mercoledì 25 maggio 2016

NCAA. Arcidiacono firma il ritorno dei Wildcats

Arcidiacono firma il ritorno dei Wildcats
Villanova trionfa nella March Madness 

di Giovanni Bocciero*

TRENT'ANNI DOPO. Nel tripudio dell’NRG Stadium Villanova ha alzato le braccia al cielo dopo una delle finali del Torneo NCAA più belle degli ultimi anni. Ed un pezzettino di questo titolo premia anche l’Italia grazie a quel Ryan Arcidiacono, leader silenzioso di un gruppo vero che ha saputo sopperire all’atletismo con il cuore, al talento con l’organizzazione. Certamente l’ultimo atto del campionato universitario è sempre entusiasmante, ma il thriller messo in scena da Villanova e North Carolina è stato stupendo. Non fosse altro che per il buzzer-beater di Kris Jenkins che ha consegnato il titolo ai Wildcats, e che è valso come il coronamento di un progetto iniziato almeno quattro stagioni fa da coach Jay Wright, ovvero quando l’università con sede a Philadelphia fu estromessa dal torneo 2013 al secondo round proprio dai Tar Heels. Come per uno scherzo del destino sembra essersi così chiuso il cerchio. Il successo dei Wildcats è stato molto celebrato negli Stati Uniti come la rivincita degli underdogs, visto che l’ateneo della Pennsylvania non appartiene a quel gruppo d’élite che negli ultimi 25 anni si è spartito quasi in egual modo 15 titoli: 5 per Duke, 3 a testa per Kentucky e North Carolina, 4 per Connecticut. E di certo Villanova non la si può classificare nemmeno come una “cinderella”, perché il suo non è paragonabile al cammino avuto da una Butler o da una Wichita State, essendo sempre una seed-2.

L'ITALOAMERICANO. Nato a Philadelphia ed allevato da tifoso dei Wildcats dai genitori Joe e Patti, conosciutisi proprio all’università in questione, Arcidiacono ha concluso la sua esperienza collegiale - essendo un senior - collezionando il maggior numero di presenze della squadra, 144, e coronando questa esperienza con il titolo nazionale e aggiudicandosi il premio di Most Outstanding Player. Cresciuto nel mito di Allen Iverson mentre tirava al canestro di plastica appeso dal padre nel soggiorno di casa, si è messo in luce sin da quando frequentava il liceo Neshaminy, tanto da ricevere offerte di borsa di studio non solo da Villanova, ma anche da Florida, Syracuse e Texas. Oltre ai semplici numeri messi insieme dal play-guardia (15.8 punti, 65,9% da due, 61,5% da tre ed un solo libero sbagliato nei 18 tentati nelle 6 gare del torneo) sono la grinta e la caparbietà che ne hanno contraddistinto la determinazione che potrebbe anche permettergli di avere una carriera da professionista in NBA, magari sulla falsariga di Matthew Dellavedova. Nell’ultima azione della finalissima era stato designato da coach Wright a prendersi l’ultimo tiro. Ora tutti bene o male ci ricordiamo a memoria la sequenza di quell’azione, ma forse non tutti sanno che Arcidiacono visti i difensori davanti a sé che gli avrebbero di sicuro sporcato il tiro, ha preferito ascoltare quella vocina che gli arrivava praticamente da dietro la testa e che invocava il pallone. Allora ad occhi chiusi il play-guardia ha servito l’accorrente Jenkins che ha fatto partire il tiro vincente. Per Villanova si è passato da un italoamericano all’altro, perché se Arcidiacono è stato il leader della squadra che ha vinto il campionato 2016, il primo successo dell’ateneo arrivato ben tre decenni prima - datato 1985 - porta il marchio del tecnico Rollie Massimino, rigorosamente in tribuna a Houston per festeggiare insieme alla squadra e che alla tenera età di 81 anni continua ad allenare alla piccola Keiser University. Sicuramente nel futuro di Arcidiacono ci sarà l’azzurro della nostra nazionale - fa gola al C.t. Ettore Messina - e dopo le due esperienze con la sperimentale ha avviato l’iter burocratico per avere la cittadinanza ed essere così eleggibile per l’Italia.

IL CAMMINO. Pochi credevano nella vittoria di Villanova, squadra dall’ottima organizzazione di gioco ma sfortunata a giocare in una conference come la nuova Big East che non può essere paragonata per qualità a quella che era sino a quattro anni fa. E così quando arrivavano i match di una certa caratura ai Wildcats sembrava sempre mancare qualcosina. Anche quest’anno, dopo essere partiti 7-0, a dicembre sono arrivati i k.o. con Oklahoma e Virginia a testimoniare questo andazzo. Con l’inizio della Big East si è mietuto vittime a suon di prestazioni solide, tanto da meritarsi la cima del ranking top-25 esattamente l’8 febbraio. Una data che rimarrà incisa nella storia dato che è stata la prima volta per l’università. In testa al ranking Villanova c’è rimasta per tre settimane di fila. Nel frattempo si è aggiudicata per la terza volta consecutiva la regular season della Big East mancando però il back-to-back al torneo perché battuta nella championship game da Seton Hall. Quella sconfitta arrivata di misura (69-67) sembra sia stata la molla che ha permesso di fare l’ulteriore salto di qualità. I giocatori, catechizzati nello spogliatoio da coach Wright, hanno fatto un fondamentale passo in avanti dal punto di vista mentale. Villanova da seed-2 al torneo ha demolito ogni avversario, passeggiando con UNC Asheville, Iowa e Miami - con una media scarto di 24 punti e con oltre 88 segnati - e confermando di avere una difesa spigolosa sia con Kansas alla finale del regional che con Oklahoma alla semifinale nazionale, costrette rispettivamente a 59 e 51 punti realizzati. La finalissima, poi, appartiene già alla storia. Partita combattuta, tirata, vivace, che neppure il miglior sceneggiatore cinematografico avrebbe saputo ideare.

I PROTAGONISTI. La vittoria dei Wildcats ha fatto scalpore anche perché nel roster non vi erano All-American, escluso forse il freshman Jalen Brunson che per molti addetti ai lavori è ritenuto più forte di quel Tyus Jones campione l’anno scorso con Duke. Segno inconfondibile questo che il talento sulla carta evidentemente non è tutto. Il game-winner Jenkins ha giocato 21’ in finale, ed è curioso come oltre al tiro decisivo con lui in campo Villanova ha avuto un plus/minus di +14, mentre senza un -11. Il suo contributo è dunque andato ben oltre a quel buzzer-beater che ne ha addirittura scomodato uno del passato, quello leggendario di Christian Laettner che regalò la qualificazione alla Final Four del 1992 a Duke su Kentucky. Bisogna però fare un monumento anche e soprattutto a Josh Hart, forse il vero cuore pulsante di questa impresa, ed a Daniel Ochefu, che è stato un gladiatore sotto le plance. Ma se pensiamo alla riserva Phil Booth che ha segnato 20 punti contro Carolina alzandosi dal pino - mentre tutta la panchina di UNC ne ha realizzati solo 6 - dopo che nelle prime 5 gare del torneo aveva combinato in totale 27 punti, allora vien da pensare quasi che questo titolo era nel destino dei Wildcats. Un gruppo di predestinati, dunque, che ha realizzato un vero e proprio miracolo sportivo che rende affascinante il mondo del college basketball più di quello che già non sia.


* Per il mensile BASKET MAGAZINE

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