Arcidiacono firma il ritorno dei Wildcats
Villanova trionfa nella March Madness
di Giovanni Bocciero*
TRENT'ANNI DOPO. Nel tripudio dell’NRG Stadium Villanova ha alzato le braccia al cielo dopo
una delle finali del Torneo NCAA più belle degli ultimi anni. Ed un pezzettino
di questo titolo premia anche l’Italia grazie a quel Ryan Arcidiacono, leader silenzioso di un gruppo vero che ha saputo
sopperire all’atletismo con il cuore, al talento con l’organizzazione. Certamente
l’ultimo atto del campionato universitario è sempre entusiasmante, ma il
thriller messo in scena da Villanova e North Carolina è stato stupendo. Non
fosse altro che per il buzzer-beater di Kris
Jenkins che ha consegnato il titolo ai Wildcats, e che è valso come il
coronamento di un progetto iniziato almeno quattro stagioni fa da coach Jay Wright, ovvero quando l’università
con sede a Philadelphia fu estromessa dal torneo 2013 al secondo round proprio
dai Tar Heels. Come per uno scherzo del destino sembra essersi così chiuso il
cerchio. Il successo dei Wildcats è stato molto celebrato negli Stati Uniti
come la rivincita degli underdogs,
visto che l’ateneo della Pennsylvania non appartiene a quel gruppo d’élite che
negli ultimi 25 anni si è spartito quasi in egual modo 15 titoli: 5 per Duke, 3
a testa per Kentucky e North Carolina, 4 per Connecticut. E di certo Villanova
non la si può classificare nemmeno come una “cinderella”,
perché il suo non è paragonabile al cammino avuto da una Butler o da una
Wichita State, essendo sempre una seed-2.
L'ITALOAMERICANO. Nato a Philadelphia ed allevato
da tifoso dei Wildcats dai genitori Joe e Patti, conosciutisi proprio
all’università in questione, Arcidiacono ha concluso la sua esperienza
collegiale - essendo un senior -
collezionando il maggior numero di presenze della squadra, 144, e coronando
questa esperienza con il titolo nazionale e aggiudicandosi il premio di Most Outstanding Player. Cresciuto nel
mito di Allen Iverson mentre tirava al canestro di plastica appeso dal padre
nel soggiorno di casa, si è messo in luce sin da quando frequentava il liceo
Neshaminy, tanto da ricevere offerte di borsa di studio non solo da Villanova,
ma anche da Florida, Syracuse e Texas. Oltre ai semplici numeri messi insieme
dal play-guardia (15.8 punti, 65,9% da due, 61,5% da tre ed un solo libero
sbagliato nei 18 tentati nelle 6 gare del torneo) sono la grinta e la caparbietà
che ne hanno contraddistinto la determinazione che potrebbe anche permettergli
di avere una carriera da professionista in NBA, magari sulla falsariga di Matthew
Dellavedova. Nell’ultima azione della finalissima era stato designato da coach
Wright a prendersi l’ultimo tiro. Ora tutti bene o male ci ricordiamo a memoria
la sequenza di quell’azione, ma forse non tutti sanno che Arcidiacono visti i
difensori davanti a sé che gli avrebbero di sicuro sporcato il tiro, ha
preferito ascoltare quella vocina che gli arrivava praticamente da dietro la
testa e che invocava il pallone. Allora ad occhi chiusi il play-guardia ha
servito l’accorrente Jenkins che ha fatto partire il tiro vincente. Per
Villanova si è passato da un italoamericano all’altro, perché se Arcidiacono è
stato il leader della squadra che ha vinto il campionato 2016, il primo successo
dell’ateneo arrivato ben tre decenni prima - datato 1985 - porta il marchio del
tecnico Rollie Massimino, rigorosamente in tribuna a Houston per festeggiare insieme
alla squadra e che alla tenera età di 81 anni continua ad allenare alla piccola
Keiser University. Sicuramente nel futuro di Arcidiacono ci sarà l’azzurro
della nostra nazionale - fa gola al C.t. Ettore Messina - e dopo le due
esperienze con la sperimentale ha avviato l’iter burocratico per avere la
cittadinanza ed essere così eleggibile per l’Italia.
IL CAMMINO. Pochi credevano nella
vittoria di Villanova, squadra dall’ottima organizzazione di gioco ma sfortunata
a giocare in una conference come la nuova Big East che non può essere
paragonata per qualità a quella che era sino a quattro anni fa. E così quando
arrivavano i match di una certa caratura ai Wildcats sembrava sempre mancare
qualcosina. Anche quest’anno, dopo essere partiti 7-0, a dicembre sono arrivati
i k.o. con Oklahoma e Virginia a testimoniare questo andazzo. Con l’inizio
della Big East si è mietuto vittime a suon di prestazioni solide, tanto da
meritarsi la cima del ranking top-25 esattamente l’8 febbraio. Una data che
rimarrà incisa nella storia dato che è stata la prima volta per l’università. In
testa al ranking Villanova c’è rimasta per tre settimane di fila. Nel frattempo
si è aggiudicata per la terza volta consecutiva la regular season della Big East
mancando però il back-to-back al
torneo perché battuta nella championship
game da Seton Hall. Quella sconfitta arrivata di misura (69-67) sembra sia
stata la molla che ha permesso di fare l’ulteriore salto di qualità. I
giocatori, catechizzati nello spogliatoio da coach Wright, hanno fatto un
fondamentale passo in avanti dal punto di vista mentale. Villanova da seed-2 al torneo ha demolito ogni
avversario, passeggiando con UNC Asheville, Iowa e Miami - con una media scarto
di 24 punti e con oltre 88 segnati - e confermando di avere una difesa
spigolosa sia con Kansas alla finale del regional che con Oklahoma alla
semifinale nazionale, costrette rispettivamente a 59 e 51 punti realizzati. La
finalissima, poi, appartiene già alla storia. Partita combattuta, tirata,
vivace, che neppure il miglior sceneggiatore cinematografico avrebbe saputo
ideare.
I PROTAGONISTI. La vittoria dei
Wildcats ha fatto scalpore anche perché nel roster non vi erano All-American, escluso forse il freshman Jalen Brunson che per molti addetti ai lavori è ritenuto più forte
di quel Tyus Jones campione l’anno scorso con Duke. Segno inconfondibile questo
che il talento sulla carta evidentemente non è tutto. Il game-winner Jenkins ha
giocato 21’ in finale, ed è curioso come oltre al tiro decisivo con lui in
campo Villanova ha avuto un plus/minus di +14, mentre senza un -11. Il suo
contributo è dunque andato ben oltre a quel buzzer-beater che ne ha addirittura
scomodato uno del passato, quello leggendario di Christian Laettner che regalò
la qualificazione alla Final Four del 1992 a Duke su Kentucky. Bisogna però
fare un monumento anche e soprattutto a Josh
Hart, forse il vero cuore pulsante di questa impresa, ed a Daniel Ochefu, che è stato un
gladiatore sotto le plance. Ma se pensiamo alla riserva Phil Booth che ha segnato 20 punti contro Carolina alzandosi dal
pino - mentre tutta la panchina di UNC ne ha realizzati solo 6 - dopo che nelle
prime 5 gare del torneo aveva combinato in totale 27 punti, allora vien da
pensare quasi che questo titolo era nel destino dei Wildcats. Un gruppo di
predestinati, dunque, che ha realizzato un vero e proprio miracolo sportivo che
rende affascinante il mondo del college basketball
più di quello che già non sia.
* Per il mensile BASKET MAGAZINE
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