El Diablo, primo urrà
La Juvecaserta spera nella rimonta salvezza
Reportage di Giovanni Bocciero
Dall’inferno al paradiso e di nuovo all’inferno. Questo è
stato il cammino della Juvecaserta nelle ultime stagioni che hanno visto la
società di Pezza delle Noci passare da una situazione economica burrascosa con
risultati sportivi alterni a vivere una favola. Con l’avvento di Lello Iavazzi ed il socio Carlo
Barbagallo si è investito e costruito un roster che nella passata stagione ha
fatto divertire e sfiorato l’accesso ai playoff per la differenza canestri, un
cavillo. Poi le premesse per la nuova annata, la prospettiva di ripetere e
addirittura migliorare il risultato di appena dodici mesi prima che si sono
frantumati come uno specchio, sciolti come neve al sole a causa della partenza
ad handicap tra infortuni vari.
Vincenzo Esposito (Foto Gianfranco Carozza) |
A suon di sconfitte e record negativo che si
aggiornava di domenica in domenica si è arrivati ad un collasso generale
dell’ambiente tra tifosi inferociti e le “sliding
doors” del Pala Maggiò che accoglievano nuovi coach e giocatori mentre ne
salutavano altri, tra scelte societarie rivedibili. «Non
ho mai visto una situazione del genere nemmeno quando si giocava in C o in B
prima di Maggiò, e neanche negli anni ’60» racconta il decano dei giornalisti casertani Romano Piccolo che di partite ne ha
viste e di stagioni ne ha seguite, «in realtà non penso ci siano state
molte situazioni del genere nel basket italiano.
La Juvecaserta è anche una squadra discreta per come è stata rifondata, ma
tutto ciò influisce decisamente sul morale perché il basket è uno sport
psico-fisico e il morale, appunto, è un fattore molto importante. L’entusiasmo
o al contrario la demoralizzazione sono due opposti fondamentali, e vedo una
squadra demoralizzata, non demotivata, perché le motivazioni loro ce l’hanno ma
non hanno la forza per metterle in pratica».
«Sinceramente è
una stagione molto travagliata» analizza il coach Franco Marcelletti, «in cui non
si è riuscito a trovare una squadra equilibrata per problemi ovviamente legati
ai tanti cambi. Il basket è un gioco particolare fatto di ripetizioni,
conoscenza reciproca, movimenti automatici e con tante sostituzioni tutto ciò
diventa complicato da far conciliare». L’allenatore dello storico scudetto
del ’91 conosce l’ambiente e soprattutto Enzo Esposito: «la città carica la squadra sempre. Enzo si trova chiaramente in una
situazione difficile e le sue scelte le sta facendo. Basta pensare al taglio di
Young, molto coraggiosa e non facile immagino, ma che dimostrano una certa
personalità. Per salvarsi bisogna vincere le partite, c’è poco da fare, e
questo a livello psicologico ti permette di acquistare fiducia».
Marco Mordente (Foto Gianfranco Carozza) |
Ma
quale è stato il “peccato originale” commesso da dirigenza e staff tecnico nella
formazione della squadra?
«La
risposta è difficilissima perché se lo avessimo capito saremmo intervenuti
prima» dichiara Carlo Barbagallo. «Ci sono
una serie di fattori che hanno inciso negativamente. Forse l’errore è stato
l’aver scommesso su alcune conferme e l’aver inserito qualche atleta che non
rispecchiava sia dal punto di vista atletico che tecnico la squadra dello
scorso anno». Ci sono stati diversi ribaltoni che hanno portato a scelte
forse troppo affrettate, ma adesso Esposito sembra il timoniere giusto. «Agli esoneri va sempre vista la reazione dei
giocatori e che rapporto ha il coach all’interno dello spogliatoio»
commenta l'ex presidente della Juvecaserta, «questa
è una cosa che in uno sport di squadra è basilare e quando un coach non ha
seguito, al di là dei risultati, è inutile perseverare. Mi auguro che Enzo
riesca nella missione salvezza. È bravo ed è seguito dal gruppo, per questo
sono fiducioso».
L’ultimo anello
di congiunzione “tecnica” tra passato
e presente, dopo l’esonero di Molin e le dimissioni di Atripaldi, è Giacomo Baioni. «La squadra costruita sugli auspici quali spazziature, passarsi la
palla, avere una identità difensiva purtroppo non si è ripetuta» spiega
l’assistant coach. «Abbiamo cambiato cercando
d’innalzare l’asticella della qualità dei singoli, e di conseguenza avere un
collettivo migliore. Quest’ultima edizione della squadra, più europea e vicina
al nostro stile di gioco, ha limiti tecnici e fisici ma non a livello di dedizione.
L’anno scorso sulle ali di entusiasmo, atletismo, gioventù e gambe fresche
riuscivamo a passare sopra le difficoltà, tutta una serie di prerogative che
pensavamo di avere anche quest’anno. Bisogna però voltare pagina, guardare avanti
e cercare di trovare la salvezza con le armi che possediamo adesso».
Michele Antonutti (Foto Gianfranco Carozza) |
Nello scontro salvezza con Pesaro la Juvecaserta è riuscita a
vincere la prima gara della stagione. Ovvio che la rinascita in questo
disgraziato torneo porta il nome e cognome di Enzo Esposito, che abbiamo intervistato.
La
vittoria rappresenta una boccata d’ossigeno, inizia adesso il vostro
campionato?
«È
indubbio che avevamo bisogno di una vittoria per continuare a credere nella
salvezza, per prendere fiducia e non vedere sempre tutto nero. È stata molto
importante dal punto di vista del morale e anche della crescita tecnica».
Quanto
influenzerà in palestra il fatto di essersi sbloccati?
«La
squadra ha sempre lavorato molto bene, con intensità e serietà, cercando sempre
la vittoria. Purtroppo per mancanza di coesione o per sfortuna questa non
arrivava. Dal punto di vista dell’impegno e dell’atteggiamento i ragazzi non sono
mai mancati, e il lavoro non cambierà».
La
pausa per l’ASG vi permetterà di migliorare ulteriormente?
«Ci servirà
tanto per poter lavorare con la possibilità di recuperare qualche acciacco e
parallelamente continuare a crescere come squadra».
Il
girone di ritorno inizierà con Roma, ma avrete gare in casa proibitive contro
Milano, Sassari, Reggio Emilia e Venezia, e trasferte fratricide a Pistoia,
Varese e Pesaro, cammino tutto in salita?
«Parlo di miracolo proprio
perché quando si parte da un record di 1-14 tutto è complicato. Le nostre
partite saranno praticamente delle finali. Non guardiamo a quante gare abbiamo
da giocare in casa e fuori, senza tener conto neppure del dove, come e quando».
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