martedì 31 gennaio 2017

NCAA Weekly Recap Division I – Gonzaga sempre più su

NCAA Weekly Recap Division I


Tutto ciò che è accaduto sui parquet più importanti del college basketball durante la settimana.

JOSH JACKSON NELLA SFIDA CON KENTUCKY

Per la Big XII Conference i #3 Kansas Jayhawks vengono trascinati dal freshman Josh Jackson nel big match contro Kentucky ed è una sorpresa che non siano in testa al ranking Top 25. Nella Pac-12 Conference gli #5 Arizona Wildcats guardano tutti dall’alto verso il basso mentre gli #11 UCLA Bruins non sanno più vincere.... Continua a leggere cliccando qui.

Le Universiadi di Napoli 2019 possono portare sul territorio 270 milioni di investimenti

Le Universiadi di Napoli 2019 possono portare sul territorio 270 milioni di investimenti

di Giovanni Bocciero*


L’edizione 2019 delle Universiadi sarà ospitata da Napoli e dalla regione Campania, eppure da parte del Governo italiano ancora non sono stati stanziati i fondi necessari per l’adeguamento degli impianti sportivi che faranno da palcoscenico all’evento mondiale dedicato agli studenti. Sul tema ha parlato anche il presidente del Coni, Giovanni Malagò, che, proprio giovedì 26, ha avuto modo di visitare la provincia di Benevento e la città di Caserta per l’inaugurazione del Comitato provinciale.

Il numero uno dello sport tricolore ha parlato con grande schiettezza, senza nascondere quelle che sono le attuali difficoltà ma sottolineando allo stesso tempo che lavorerà affinché tutti i problemi vengano risolti quanto prima.
«Le Universiadi sono un appuntamento importante che devono riguardare tutta la regione e non la singola città, così da mettere in atto anche delle sinergie con le province. Il tema riguarda il Governo, che sta lavorando, mentre noi del Coni siamo spettatori interessati che tifano affinché tutte queste faccende delicate si sistemino come meglio è possibile. Prendiamo comunque atto di quella che è la realtà».
Tra gli impianti da ristrutturare il San Paolo, il Palabarbuto, la piscina Scandone e quella della Mostra d’Oltremare, il Collana e molti impianti nelle altre province campane.

Secondo il presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca, dovrà essere fatto un investimento da circa 270 milioni di euro, di cui 150 serviranno per la sola ristrutturazione degli impianti e del villaggio per gli atleti individuato nell’ex base Nato di Bagnoli. «Il presidente De Luca conosce molto bene la realtà e bisogna quindi credergli. Ciò però implica un pieno coinvolgimento del Governo perché nei grandi eventi è lui che funge da garante e sostenitore a livello finanziario. Il Coni – ha continuato Malagò – può dare il know-how sull’impiantistica sportiva, può fare promozione, può essere da supporto a livello internazionale, ma deve anche prendere atto di quelle che sono le dinamiche dal punto di vista degli aspetti legislativi e finanziari».
Circa 150 milioni dovrebbero essere investiti per gli impianti, il villaggio e l’accoglienza; 8,5 milioni vengono invece destinati alla comunicazione e promozione. Previsti 3 milioni per gli incassi dei biglietti. Si tratta di un evento che dovrebbe garantire 150 mila presenze, una vendita di 600 mila biglietti, una spesa di 20-30 euro pro capite, ricaduta di 18 milioni per parcheggi e trasporti e fino a 5 milioni di incassi per hotel e strutture ricettive. Nell’area ex Nato a Bagnoli sarà collocato il villaggio per gli atleti.

Le Universiadi coinvolgeranno circa 170 nazioni, per un totale di 15 mila presenze tra atleti e addetti ai lavori, e soprattutto permetteranno all’intera regione di avere 150 mila tra spettatori e turisti, ed un’esposizione mediatica con oltre 600 ore di copertura su 110 emittenti televisive mondiali per un’audience complessiva che prevede ben 500 milioni di telespettatori.




*per SPORTECONOMY ---- Link originale

sabato 28 gennaio 2017

Jonathan Isaac, the next Kevin Durant

Jonathan Isaac, the next Kevin Durant


di Giovanni Bocciero*

Quante volte vi è capitato di entrare in una palestra per assistere a una partita di basket giovanile ed essere catturati con lo sguardo da quel ragazzino che per altezza sovrasta tutti gli altri? Una cosa piuttosto comune, ma lasciamola per un attimo da parte mentre presentiamo la storia di Jonathan Isaac, ala freshman dei Florida State Seminoles. Originario di uno dei quartieri newyorkesi più famosi al mondo, ovvero il Bronx, sin da giovanissimo si è trasferito con la famiglia al caldo sole della Florida, precisamente nella città di Naples, dove per i primi due anni ha frequentato il liceo Barrion Collier. Se si andava a vedere una partita e si chiedeva chi fosse il giovane Isaac, veniva indicato un ragazzetto alto circa 1.88 che giocava nel ruolo di guardia neppure troppo bene, avendo la miseria di 4 punti di media.

Una “crescita” esponenziale

Nell’estate del 2014, si trasferisce alla International School of Broward di Hollywood. Il nome inganna perché non si tratta di una scuola californiana, ma della Hollywood che si trova in Florida. Lì le sue statistiche sono iniziate a lievitare anche e soprattutto perché ha avuto una crescita in altezza vertiginosa, sino a superare abbondantemente i 2 metri. Ha iniziato a collezionare doppie-doppie, alcune piuttosto sorprendenti da 30 punti e 15 rimbalzi, e ha continuato ad essere un giocatore perimetrale. Torniamo adesso a quell’immagine che che abbiamo evocato all’inizio dell’articolo.
Di solito i ragazzi che sovrastano gli altri da giovanissimi, poi col tempo vengono persino superati dai coetanei e talvolta finiscono addirittura relegati in panchina. Perché? Perché proprio a causa dell’altezza precoce hanno sempre e solo giocato vicino canestro, senza migliorare le abilità di palleggio e di tiro, diventando così troppo carenti tecnicamente per poter stare su un campo da basket, anche si trattasse di giocare da lunghi.
Quello che è successo al giovane Jonathan è l’esatto contrario. Capita e, quando succede, spesso il giocatore che viene fuori ha qualcosa di speciale, come è stato ad esempio con Kelly Olynyk a Gonzaga (e oggi in Nba a Boston). Isaac ha imparato a palleggiare, tirare, penetrare, difendere, saltare, correre su di un parquet come fosse a tutti gli effetti un esterno, mentre ora lo fa dall’alto dei suoi 210 centimetri. Da post-diplomato ha frequentato l’IMG Academy di Bradenton, senza lasciare la sua Florida, ed è stato capace di trascinare i compagni a una vittoria contro il malcapitato Chipola College con una prestazione da 18 punti, 10 rimbalzi e ben 11 stoppate. Morale della favola? È passato in poco tempo dall’essere un semplice atleta come tanti a far parte dei prospetti five-star. Di quelli che attirano l’attenzione delle più prestigiose università come Kentucky, Kansas, North Carolina, Duke, Louisville, LSU, Wisconsin, Miami, Wake Forest e, ovviamente, Florida State su cui è poi ricaduta la scelta.

Protagonista ma non troppo

Se ci volessimo fermare solo ai numeri che sta collezionando con la squadra dell’ateneo di Tallahassee, allora dovremmo dire: 13.3 punti, 7.8 rimbalzi, 1.5 stoppate, 1.3 recuperi e 1.1 assist, tirando con il 54% dal campo ed il 38.5% da 3 con almeno quattro tentativi per match, il tutto in circa 25’ di utilizzo. Numeri importanti sì, ma non eccezionali per una più che probabile scelta in lottery al prossimo Nba Draft. Tutto ciò è dovuto anche al fatto che si trova in un contesto come quello di Florida State dove esistono gerarchie da rispettare. Dwayne Bacon è il leader e il primo realizzatore della squadra, Xavier Rathan-Mayes il metronomo designato, Terance Mann il tuttofare, e dunque Isaac non ha la scena tutta per sé. Oltretutto FSU sta andando benissimo, e gli importanti successi su Virginia, Duke, Notre Dame e Louisville hanno permesso alla squadra di essere una seria candidata al titolo della ACC.
C’è anche da dire che, partito con un mezzo infortunio e piuttosto in sordina, nell’arco della stagione sta decisamente salendo di colpi man mano che gli impegni del calendario si stanno facendo più complicati. Segno forse di maturità. Nella sconfitta sul campo di UNC, ad esempio, ha messo insieme 17 punti, 12 rimbalzi e 3 recuperi guidando la rimonta (fallita all’ultimo). Nella vittoria su Notre Dame ha fatto di meglio, risultando decisivo con i suoi 23 punti, 10 rimbalzi e 7 stoppate. Infine nel successo su Louisville, è stato più in ombra ma comunque molto efficace mettendo insieme 16 punti (4/7 dal campo e 7/7 ai liberi), 10 rimbalzi, 2 assist e altrettante stoppate.

 Un talento ancora grezzo

Resta il fatto che guardare giocare questo ragazzo, classe ‘97, fa stropicciare gli occhi. Non tanto per quello che fa, ma per quello che si intuisce potrebbe fare col tempo, dato che dimostra di avere ampi margini di miglioramento in ogni singolo aspetto del gioco. Diciamo che al momento ha tutti 7 in pagella ma nessun 10. I lunghi 2.0 (qualcuno ha detto Giannis Antetokounmpo?) sembrano essere il futuro del basket, ma fa sempre una certa impressione vedere un lungo come Isaac svettare a rimbalzo e poi condurre lui il contropiede evitando i difensori palleggiando tra le gambe. Allo stesso modo un 2.10 che riceve sulla linea da 3, finta il tiro come una guardia, poi penetra e conclude con perno e fadeaway dalla lunetta fa davvero scomodare paragoni pesanti (con Kevin Durant). Aggiungete al mix un’ottima meccanica di tiro (peraltro quando salta raggiunge un’altezza difficilmente contestabile), una buona visione di gioco ed eccellenti movimenti laterali che abbinati alle due fruste che si ritrova al posto delle braccia, ne fanno un difensore più che temibile.

Il tutto senza dimenticare l’aspetto prettamente atletico con mani e piedi rapidissimi e mostruosamente verticale nei pressi del canestro. Un ulteriore particolare da segnalare è la facilità con cui si procura i falli, trasformando quasi regolarmente i liberi che gli vengono concessi (in stagione 82% dalla lunetta). Quindi è Isaac il fenomeno che tutti aspettavamo? Non esattamente, perché c’è chi scommette che il talento della Florida possa dare ancora di più. Ed è forse questo il vero, grande, punto interrogativo che accompagnerà gli scout sino al prossimo giugno: quanta crescita potrà ancora mostrare?

L’esperienza collegiale quasi mancata

Coach Leonard Hamilton sta centellinando il suo prospetto. Dati alla mano, i Seminoles sono una delle squadre con la più ampia rotazione di tutta la Division I (4 uomini con oltre 20’ di utilizzo e 8 con almeno 10’) e sono anche una delle panchine più prolifiche di tutto il panorama universitario con ben 35 punti realizzati di media. Questo fa sì che Isaac non abbia, appunto, tutta l’attenzione che meriterebbe. Una statistica realizzata da Synergy Sports evidenzia che il 42% dei suoi punti arrivano da uno scarico dei compagni, mentre il 12% da rimbalzo offensivo. Questo certifica come venga utilizzato praticamente da role player nonostante il suo potenziale. Forse non è ancora pronto per ricoprire un ruolo più importante, cosa che in un certo senso è stato ammessa da lui stesso.

Lo scorso febbraio, infatti, annunciò che aveva intenzione di testare la possibilità di dichiararsi al draft. Un annuncio che fece scalpore perché avrebbe potuto essere il primo liceale a compiere il salto dall’high school al professionismo, assieme a Thon Maker. Avrebbe potuto diventare pro grazie al suo anno post-diploma e alla nuova norma che permette ai liceali di testare la NBA Combine senza assumere un agente e ritornare al college in presenza di sensazioni “negative”. Il grande interesse mediatico scemò quando quattro giorni dopo l’annuncio, lui stesso ritrattò perché: “I look at myself and realize I’m not ready“. Il ragazzo aggiunse inoltre che aveva “un sacco di lavoro da fare, a partire dall’aumentare la forza fisica del corpo che rappresenta una mia debolezza. I mock draft mi dicono che devo lavorare ancora tanto perché non voglio essere un top 10, ma il numero 1”.

Un atleta a passo coi tempi

Chi potrebbe essere il suo giocatore preferito? Ovviamente Kevin Durant, al quale Jonathan assomiglia per altezza e stile di gioco. E mai come in questo preciso momento, lui sembra adatto alla pallacanestro odierna. Un’ala che può ricoprire indifferentemente sia lo spot di 3 che quello di 4, anche se per quest’ultimo al piano di sopra deve irrobustirsi e soprattutto smaliziarsi. È però il prototipo ideale per giocare nei moderni small-ball, in cui può aprire il campo per le penetrazioni degli esterni ma allo stesso tempo diventare pericoloso sugli scarichi perché può sia tirare dall’arco che attaccare il close-out. E poi in generale può rendere la fase offensiva molto più fluida senza intaccare quella difensiva che, anzi, diventerebbe di assoluto livello con tutte le abilità che possiedeo. In effetti il ‘4 tattico’ è proprio il ruolo che ricopre ora a Florida State. E così torniamo ai dubbi da draft: sarà effettivamente in grado di essere un 3 costante sul perimetro e consistente sotto i tabelloni? Al momento, per il potenziale che ha mostrato, sembra una scommessa che vale il rischio. In ogni caso ci sarà ancora tempo per valutarlo ulteriormente in questa stagione.
Dopotutto con i Seminoles Isaac si appresta, a meno di incredibili involuzioni, a partecipare alla March Madness dove la squadra potrebbe recitare un ruolo da protagonista. Florida State, infatti, ha un roster abbastanza profondo, con lunghe rotazioni, due pivot intimidatori come Michael Ojo e Christ Koumadje che sono una rarità in ambito universitario e rappresentano dunque un fattore non indifferente, e la grande versatilità difensiva che permette alla squadra di adattarsi all’avversario. C’è chi si aspetta insomma altre performance eccezionali e a quel punto non meravigliatevi se le sue quotazioni in ottica draft salissero fino alle primissime posizioni. Con lui il gioco vale la candela.





* per BASKETBALLNCAA.COM - Link originale

venerdì 27 gennaio 2017

Malagò a Caserta per l'inaugurazione del Comitato provinciale

Malagò a Caserta per l'inaugurazione del Comitato provinciale

di Giovanni Bocciero*


Il presidente del Coni Giovanni Malagò ha inaugurato, quest’oggi, la nuova sede del comitato provinciale di Caserta. Un vero e proprio tour de force quello del numero uno dello sport tricolore, dato che è giunto all’appuntamento in Terra di Lavoro in forte ritardo a causa dell’inaugurazione di un impianto sportivo in quel di Ceppaloni, in provincia di Benevento.
Gli onori di casa sono stati fatti dal delegato del comitato casertano, Michele De Simone: «Ringrazio il presidente Malagò per la sua presenza e gli presento quello che è l’esercito sportivo che governiamo: 33.000 tesserati, 600 società, 3.700 dirigenti e 1.000 tra giudici ed arbitri. Lo sport di questa provincia, tra l’altro, è il primo cliente degli alberghi cittadini, e questo è stato rivelato da una inchiesta da noi voluta. Per ogni nostro evento a livello nazionale che organizziamo, portiamo dai 2 ai 3 mila visitatori».

All’inaugurazione della nuova casa dello sport provinciale è intervenuto anche il presidente regionale Cosimo Sibiliaprossimo numero uno della Lega Dilettanti calcistica, ed atleti storici e di spicco del territorio, dal pugile Angelo Musone medaglia di bronzo a Los Angeles 1984 al canottiere Peppe Abbagnale vincitore di due ori e un argento a tre edizioni dei Giochi Olimpici, ed al quale è dedicato un’opera d’arte presente nel comitato casertano. Erano presenti anche rappresentanti di Confindustria e della scuola, due mondi che devono essere vicini allo sport così come auspicato da De Simone.

La parola è poi passata al presidente Malagò: «Lo sport deve eccellere sul territorio se in altri ambiti ci sono delle difficoltà. Caserta nella classifica per la qualità della vita è agli ultimi posti, ma in quella sportiva è forse tra le prime 30 d’Italia. Sono stato nel Sannio per l’inaugurazione di un impianto sportivo che la comunità attendeva da ben 20 anni, che già di per sé è una cosa incredibile. Dopo la commozione che ho provato lì, ho ricordato che adesso devono darlo in gestione a chi ha competenze e serietà per farlo. È molto importante capire, da questo punto di vista, l’associazionismo sportivo che è alla base dello “sport per tutti”, e non del professionismo. Per questo l’impianto appena inaugurato deve cercare di soddisfare la più ampia comunità possibile, provenienti dalle città limitrofe o da altre province. Abbiamo una carenza d’impiantistica, ma la soluzione non è solo costruirne di nuovi, ma anche ristrutturare quelli già esistenti o addirittura completarne la costruzione se fermi».

Presidente, ha inaugurato la nuova sede del Coni di Caserta, quanto è importante potenziare la rete territoriale?
«Essere qui è segno di quanto ci tengo al territorio, così come negli scorsi giorni sono stato a Reggio Calabria, a Trento, a Milano. Lo sport inizia dal territorio, inizia anche e soprattutto da Caserta che possiamo definire quasi la capostipite dello sport territoriale ad alto livello. Non so se sarò ricordato come un buon presidente del Coni, ma sicuramente durante il mio mandato ho cercato di valorizzare quanto più possibile il territorio».


* per SPORTECONOMY  ---  Link originale

martedì 24 gennaio 2017

NCAA Weekly Recap Division I – UCLA scende all’ottavo posto, salgono Gonzaga e UK

NCAA Weekly Recap Division I

Tutto ciò che è accaduto sui parquet più importanti del college basketball durante la settimana.

KOBI SIMMONS VS LONZO BALL

Nella Pac-12 Arizona vince il big match con UCLA; nella Big XII Kansas regina, male West Virginia... continua a leggere cliccando qui.

martedì 17 gennaio 2017

NCAA Weekly Recap Division I - Villanova torna #1

NCAA Weekly Recap Division I


Tutto ciò che è accaduto sui parquet più importanti del college basketball durante la settimana.




Nella BIG XII Conference inarrestabile Kansas mentre Baylor scivola; nella Pac-12 Conference Arizona e Oregon restano ancora imbattute. Questo e tanto altro puoi leggerlo cliccando qui.

giovedì 12 gennaio 2017

La fabbrica dei coach casertani

Tutto cominciò con Franco Marcelletti
Tre allenatori oggi in Serie A, tanti altri che hanno lasciato il segno: ecco come all'ombra di Tanjevic, è nata e si è affermata la dynasty tecnica della JuveCaserta.


di Giovanni Bocciero*

LA JUVECASERTA ha fatto la storia della pallacanestro tricolore con lo scudetto del 1991 che risulta essere ancora oggi l’unico successo al di sotto della Capitale, e centrato con un gruppo del tutto autoctono dai tecnici ai giocatori. Proprio da quella formazione è nata un’autentica scuola casertana di allenatori, con Franco Marcelletti che ha vestito i panni del capostipite infondendo dettami tattici, tecnici ed organizzativi oltre all’indubbia passione, ad assistenti ed atleti. Adesso sono alla ribalta delle cronache i vari Sandro Dell’Agnello, Gennaro Di Carlo e Vincenzo Esposito, che stanno facendo davvero bene rispettivamente a Caserta, Capo d’Orlando e Pistoia, ma è doveroso ricordare tanti altri protagonisti che sono stati seduti su delle panchine della massima serie come Maurizio Bartocci e Nando Gentile, oltre a Giacomo Leonetti che è stato formatore a livello nazionale, Cristiano Fazzi e Luigi Corvo che hanno allenato nelle minors, e tanti altri che invece hanno ripiegato su piccole società pur di tenere vivo il personale rapporto con la pallacanestro, come Giacomantonio Tufano e Sergio Donadoni.
MARCELLETTI: "QUANDO IL BASKET DIVENTA MATERIA
DI VITA E SPORT CITTADINO PRODUCE
ALLENATORI E ATLETI DI GRANDE LIVELLO"
«Si è creata questa vera e propria scuola - ha esordito Marcelletti - e la testimonianza è che in una realtà come Caserta, quando il basket diventa una materia di vita e lo sport cittadino, questa produce giocatori, allenatori che a loro volta hanno svezzato altri giovani che sono poi diventati atleti di alto livello, ma anche dirigenti come Gino Guastaferro che ormai svolge questo ruolo in maniera professionistica. Questo è il grande merito di una città come Caserta». Adesso sotto la lente d’ingrandimento ci sono Esposito e Dell’Agnello, nei quali lo storico coach del tricolore vede «dal punto di vista caratteriale certamente il loro modo di allenare assomiglia moltissimo a quel gruppo meraviglioso che ha vinto lo scudetto. Da giocatori erano accomunati dal fatto di non mollare mai, di non trovare alibi nei momenti di difficoltà bensì il modo per superarli. Ad esempio Esposito in quel di Pistoia, con un roster totalmente rinnovato ed anche più debole di quello della passata stagione, sta dimostrando con il lavoro di superare la partenza difficile che ha avuto. Dell’Agnello invece sta facendo un campionato davvero di altissimo livello dopo tutte le difficoltà affrontate l’anno scorso. Questa caratteristica di sapersi adattare alla realtà nella quale vivono, e di provare a costruire con il lavoro in palestra senza attaccarsi a nessun tipo di scusa, è sicuramente ciò che maggiormente li identifica».
Ma qual è il segreto che ha permesso di dare vita a questa vera e propria scuola casertana? «Quello era un gruppo, una generazione, un periodo in cui tutti quei ragazzi vivevano la pallacanestro a 360° - ha rivelato ancora Marcelletti -. Oltre al ruolo che ricoprivano in quegli anni, che era evidentemente quello dell’atleta, vuoi della prima squadra o del settore giovanile, c’era alla base di tutto un amore sconfinato per questo sport, una passione che non morirà mai, che non ci abbandonerà e che avremo sempre dentro. E questo ci porta, tutti insieme, ad informarci, a vedere le partite, ad allenare. La spinta principale è dunque data da questi due fattori: l’amore e la passione». Aggettivi questi che, ai giorni nostri, sono sempre meno conosciuti perché «l’avvento del cosiddetto professionismo ha indubbiamente rovinato il romanticismo di questo sport - ha continuato l’esperto tecnico -. Giusto per fare un esempio, io oggi faccio fatica a trovare a Verona degli assistenti per il settore giovanile, e mi capita di imbattermi in persone che non hanno l’umiltà, il tempo e la voglia di imparare. Ai miei tempi uscivo di casa alle tre del pomeriggio e vi ritornavo alle dieci di sera dopo aver allenato tanti gruppi giovanili dal minibasket agli allievi, e non mi lamentavo».
MARCELLETTI: "ALLA BASE C'È L'AMORE E LA PASSIONE
PER QUESTO SPORT CHE IN QUELLA GRANDE SQUADRA
ERANO SENTIMENTI COMUNI A TUTTI NOI".
Tanti sono stati i giovani allenatori cresciuti all’ombra di Marcelletti, e diversi sono quelli arrivati ad allenare sino in massima serie. Ma qualcuno poteva mai credere anni addietro che ci sarebbero stati tre coach casertani, seppur uno d’adozione, contemporaneamente in Serie A? «Visto il livello che hanno raggiunto direi proprio che non me lo sarei aspettato - ha commentato l’allora direttore sportivo della JuveCaserta Giancarlo Sarti -, e va dato merito di questo soprattutto a Marcelletti che, lavorando sia in prima squadra che con il settore giovanile, ha fatto un grande lavoro con questi ragazzi. Si è trattata comunque di una crescita che ha coinvolto tutti, sono state fatte delle cose magnifiche che ci possono soltanto riempire d’orgoglio. Dell’Agnello, Esposito e Di Carlo sono delle grandissime sorprese, e stanno facendo senza dubbio un ottimo lavoro. Loro, ma in generale tutti quelli transitati per Caserta in quegli anni, hanno assimilato certamente qualcosa dalle varie esperienze avute con Franco, perché già solo stare a bordo campo ed ascoltare, guardare, rappresentava una lezione di basket. Pian piano sono maturati come allenatori, mettendo in atto ciò che hanno imparato per fare cose superbe».
Ma quanto ha influenzato nelle carriere di Gennaro Di Carlo, Vincenzo Esposito e Sandro Dell’Agnello il tecnico casertano per eccellenza? «Coach Marcelletti è stato per me un modello di allenatore - ha dichiarato Di Carlo -, non fosse altro perché lui era il tecnico della squadra dei miei sogni. Era il coach ideale, dal quale ho imparato che il capo allenatore non si deve interessare solo della prima squadra ma anche di tutta la struttura tecnica e societaria del club. Spesso lo si trovava a vedere gli allenamenti delle giovanili, allenare i vari gruppi a fine campionato, parlare e correggere gli istruttori. Un vero e proprio modello al quale io ho sempre fatto riferimento». «Franco mi ha influenzato tantissimo nel corso della mia carriera da allenatore - ha commentato Esposito -, perché l’ho avuto sin da quando giocavo nelle giovanili e dunque mi ha lasciato un segno davvero molto forte in tutto ciò che riguarda la pallacanestro». «I metodi di allenamento di Marcelletti hanno inciso molto in me - ha dichiarato Dell’Agnello -, perché è stato il tecnico che ho avuto per più anni quando ero giocatore, prima a Caserta e poi a Reggio Emilia. Da lui credo di aver appreso molto, essendo sicuramente uno dei migliori allenatori italiani».
SARTI: "NON MI ASPETTAVO CHE ARRIVASSERO COSÌ IN ALTO.
MERITO DI MARCELLETTI CHE FECE UN LAVORO ECCEZZIONALE
ANCHE CON LE GIOVANILI".

DI CARLO: "MARCELLETTI IL MIO MODELLO DI COACH".
ESPOSITO: "MI HA LASCIATO UN SEGNO MOLTO FORTE".
DELL'AGNELLO: "DA LUI HO APPRESO MOLTO".
E cosa invece hanno davvero emulato nel modo di allenare? «Marcelletti trasferiva tutta la sua grande passione, e soprattutto una sfida continua che alimentava nei confronti di quelle che erano considerate le squadre più forti dell’epoca - ha chiosato Di Carlo -, che si traduceva nell’abilità di dimostrare che eravamo sempre capaci di competere. Questa mentalità che si aveva a Caserta ho cercato di farla mia». «Sicuramente il lavoro quotidiano e la cura per i dettagli è una delle caratteristiche principali che lo distinguevano. Forse - ha continuato Esposito - anche in maniera piuttosto esagerata, ma è l’unico modo per tirare fuori, da giocatori normali, quel qualcosa in più che permette ad un atleta piccolo di sentirsi più alto». «Tutti e due, lui quando mi allenava e io quando giocavo, e adesso che io alleno - ha dichiarato Dell’Agnello -, abbiamo sempre avuto una smisurata ambizione di vincere sempre e comunque, chiunque fosse il nostro avversario».
Un pensiero particolare Marcelletti lo ha dedicato a Gentile, suo braccio armato sul parquet: «Nando sicuramente poteva ancora ricoprire un ruolo da head coach - ha chiosato il tecnico -, e sono convinto che possiede tutti gli strumenti per poter continuare a fare l’allenatore ad altissimo livello. Però, pur senza mettere alcun limite e considerando che oggi svolge un ruolo molto importante come responsabile del settore giovanile di Milano, il tornare ad allenare è una volontà che spetta unicamente a lui». L’ex playmaker della JuveCaserta si sente comunque assolutamente un figlio «di quella scuola casertana della quale Marcelletti è stato il primo, così come Virginio Bernardi. La caratteristica principale era che fossero tutti casertani, cresciuti in una società che puntava molto sui giovani e sugli istruttori del vivaio, e oggi fa indubbiamente piacere vedere tanti allenatori cresciuti in quell’ambiente allenare in massima serie». Cosa intravede nel lavoro dei suoi ex compagni? «Premesso che ognuno interpreta la pallacanestro in modo soggettivo, quello che maggiormente si nota è che tutti cercano di trasmettere il proprio carattere alla squadra. Questa impronta caratteriale, molto forte, fa sì che i giocatori assomiglino ai loro allenatori in tanti piccoli gesti». Cosa invece ha appreso, e messo in pratica quando allenava, Gentile da Marcelletti? «Più che la tecnica ho sempre cercato di ripetere il modo di gestire le cose che aveva Franco. Si tratta di quelle piccole sfumature del mestiere dell’allenatore, come gestire particolari situazioni e fasi di gioco, gestire il gruppo e il singolo, come rapportarsi con gli altri, tutte cose in cui lui è stato un maestro». Ma tornerà ad allenare? «Non credo».


Leggi anche gli approfondimenti di seguito...

- RADICI


- MENTALITÀ


- OSCAR






*per la rivista BASKET MAGAZINE

E Caserta ha riabbracciato Oscar "cittadino onorario"

E Caserta ha riabbracciato Oscar "cittadino onorario"


di Giovanni Bocciero*


CASERTA - Oscar Schmidt è ritornato nella città, nel palazzetto in cui ha scritto pagine leggendarie della sua carriera, della sua storia, della Caserta cestistica e non solo. Adesso è anche a tutti gli effetti casertano doc dopo aver ricevuto la cittadinanza onoraria dal consiglio comunale, ma non abbiamo dubbi che in cuor suo già si sentiva tale.
OSCAR MENTRE HA RICEVUTO LA CITTADINANZA ONORARIA
(FOTO ELVIO IODICE)
Non a caso nel discorso che ha tenuto dinanzi al PalaMaggiò non gremito ma piuttosto commosso ha sottolineato di essere tornato a casa, tredici anni dopo quell’8 dicembre 2003, quando tenne la partita di addio alla pallacanestro giocata. Lui che è il bomber assoluto di questo sport, con oltre 49.700 punti segnati - nessuno come lui -, e che ha saputo vincere la partita più importante contro il cancro, è un vero e proprio simbolo di vita. Si è commosso tanto per l’affetto ricevuto al suo ritorno, è andato sotto la curva per ringraziare i tifosi come quando lo faceva dopo una vittoria negli anni ’80, ed ha versato quelle lacrime facendo trasparire tutta quella umanità che ne hanno distinto la sua vita. La partita della JuveCaserta contro Pesaro è quasi - e forse giustamente - passata in secondo piano, perché dopotutto la Mao Santa è tornata in città, e meritava tutta l’attenzione del caso. Oscar ha ricordato e ringraziato il Cavaliere Giovanni Maggiò e coach Boscia Tanjevic - presente per l’occasione - che lo hanno scelto e portato a Caserta quando la squadra era in A2. Scelta che non si è pentito di aver preso, perché “nella città vicino Napoli” è diventato un idolo indiscusso.




* per la rivista BASKET MAGAZINE

La mentalità di Franco Marcelletti

Bartocci: "Pensando al futuro cambiò il modo di lavorare puntando sui fondamentali"



di Giovanni Bocciero*


CASERTA - L’ambiente è stato folgorato da quella mentalità. Tra i testimoni vi è coach Maurizio Bartocci«Con Marcelletti, e prima ancora con Tanjevic, iniziò una fase storica in cui si ebbe un cambio completo di mentalità nel lavorare sui giovani casertani - ha dichiarato l’assistente ai tempi dello scudetto -. Si pensava a lavorare in proiezione futura e non in base al risultato fine a sé stesso. Marcelletti, lavorando anche come assistente in prima squadra, fu colui che con grande energia trasferì questo concetto a tutti noi. Comprendemmo che insegnare ad eseguire uno schema serviva a ben poco se prima non si insegnavano i fondamentali del basket, e quindi palleggiare, passare, tirare. E grazie a questo impatto si creò quella che era la scuola casertana come ce ne furono tante altre negli anni ‘80, al pari di quella virtussina o canturina». Si vedeva già che i protagonisti della JuveCaserta tricolore avevano la stoffa per diventare allenatori? «Sì, perché quel gruppo era fantastico. Gentile aveva sempre un grande approccio mentale alle partite - ha risposto Bartocci -; Esposito invece era un giocatore spettacolare e di talento; mentre Dell’Agnello aveva il carattere che lo faceva apparire come un giocatore energico e d’impatto. E queste sono le piccole caratteristiche che ritroviamo anche nel modo di giocare delle rispettive squadre».
IL PALAMAGGIO'
Esponenti di spicco del tifo casertano riscontrano «nella nascita della pallacanestro a Caserta un vero orgoglio per la città - ha dichiarato l’artista Fausto Mesolella -. Le emozioni che provavo all’epoca erano di natura campanilistica perché Marcelletti era un amico, ma adesso rivivo emozioni molto simili con Dell’Agnello. Questo parallelismo emotivo che accompagna i due allenatori, artefici dello scudetto, è incredibile». Una casertanità esportata in tutta Italia. «Non mi sarei mai aspettato tanti allenatori provenienti da Caserta allenare in Serie A, e men che meno dall’ossatura di quella squadra. Non lo immaginavo soprattutto perché spesso chi è stato un grande atleta è un po’ restio ad intraprendere una tale carriera. Ma dati i risultati che stanno avendo, questo conferma che quella era una cellula molto produttiva che Tanjevic prima e Marcelletti poi impressero alla città. Città e basket che sono legati tra di loro - ha concluso l’artista promotore quest’anno dell’associazione dei tifosi - in virtù anche della storia imprenditoriale scritta dalla famiglia Maggiò con la costruzione del palazzetto che fu per tutti un miracolo».




* per la rivista BASKET MAGAZINE

Le radici della scuola casertana

Tanjevic: 'Gettammo le basi di un progetto che durasse'


di Giovanni Bocciero*


CASERTA - La scuola casertana di allenatori affonda radici ben prima all’ascesa di Marcelletti. «Credo che Franco sia figlio di Boscia Tanjevic - ha commentato Di Carlo -, che fece compiere il salto di qualità alla squadra. Il primo discepolo di quella mentalità fu realmente lui, e tutti noi che portiamo queste stimate, di cui io credo di essere l’ultimo erede, possiamo considerarci a nostra volta suoi figli».
Dunque si può considerare Marcelletti discepolo e maestro allo stesso tempo. E di conseguenza l’impronta che ha distinto la scuola casertana nel corso del tempo la si può far risalire all’hall of famer Tanjevic. «Con molta modestia credo che le basi di questa scuola casertana siano state gettate proprio negli anni in cui ho militato a Caserta - ha esordito il tecnico slavo -, nei quali si è deciso di puntare con decisione su di un progetto duraturo nel tempo. I vari Dell’Agnello, Esposito, Gentile, hanno iniziato da giocatori formandosi prima con me e poi con Marcelletti che ha proseguito in quel progetto. Gli abbiamo trasmesso indubbiamente qualcosa che gli ha permesso di emergere anche in questo ruolo».
BOSCIA TANJEVIC (FOTO BASKETNET.IT)
Ma cosa intravede Tanjevic nei suoi ex giocatori che li accomuna tutti a questa scuola? «Nel guardare le loro squadre giocare si vede una pallacanestro sensata. Si vede tantissimo in tutti loro questa somiglianza al modo di pensare, di scegliere i giocatori, di condurre la squadra, di comandarli, insomma la “mano del coach” che ha caratterizzato quei fantastici anni a Caserta. L’arte del comando - ha sottolineato il coach - è la cosa principale, ovvero essere capaci di guidare un gruppo di gente diversa, che deve pensare e sognare insieme. Questa è la caratteristica che accomuna me, Marcelletti, e tutti gli altri che facevano parte del nostro entourage».
Marcelletti ha comunque iniziato molto prima a svolgere il ruolo di allenatore, insieme all’amico e collega Virginio Bernardi, apprendendo ed ispirandosi anche ad altri modelli di coach. «Fin quando nessuno dei due era un allenatore affermato abbiamo spesso lavorano insieme alla JuveCaserta, dove allenavamo le giovanili. Ci confrontavamo, parlavamo, addirittura litigavamo quotidianamente della pallacanestro - ha raccontato il procuratore -. Prima dell’arrivo di Tanjevic e ancor prima di quello di Giovanni Gavagnin, che è stato il primo maestro di basket giunto a Caserta, ci siamo ispirati a due tecnici che non hanno avuto fama nazionale, ovvero i maddalonesi Ninotto Iodice e Guido Napolitano, oltre all’allenatore casertano per eccellenza che era Romano Piccolo. Successivamente a Napoli era passato un giocatore che era poi diventato allenatore, tale Miles Aiken, che aveva tante cose originali nei suoi allenamenti che io e Franco incuriositi andavamo a vedere rubando tempo all’università. Poi le nostre strade si sono divise, dato che lui è rimasto a Caserta sino alla vittoria dello scudetto mentre io già avevo guidato Desio e Brescia in Serie A. Le storie sono state parallele ma mai si sono intersecate, anche se l’amicizia e la stima non sono mai scomparse».
Questo viaggio raccontato da Bernardi fa capire ancor meglio l’inizio di questa scuola, mutata di certo nel tempo perché «onestamente dal punto di vista tecnico rivedo ben poco. Oggi si gioca un basket diverso, con spaziature e collaborazioni tra due o tre giocatori; prima invece si guardava alla precisione degli schemi in cui tutti fossero partecipi. Nel modo di gestire squadra e partita c’è sicuramente una matrice meridionalistica in Esposito e Di Carlo - ha riflettuto Bernardi -, nel senso che anche dopo un litigio forte basta una parola per tornare amici. Dell’Agnello è invece un po’ più freddo, però essendo stato un grande atleta riesce a stare nella testa dei suoi giocatori e capire un attimo prima cosa stanno pensando. Un allenatore che è nato allenatore, come Di Carlo, pensa subito ad una soluzione di natura tecnica e arriva a capire i giocatori un secondo dopo. Dell’Agnello ed Esposito oggi pensano con una doppia visione».




*per la rivista BASKET MAGAZINE

giovedì 5 gennaio 2017

Markelle Fultz, da riserva a futura star NBA

Markelle Fultz, da riserva a futura star NBA



di Giovanni Bocciero*



È uno dei prospetti più chiacchierati del college basketball, un freshman che ha attirato le attenzioni di tifosi, tecnici e scout, in perenne confronto con Lonzo Ball di UCLA su quale sia la migliore point guard in vista del prossimo draft. Sì, stiamo parlando di Markelle Fultz, il playmaker dei Washington Huskies che sta stuzzicando le fantasie di molti addetti ai lavori a suon di prestazioni tali che per qualcuno potrebbero portarlo fino alla prima scelta assoluta del prossimo draft.
Tutto è partito dall’altra parte dell’America, a Washington D.C. città natale di Fultz che però poi ha frequentato la DeMatha Catholic di Upper Marlboro, stato del Maryland, ovvero uno dei licei con il programma cestistico più prestigioso di tutto il paese. Nei primi due anni da liceale, Fultz era confinato nella squadra della junior varsity, praticamente quella delle riserve.
Markelle Fultz – Washington
Il primo a parlare di lui fu Jide Sodipo, uno scout di Baltimora, che notò l’incredibile sviluppo di Fultz e avvisò diversi addetti ai lavori, compreso l’assistant coach di Washington, Raphael Chillious. Casi della vita, Chillious era un vecchio amico di Mike Jones, il tecnico di DeMatha, e approfittò dell’occasione per osservare da vicino una partita della junior varsity. Fu amore a prima vista. Il vice di Washington chiamò al volo l’head coach degli Huskies, Lorenzo Romar, e gli disse: “If this 5’9” kid grows, he might be an NBA All-Star». E da lì cominciò un asfissiante corteggiamento coronato dal reclutamento di una lottery pick Nba.

Una partenza dal basso

Giocare tra le riserve è stata chiaramente un’esperienza che ha formato Fultz, che gli ha permesso di plasmarsi e diventare il giocatore che è adesso. I miglioramenti sono stati quotidiani e l’8 dicembre 2015 contribuì con 23 punti e 6 assist alla vittoria per 65-56 di DeMatha contro St. Vincent-St. Mary’s al Chicago Elite Classic. Quella fu la sua definitiva consacrazione a livello nazionale. La sua reazione?: “There’s definitely a fire in my body telling me to work hard. It’s always good to see what people think but you got to work hard to get what you want”, con la faccia seria e lo sguardo che puntava ben oltre l’orizzonte. Mancava solo la musica di sottofondo.
Di fatto, però, in soli due anni il ragazzo è passato dal giocare nel junior varsity team all’essere un prospetto five-star, oltre a crescere in altezza di quasi 20 centimetri (ora è 1.94), elemento che per chi vuole giocare tra i pro non è da sottovalutare. “Qualcuno potrebbe dire che quella dei coach non è stata la scelta giusta – disse scherzando coach Mike Jones in quella occasione – ma abbiamo tutti pensato che farlo giocare con le riserve fosse la cosa migliore per la sua crescita. E lui l’ha accettata e siamo tutti molto orgogliosi di come abbia lavorato”.

The decision

Una delle cose che colpisce del ragazzo è che, nonostante l’indubbio talento, fa trasparire un’ ingenua quanto spontanea umiltà. Non a caso in occasione della prestigiosa convocazione al McDonald’s All-American Game dell’aprile scorso ci tenne a sottolineare che quel traguardo era riuscito a raggiungerlo grazie “ai miei compagni che mi hanno aiutato ogni giorno in allenamento”. Potrebbero sembrare parole stereotipate, ma non è così. Ad esempio prima di scegliere di giocare per Washington – a discapito delle varie Kentucky, North Carolina, Louisville, Kansas, Maryland e ben altre 18 università tutte in fila per lui e pronte ad offrirgli la borsa di studio – dichiarava in merito a tutte le attenzioni che stava ricevendo “it really shows that hard work pays off”. Alla fine, però, ha optato per gli Huskies,  una scelta dettata dal desiderio di farsi strada in un ateneo dove non sarebbe stato soltanto l’ennesimo gioiello della collezione, ma dove avrebbe potuto dimostrare le sue capacità e mettersi in mostra.

Quella parabola perfetta

Fultz al campus di Seattle è diventato immediatamente una celebrità, e quando lo si guarda giocare sono due le cose che balzano subito agli occhi: la fluidità di gioco e la grande intelligenza, qualità che abbinate a un fisico ben strutturato e a braccia lunghe lo rendono un potenziale fenomeno. Il giovane degli Huskies è il prototipo del playmaker odierno, di quelli cioè con grandi capacità realizzative, le cosiddette combo-guard. Il suo tiro dalla media-lunga distanza è micidiale con il pallone che parte dalle sue mani e va a tracciare una parabola che a volte sembra telecomandata.
Rilascio e parabola sono il frutto di tanto duro lavoro in sedute individuali, così come testimoniato dal documentario ad episodi realizzato da Capitol Hoops ed intitolato “My Life“, facilmente reperibile su YouTube. Quello che piace agli scout è che il tiro non è l’unica peculiarità di Markelle, che invece è capace di creare sia per sé che per i compagni oltre ad avere una certa attitudine anche nella metà campo difensiva. Atletismo, dinamismo, taglia fisica, pick and roll, primo passo fulmineo, visione, ball-handling, catch and shot, sono soltanto alcune skills che rientrano nel suo bagaglio.

Un giocatore completo

Il playmaker classe 1998 è stato “overlooked” per molto tempo dagli addetti ai lavori, tant’è vero che soltanto questa estate ha avuto la sua prima esperienza con le nazionali giovanili statunitensi in occasione dei Fiba Americas Under 18 che si sono disputati in Cile. Com’è andata l’esperienza di Fultz con la Nazionale Usa? Oltre alla medaglia d’oro, Markelle è stato votato MVP della manifestazione, nella quale ha viaggiato alla media di 13.8 punti, 5.2 assist, 4 rimbalzi e 3.2 recuperi, mettendo in mostra tutta la sua versatilità.
Ed ecco un’altra caratteristica di Fultz, quella di essere un all-around di razza che quest’anno al college ha registrato le medie di 22 punti, 6.2 rimbalzi, 6.3 assist, 1.8 recuperi e 1.3 stoppate nelle prime 12 partite della stagione e in ben 8 di queste 12 è riuscito a riempire tutte le caselle delle statistiche, tirando con un complessivo il 50,5% dal campo (e un impressionante 46.8% da 3). Secondo DraftExpress, i suoi punti di forza sono la scoring versatility, la playmaking ability ed il defensive potential, che vanno a definire la completezza del ragazzo.

Predicatore nel deserto

E pensare che Fultz, che talvolta sembra una macchina offensiva non arginabile, non disdegna nemmeno la parte difensiva, come invece talvolta accade ai giovani talenti. Anzi ha un concetto piuttosto chiaro della difesa: “Mi piace difendere, sento che posso difendere su molte posizioni e voglio essere in grado di fare qualsiasi cosa per aiutare la mia squadra”.

Quindi Washington squadra da titolo Ncaa? No, non ci va manco vicini. Il problema è proprio che il nativo di Washington D.C. predica un po’ nel deserto, data la povertà di talento ma soprattutto di esperienza del roster degli Huskies (è la sesta squadra più “giovane” del college). Ovvio che se questo contesto fa emergere i pregi di Fultz (come voleva lui stesso), fa anche sì che vengano a galla in maniera più evidente i suoi punti deboli, dato che per esempio nell’arco della partita soffre di cali di concentrazione. La morale è che le vittorie scarseggiano (la squadra è 7-7) e i problemi di chimica son lì da vedere, come ha in qualche modo confermato lo stesso Fultz dopo la sconfitta rimediata contro TCU: “Devo passare bene la palla e i miei compagni ogni tanto devono venirmi incontro. E’ uno sforzo che dobbiamo fare tutti ed è qualcosa su cui dobbiamo lavorare”.
Resta il rammarico pensando a dove sarebbe potuta arrivare Washington se Marquese Chriss e Dejounte Murray non avessero deciso un po’ a sorpresa di lasciare la squadra dopo un solo anno per andare in Nba. Molto probabilmente con Fultz accadrà lo stesso ma almeno per un anno potremo goderci il suo talento nel college basketball.

Con l’esplosione di Markelle Fultz sono iniziati anche le comparazioni con stelle e fenomeni dell’NBA e l’NCAA. Allora ci siamo permessi di fare una valutazione, neppure troppo analitica, con campioni professionistici affermati e soprattutto le ultime scelte al draft che gli assomigliano sotto l’aspetto puramente fisico e tecnico per cercare di avvalorare la tesi che può aspirare alla pick number one. Ricordando che proprio come lui, anche il miglior giocatore della storia di questo sport, scelto più o meno all’unanimità, fu scartato all’high school ed inserito soltanto nel junior varsity team prima di diventare leggenda.

Atleta
Altezza
Media assist
Media perse
Rapporto A/P
Markelle Fultz
6’4”
6.3
2.9
2.17
James Harden
6’5”
3.2
2.6
1.23
Russell Westbrook
6’3”
4.3
2.5
1.72
John Wall
6’4”
6.5
4.0
1.62
Steph Curry
6’3”
2.9
2.6
1.11
Kyrie Irving
6’3”
4.3
2.5
1.72
Dante Exum (5°- ‘14)
6’6”
3.7
2.3
1.61
Elfrid Payton (10°-‘14)
6’4”
3.0
3.0
1.00
D’Angelo Russell (2°-‘15)
6’5”
5.0
2.9
1.72
Emmanuel Mudiay (7°-‘15)
6’5”
5.9
2.8
2.10
Kris Dunn (5°-‘16)
6’4”
3.2
1.9
1.68




* per BASKETBALLNCAA --- Link in lingua inglese