L’INTERVISTA. Il secondo genito del coach ha raccontato un profilo inedito dell’ex Pesaro
Giacomo Dell’Agnello: «In bocca al lupo papà»
di Giovanni Bocciero
CASERTA. Da quando è diventato ufficialmente il nuovo coach della Juvecaserta, su Sandro Dell’Agnello si è scritto tanto, tantissimo. Non che prima non lo si facesse, da queste parti. Dopotutto è uno degli eroi di quello scudetto targato 1991 che rimarranno stampati indelebilmente nel cuore dei tifosi bianconeri e nella storia del club di Pezza delle Noci.
Si è scritto di lui da avversario, anche se in maniera sempre benevola qualsiasi fosse il risultato del campo, e adesso che è venuto dalla propria parte, ovviamente, non si può che dipingerlo ancor di più in maniera positiva. Si sono sprecati fiumi d’inchiosto per scrivere del suo glorioso passato da giocatore, della sua nuova carriera da tecnico, si è cercato di capirlo dal punto di vista di come allena e di come si relazione con i giocatori, ma noi abbiamo cercato di fare ben altro, di più.
SANDRO DELL'AGNELLO CON I FIGLI GIACOMO (A SX) E TOMMASO |
Abbiamo infatti cercato di capire nel suo privato come è davvero Sandro Dell’Agnello, e lo abbiamo fatto con la complicità del figlio Giacomo, anche lui ovviamente cestista. Dopotutto, buon sangue non mente. Classe 1994, nell’ultima stagione ha militato tra le fila della squadra di Piombino in Serie B, chiudendo il campionato con le rispettabili cifre di 14 punti e 9,5 rimbalzi. Una doppia-doppia quasi di media, che sinceramente non fanno comprendere perché sia relegato nelle cosiddette minors quando ai piani più alti si vedono atleti dall’indubbio valore spacciarsi per fenomeni che poi si rivelano dopo anni di ostinata volontà essere soltanto dei fuochi di paglia e null’altro. Per lui questa estate è arrivata l’offerta da parte di Martina Franca, in Serie B, e chissà che questo non possa essere il suo trampolino per mettersi ulteriormente in luce.
Giacomo è soltanto il secondo genito di Sandrokan, visto che il figlio più grande è Tommaso, classe 1991, ed il quale gioca anch’esso a pallacanestro in quel di Livorno, in Serie C.
Innanzitutto Giacomo, come descriveresti tuo padre come persona?
«Forse vederlo da fuori non sembra, ma è una persona molto scherzosa a cui piace ridere. Forse è un po’ brontolone, ma nel momento del bisogno puoi sempre fare affidamento su di lui».
E invece se dovessi descriverlo come allenatore?
«Sicuramente è un allenatore severo che chiede sempre il massimo a ogni suo giocatore, ma allo stesso tempo riesce a trovare le giuste motivazioni da dargli».
Pur dovendo stare lontani per lavoro, come è il vostro rapporto padre-figlio?
«La lontananza non aiuta di sicuro, anche se ormai siamo entrambi abituati. Ovviamente mi piacerebbe avere molto più tempo da passare insieme, ma abbiamo uno splendido rapporto. Ci sentiamo quasi tutti i giorni ed andiamo molto d’accordo».
Quale è stato il primo insegnamento cestistico e non che ti è stato impartito?
«Senza dubbi quello di combattere fino alla fine senza mai darsi per vinti. E questo vale sia nel basket che soprattutto nella vita».
Da coach e soprattutto padre, ti ha mai dato consigli per migliorare sotto l’aspetto cestistico?
«Ritorniamo al fatto di prima, essendo lontani non mi vede giocare molto, ma appena può non perde l’occasione e alla fine mi insegna qualche trucco del mestiere».
Livorno, Brescia, Pesaro e adesso Caserta, come giudichi la carriera di papà?
«Io gli auguro ancora tanti altri anni di grandi soddisfazioni. So per certo che non vedeva l’ora di venire a Caserta da allenatore, e i motivi li sappiamo tutti».
Ti sarebbe piaciuto essere allenato da lui, conoscendo i suoi metodi?
«Prima che lui smetta di fare questo mestiere almeno per una stagione mi dovrà allenare per forza. E lui questo lo sa molto bene».
Hai mai sentito la pressione di essere figlio di, o di essere additato come un raccomandato?
«Sono dell’idea che una persona fa quello che fa solo se se lo merita, senza cognomi o raccomandazioni varie».
Al contrario, hai sentito il peso di portare questo cognome? E se si, come ti ha aiutato tuo padre a distendere la tensione?
«No, ora non più, assolutamente. Ma a dire la verità quando ero più piccolo sentivo la pressione ogni volta che giocavo perché avevo paura di deludere le sue aspettative, ma lui mi rassicurava sempre dicendo che non dovevo dimostrare nulla a nessuno».
Ci sono delle differenze nel vostro modo di vedere, interpretare e sentire il basket?
«Avendomi cresciuto mi ha trasmesso lo stesso modo di vivere il basket. Siamo due persone di cuore che mettono l’anima in ogni cosa che fanno».
Da figlio, c’è un consiglio che vorresti dare a tuo padre per il suo lavoro?
«Di non spaccare più le lavagnette. Ogni anno è costretto a comprarne come minimo una decina».
Grazie per questa intervista e in bocca al lupo per la tua nuova avventura a Martina Franca?
«Grazie mille e crepi il lupo!».
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