisti nell’ultimo successo dell’Alba Berlino contro l’Olimpia Milano in Eurolega. La formazione berlinese, in grande difficoltà a causa di una lunga serie di infortuni, dovrà giocare giovedì 21 novembre a Madrid contro il Real. Così come Mannion, del quale Milano non si sarà voluta privare in vista dell’incontro sempre in programma il 21 al Forum contro il Maccabi. Assodato che ormai Della Valle non rientra nei piani del ct, e che se Simone Fontecchio è impegnato con i Detroit Pistons Danilo Gallinari sta cercando un ingaggio in Nba, tra gli esclusi non si può non evidenziare Matteo Librizzi, giovanissimo neo capitano di Varese in rampa di lancio che proprio nell’ultimo turno di campionato si è preso la scena con una prestazione monstre contro la Virtus Bologna.

 

Giovanni Bocciero

giovedì 24 ottobre 2024

Mezzo secolo per Reggio Emilia, dove Kobe imparò a giocare a basket

Tra tanti alti e pochi bassi, la Pallacanestro Reggiana festeggia i suoi primi cinquant'anni di vita 

Mezzo secolo per Reggio Emilia

Dove Kobe imparò a giocare a basket

Da Montecchi a Basile, da Frosini a Faye, il ritratto di una città accogliente, speciale, innamorata della pallacanestro. Enrico Prandi: «Nati come fucina di giovani talenti. A capo della società da sempre imprenditori reggiani. La svolta nel 1978». Le perle le due finali scudetto del 2015 e 2016


di Giovanni Bocciero*


50 anni portati bene, è proprio il caso di dirlo. La Pallacanestro Reggiana è un esempio fulgido di quella provincia italiana che ha regalato storie meravigliose al basket nostrano. Un club sano, mai fallito nell’arco del suo percorso, da imitare sotto tutti i punti di vista, e specialmente per come lavora coi giovani.

«Il primo pensiero corre alla fondazione ed alla nascita di mia figlia - ha ricordato Enrico Prandi, fondatore ed ex presidente della società e poi commissioner della Lega Basket dal 2002-2007 -, motivo per cui fu posticipata da giugno al 3 settembre del 1974. Il progetto alla base della Reggiana non era certo quello di fondare un club che arrivasse a disputare la serie A. Volevamo altresì che la città avesse una sua squadra, e che potesse attirare qualche sponsor per permettere una florida attività giovanile così da diventare vivaio per i club maggiori presenti nei dintorni. Strada facendo trovare delle intese era difficile, così ci siamo tenuti i giovani e vincendo sul campo un campionato dopo l’altro siamo arrivati sino allo spareggio per l’A2». Era il 1982, si giocava a Udine contro Pavia.

Con l’ex presidente della Reggiana abbiamo fatto qualche passo indietro, alle origini del basket in città. «A Reggio Emilia c’era una latente passione per la pallacanestro sin dal dopoguerra, che poi è diventata tradizione coinvolgendo la provincia intera. Mancava però una squadra che potesse convogliare questo patrimonio. Infatti, già all’inizio degli anni ’80 contavamo 1500 abbonati».

Prandi ricorda anche un momento spartiacque. «Una tappa fondamentale è stato il primo campionato di serie B nel 1978/79, che ci mise difronte ad una categoria in cui capimmo che con le sole forze locali non potevamo fare di più. Così, in un’ottica di crescita costante, ci guardammo intorno e con l’intento di potenziare la squadra cominciammo a prendere giocatori provenienti da altre città. In virtù della rinuncia all’A1 della Fernet Tonic, terza squadra di Bologna, cogliemmo l’opportunità di prendere Mario Ghiacci».

A chi ha vissuto da protagonista questi 50 anni, in tante vesti diverse e oggi più che mai tifoso, abbiamo chiesto il quintetto simbolo della Reggiana. «Scegliere cinque giocatori non è facile. Di sicuro non può mancare Pino Brumatti, così come Bob Morse e Mike Mitchell. Senza voler trascurare nessuno, e restando nell’arco temporale della mia presidenza - ha sottolineato Prandi -, dico due nazionali come Piero Montecchi e Gianluca Basile. Ma la squadra che ha fatto le due finali scudetto andrebbe presa in toto».

Proprio a Montecchi e Basile, il primo giocatore biancorosso dal 1982-87 e poi di nuovo dal 1995-98, il secondo suo compagno di squadra nei tre anni e mezzo dal 1995-99, abbiamo chiesto cosa significa Reggio Emilia. «In una sola parola, è casa mia - ha detto Montecchi -, dove sono nato, cresciuto, diventato grande. Anche se per anni ho vissuto lontano, le mie radici sono ben salde. E questo vale anche per la squadra, naturalmente, non solo personale».

«Per me è dove tutto è nato - ha esordito Basile -, dove mi è stata data l’opportunità di realizzare il mio sogno. Sono arrivato che avevo 18 anni, per giocare con la squadra Juniores. Mi hanno accolto in maniera superlativa, e li ringrazio ancora oggi. Ero un ragazzo che andava via da una realtà che non gli poteva offrire nulla. Grazie alle persone che mi hanno voluto bene, il trasferimento non è stato difficile. Potrebbe sembrare ovvio, ma non lo è. Mi presentai con un polso fratturato ma mi è stata data l’occasione di esprimermi al meglio».

«Una storia che dura da mezzo secolo è di grandissima eccellenza - ha continuato Montecchi - sotto tutti i punti di vista: umano, sportivo, valoriale. I grandi risultati del club sono coincisi con la sua serietà in un percorso nel quale ha saputo trovare imprenditori che la accompagnassero nel modo giusto per rimanere sempre ad altissimo livello».

La storia della Reggiana è fatta di alti e bassi, di speranze e grandi delusioni. Ma facendo anche di necessità virtù, è stata scritta con pagine indelebili. «Quando la squadra retrocesse in A2 - ha ricordato Basile -, ci fu una nuova cordata che acquistò la società che era a rischio fallimento. Così il club decise di allestire un roster con un paio di veterani più i ragazzi del vivaio, con Giordano Consolini come allenatore, mio coach delle giovanili».

«Nell’arco di questi 50 anni ne sono passati di giocatori: grandi, meno bravi, fortunati o sfortunati - ha rievocato invece Montecchi -, di ogni paese. Basta vedere le foto dei singoli anni per farsi un’idea». Come allora dimenticare Joe Bryant, ma soprattutto il piccolissimo Kobe, che a Reggio Emilia ha trascorso gli anni dell’adolescenza e per questo vi era legatissimo. Fuori dal PalaBigi campeggia un murale a ricordare proprio il fenomeno dei Lakers.

Alessandro Frosini è stato nella città del Tricolore dal 2009-2020, prima da giocatore e poi da novello direttore sportivo. «Il club vive in simbiosi con la città. Non ce ne sono così tanti di luoghi in giro per l’Italia, nonostante c’è passione per la pallacanestro un po’ ovunque. Quello di Reggio Emilia è un modo di essere, tu puoi essere chiunque: un tifoso, un dirigente, un giocatore delle giovanili o uno sponsor, ma sei Reggio Emilia».

«Ho scelto la Reggiana - ha proseguito Frosini -, perché per esigenze personali dovevo riavvicinarmi alla mia famiglia. Cercavo un club con la giusta situazione, dove si potesse giocare una pallacanestro di un certo livello con un progetto serio. È stata la prima volta che non sono passato per il mio procuratore, ma ho telefonato direttamente il capo allenatore che era Alessandro Ramagli. Gli ho detto che sapevo stessero cercando il quarto lungo, e mi sono così proposto. Lui mi rispose che non sarei stato un rincalzo, ma il titolare. A me poco interessava in quel momento, volevo solo continuare a giocare arrivato alla soglia dei 37 anni. La trattativa si concluse con quella stessa chiacchierata».

È così che nasce la sua avventura a Reggio Emilia, in un club serio ed ambizioso con la voglia di ritornare in serie A e che poi è arrivato a giocarsi due finali scudetto consecutive, nel 2015 e 2016. «Dopo due anni da giocatori ho proseguito per altri nove da direttore sportivo. Anche nella nuova veste la cosa è nata strada facendo, con alcuni incastri che mi hanno favorito. E posso dire che negli ultimi sei mesi della mia carriera ho rivestito praticamente entrambi i ruoli, grazie anche al rapporto instaurato con Dalla Salda, e - ha concluso Frosini - in una stagione molto difficile in cui la squadra si salvò all’ultima giornata».

Non solo il sogno scudetto, negli anni sono stati tanti i giovani formatisi in biancorosso. La lista, piuttosto lunga, comprende alcuni come Nicolò Melli, Angelo Gigli, Federico Mussini, Giovanni Pini, Riccardo Cervi, Momo Diouf. Negli anni 2000, nell’Italbasket del ct Carlo Recalcati, giocavano quattro giocatori passati per Reggio Emilia: oltre a Basile e Gigli, Marco Mordente e Giorgio Boscagin. E addirittura, nella stagione 2014-15, la Reggiana guidata da coach Max Menetti in panchina e Andrea Cinciarini in campo, è stata l’unica società di serie A ad avere il minutaggio degli italiani superiore a quello degli stranieri.

L’ultimo prospetto lanciato la passata stagione è Momo Faye. «Sono arrivato a Reggio Emilia che conoscevo poco, solo quello che mi hanno raccontato, soprattutto di come lavorano con i giovani per farli crescere e diventare professionisti. Sono stato subito ben accolto, mi sono adattato alla città ed alle persone. Tutti mi hanno aiutato con la scuola e ad imparare l’italiano».

«Sulla storia del club ovviamente non so tutto, ma mi sono informato il più possibile. Sono attratto dai tanti giocatori famosi che hanno giocato a Reggio Emilia, come Amedeo Della Valle, Achille Polonara, e questo mi trasmette le motivazioni di dare ancora di più. Mi piacciono tanto i tifosi, che sono molto attaccati al basket, ed ogni sabato o domenica vengono numerosi al palazzetto. Questo è fantastico, perché anche quando ti incontrano in giro per la città - ha concluso Faye - ti dimostrano tutto il loro affetto».

In questi 50 anni, comun denominatore è stato il PalaBigi, il palazzo che ha visto la crescita e l’evoluzione della società. «È il punto fermo dell’attività e dei tifosi - ha commentato Montecchi -. Immagino che le proprietà che si sono succedute nel corso degli anni non siano così d’accordo, perché con un impianto più grande si sarebbe potuto avere un altro respiro. Però un palazzetto così, anche se vintage, acquisisce un grande fascino».

«Il PalaBigi è un’istituzione, e anche se ormai molto datato seppur ristrutturato ed ampliato, continua a svolgere quel ruolo di fortino per la squadra - ha detto Frosini -. Rappresenta la grande forza della società ma anche un limite, perché nel momento in cui siamo riusciti ad arrivare a livelli altissimi giocandoci le finali scudetto, aver avuto l’opportunità di giocare in un impianto con maggiore capacità avrebbe fatto sì che l’evento fosse seguito da molte più persone».

«L’unica cosa che posso augurare alla Reggiana, oltre ad altri cinquant’anni di attività - ha concluso Montecchi -, è di riuscire in quel miracolo soltanto sfiorato di vincere almeno uno scudetto che sarebbe un fiore all’occhiello per tutti i reggiani». Stesso pensiero anche per Prandi, che c’ha tenuto a sottolineare come le «le proprietà che si sono succedute siano state sempre reggiane. E quest’ultima con Veronica Bartoli è illuminata per la nascente ‘Casa biancorossa’».

Italbasket, la prima ufficiale al PalaBigi contro l’Islanda

Come omaggio per i 50 anni di storia della Pallacanestro Reggiana, la Fip ha indicato come sede di gioco della prossima partita dell’Italbasket proprio Reggio Emilia, a distanza di 24 anni dall’ultima apparizione. Gli azzurri del ct Gianmarco Pozzecco sfideranno l’Islanda al PalaBigi, lunedì 25 novembre 2024. Si tratta della quarta partita del girone di qualificazione all’Eurobasket 2025. La nazionale ha già messo in carniere due vittorie nella finestra dello scorso febbraio, con la Turchia per 87-80 a Pesaro, e in Ungheria per 62-83. Prima della gara di Reggio Emilia, gli azzurri giocheranno in Islanda, a Reykjavík, il 22 novembre 2024. Al PalaBigi si tratta della prima partita ufficiale della nazionale, che aveva disputato due amichevoli in passato. Il 6 gennaio 1978, con la Turchia per la Coppa Decio Scuri (107-77 per gli azzurri); e il 26 febbraio 2000, con la Francia, altra vittoria per 69-65.


* per la rivista Basket Magazine

venerdì 26 luglio 2024

Wembanyama, un fenomeno sulla grande scena dei Giochi

A Parigi tutte le attenzioni saranno su di lui, il gigante nato a due passi da Versailles che ha subito conquistato la Nba. All'unanimità rookie dell'anno, ha sorpreso tutti per l'armonia e la fluidità del gioco, insoliti per un ragazzo di 2,24.

Wembanyama, un fenomeno sulla grande scena dei Giochi

Il prodigio francese non ha deluso le aspettative e ora affronta il suo primo grande appuntamento, con la Francia che vuol sfidare gli Stati Uniti. Un bel banco di prova per capire sin dove si può spingere Victor che, per coach Popovich, «è molto più dotato di quanto lui stesso si immagina».


di Giovanni Bocciero*


Un giocatore dalle particolari caratteristiche si fa presto ad etichettarlo quale ‘unicorno’. Ma se in giro iniziano ad essercene troppe di queste creature leggendarie, è logico pensare che dopotutto così uniche non debbano essere. Forse è semplicemente il dato momento storico che permette la proliferazione di cestisti che, cresciuti secondo un’impostazione ben precisa, vengono fuori con delle peculiari capacità tecniche.

Poi però ammiri Victor Wembanyama, e a questo punto bisogna ristabilire qualsiasi tipo di categoria. Definirlo ‘unicorno’ è riduttivo, perché non c’è altro cestista che gli possa essere equiparato. In nessun caso. L’unicorno è oramai un termine diventato inflazionato nella pallacanestro, perché quel tipo di giocatore non rappresenta più un’eccezione ma un animale esotico in una fauna di normalità.

Nato a dieci minuti dalla Reggia di Versailles, in una città che conta poco meno di 30mila abitanti chiamata Le Chesnay, il fenomenale francese i geni dell’atleta li ha ereditati dai genitori. Papà Felix ex triplista di origini congolesi, nato in Belgio ma naturalizzato francese; mamma Elodie de Fautereau ex giocatrice di pallacanestro e oggi allenatrice. Entrambi alti circa 1,90 metro, hanno avuto tre figli, tutti cestisti, ma è il secondogenito che si appresta ad avere una carriera luminosissima. «Ho potuto scegliere se giocare a basket - ha detto Victor -, ma è sempre stato intorno a me e non l’ho potuto evitare».

Victor Wembanyama, 20 anni, punta di diamante
dell'emergente generazione dorata francese

Semplicemente madre natura. Con l’eccezionale altezza e la disarmante mobilità, Wembanyama ha attirato l’attenzione di allenatori e osservatori quando non era ancora un adolescente. Da bambino ha sperimentato diverse discipline. Prima ha giocato a calcio, da portiere, poi ha praticato lo judo. Fatto sta che quando arriva alla pallacanestro è semplicemente portato per questo gioco. A 10 anni è alto 1,80, e arrivano i primi osservatori per vederlo nelle giovanili del Nanterre.

A 14 anni il Barcellona tenta di accaparrarselo, facendo indossare a quel grattacielo, diventato nel frattempo 2,10, la maglia blaugrana per un torneo. Oltre all’altezza ed alla mobilità «sono rimasto colpito dalle sue mani. Pensavo che avrebbe avuto difficoltà - ha ricordato Carlos Flores, l’allenatore di quella squadra -, ma quando ha avuto il pallone in mano ci ha lasciato senza parole: era grazia e talento». Nonostante l’insistenza dei catalani, la famiglia ha preferito veder crescere Victor vicino casa.

Fenomeno mediatico. Wembanyama si è mostrato al mondo nel 2020, grazie al video in cui sfida Rudy Gobert diventato poi virale. Appena 16enne possedeva una disarmante naturalezza nel mettere palla a terra e un tiro più che fluido. L’anno successivo è al Mondiale under 19, e la sfida con Chet Holmgren ha già una cassa di risonanza globale. La Francia è d’argento, ma Victor ha lasciato il segno.

Il grande interesse intorno al prodigio francese ha indotto la Nba a trasmettere tutte le partite del campionato 2022/23 del Metropolitans. Una decisione per preparare il pubblico statunitense al draft che lo avrebbe visto essere la prima scelta assoluta, il secondo europeo dopo Andrea Bargnani. Terzo lo è diventato poche settimane fa l’altro francese Zaccharie Risacher, seguito dal connazionale di 2,13 metri Alex Sarr dalle spiccate doti da all-around. Giusto per comprendere la fucina di talenti d’oltralpe.

Prim’ancora del draft c’è stata la tournée a Las Vegas del club alla periferia di Parigi, fallito a un solo anno dall’addio di Victor. Lo scopo era far affrontare, con le rispettive squadre, il francese e Scott Henderson, il giovane talento americano sfidante alla scelta numero uno. E in termini pugilistici, quasi ad imitare Muhammad Ali, Wemby aveva detto che l’avversario «avrebbe meritato di essere la prima scelta, se io non fossi nato».

Alla corte dei santoni. Il suo trasferimento al Metropolitans è stato dettato dalla volontà, forte, di essere allenato da Vincent Collet, ct part time della Francia. Con lui ha esordito in nazionale maggiore nella finestra Fiba dell’autunno 2022, segnando 20 punti contro la Repubblica Ceca. Per non pregiudicarsi alcunché nella prima ed attesissima stagione Nba, ha saltato i Mondiali della scorsa estate. Ad aspettarlo a San Antonio ha trovato un altro santone come Gregg Popovich, che con molta probabilità ha posticipato il suo ritiro solo e soltanto per poter allenare il prospetto generazionale.

Dopo 71 gare giocate da ‘pro’, secondo l’allenatore degli Spurs il ventenne ha tutto per diventare il migliore giocatore di sempre. Questo perché «è competitivo, vuole vincere, è molto talentuoso». Ma soprattutto ha aggiunto, alzando se possibile ancor di più l’asticella e aumentando la pressione, che «è molto più dotato di quanto lui stesso si immagina».

Un esordio immaginifico. Nonostante il campionato sia stato negativo per la squadra, arrivata penultima nella Western Conference con 22 vittorie e 60 sconfitte, Victor non ha deluso le attese. Negli Stati Uniti si è parlato di una delle migliori stagioni di sempre per un rookie. Le prestazioni esaltanti non sono mancate, dal career high da 40 punti nella vittoria al supplementare contro New York, al 5x5 nella sconfitta contro i Lakers da 27 punti, 10 rimbalzi, 8 assist, 5 stoppate e 5 rubate; alle due triple doppie da 16 punti, 12 rimbalzi e 10 assist a Detroit, e da 27 punti, 14 rimbalzi e 10 stoppate a Toronto.

Ha fatto registrare 43 doppie doppie, 11 partite da 30 o più punti, e soltanto 3 volte non è andato in doppia cifra. Fa impallidire che soltanto Kareem Abdul-Jabbar, nel lontanissimo campionato 1975/76, abbia prodotto un’annata con numeri migliori in ogni categoria statistica. In un anno Wembanyama ha collezionato oltre 1500 punti, 250 stoppate e 100 triple, riscrivendo la storia della Nba. Ma questo è anche un segno inconfondibile della sua autentica tridimensionalità sui 28x15.

Non stupisce che abbia vinto il premio di Rookie dell’anno all’unanimità, nominato primo da tutti i novantanove votanti tra giornalisti ed esperti. Per continuare a strabuzzarsi gli occhi, c’è da sapere che è diventato, sempre nella lega d’oltreoceano, il giocatore più giovane a registrare una partita da 20 punti e 20 rimbalzi (19 anni e 338 giorni); e il giocatore più giovane di sempre a realizzare una tripla doppia senza palle perse (20 anni e 6 giorni).

Definirlo secondo i canonici ruoli della pallacanestro è assolutamente impossibile. Sono le parole dei campioni, suoi avversari in campo, che ne danno una reale dimensione. LeBron James lo ha chiamato ‘alieno’; per Stephen Curry «è un giocatore da videogame», perché certe cose si possono fare solo nella realtà virtuale e per questo può cambiare il gioco come è stato inteso sino ad oggi. Antetokounmpo ne ha invece parlato come di un «giocatore irripetibile».

Talenti fuori dal campo. Ama i Lego e disegnare. «Si tratta di attività salutari - ha spiegato Victor -, che richiedono precisione, combinando il lavoro delle mani e del cervello. Mi rilassano e mi permettono di pensare». Passatempi che ha coltivato con i genitori. «Fin da piccolissimo mi sono cimentato a disegnare perché mia madre studiava architettura. Un giorno mi ci dedicherò per davvero, ho in mente una storia che disegnerò. Il mio primo Lego è stato un’astronave, per questo sono un appassionato di Star Wars da quando avevo quattro anni. Ho guardato tutti i film con mio padre».

Obiettivo Parigi. Le sue capacità le potremo ammirare anche alle Olimpiadi, che praticamente si giocano a pochi passi da casa sua. «Fare bene sarebbe una grande storia - ha dichiarato il ventenne -, e non c’è altro obiettivo che l’oro». Inutile dire che anche sul palcoscenico dei Giochi attirerà la massima attenzione. Soprattutto, bisognerà capire come si presenterà. Sembra infatti che abbia utilizzato questo periodo di off season per mettere su massa muscolare. Ovviamente è un processo delicato, perché con il fisico che si ritrova non può comunque esagerare.

Nella seppur ancora breve carriera si è dimostrato tutto il contrario di fragile. Al di là delle gare di assenza concordate spesso e volentieri con la stessa franchigia, ha sopportato molto bene lo stress della prima stagione Nba. A Parigi se la dovrà vedere con avversari del suo calibro, e almeno un paio li ha nella sua stessa nazionale. Con Gobert, votato miglior difensore della lega statunitense, oscura la vallata formando praticamente una diga invalicabile. Al netto delle possibili scelte dell’ultimo minuto, non sono da meno neppure il solido Vincent Poirier oppure il grintoso Mathias Lessort.

Con gli Stati Uniti si riproporrebbero i duelli già visti nel corso della stagione con Joel Embiid, Anthony Davis e Bam Adebayo, così come con Nikola Jokic se affronterà la Serbia. Da quest’ultimo ha ancora tutto da imparare, per mentalità e approccio. Con Embiid, che avrebbe potuto giocare proprio con la Francia, non sono mancate delle scintille in occasione degli ultimi confronti. Mancherà invece il duello con Paolo Banchero, altra stella emergente che conosciamo piuttosto bene e che non è stato convocato dal ‘dream team’.

Profilo

Nato il 4 gennaio del 2004, Wembanyama (2,24 metri per 95 kg) è stato precoce per via della sua incredibile altezza. Con Nanterre ha esordito a 15 anni in Eurocup contro Brescia, e l’anno dopo è stato nominato per il miglior quintetto dell’Eurolega Nexg Gen di Kaunas. Nell’estate del 2021 è passato all’Asvel Villeurbanne, si è misurato con il livello Eurolega ed è diventato campione di Francia, ma l’anno successivo ha preferito trasferirsi al Metropolitans. Non ha vinto il titolo ma è stato nominato comunque Mvp del campionato, oltre ad aggiudicarsi per il terzo anno di fila il premio di miglior giovane della Lnb. Ha vinto anche un premio di Mvp dell’All Star Game francese nel 2022.

Statistiche

Wembanyama detiene la media più alta di 5.7 stoppate a gara in una competizione Fiba, realizzata al Mondiale under 19 del 2021. Nella tournée a Las Vegas nell’ottobre del 2022 ha disputato una serie di amichevoli con la casacca del Metropolitans, facendo registrare le medie di 36.5 punti, 7.5 rimbalzi e 4 stoppate. Ha concluso la sua prima stagione Nba con i San Antonio Spurs viaggiando a 21.4 punti, 10.6 rimbalzi, 3.9 assist, 3.6 stoppate e 1.2 recuperi in 29.7 minuti, venendo votato all’unanimità Rookie dell’anno. Con 254 stoppate è risultato il miglior stoppatore della lega, e si è classificato secondo per il premio di Difensore dell’anno.


per la rivista Basket Magazine

lunedì 8 luglio 2024

Italbasket - "Parigi val bene una messa", non per il nostro sistema

L'Italbasket era aggrappata al Preolimpico di San Juan per dare un senso all'estate 2024, così da partecipare alle Olimpiadi che tra poche settimane scatteranno a Parigi. Bissare l'impresa di tre anni fa a Belgrado si presentava comunque già difficile, a maggior ragione con le assenze dei vari Fontecchio, Procida, Spagnolo. Non nascondiamoci dietro un dito, perché chi oggi urla "vergogna" per l'eliminazione, volendo fare paragoni con l'italico calcio, è anche chi mestamente ipotizzava "ma che andiamo a fare" a causa degli infortuni appena menzionati. Quindi, in un qualche modo gli azzurri non hanno fatto e neppure perso nulla.

Certo, la speranza è sempre l'ultima a morire. E certo, nonostante il successo di Madrid e quello all'esordio con il Bahrain, contro Portorico prima e Lituania poi non abbiamo avuto lo stesso atteggiamento subendo gli avversari. Ne avevano di più, senza alcun dubbio, sia tecnicamente che fisicamente che mentalmente. Ma siamo questi, oggi più di ieri. Quindi val la pena puntare il dito contro il ct Pozzecco, o contro il presidente federale Petrucci? Secondo me no, se non per una bieca rivalsa personale. Non confondiamo, gli errori sono stati commessi. Il Poz ha dimostrato nell'arco di questi anni di essere coerente con la sua filosofia, portando avanti il processo di svecchiamento già attuato dal predecessore Sacchetti, e di badare alla creazione di un gruppo vero. Rinunciando anche al passaportato, da Thompson a DiVincenzo, per i quali oltre a difficoltà burocratiche sembra non ci sia mai stato l'affondo concreto.

Ma pur di prendersi il trono della Francia, visto che siamo in tema, Enrico IV rinunciò alla religione protestante convertendosi al cattolicesimo con la storica espressione "Parigi val bene una messa". Divenuta un modo di dire popolare per i francesi, simboleggia il sacrificio per ottenere qualcosa di più importante. In poche parole, una versione d'oltralpe de "il fine giustifica i mezzi" di machiavellismo memoria.

E allora se lo scopo era la qualificazione alle Olimpiadi 2024, come abbiamo già scritto al momento della long list delle convocazioni, un appunto che si può fare al ct è ad esempio la rinuncia scientifica a Della Valle. Tra i migliori italiani della nostra serie A, ormai da anni, avrebbe fatto comodo in quei frangenti o periodi più lunghi di rottura prolungata in attacco. Di evidente siccità offensiva che con l'assenza di Fontecchio era più che prevedibile. Prevedibile perché siamo questi, appunto.

Ed ha ragione Messina quando dice che "è quello che fanno i club per 11 mesi che fa il bene della nazionale", in riferimento alla crescita di Tonut che di certo non dipende dal mese all'anno trascorso in maglia azzurra. Ma al coach di Milano bisognerebbe anche ricordare che nella sfida da dentro o fuori con la Lituania, ad un certo punto l'Italia pendeva dalle labbra di Ricci, autore di due triple che hanno cercato di tenerla a contatto. Eppure l'ala nella decisiva gara 4 per lo scudetto ha collezionato un n.e., così come Bortolani al pari di Caruso. E potremmo ricordare Alviti fino allo scorso anno.

Quindi la soluzione è puntare il dito contro Pozzecco, che con tutti i suoi difetti lavora comunque con il materiale umano a disposizione? Basta puntare il dito contro Petrucci, invocando che la federazione metta regole per far giocare gli italiani? Oppure bisognerebbe che tutti, compreso i citati, prendessimo davvero a cuore la causa della nazionale, a partire dai club? Ci troviamo a dover ancora celebrare Belinelli e Aradori quali Mvp dei campionati di serie A e A2, che oggettivamente appartengono al passato dell'Italbasket.

Il sistema che non permette ai giovani italiani di giocare, di sbagliare, di esprimersi se non con i paletti imposti dall'alto, è poi pronto a salire sul carro dell'Under 17 che ha appena vinto una straordinaria medaglia d'argento al Mondiale di categoria. Ci si riempie la bocca arrogandosi i meriti, che di sicuro ci sono, ma dimenticando un'altra generazione. Quell'Under 19 che nel 2017 conquistò un altro argento mondiale. Di quel roster facevano parte Pajola, Caruso e Visconti, Denegri del quale ci si è accorti soltanto quest'anno, Bucarelli relegato in A2 nonostante di lui si parlasse come prospetto internazionale, e poi Mezzanotte, Penna, Simioni, Oxilia, Antelli, Massone che vivacchiano nelle loro squadre senza avere la fiducia necessaria per essere protagonisti. Oltre allo sfortunato David Okeke.

Certamente non tutti possono essere campioni e arrivare in nazionale maggiore, anche perché l'imbuto si restringe sempre di più a quel livello. Però quello che evidentemente manca è la predisposizione a crederci. A puntarci. A volerci investire. E allora ci si focalizza sulla semplice partita invece di guardare il quadro nel suo insieme. Nella sua complessità. La nazionale rappresenta soltanto la punta dell'iceberg di tutto il movimento, ma comprendo che spesso è più semplice dire che ha sbagliato l'allenatore oppure quel giocatore.

Non fraintendiamoci però, perché magari leggendo di fretta si potrebbe dire che preferiamo fare di necessità virtù. Assolutamente no, perché la convocazione di Della Valle dovrebbe essere ponderata, voluta, e non solo il classico tappabuchi perché manca all'appello Fontecchio. Questo però potrà essere soltanto il riflesso di una larga base di giocatori dalla quale poter pescare. E invece siamo questi. Sempre e comunque. Oggi più di ieri. Sperando nel domani. Anche se ci troviamo a dire più o meno le stesse cose, che presto andranno nel dimenticatoio. Fino alla prossima sconfitta decisiva, contro la Lituania o chi per essa.

Giovanni Bocciero

domenica 26 maggio 2024

Nazionale con i cerotti in vista del Preolimpico

L'incredibile bollettino medico degli azzurri impegnati lontano dall'Italia: infermeria piena e indisponibilità certe


Nazionale con i cerotti in vista del Preolimpico


Una serie di infortuni costringono a cambiare le carte in tavola al ct Pozzecco, abituato a lavorare con un gruppo consolidato. Prende forza il ritorno in azzurro di Awudu Abass mentre è svanita l'ipotesi Marco Belinelli. Consola il recupero ad alti livelli di Nico Mannion.


di Giovanni Bocciero*


Sarà un’altra estate a forti tinte azzurre, sperando che possa fregiarsi dei cinque cerchi olimpici. Proprio come nel 2021, il cammino dell’Italbasket verso l’Olimpiade di Parigi deve passare attraverso il torneo Preolimpico, e tutti ci auguriamo che l’epilogo sia proprio come quello di Belgrado. Questa volta però, gli azzurri del ct Gianmarco Pozzecco dovranno volare dall’altra parte del mondo per conquistare il pass. La nazionale, infatti, sarà di scena in Portorico dal 2 al 7 luglio, dove prima sfiderà il Bahrain e i padroni di casa, poi eventualmente due tra Lituania, Messico e Costa d’Avorio per semifinali e finale.

Soltanto vincere il torneo garantisce la qualificazione all’Olimpiade, dove il sorteggio ha già definito l’inserimento della vincitrice nel complicato girone con Stati Uniti, Serbia e Sud Sudan. Prima però di volare in Portorico con l’obiettivo di conquistare un posto ai Giochi francesi, la nazionale farà il ritiro di preparazione a Folgaria, dal 14 al 21 giugno, che si concluderà con l’amichevole del 23 contro la Georgia a Trento. L’Italia poi giocherà a Madrid contro la Spagna il 25 giugno la seconda e ultima amichevole prima del torneo Preolimpico.

IL TRASCINATORE. Chi saranno i dodici azzurri che si batteranno per riportare l’Italbasket alle Olimpiadi è difficile ipotizzarli adesso. A maggior ragione visto gli ultimi infortuni che hanno coinvolto diversi protagonisti. Uno su tutti Simone Fontecchio, il trascinatore della nazionale nelle ultime estati. Quest’anno ha disputato la sua seconda stagione in Nba, iniziando con Utah e finendo il campionato con Detroit, a cui è stato ceduto tramite scambio che ha fatto fare il percorso inverso a Gabriele Procida.

Fontecchio aveva già aumentato le sue cifre ed il suo impatto rispetto all’annata precedente a Salt Lake City, ma è letteralmente esploso al suo arrivo a Detroit, dove in una squadra oggettivamente in difficoltà e alla ricerca di risultati si è ritagliato il suo prezioso spazio. Con la casacca dei Pistons ha ritoccato il suo personale in Nba contro Dallas: in 32’ ha segnato 27 punti.

L’ala nativa di Pescara ha dimostrato ancora una volta tutto il proprio talento, ma ancora di più la fiducia nei propri mezzi. Proprio come riferito da uno scout dei Jazz, che all’epoca del provino era rimasto colpito dalla sicurezza con la quale Fontecchio scende in campo. L’estate che arriva è delicata per lui, sia per l’infortunio che gli ha fatto terminare anzitempo la stagione, sia per la questione contrattuale. Anche se si vocifera di un rinnovo quadriennale ai Pistons da 60 milioni.

Il suo infortunio preoccupa lo stesso Pozzecco, perché quella che sembrava una semplice botta all’alluce potrebbe fargli saltare l’estate azzurra. Appena ritornerà in Italia si potrà capire meglio il suo stato e l’eventuale disponibilità. Ovvio che sostituirlo adeguatamente non è missione semplice. Per la stagione che sta disputando, il solido Awudu Abass può essere un sostituto degno, e il ct ha praticamente già annunciato che vestirà l’azzurro anche in considerazione dell’assenza di Procida proprio in quel ruolo.

Naturalmente l’unico che possa sostituire Fontecchio per qualità e carisma, è Marco Belinelli. Ogni qualvolta si torna a parlare di nazionale il nome del virtussino in una maniera o in un’altra spunta sempre fuori. Per uno scherzo del destino, la sua ultima apparizione in azzurro è avvenuta al Mondiale del 2019 proprio contro Portorico. E quella rimarrà, perché con la nazionale discorso chiuso: «Non è disamore, in azzurro ho sempre dato tutto, ma non so se porterei qualcosa di più o solo negatività».

IL VETERANO. L’8 agosto saranno 36 gli anni di Danilo Gallinari che potrebbe forse vivere la sua ultima avventura in azzurro. Un po’ come accaduto al Mondiale filippino per Gigi Datome, il torneo Preolimpico di San Juan - sperando che sia solo una tappa transitoria verso i Giochi di Parigi - potrebbe essere davvero l’ultimo ballo per il Gallo, che per la nazionale si è sempre reso disponibile e spesso pagando un prezzo salato.

Nell’ultima apparizione si è infortunato al ginocchio, cosa che gli è costato non solo l’Europeo 2022 ma anche tutta la stagione Nba con la casacca dei Boston Celtics. Quest’anno per il nativo di Sant’Angelo Lodigiano è stata un’annata da nomade, tra Washington, Detroit e infine Milwaukee, tornando a giocare dopo lo stop ma trovando comunque poco spazio.

Ceduto a campionato in corso ai Detroit Pistons, ha comunque fatto vedere sprazzi del suo talento cristallino. Ma l’esperienza nel Michigan è durata appena 6 partite, visto che nelle ore in cui Fontecchio sbarcava a Detroit il Gallo risolveva il suo contratto. Free agent e a caccia del titolo Nba, ha trovato sistemazione a Milwaukee fortemente voluto da coach Doc Rivers, che lo ha già allenato ai Clippers.

Con i Bucks eliminati anzitempo dai playoff Nba, l'ex Olimpia sarebbe disponibile sin dall’inizio della preparazione in Trentino. Questo non esclude comunque che si possa unire in seguito, anche perché il suo ruolo in nazionale non è in discussione. Se non al meglio fisicamente può comunque dare minuti importanti di qualità. Proprio come all’Olimpiade di Tokyo, la cui tripla sputata dal ferro nel combattuto finale dei quarti contro la Francia grida ancora vendetta.

I GOLDEN BOYS. L’Italbasket inizierà il torneo Preolimpico di San Juan il 2 luglio, e in caso di qualificazione alla manifestazione a cinque cerchi la prima palla a due è fissata per il 27 luglio. Date che escludono i due golden boys Gabriele Procida e Matteo Spagnolo, entrambi fermati da infortunio. Procida è stato operato ad inizio aprile al tendine rotuleo del ginocchio sinistro, intervento resosi necessario dopo essersi fermato circa un mese prima.

Il nativo di Como in ottica nazionale ha disputato due ottime gare nella finestra dello scorso febbraio per le qualificazioni all’Europeo 2025. Prestazioni solide sia nel successo di Pesaro contro la Turchia (7 punti e 10 rimbalzi per 18 di valutazione, secondo miglior azzurro) che con l’Ungheria (9 punti, 3 rimbalzi, 3 recuperi e 2 assist per 15 di valutazione). In entrambe le occasioni è partito in quintetto, sopperendo all’assenza di Fontecchio, dietro il quale sembra in rampa di lancio.

Già iniziata la riabilitazione, un’ipotetica convocazione del classe 2002 è comunque molto complicata e potrebbe avvenire soltanto bruciando le tappe. Ancor peggio la situazione di Spagnolo, che proprio recentemente ha subito un intervento al metatarso del piede sinistro. Il classe 2003 di Brindisi è stato convocato ma inutilizzato per la finestra di febbraio, mentre si è fatto ammirare nel match di Eurolega con la Virtus Bologna: in meno di 15’ 15 punti, 13 nel solo quarto periodo lanciando la rimonta tedesca.

Procida e Spagnolo saranno due assenze preziose per Pozzecco, considerando che entrambi hanno partecipato alla spedizione mondiale nelle Filippine, così come Mouhamet Diouf. A questo punto sugli esterni è sicuro il ritorno di Nico Mannion, che dopo la parentesi al Baskonia si è ritrovato a Varese. Abbiamo tutti impresso negli occhi il giocatore delle Olimpiadi 2021, e quello che può dare all’Italbasket.

Già detto anche di Abass, diventa un candidato forte in questa posizione per l’azzurro John Petrucelli, giocatore dagli avi originari di Orta di Atella e comunque apprezzato dal Poz soprattutto per la sua intensità difensiva. Peccato non poter contare sul passaportato Donte DiVincenzo, soprattutto dopo la super stagione in maglia New York Knicks. I tempi burocratici non sembrano poter sbloccare la situazione dell’atleta che ha dichiarato amore incondizionato all’Italia.

Alternative potrebbero essere Giordano Bortolani, convocato nell’ultima finestra delle nazionali e stimato dall’allenatore che potrebbe cucirgli addosso un ruolo da specialista offensivo; oppure quel Amedeo Della Valle che seppur fuori dal progetto azzurro potrebbe comunque tornare comodo. Ma è logico che tutto dipenderà dalla conta di chi sarà diisponibile.

IL LUNGO. Diouf questa estate ha lasciato Reggio Emilia per provare l’esperienza all’estero con l’obiettivo di uscire dalla comfort zone. Non c’ha pensato due volte ad accettare l’offerta del Breogan, formazione della Liga Acb. In terra galiziana il 2.08 di origini senegalesi aveva iniziato piuttosto bene la stagione dal doppio impegno in campionato e in Champions League.

Nella stessa settimana aveva contribuito fattivamente alla vittoria europea con l’Hapoel Holon, con una prestazione da 17 punti, 9 rimbalzi, 2 recuperi e 2 stoppate, tirando 5/6 dal campo e 7/10 ai liberi in 22’; e poi al successo domenicale contro Saragozza, realizzando 11 punti e 8 rimbalzi, tirando 4/7 da due e 3/4 dalla lunetta in 18’.

Col Saragozza l’ultima apparizione stagionale di Momo, che ha infatti saltato il resto dell’anno per un infortunio al ginocchio sinistro. Dopo essere venuto anche in italia per un consulto medico, alla fine si è sottoposto all’intervento chirurgico prima di Natale, e il suo rientro è previsto per i principi di maggio. In caso di sua sostituzione, le alternative sono chiare: Guglielmo Caruso o Amedeo Tessitori, remota la possibilità per Paul Biligha.

 

AZZURRI ALL'ESTERO, QUESTE LE CIFRE

Dal suo arrivo a Detroit Fontecchio ha giocato più di 30’, segnando 15.4 punti di media e tirando con il 47.9% dal campo ed il 42.6% da tre, aggiungendo 4.4 rimbalzi e 1.8 assist. Ai Pistons si è solo incrociato col connazionale Gallinari, che in un’annata nella quale ha cambiato tre squadre ha fatto registrare la migliore prestazione stagionale proprio nel Michigan: 20 punti con 4/4 da tre, 3 rimbalzi, 2 assist e 1 rubata in 22’ contro Cleveland. Procida ha disputando una buonissima stagione all’Alba Berlino tra Eurolega e Bundesliga. 8.3 i punti di media nella campagna europea in 17’, 9.6 punti a partita con 1.5 rimbalzi e 1.4 assist in campionato. Spagnolo, alla prima esperienza in Eurolega, 7.3 punti di media con 3.4 assist e 2.3 rimbalzi in 20’. 11 le partite in Liga Acb giocate da Diouf prima dell’infortunio: 7.6 punti, 3.4 rimbalzi, col 47.2% da due e il 73.9% ai liberi.


* per la rivista Basket Magazine

domenica 28 aprile 2024

Speciale: Tra Pielle e Libertas vince... Livorno

Una stagione sempre ai vertici, tra scenari di pubblico spettacolari che meriterebbero il palcoscenico d'eccellenza

Tra Pielle e Libertas vince... Livorno

I biancoblù hanno conquistato la Supercoppa, gli amaranto hanno sfiorato la Coppa Italia: le due società labroniche si danno battaglia ma sono molto attive anche al di fuori del campo, pensando alla componente femminile, a quella giovanile, e a tante iniziative di solidarietà


di Giovanni Bocciero*


Il campionato di Serie B parla indubbiamente toscano in questa stagione, con Pielle e Libertas Livorno ed Herons e Gema Montecatini che stanno tracciando sin dall’inizio il percorso da seguire. Appropriatesi delle prime quattro posizioni del girone A, che sembra oggettivamente più qualitativo nel livello medio delle compagini rispetto a quello B, non è un caso che i primi due trofei siano stati vinti proprio da queste squadre. Soffermandoci sulle livornesi Libertas e Pielle, è interessante capire il loro diverso assetto societario, l’importanza data alla sezione femminile ed al settore giovanile con valenza sociale, e soprattutto il derby quale cassa di risonanza per tutto il movimento.

La Pielle Livorno di coach Marco Cardani ha inaugurato la stagione alzando al cielo la Supercoppa, e sta continuando col passo della schiacciasassi. «Non so se siamo la miglior squadra del campionato - ha esordito il presidente della Pielle, Francesco Farneti -, di sicuro siamo quella che sta andando meglio. Il gruppo è molto affiatato e vedo lo spirito giusto, con leadership riconosciute e un equilibrio interno. Tutto questo ci permette di rendere al massimo. In una visione più completa, i giocatori sono tra i più forti della serie, e giocano in un contesto dove sta andando tutto per il meglio. Quindi siamo anche fortunati in questo senso».

GLI IMPRENDITORI. Farneti, titolare della storica ed omonima farmacia di Livorno, è alla guida del Consiglio d’amministrazione composto da Riccardo Grillo, vice presidente e titolare dell’azienda Caffè Toscano che è title sponsor della squadra, e i consiglieri Marco Romei, Manolo Burgalassi e Mario Galdieri che è anche consulente legale. «La svolta societaria c’è stata in estate, quando abbiamo delineato le persone e la gestione della società - ha continuato il presidente biancoblù - ma in particolare con la nomina di un direttore generale come Gianluca Petronio. Figura di alto spessore e grande professionista, lo definiamo il nostro miglior acquisto. Con la riorganizzazione dell’organigramma abbiamo dato un significato importante a quella che è la gestione del club. Questo lavoro ci sta permettendo di avere i risultati attuali dopo gli anni passati con la cavalcata dalle serie minori. Per arrivare ad un livello superiore ci siamo concentrati sulla professionalizzazione delle figure che lavorano in società. Un salto di qualità che sta pagando».

La compagine biancoblù, nonostante il successo in Supercoppa, ha pagato un inizio difficile di campionato, con quattro sconfitte nelle prime undici giornate. Prima delle festività pasquali però, la Pielle è rimasta imbattuta nel girone di ritorno infilando 14 successi e prendendosi la vetta della classifica. «Ad inizio anno abbiamo dichiarato che entro tre anni avremmo fatto di tutto per essere promossi. Per come sta andando questa stagione siamo ben oltre le aspettative, dimostrando grande forza in campo, quindi è giusto approfittarne - ha sottolineato Farneti - e dare tutto per raggiungere subito l’obiettivo. Non possiamo non provarci».

LA TIFOSERIA. La squadra è entrata ormai in simbiosi con i propri tifosi, in particolare il gruppo organizzato dei Rebels. Dal coro “sono piellino e me ne vanto” nato circa due anni fa, ed entrato nell’animo dei sostenitori, si è passati al coinvolgimento degli stessi giocatori che al termine delle partite si accovacciano davanti alla curva prima di saltare per festeggiare tutti insieme. «Nessun accordo, nulla di organizzato - hanno rivelato i tifosi -, la squadra ha semplicemente abbracciato questa esultanza in maniera spontanea».

«La nostra tifoseria ha numeri importanti, ereditata dal passato perché la Pielle non è mai davvero sparita, neppure al tempo della fusione degli anni ’90 - ha sottolineato ancora Farneti - che portò allo sfascio del basket livornese. Un gruppo c’è sempre stato, ma con i risultati delle ultime due stagioni è esplosa di nuovo la passione, si sono risvegliati gli animi con un crescendo di emozioni ed entusiasmo. Questo ci ha permesso di arrivare a 2500 spettatori ad ogni partita, raggiungendo il limite massimo di capienza del PalaMacchia. Anche per questo le partite di cartello le giochiamo al Modigliani Forum. Il sostegno del pubblico ci ha dato e ci dà un grande aiuto, tanto colore, ma la squadra ha raggiunto un livello caratteriale e mentale tale da vincere a prescindere perché è davvero molto quadrata». E tutto ciò si vede in campo, dove è quasi sempre il collettivo ad emergere rispetto alle individualità.

Con un tifo che si avvicina a realtà come quella di Bologna, la Pielle ha avuto sin dalla sua rifondazione il sostegno di un cospicuo gruppo di sostenitori, che ha fatto parlare sempre di sé perché anche in Serie D c’erano almeno 50 tifosi al seguito. Tutto questo clamore ha fatto sì che nel tempo tante persone con ruoli differenti si avvicinassero alla società. Senza escludere gli stessi giocatori, che a parità di offerte hanno magari preferito Livorno come destinazione proprio per la bellezza del tifo.

Un aspetto importante che corre di pari passo a quello del tifo sono le iniziative sociali che mettono in campo i Rebels, che si impegnano con diverse associazioni del territorio ad aiutare con donazioni le persone in difficoltà o i bambini più bisognosi della città. Attività degne di nota, portate avanti anche dalle Rebels Girls, a dimostrazione che quella piellina è una tifoseria calda e passionale ma anche dal cuore d’oro. E parlando di femminile, bisogna ricordare la doppia mission della Pielle che ha anche una sezione rosa con la formazione che milita nel campionato di Serie B. Un ulteriore attività per attecchire nel tessuto sociale e territoriale della città.

IL DERBY. Il sogno è quello di ritornare in A2 anche per frequentare degli scenari più consoni al blasone della piazza, seppur il derby suscita un’attenzione già di quel livello. Riempire il Modigliani Forum con 8mila spettatori crea un ambiente che non sembra assolutamente da cadetteria ma di ben altra categoria, davvero fuori dal comune. E proprio il derby dello scorso gennaio è stato decisivo. Con la vittoria della Libertas di coach Marco Andreazza per 77-80, gli amaranto si sono qualificati alla Final four di Coppa Italia proprio a discapito della Pielle, che ha così dovuto guardare alla televisione la manifestazione tenutasi lo scorso marzo al PalaTiziano di Roma.

Foto Filippo Del Monte - Libertas Livorno

LA BANDIERA. «La posizione delle due livornesi è molto importante - ha esordito Alessandro Fantozzi, ex bandiera della Libertas - e lascia aperta la possibilità che una squadra possa centrare effettivamente l’obiettivo promozione. Il derby è senz’altro uno spot per la pallacanestro nazionale, segno dell’amore viscerale della città per questo sport, in un crescendo sfociato negli anni ’80 e ’90 quando entrambe le compagini erano in Serie A. Dopo un periodo non brillante, adesso sono ai vertici del campionato di Serie B ed hanno fatto venir fuori tutta la passione che è tradizionale della città di Livorno. La rivalità tra Libertas e Pielle non è mai sopita e mai lo potrà essere, un po’ come in realtà più grandi e prestigiose quale Bologna».

La Libertas al momento funge da inseguitrice in classifica, ma questo non toglie che «ci proviamo - ha esordito il presidente amaranto, Roberto Consigli -, perché quando si veste questa maglia te la devi giocare fino all’ultima partita. Questo per il solo valore storico e la responsabilità che si ha nei confronti dei tifosi, privati della loro squadra per vent’anni. Credo che il roster che abbiamo quest’anno, molto simile a quello della scorsa stagione con innesti oculati, è il segno del progetto che vogliamo portare avanti cercando di mettere un tassello alla volta. Se anche non dovesse arrivare la vittoria del campionato, è importante che si cresca sia come struttura societaria che come seguito di appassionati».

LE GIOVANILI. «Il futuro può essere roseo solo se puntiamo sul settore giovanile. Da qui la collaborazione tecnica con la Don Bosco che è più di un semplice accordo, ma una vera e propria sinergia con una programmazione comune - ha sottolineato il numero uno della Libertas -. Niente fusione però, perché siamo rimasti scottati da quella degli anni ’90. Invece sì ad una collaborazione che può intensificarsi e sulla quale ci teniamo molto, soprattutto dopo l’acquisizione della Invictus lo scorso settembre che ha preso il nome di Libertas Academy. Questo ci ha permesso di assicurarci un settore giovanile da 350 famiglie livornesi, prendendo in gestione le due palestre cittadine più belle, ovvero la Posar e la Gemini».

«Con la Pall. Don Bosco stiamo definendo modalità e forma, ma arriveremo a raddoppiare i numeri che saranno sicuramenti i più importanti a livello regionale per non dire nazionale. E sarebbe una grande soddisfazione non solo sportivamente parlando ma anche sociale, perché abbiamo una palestra nel nord della città che è la zona meno abbiente. Da questo abbiamo un ritorno di certo non economico ma umano, rappresentato da quelle mille persone tra ragazzini e genitori che sono venute festanti a Roma per tifare la squadra nella finale di Coppa Italia».

Nonostante la mancata vittoria del trofeo - a favore degli Herons Montecatini - che poteva vedere l’altra formazione cittadina bissare il successo in Supercoppa della Pielle, «la futuribilità del progetto Libertas è negli impianti e nei giovani - ha continuato Consigli -, non a caso quest’anno abbiamo investito più in questi due asset che nella prima squadra, dato che abbiamo preso giocatori interessanti come Tozzi ed Allinei, oltre allo sfruttamento del tesseramento comunitario puntando su Leon Williams».

LA FONDAZIONE. «Volendo restare aperti a qualsiasi nuovo ingresso in società, ci siamo guardati attorno e ci siamo ispirati ad altre realtà per vedere cosa potevamo mutuare. Alla fine abbiamo trovato lo statuto della Fortitudo Bologna, e con la stessa collaborazione dei dirigenti bolognesi abbiamo istituito una Fondazione partendo da quel tipo di modello. Ad oggi contiamo ben 66 soci della Fondazione che è proprietaria al cento per cento sia della prima squadra Libertas che del settore giovanile facente capo all’Academy. E siccome guardiamo sempre avanti, non escludo che in futuro si potrebbe inglobare anche il basket in carrozzina. Quindi la Fondazione è un contenitore che si occupa di proselitismo, dalla struttura estremamente complessa e di difficile gestione dato che ci sono tre diversi presidenti per essa, la Libertas e l’Academy. Ma tutti noi siamo spinti dall’entusiasmo che ci aiuta e non poco nelle difficoltà di tutti i giorni».

* per la rivista Basket Magazine