Ha firmato il periodo d'oro della pallacanestro italiana. «Deplorevole che da allora non si sono ancora fatti passi avanti per portare lo sport nelle scuole e migliorare l'impiantistica»
Acciari, il presidente delle scommesse vinte
Insieme all’avvocato Coccia ha rivoluzionato il movimento come lo conosciamo. «Grazie anche ai presidenti di allora, sempre presenti e con i quali si parlava, ci si confrontava e pure scontrava arricchendo il dibattito così da crescere insieme»
di Giovanni Bocciero*
Un dirigente che si è speso tanto per
la pallacanestro, vivendo gli anni del boom e scommettendo su alcune scelte che
hanno rivoluzionato il movimento come oggi lo conosciamo. Questo è Luciano
Acciari, avvocato romano e giocatore amatoriale che spinto dalla passione per
il gioco è stato prima presidente della Stella Azzurra (1971-79) e poi della
Lega Basket (1979-84), oltre a un dirigente di primo livello di Finmeccanica. «Mi
sono avvicinato alla pallacanestro a scuola, perché frequentavo il Collegio San
Giuseppe - Istituto De Merode dove era stata costituita la Stella Azzurra - ha
esordito Acciari -, che agli inizi degli anni ’60 aveva già una squadra in
serie A oltre alle giovanili. Questo è stato il mio primissimo contatto».
CLASSICA GAVETTA. «Al termine delle
giovanili chi non arrivava in prima squadra restava coinvolto in società,
militando magari nei campionati amatoriali o con qualche incarico societario.
Io fui aggregato al gruppo di frate Mario Grottanelli, che aveva promosso
l’istituzione della Stella Azzurra nel 1938, e mi occupavo della parte
amministrativa e accompagnavo le squadre giovanili sui vari campi di gioco. Quando
introdussero la figura dell’accompagnatore - ha continuato Acciari - affiancai
il tecnico Altero Felici nella parte logistica. Pian piano mi mandarono al
Comitato regionale e poi entrai nel Consiglio direttivo della società».
«Alla prima crisi della Stella nel ’71,
insieme ad altri consiglieri e amici rilanciammo il club. Fu un rischio, perché
già all’epoca c’era bisogno di sponsorizzazioni per fare attività, e coinvolgemmo
il gruppo Buitoni che fece una serie di analisi in termini promozionali e
pubblicitari nel settore basket. Tra le importanti scelte dell’epoca c’è quella
di prendere un giovanissimo Valerio Bianchini come allenatore. Era assistente
di Taurisano a Cantù, lo convincemmo a trasferirsi a Roma forti della bontà del
nostro progetto, e fu un matrimonio positivo visto che poi la sua carriera
decollò».
IL BUCO SCOLASTICO... «Sino agli anni
’70 lo sport era impostato sulla scuola o gli oratori. Grazie al successo ed
alla crescita che ha avuto la pallacanestro iniziarono ad arrivare risorse e fu
richiesto ai ragazzi un impegno maggiore e più costante pur mantenendo
un’attività primaria perché lo sport era un pezzetto della loro vita e non ci
si poteva mantenere. Si stava comunque prendendo un’impronta più manageriale,
tant’è che all’epoca si diceva che stavamo passando dalla pallacanestro al
basket». Eppure a distanza di 50 anni ancora non è stata recepita la grande importanza
della scuola nell’avvicinarsi allo sport.
«All’epoca con un gruppo di lavoro del
Coni ci relazionammo con il Ministero dell’Istruzione per aprire la scuola allo
sport, ma c’erano una serie di problematiche amministrative e giuslavoristiche che
presentavano difficoltà enormi. Alcune scuole si aprirono, ma è rimasto un buco
della nostra qualificazione sportiva che ancora oggi lo constato portando in
giro i miei nipotini. Anche se è molto migliorata la realtà scolastica per
approccio e impianti, visto che ormai c’è una palestra scolastica ovunque - ha
analizzato l’avvocato romano -, oggi ci sarebbe il substrato per rendere questa
attività più organizzata e istituzionale, ma viene fatta solo come promozionale
e collaterale».
…E QUELLO DEGLI IMPIANTI. «L’impiantistica
sportiva è un problema della società civile. Pensiamo agli stadi di calcio,
quante società vorrebbero costruirselo ma incontrano impedimenti urbanistici e
finanziari, quindi aspetti amministrativi e non solo organizzativi. Quando
dalla metà degli anni ’70 fu deciso di mettere i 3500 spettatori minimi in
serie A, un salto di qualità dalla palestra al palazzetto, fu una scommessa che
diede lo stimolo di costruire decine e decine di impianti per permettere alle
società di accedere ai vertici nazionali. Il problema vero è che non bisogna
solo trovare le risorse per costruire gli impianti, ma anche per mantenerli. È necessario
trovare una modalità architettonica che ne permetta lo sfruttamento non
limitato solo alla partita, ma multifunzionale, pensando ad una produttività
dell’impianto tra più sport - pallacanestro e pallavolo - o più eventi - sport
e concerti -».
Luciano Acciari, 78 anni, con l'allora presidente federale, Enrico Vinci, e il suo vice, Eugenio Korwin |
Acciari è stato membro del Consiglio d’amministrazione di Finmeccanica, e nel lavoro il vissuto del basket «è stato fondamentale. È comunemente riconosciuto come gli allenatori vengano invitati a fare dei corsi sul management per la gestione del gruppo, il coordinamento delle risorse, e tutta una serie di tecniche che i manager d’azienda hanno a disposizione. Gestire una squadra, ad un certo livello, ti metteva difronte a tante sfide: reperire risorse finanziarie, scegliere la base tecnica di allenatori e giocatori, convincerli a sceglierti e a renderli partecipi del tuo progetto, e poi sistemali e pagali, così come gestire l’impianto e la comunicazione. Era un contesto fortemente educativo».
«La creazione della serie A2, che fu
una genialità dell’avvocato Coccia, fu una scommessa. Perché un conto è portare
Genova, Trieste, Torino o Firenze ai vertici, un altro è ritrovarle dopo 4 o 5
anni ancora lì. Il rischio era nel sostenerle, tant’è che per alcune squadre è
mancata la continuità. Questo - ha continuato Acciari - ha permesso al basket
di andare da Reggio Calabria ad Udine, però mentre al nord la disciplina era
consolidata e quindi a Trieste magari era solo questione di tempo, per Caserta o
Reggio Calabria poteva essere un insuccesso. Siamo stati fortunati, e così il
basket ha vissuto l’estensione della sua presenza nazionale, allargando il
bacino di utenza».
RAPPORTI. «Quella era un’epoca nella
quale c’erano presidenti appassionati e con una sufficiente capacità economica
che hanno consentito la crescita delle squadre. Uno a caso il cavaliere
Giovanni Maggiò, che ha portato a Caserta giocatori del calibro di Oscar e
sostenuto la squadra fino alle finali scudetto, portandola ad un livello di
eccellenza per anni e non solo episodicamente. Ha fatto il bene di un’intera
città, stravolgendo la percezione e la stessa immagine di essa. Questo vale per
Maggiò ma anche per tanti altri - ha ricordato l’avvocato romano -. Quando ero
presidente della Lega i presidenti partecipavano attivamente e avevano la
capacità di decidere da soli, responsabili di ciò che facevano nel bene e nel
male».
«L’aumento della professionalità nella
pallacanestro ha portato alla sostituzione dei presidenti da parte dei general
manager, che hanno un approccio professionalmente qualificato ma non sono
portatori dell’originalità del pensiero. Sono strumenti, per questo parlare,
confrontarsi, anche scontrarsi con il presidente Porelli non era la stessa cosa
che farlo con Brunamonti, perché arricchiva il dibattito dell’assemblea. Questo
è stato un arricchimento per il movimento intero, nazionale compresa, che ha
raggiunto successi prestigiosi riconoscendo ai club e alla Lega una loro
importanza».
«Negli ultimi anni ho frequentato Petrucci
come amico, ed ho seguito la pallacanestro come tifoso, per questo senza
contatti particolari con questo mondo non sono in grado di dire cosa preservi
il futuro. So però che Gianni è stata la migliore opportunità che il basket
abbia avuto in un momento così difficile e complicato di un movimento che fa
fatica a trovare un equilibrio tra risorse, italianità, e quelle esigenze tanto
commerciali quanto sportive».
«Mi riconosce sempre il fatto che è
arrivato in Fip per merito mio, perché quando mancava un segretario lo indicai
al presidente Vinci visto che all’epoca era segretario della presidenza del
Coni. Purtroppo il tempo passa per tutti. Poi con la morte recente di La
Guardia ha perso il suo braccio destro, e se non dovesse essere riconfermato
perché magari non c’ha più voglia neppure lui, sostituirlo non sarà di certo
semplice. Non conosco i suoi competitor, ma se non dovesse essere confermato
faccio solo gli auguri al basket che possa trovare una persona capace di tenere
la barra dritta in un momento così importante».
VISIBILITÀ E POPOLARITÀ. «Tanto
dipende dai risultati. All’epoca della mia presidenza in Lega, uno sport come
il tennis giocava solo in un determinato periodo, mentre oggi è spalmato su
tutto l’anno. Poi ci sono i mondiali di qualsiasi disciplina, le competizioni
automobilistiche e motociclistiche che quasi non si fermano, e il calcio che la
fa sempre da padrone. Insomma, la concorrenza con gli altri sport è diventata
impressionante, e spesso questi riescono ad esprimere più facilmente il campione.
La crisi non riguarda solo la pallacanestro ma anche il ciclismo, perché se si
chiede a qualcuno del Giro d’Italia non è scontato che conosca cos’è, quando si
fa e come».
«Inoltre la stampa tradizionale non ha
aumentato i propri spazi e le tirature, mentre la televisione fa quel che può.
Massimo De Luca, ottimo giornalista e tifoso del basket, spinse per far
approvare Tuttobasket in radio, la versione cestistica del calcio minuto per
minuto che diede una grande mano alla crescita in termini di popolarità.
Dispiace vedere sui quotidiani nazionali solo una manchette limitata al
risultato di Eurolega, ma la realtà è ben diversa oggi. Non lo so cosa si possa
fare, ma credo che debba esserci maggiore condivisione della sua diffusione -
ha concluso Acciari -, perché il basket è più popolare rispetto a quanto se ne
scriva e se ne parli».
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