venerdì 16 dicembre 2016

Il futsal all’Università: progetto sulla Supercoppa a Tor Vergata

Il futsal all’Università: progetto sulla Supercoppa a Tor Vergata


Il futsal finisce all’Università Tor Vergata. La diretta multimediale della Supercoppa Italiana, giocata il 9 novembre a Teramo tra Real Rieti e Pescara (e vinta dagli abruzzesi), autoprodotta dalla Divisione Calcio a cinque e distribuita da PMG s.r.l. (Pulse Media Group), ha raggiunto 388 mila persone ed è diventata oggetto di studio di un progetto universitario.
Giovanni Bocciero e Silvia Aldi, ragazzi che frequentano un master in Marketing e Management dello Sport all’Università Roma Tor Vergata, hanno presentato il progetto di comunicazione e crossmedialità nel futsal, nell’ambito della ricerca voluta da Marcel Vulpis, direttore di Sporteconomy. “Abbiamo diviso il lavoro in tre parti, confontando la diretta multimediale della gara con altri esperimenti, come la NFL su Twitter, Wimbledon o altri progetti multimediali che sta facendo la FIBA - dice Bocciero -. Abbiamo controllato gli spettatori attuali del match nei vari momenti della gara, lavorando su un campione. Quasi il 75% di loro ha visto la gara dallo smartphone e il 65% stava guardando solo la partita. Qualche altro ha coniugato la visione della Supercoppa con una Fiction, un film o un documentario”.
L’evento, secondo lo studio, ha scaturito effetti positivi sulla pagina Facebook della Divisione. “Nei 4 giorni successivi alla diretta sono aumentati i “mi piace” sulla pagina, per una media di 44 a post. Poi abbiamo continuato lo studio studiando la comunicazione sui Social di due società di Serie A, come Lollo Caffè Napoli e Axed Group Latina. Un’idea singolare, che nasce quasi per caso. “Ho visto dal vivo una sola gara di futsal, la semifinale dell’Europeo 2003 vinto dall’Italia - continua Bocciero -. Silvia, invece, è di Latina e segue l’Axed Group”.

Cliccando qui si può andare al link ufficiale!

mercoledì 7 dicembre 2016

Dall'High School alla NBA: la discussione si fa rovente

DallHigh School alla NBA: la discussione si fa rovente
Bandito dal commissioner David Stern nel 2005, bollato di razzismo, Adam Silver vuole limitare ancora di più il salto


di Giovanni Bocciero*

Da Reggie Harding nel 1962, passando per Haywood, Malone
e fino a Dawkins, tanti casi scottanti. Nella foto Ben Simmons.
Il sistema NCAA è stato più volte messo in discussione negli ultimi anni. Le maggiori critiche sono state mosse proprio dai giocatori, non ultimo la prima scelta assoluta del draft 2016 Ben Simmons. Il talento australiano ha ribadito come l’obbligo di fare un anno al college non serva a nulla per quegli atleti che vorrebbero in realtà compiere il grande salto in NBA direttamente dall’high school. Ma analizziamo nel dettaglio questo spinoso argomento.

PRIMI CASI. Il primo giocatore ad essere stato chiamato al draft senza passare per il college fu Reggie Harding nel 1962. A sceglierlo furono i Detroit Pistons ma non scese in campo sino alla stagione 1963/64. Anni dopo ci fu la prima regola stabilita dalla NBA per cui un giocatore non poteva rendersi eleggibile se non erano trascorsi quattro anni dal diploma. Questa regola fu violata nel 1970, quando i Seattle SuperSonics decisero di ingaggiare Spencer Haywood. Diplomatosi alla Pershing HS nel 1967, frequentò l’University of Detroit prima di firmare per i Denver Rockets (antenati dei Nuggets) in ABA. Tempo due anni e approdò in NBA tra le fila dei SuperSonics contravvenendo alla norma dei quattro anni dal diploma. Venne così fatta una petizione all’antitrust contro la lega, e il caso finì addirittura davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti che emise una sentenza di 7-2 a favore di Haywood. Dopo questa decisione la NBA permise agli atleti di lasciare in anticipo l’università purché dimostrassero l’“hardship case”, ovvero che avessero un disagio finanziario che poteva essere attutito con il passaggio al professionismo. Altri casi di prep-to-pro si ebbero nel 1974 con Moses Malone che passò dal liceo all’ABA, ingaggiato dagli Utah Stars, finendo poi in NBA quando queste arrivarono a fondersi; mentre al draft del 1975 venne selezionato dai Philadelphia 76ers Darryl Dawkins che si dichiarò eleggibile dimostrando di vivere in difficoltà economiche.

Con Kevin Garnett (nella foto) la "revolution". Dopo di lui
altri 38 atleti a cominciare da un certo Kobe Bryant.
RIVOLUZIONE. Ci vogliono vent’anni per rivedere un liceale compiere il grande salto: era il 1995 e si trattava di Kevin Garnett. Il campione NBA soprannominato non a caso “the revolution”, rivoluzionò l’idea del passaggio dal liceo al professionismo perché l’ex Minnesota e Boston non aveva apparentemente difficoltà economiche, ma di certo non amava la scuola. Credeva invece - e a posteriori con ragione - di valere la lega appena diciottenne. All’indomani del suo avvento, la nota rivista sportiva Sports Illustrated titolava con lui in copertina: «Ready or not...». In barba allo scetticismo tanto tecnico quanto fisico, Garnett dimostrò tutto il suo valore, e sulla sua scia toccò poi ai vari Kobe Bryant, Tracy McGrady, Amar’e Stoudemire, LeBron James e Dwight Howard, per un totale di 39 giocatori.
Si poteva facilmente notare come aumentò l’afflusso dei diplomati scelti al draft, e così il commissioner David Stern pensò bene di mettere un freno a tutto ciò durante la trattativa per il contratto collettivo tra il sindacato giocatori e la NBA nel 2005. Stern propose un limite d’età a 20 per l’eleggibilità, dichiarando che troppi giovani afroamericani stavano usando la lega in modo non corretto per farsi strada, raggiungere la fama e sistemarsi finanziariamente. La maggior parte degli atleti fu contrario ad introdurre un limite, e addirittura Jermaine O’Neal - che aveva compiuto il salto nel 1996 - accusò il commissioner di razzismo. Alla fine, però, l’unione giocatori trovò un compromesso sui 19 anni, e inoltre ottenne delle modifiche alle regole di protezione degli stipendi. Le reazioni dei cestisti liceali furono furibonde. Bill Walker dichiarò che: «È ridicolo che devi avere 19 anni per giocare a basket quando puoi averne 18 per andare in guerra e morire per il tuo paese». Gli fece eco Jerryd Bayless: «Se un giocatore di tennis può essere professionista a 13 anni, non riesco a capire perché un giocatore di basket non lo possa essere a 18». Contraddizioni di quel fantastico paese chiamato Stati Uniti che dopotutto tanto liberale non è. Il rinnovo del contratto collettivo che ha portato al lock-out nel 2011 non ha apportato modifiche in tale ambito, per questo i requisiti minimi per essere eleggibili sono: compiere 19 anni nell’anno del draft; essere trascorso almeno un anno dal giorno del diploma.

Da Jennings (nella foto) a Mudiay molti i giocatori che per saltare
l'ostacolo sono andati all'estero prima di approdare nella NBA.
ONE-AND-DONE. Nel 2005 venne dunque introdotta la nuova normativa per i liceali che vorrebbero approdare direttamente in NBA, ovvero che devono giocare per almeno un anno al college prima di potersi dichiarare al draft. La maggior parte di questi talenti one-and-done decide di spendere l’anno all’università, altri invece preferiscono aggirare lo studio - anche perché non sono portati - firmando in D-League o addirittura all’estero così da monetizzare immediatamente. Abbiamo gli esempi di Brandon Jennings che da Oak Hill Academy giunse a Roma, e di Emmanuel Mudiay che dopo aver accettato la borsa di studio di Southern Methodist ripiegò per la Cina. Thon Maker l’estate scorsa è stato un caso particolare che ha fatto molto scalpore. Dichiaratosi per il draft, ha dimostrato alla lega professionistica di aver terminato il liceo un anno prima ed essere rimasto ad Orangeville Prep da studente post-diploma.

DIO DENARO. La polemica sull’anno obbligatorio al college è stata risollevata circa un mese fa da Simmons. Le sue dichiarazioni sull’inutilità di trascorrere una stagione in NCAA, in realtà, palesavano non tanto la voglia di diventare quanto prima professionista, piuttosto quella di guadagnare dal ritorno mediatico che hanno le università, sempre più macchine da business tra diritti televisivi, merchandising e botteghino. Insomma verrebbe da citare che anche la tasca vuole la sua parte. E qui ci si contrappone alla regola fondamentale dell’associazione universitaria, ovvero quella che i giocatori devono essere qualificati quali “student-athlete” senza alcuna remunerazione. È forse questo il fulcro vero del dibattito. Dopotutto già negli anni ‘70 campioni come Malone erano spinti al grande salto per il loro talento che gli avrebbe garantito lauti guadagni. E allora la vera domande è se questi fenomeni della nuova generazione non debbano ricevere compensi dai college per cui giocano, e che contribuiscono a far arricchire con le loro decisioni e prestazioni.

CORRENTI DI PENSIERO. La parola fine di questa faccenda non sembra trovarsi dietro l’angolo. A tal proposito si fronteggiano due diversi schieramenti, proprio come i Guelfi ed i Ghibellini nella Firenze medievale. Da un lato c’è il fronte di quelli che ragionano in modo imprenditoriale, e dunque vedono gli atleti come dei dipendenti che producono ed hanno diritto allo stipendio; dall’altro c’è il fronte più sociale, che considera i giocatori degli studenti e come tali devono seguire indifferentemente l’insegnante come l’allenatore apprendendo e senza nulla pretendere se non la conoscenza, tanto culturale quanto cestistica. Il problema è che tali atleti non hanno intenzione di apprendere soprattutto se sin dal liceo vengono pompati dai procuratori che gli promettono mari e monti e dalle famiglie che in loro vedono la cosiddetta gallina dalle uova d’oro. E vista la volontà del commissioner NBA Adam Silver di portare l’obbligo per l’eleggibilità a due anni dopo aver conseguito il diploma, la situazione si potrebbe ulteriormente complicare. L’atmosfera NCAA è unica, e gli ingaggi potrebbero effettivamente inquinarla, perché come per i pro gli atleti potrebbero decidere di giocare per chi gli offrirà di più rispetto al prestigio degli atenei.



* per il mensile BASKET MAGAZINE

venerdì 11 novembre 2016

NCAAB: Power Ranking 13 - 1 2016/17

Di seguito la seconda parte del Power Ranking della NCAA dalla 12esima alla 1ma posizione. Qui la prima.




di Giovanni Bocciero


13- INDIANA
Gli Hoosiers hanno perso tanto, forse tantissimo con le perdite di Yogi Ferrell e Troy Williams, due giocatori di qualità e quantità. Proprio per questo il tecnico Tom Crean in una mano potrà pesare tutto il talento che si ritroverà per l'ennesima volta a Bloomington, ma nell'altra anche il fosforo e la determinazione che purtroppo non avrà più con le dipartite su citate. Lo scettro di leader è passato nelle mani di James Blackmon Jr., mentre l'atletismo di Thomas Bryant e O.G. Anunoby rappresenta un punto di forza non indifferente. Per quanto riguarda la cabina di regia, attenzione al freshman Curtis Jones che ha già giocato con Bryant alla Huntington Prep.

12- ARIZONA
Coach Sean Miller è sempre a caccia della Final Four, ma almeno in partenza, l'obiettivo quest'anno pur non essendo lontano non sembra alla portata. Tante sono infatti le incognite che devono essere inquadrate nel discorso, ad iniziare da quel Allonzo Trier che al suo secondo anno deve ergersi a guida dei Wildcats. Gli addii dei senior Gabe York sull'arco e Kaleb Tarczewski in area aprono poi a nuovi scenari in cui possono emergere nuovi e vecchi volti, come il serbo Dusan Ristic o il finlandese Lauri Markkanen, l'ala freshman Rawle Alkins, il pivot sophomore Chance Comanche ed il play rookie Kobi Simmons osservato speciale. Ray Smith invece, fermo ai box tutta la stagione scorsa, si è nuovamente infortunato al ginocchio ed ha deciso di appendere le scarpe al chiodo senza aver giocato neppure una partita con Arizona. Comunque, il talento e la profondità non si discutono, la giovinezza e l'inesperienza purtroppo si.

11- WISCONSIN
La continuità è certamente il punto di forza di questi Badgers, che hanno visto far ritorno tutti i grandi artefici della convincente passata stagione. La coppia di lunghi formata da Nigel Hayes ed Ethan Happ - due autentiche star a livello collegiale ma con prevedibile difficoltà ad immaginarli protagonisti ad alto livello tra i professionisti - da una grossa affidabilità e solidità alla frontline che può contare anche sul combattivo Vitto Brown. Il backcourt, invece, ruoterà sulle prestazioni soprattutto del senior e leader silenzioso Bronson Koenig, ma anche di Zak Showalter e Khalil Iverson il cui normale apporto è comunque di vitale importanza.

10- UCLA
Situazione piuttosto spinosa a Los Angeles, dove quest'anno ci si attendono risposte concrete dai Bruins e soprattutto da coach Steve Alford, la cui posizione sembrerebbe piuttosto a rischio. Sarà sicuramente aiutato dal figlio Bryce, al suo ultimo anno universitario, e magari da quel Isaac Hamilton che è il giocatore più talentuoso della squadra, che è comunque arricchita dall'esperienza maturata in campo dal sophomore Aaron Holiday e dallo junior Thomas Welsh. Tutti però non vedono l'ora di poter ammirare il fenomenale Lonzo Ball, una sorta di profeta in patria che guida una classe di freshman che conta anche i lunghi Ike Anigbogu e T.J. Leaf.

9- VIRGINIA
Due sono le certezze con cui s'inizia la stagione: coach Tony Bennett ed il playmaker London Perrantes. Si possono senza ombra di dubbio definire la mente ed il braccio di questi Cavaliers che da due anni a questa parte stanno inseguendo l'obiettivo Final Four senza raggiungerlo, e per di più perdendo pedine importanti dello scacchiere. Il potenziale della squadra è drasticamente sceso, ma non così tanto da non essere considerati a livello nazionale. Due sono le aggiunte estive di maggior peso, ovvero il transfer da Memphis Austin Nichols che ha trovato già il modo di violare le regole del team beccandosi una sospensione, ed il freshman Kyle Guy che di professione sarebbe un cecchino ed ha tutta l'intenzione di dimostrarlo sul parquet.

8- MICHIGAN STATE
Gli Spartans si affacciavano a questa stagione con grande attesa, e invece gli infortuni della preseason possono essere un bastone fra le ruote. Ad East Lansing è giunta una nidiata piuttosto interessante con il regista Cassius Winston, la guardia realizzatrice Joshua Langford, l'ala atletica Miles Bridges ed il lungo Nick Ward che devono comunque prendere confidenza con il nuovo palcoscenico. Il play Tum-Tum Nairn, il tiratore Matt McQuaid ed il tuttofare Eron Harris sono il classico usato garantito, che avrebbe incorporato anche il senior Gavin Schilling ed il transfer Ben Carter se solo non dovessero fermarsi ai box al momento, il che apre una voragine nel pitturato. Però il motto "January, Febraury, Izzo, April..." dev'essere incoraggiante per la truppa di coach Tom Izzo dato che a marzo Michigan State va in trans agonistica.

7- XAVIER
Chris Mack - coach of the year l'anno scorso per i giornalisti - potrà contare su di una base solida per assestarsi ancora nei piani altissimi del power ranking. Trevon Bluiett ed Edmond Sumner saranno i principali terminali offensivi dei Musketeers, così come tanto arriverà anche da Myles Davis e J.P. Macura. Il vero problema è che si tratta di tutti esterni, e quindi oltre ad un molto probabile small-ball c'è da inventare qualcosa nell'area dei tre secondi. Proprio per questo il transfer senior da Norfolk State RaShid Gaston, che un vero lungo comunque non è, rappresenterà una pedina piuttosto fondamentale nell'economia della squadra.

6- VILLANOVA
I campioni in carica di coach Jay Wright - in estate gli è stata offerta la panchina dei Sixers in NBA - hanno perso due pedine imprescindibili come Ryan Arcidiacono e Daniel Ochefu, che valevano molto più del terzo e quarto terminale offensivo che rappresentavano per le statistiche. Palla allora a Kris Jenkins e Josh Hart, rispettivamente la mano ed il cuore dello storico titolo dell'anno scorso. Molta più responsabilità avrà il play Jalen Brunson, che già alla sua prima annata ha fatto molto bene, così come i vari Phil Booth, Mikal Bridges e Darryl Reynolds. A rimpinguare la panchina dell'università di Philadelphia è arrivato Omari Spellman che potrebbe avere da subito tanto spazio. Approfondimento

5- NORTH CAROLINA
Non ancora digerita l'amara sconfitta in finale, da Chapel Hill se ne sono andate star come Brice Johnson e Marcus Paige difficilmente rimpiazzabili. Ma uno starting-five con la regia di Joel Berry, la versatilità di Theo Pinson e Justin Jackson sugli esterni, e la durezza di Kennedy Meeks ed Isaiah Hicks sotto le plance non è da molti. Inoltre dalla panchina sono pronti ad uscire il genio e la sregolatezza di Nate Britt, così come il nuovo arrivato Tony Bradley pronto a lottare nel pitturato. Sempre per quanto riguarda i freshman, sia Brandon Robinson che Seventh Woods potranno allungare le rotazioni dei Tar Heels, ammesso che superino in breve tempo l'ambientamento.

4- OREGON
Si riparte da dove si era lasciato, con il trio composto da Tyler Dorsey, Dillon Brooks e Chris Boucher pronto a fare a ferro e fuoco nella Pac-12 ma soprattutto a livello nazionale. I tre insieme fatturavano l'anno scorso 41 dei 79 punti di media della squadra. L'unico addio di rilievo è stato quello del graduato Elgin Cook, che partecipava con quasi 15 punti al fatturato totale. Il suo testimone in fatto di realizzazione dovrebbe essere raccolto dal freshman Payton Pritchard che ha una mano niente male dall'arco dei tre punti. Per il resto l'apporto di Casey Benson e Jordan Bell sarà come al solito molto importante per le rotazioni dei Ducks.

3- KENTUCKY
Come ogni anno all'ateneo di Lexington, in palestra, è parcheggiata un'auto extra lusso. E come ogni stagione la domanda è quella se John Calipari sia in grado di guidarla sino al risultato grosso. A reclutare i giovani talenti l'allenatore non ha eguali, ma a farli giocare invece decisamente un po' meno. Da De'Aaron Fox a Malik Monk, da Edrice Adebayo a Wenyen Gabriel, da Tai Wynyard a Sacha Killeya-Jones, senza dimenticare i sophomore Isaiah Briscoe ed Isaac Humphries, c'è un talento sconfinato tra le fila dei Wildcats che però deve essere ben indirizzato. La forza della squadra non si discute, però l'aspetto mentale del gruppo va curato con grande parsimonia durante soprattutto i momenti di difficoltà.

2- KANSAS
La principale avversaria dei numeri uno è Kansas, che mira a vincere la tredicesima Big XII consecutiva. Certamente per il tecnico Bill Self la perdita di un leader come Perry Ellis lascia un vuoto non indifferente nel pitturato dove dovranno nascere dei nuovi equilibri fondati su Carlton Bragg e Landen Lucas oltre ai freshman Udoka Azubuike e Mitch Lightfoot. L'attenzione sarà però tutta rivolta a Josh Jackson, l'asso reclutato dai Jayhawks che potranno contare su di un backcourt piuttosto rilevante con le conferme di Frank Mason e Devonte' Graham, ai quali si è aggiunto il transfer Malik Newman che vuole rivalutarsi al campus di Lawrence. Come ogni stagione si parte per arrivare alla Final Four che manca da quattro anni ormai.

1- DUKE
Alzi la mano chi non crede che i Blue Devils siano i candidati numero uno quest'anno. In una stanza piena zeppa di gente probabilmente neanche uno alzerebbe la mano. All'addio di Brandon Ingram coach Mike Krzyzewski si è regalato una recruiting class da sballo con Jayson Tatum, Harry Giles, Frank Jackson e Marques Bolden. Certo i primi due avranno qualche problema d'infortunio all'inizio, ma i veterani Grayson Allen, Amile Jefferson, Matt Jones e Luke Kennard fanno di Duke una squadra lunga, profonda, talentuosa e concreta. A due anni di distanza dal quinto titolo, si ha tutto per appendere un altro stendardo al soffitto del Cameron Indoor, ma il percorso va costruito con calma e passo dopo passo. Approfondimento

martedì 8 novembre 2016

NCAAB: Power Ranking 25 - 14 2016/17

Di seguito la prima parte del Power Ranking della NCAA dalla 25esima alla 14esima posizione.



di Giovanni Bocciero

25- N.C. STATE - TEXAS A&M
Ex aequo alla venticinquesima posizione di questo power ranking, dove troviamo sia North Carolina State che Texas A&M, entrambe squadre che hanno conservato una loro ossatura con qualche piccolo accorgimento. Per quanto riguarda N.C. State, l'innesto per eccellenza è quello del giovanissimo talento Dennis Smith, playmaker dotato di fisico e capacità che tra i tanti nuovi prospetti ha tutte le carte in regola per competere per il premio di freshman of the year. Altri giocatori importanti per i Wolfpack sono gli esterni Maverick Rowan e Abdul-Malik Abu ed i lunghi BeeJay Anya ed Omer Yurtseven squalificato dalla NCAA per le prime nove gare per aver guadagnato al Fenerbahce.
Tra le fila di Texas A&M invece, gli addii di tre giocatori del calibro di Alex Caruso, Jalen Jones e Danuel House si faranno sentire eccome. Eppure il roster degli Aggies potrà contare su di una frontline piuttosto tosta con Tonny Trocha-Morelos e Tyler Davis, e con l'aggiunta dello spagnolo del Barcellona Eric Vila. A creare sarà invece compito prettamente di Admon Gilder, mentre invece le più grandi responsabilità offensive per la squadra di coach Billy Kennedy peseranno sulle spalle di D.J. Hogg, chiamato a non far rimpiangere i giocatori graduati che sono stati nominati all'inizio.

24- FLORIDA STATE
Il talento dei Seminoles può essere facilmente racchiuso nel trio composto dalla combo-guard junior Xavier Rathan-Mayes, dal realizzatore sophomore Dwayne Bacon e dalla forward freshman Jonathan Isaac, che come dei pezzi singoli stanno pian piano definendo il puzzle a disposizione dell'allenatore Leonard Hamilton. In questa posizione non sono una scommessa, di più, soprattutto se si considera che militano nella ultra competitiva Atlantic Coast Conference. Però se c'è una cosa che si impara piuttosto velocemente nel seguire il college basketball, è proprio che nulla è impossibile.

23- SAINT MARY'S
La continuità sarà alla base del progetto dei Gaels che hanno tutto, ma davvero tutto per sorprendere ed impensierire gli acerrimi rivali della West Coast di Gonzaga. Squadra profondo quella di coach Randy Bennett, che ha visto far ritorno a tutto il quintetto base, oltre che alle prime tre riserve. Insomma tavola piuttosto apparecchiata. Tanto ci si attende dal duo australiano formato dalla stella indiscussa Emmett Naar e dall'ala Dane Pineau. Al centro del pitturato farà la voce grossa Evan Fitzner, mentre sugli esterni spazio a Calvin Hermanson e Joe Rahon. Dalla panchina sono pronti a subentrare Stefan Gonzalez, Kyle Clark e Jock Landale.

22- IOWA STATE
Per l'università con sede ad Ames si è chiuso decisamente un ciclo con il giocatore simbolo di questi ultimi anni Georges Niang che si è laureato. Questo però non significa che i Cyclones non siano sempre una squadra di rilievo nel panorama nazionale. Non fosse altro per la presenza del playmaker veterano Monte Morris, che si candida per essere non solo il player of the year della Big XII ma anche dell'intera Division I. Inoltre, il roster di coach Steve Prohm potrà contare anche sui senior Nazareth Mitrou-Long e Deonte Burton che sicuramente faranno il proprio dovere. La coperta però, rispetto agli anni passati, appare un po' cortina.

21- RHODE ISLAND
Coach Dan Hurley ha tra le mani un autentico gioiellino, una squadra forte, dinamica, atletica, esperta, che fa dell'unità d'intenti e della circolazione di palla i suoi punti di forza. Stiamo parlando della favorita dell'Atlantic 10, conference che ha regalato tante cinderella negli ultimi anni, e allora segnatevi questi Rams. Sugli esterni agiranno da metronomo Jarvis Garrett e da attaccanti Jared Terrell e quel E.C. Matthews grande prospetto NBA al rientro dopo l'infortunio che gli ha fatto disputare una sola gara l'anno scorso. Le rotazioni saranno allungate dal transfer Stanford Robinson, proveniente da Indiana, e dal sophomore Christion Thompson. Il reparto lunghi si fonda sulla coppia composta dai senior Hassan Martin e Kuran Iverson, con il nostro Nicola Akele pronto a conquistarsi fiducia e minuti.

20- CALIFORNIA
Con l'addio di Jaylen Brown tutto ruoterà intorno ad Ivan Rabb in questa stagione. In estate non si sono risparmiati i paragoni per la forward, come quello con LaMarcus Aldridge. Il giovane talento di Oakland - un papabile player of the year - si sposerà perfettamente in coppia con i vari pivot Kingsley Okoroh e Kameron Rooks, che fanno dei Golden Bears un team molto solido sotto le plance. Tanto del fatturato offensivo della squadra allenata da Cuonzo Martin dovrà dipendere per forza di cose da quel Jabari Bird, che giunto al suo anno da senior dovrà dimostrare realmente le proprie capacità che troppo spesso, finora, non si sono ammirate. Progetto ambizioso che per funzionare dovrà trovare degli equilibri necessari.

19- PURDUE
I Boilermakers hanno perso uno dei loro migliori prospetti degli ultimi anni, tale A.J. Hammons, che non sarà una forza per quoziente intellettivo, ma sicuramente per il suo enorme fisico dava un vantaggio alla propria squadra nel pitturato. Nonostante ciò sarà sempre la frontline il loro punto di forza visto che l'ala Vince Edwards unisce la tecnica alla sostanza, Caleb Swanigan non si è fatto attrarre dal "one and done" ed ha preferito posticipare l'arrivo in NBA, ed infine Isaac Haas si candida per diventare il giocatore più dominante dell'area pitturata. Ma Purdue ha cercato anche di sistemare la cabina di regia con il transfer Spike Albrecht giunto da Michigan.

18- SYRACUSE
Dopo la straordinaria cavalcata della passata stagione, seppur con le partenza lussuose di Malachi Richardson e Michael Gbinije, non è mai saggio puntare contro la squadra di Jim Boeheim. Tra transfer e freshman gli Orange hanno una squadra competitiva che potrà comunque contare sui veterani Tyler Roberson e DaJuan Coleman, che uniti al prospetto Tyler Lydon in rampa di lancio ed al nuovo Paschal Chukwu in arrivo da Providence formano una batteria di lunghi invidiabile. Andrew White III da Nebraska porterà qualità e sostanza al reparto esterni che potrà fregiarsi anche dei giovani Matthew Moyer e Tyus Battle, al quale dovrebbe spettare l'incombenza di sostituire il tiratore Trevor Cooney. Bisognerà sperimentare in cabina di regia, perché al momento non sembra esserci un play designato.

17- CONNECTICUT
Sliding doors piuttosto movimentate per l'alma mater di un altro pezzo storico del gioco anni '90 che ha appeso di recente le scarpette al chiodo, ovvero Ray Allen. Gli Huskies quest'anno non potranno prescindere che dalla continuità delle prestazioni per costruire un'altra stagione ricca di soddisfazioni. Ai partenti Daniel Hamilton, Shonn Miller e Sterling Gibbs hanno fatto da contraltare gli arrivi di Alterique Gilbert, Vance Jackson e Mamadou Diarra. Coach Kevin Ollie, inoltre, potrà sempre contare sul talento di Jalen Adams e l'esperienza di Rodney Purvis, oltre che sul lungo Amida Brimah e a quel Steven Enoch che dopo il primo anno trascorso in sordina dovrebbe essere pronto e voglioso a far vedere le proprie qualità.

16- TEXAS
Al suo secondo anno presso l'ateneo di Austin, coach Shaka Smart ha provveduto a ricostruire il progetto tecnico dei Longhorns fondando la squadra su ben tre sophomore e quattro freshman. L'unico superstite di questa epurazione è il senior Kendal Yancy. Il backcourt dipenderà dalla vena realizzativa e soprattutto di gioco del trio composto da Kerwin Roach Jr., Eric Davis Jr. e Tevin Mack, mentre invece la frontline non potrà fare a meno delle prestazioni della fenomenale ala Jarrett Allen e del talentuoso centro James Banks. È possibile che Texas inciampi in una serie di gare altalenanti, in virtù dell'età piuttosto bassa, ma la difesa asfissiante che porta a tanti recuperi potrà essere un fattore piuttosto rilevante. Approfondimento

15- LOUISVILLE
Dopo l'autosospensione della passata stagione per lo scandalo a luci rosse, la squadra di Rick Pitino è pronta a tornare in pista e a competere a livello nazionale. I ferri saranno di competenza di Mangok Mathiang, così come la fase offensiva ruoterà intorno a Donovan Mitchell. Lo junior Quentin Snider ed il sophomore Ray Spalding nativi di Louisville, lo swingman australiano Deng Adel ed il freshman V.J. King costituiscono un roster ad immagine e somiglianza del proprio allenatore le cui parole chiavi sono intensità, difesa, corsa e cinismo. Passare dalle parole ai fatti non è mai semplice, ma se c'è una squadra capace di insegnarlo questa è proprio quella dei Cardinals.

14- GONZAGA
Con un vero e proprio mercato estivo, i Bulldogs saranno come sempre una brutta gatta da pelare per chiunque. I transfer Nigel Williams-Goss da Washington e Johnathan Williams da Missouri sono due aggiunte davvero molto importanti per un telaio che comunque può contare sulla combo-guard Josh Perkins ed il pivot polacco Przemek Karnowski. Coach Mark Few potrà anche attingere dalla nuova classe freshman, che oltre ad un danese, un francese ed un giapponese - non è affatto una battuta: Jacob Larsen, Killian Tillie, Rui Hachimura - conta due giocatori su tutti come il realizzatore Zach Norvell ed il lungo Zach Collins.

venerdì 4 novembre 2016

Il 'professore' Shaka Smart e il metodo dei Navy SEAL

Il 'professore' Shaka Smart e il metodo dei Navy SEAL
Il coach di Texas: giovane, ma ha già una lunga serie di successi alle spalle



di Giovanni Bocciero*

«Essere o non essere, questo è il problema». Se a scandire queste parole “amletiche” che hanno fatto celebre il drammaturgo William Shakespeare fosse stato un attore teatrale non ci avremmo trovato nulla di strano. Anzi, magari lo avremmo ricoperto di applausi. Ma se a pronunciarle è un allenatore di basket, tra le quattro mura dello spogliatoio, allora forse ci troviamo di fronte ad una autentica storia che merita di essere raccontata. E come punto di partenza è bene scegliere il 31 marzo del 2011. Al Reliant Stadium di Houston andò in scena la semifinale della Final Four tra Butler e la cinderella VCU che fu però sconfitta per 70-62. Quella squadra che collezionò 28 vittorie in stagione era guidata da un allenatore al suo secondo anno in carriera da head coach, tale Shaka Smart, 40 anni il prossimo 8 aprile, che con quel traguardo ha iniziato a scrivere pagine importanti del college basketball.

UNA LAUREA IN STORIA, CON I SUOI DURISSIMI ALLENAMENTI
HA PORTATO VCU TRA I MIGLIORI COLLEGE DELLA NCAA
LA GAVETTA. Prima di quella favolosa cavalcata sulla panchina dei Rams, Smart è stato un ottimo giocatore - playmaker per l’esattezza - pur non avendo alcuna aspirazione a diventare professionista. Al Kenyon College ha ancora oggi i record di assist in una singola stagione (184) e nella storia dell’ateneo (542). Ma oltre alla pallacanestro ha conseguito nel 1999 una laurea con lode in Storia, per questo sa citare minuziosamente le opere di Shakespeare o leggere in maniera coinvolgente il trattato L’arte della guerra del filosofo cinese Sun Tzu. Insomma Smart ha i tratti del professore di storia, ma lui ha deciso in realtà di fare la storia, come hanno sin da subito capito in Virginia. Ha iniziato la carriera da assistant coach alla California University nello Stato della Pennsylvania, dove tra un allenamento e l’altro ha conseguito anche un master in Scienze Sociali. Nel 2001 approda a Dayton dove però ricopre l’incarico di direttore sportivo. Tempo due anni e torna a sedere in panchina al fianco di coach Keith Dambrot - il mentore di LeBron James alla St. Vincent-St. Mary High School - per guidare Akron. Poi si trasferisce per due stagioni a Clemson ed infine nel 2008/09 è assistente di Billy Donovan a Florida. Dopo una più che dignitosa gavetta arriva la chiamata di VCU che gli offre il ruolo di capo allenatore sul quale ci si fionda senza alcun timore, magari pensando proprio alle parole di Shakespeare: «Non aver paura della grandezza». E così si afferma in maniera repentina.

I PRIMI PASSI. Sin dalla sua prima stagione nel 2009/10 Shaka Smart scrive pagine di storia facendo raggiungere a VCU l’élite universitaria, perché dopotutto lui non è uomo da «Parole, parole, parole» come recitato nell’Amleto, piuttosto di fatti concreti. Nelle sei stagione in cui il tecnico ha guidato i Rams sono fioccati i record. Escluso il primo anno in cui nonostante un bottino da 27 vittorie viene mancata la qualificazione al Torneo NCAA, nei cinque anni successivi questa giunge costantemente con una Final Four, due eliminazioni al terzo turno e due al secondo turno. Alla prima esperienza mette comunque in bacheca il CBI battendo Saint Louis nella serie finale. Nel 2011 realizza il capolavoro della semifinale nazionale, raggiunta mettendo a segno cinque upset consecutivi contro Southern California, Georgetown, Purdue, Florida State e Kansas. Questo percorso fa sì che Smart si aggiudichi il premio di coach of the year Pollard-Gaines, e che VCU chiuda al sesto posto - la miglior posizione della propria storia - nel ranking di fine stagione stilato dai coach.
SMART PORTA IL NOME DEL PIU' GRANDE GUERRIERO ZULU
Nel 2012, seppur l’asticella si fosse alzata, fa segnare un altro importante record all’università centrando 29 vittorie - il massimo nella singola annata - a discapito di sole 7 sconfitte. Nel 2013 Smart guida VCU al trasferimento dalla modesta Colonial Athletic (CAA) alla ben più competitiva Atlantic 10, transizione che viene facilmente digerita tanto che soltanto la finalista Michigan estromise i Rams dal Torneo NCAA. Nonostante la sconfitta prematura al terzo turno VCU ricevette la prima apparizione nel ranking top 25 di fine anno dalla stagione 1984/85. Nello stesso ranking sempre per l’ottimo lavoro profuso dall’head coach l’ateneo è stato classificato decimo il 19 novembre del 2013, fissando un nuovo record della propria storia dato che la precedente più alta posizione toccata fu l’undicesimo nel marzo del 1985. Prima dell’arrivo di Smart i Rams erano stati classificati nel ranking top 25 solo in nove occasioni, mentre nei suoi sei anni lo sono stati per ben ventidue volte. Sotto la sua gestione del programma cestistico sono esplosi diversi giocatori, tra cui Larry Sanders, Troy Daniels, Melvin Johnson, Juvonte Reddic, ed anche sulla crescita dei giovani giocatori ci piace immaginarlo pronunciare termini cari al suo drammaturgo preferito: «Sappiamo ciò che siamo ma non quello che potremmo essere».

LA DEVASTAZIONE. Shaka Smart è secondo nella speciale classifica dei record totali nei primi sei anni di carriera da head coach, nel caso specifico 2009/15, con 163 vittorie e 56 sconfitte per una percentuale di 0,744. È dietro a Brad Stevens (0,772) che guidava quella Butler che interruppe il suo sogno alla Final Four, ma in compenso è avanti a tecnici come Roy Williams e Tom Izzo inseriti in top 10. Questi risultati sono frutto soprattutto dello stile di gioco che impone ai suoi giocatori: grande intensità in qualsiasi momento della gara, difesa asfissiante con pressione a tutto campo, ed attacco che deve correre velocemente in contropiede. Per fare in modo che i suoi ragazzi siano capaci di sostenere questi ritmi forsennati, Smart fa fare degli allenamenti sulla falsariga dell’Ironman. Si tratta di una pratica sportiva estrema - mescola nuoto, ciclismo e corsa come una sorta di triathlon - che ha come scopo quello di mettere alla prova i propri limiti e tentare di superarli, testando velocità e resistenza fisica e mentale. Per molti però, non sono altro che le metodologie applicate dalle forze speciali militari dei Navy SEAL (acronimo di SEa, mare - Air, aria - Land, terra). Queste dure pratiche si sono comunque viste concretamente sul parquet, dato che Virginia Commonwealth nella stagione 2012/13 ha raggiunto la ragguardevole cifra di 422 palle rubate frantumando il precedente record dell’Atlantic 10 di 352 stabilito nel 1998/99 da Xavier. Il primato fatto registrare dai Rams si posiziona al diciottesimo posto della storia dell’intero panorama universitario. A questo stile di gioco è stato dato il soprannome di havoc, ovvero la devastazione, che in maniera molto semplice dà l’idea.
ALLA SECONDA STAGIONE CON I LONGHORNS PER SCOPRIRE IL
NUOVO DURANT
Giusto per amplificare ancor di più l’immagine dell’allenatore nativo di Madison, Stato del Wisconsin, bisogna sapere che porta il nome di Shaka in onore del più grande guerriero degli Zulu, il quale estese sotto la sua guida il dominio della tribù su gran parte dell’Africa del Sud. Due estati fa Smart ha accettato l’offerta di Texas, con l’obiettivo di riportare i Longhorns ai fasti dei LaMarcus Aldridge e Kevin Durant. Si appresta ad iniziare la seconda stagione con il solito spirito battagliero, quello che lo vede telecomandare la squadra vicino alla linea bianca con il bacino molto basso, le braccia aperte ed in movimento a voler simulare un angelo di neve, e la cravatta che assomiglia al pendolo di un orologio a cucù tanto che non sta mai fermo, perché lui è un guerriero e come ha scritto Shakespeare nel suo Giulio Cesare: «I vigliacchi muoiono molte volte prima della loro morte. L’uomo coraggioso non ha l’esperienza della morte che una volta sola».


* Per la rivista BASKET MAGAZINE

lunedì 24 ottobre 2016

NBA Western: Power Ranking 2016/17

Di seguito il Power Ranging della Western Conference della NBA.

FONTE: ULTIMOUOMO.COM


di Giovanni Bocciero

1- GOLDEN STATE WARRIORS
Trovare un'altra squadra favorita come loro è difficile, anche in questa competitiva Western, ed a maggior ragione dopo aver strappato il sì del free agent più corteggiato dell'estate, tale Kevin Durant. Sicuramente però il team di coach Steve Kerr dovrà trovare quei giusti equilibri che il talento da solo non ti permette di avere così, dal nulla. Steph Curry e Klay Thompson dovranno dividersi il pallone con il nuovo arrivato, e soprattutto con il compagno Draymond Green. L'aver aumentato il talento ha significato comunque dover tagliare la profondità del roster, rimpolpato con seconde e terze linee.
FAVORITI

2- SAN ANTONIO SPURS
Il vuoto lasciato dal ritiro di Tim Duncan è stato in parte riempito dall'arrivo di Pau Gasol. Non può comunque essere tranquillo il guru Gregg Popovich che forse ancora non ha trovato la giusta lunghezza d'onda per comunicare con il designato erede LaMarcus Aldridge. Nonostante ciò il punto di forza della franchigia texana resta quel sistema che è capace di coinvolgere e far migliorare chiunque. In cabina di regia c'è il solito Tony Parker così come nel ruolo di ala quel Kawhi Leonard al quale silenziosamente sta passando il testimone di leader. Tagliato negli ultimi giorni il nostro Ryan Arcidiacono che dovrebbe finire in D-League.
CONTENDER

3- LOS ANGELES CLIPPERS
I Clippers sono forse al canto del cigno, semplicemente perché dopo anni in cui si è cercato di competere per il titolo adesso si è giunti ad un punto di non ritorno. Questo vale per coach Doc Rivers, vale per Chris Paul - che in verità il suo lo ha sempre fatto -, vale per Blake Griffin che nella passata stagione è arrivato ai ferri corti con la dirigenza. In estate ci si sarebbe aspettato qualche cambiamento significativo, e invece si è deciso di continuare con questi uomini che però dovranno dimostrare di essere tali necessariamente nel rettangolo di gioco.
CONTENDER

FONTE: BLEACHERREPORT.COM
4- HOUSTON ROCKETS
A Houston è atterrato Mike D'Antoni e di conseguenza è cambiata l'idea tattica che sarà prodotta dai Rockets. L'addio a Dwight Howard e gli arrivi di Ryan Anderson, Eric Gordon e Nené sono proprio lo specchio della filosofia dell'ex bandiera Olimpia Milano che vorrà correre e difendere grazie a Patrick Beverley, Trevor Ariza e Corey Brewer. Aspettiamoci una stagione da Mvp di James Harden, che nel ruolo di playmaker che gli si sta disegnando avrà ancora maggiormente il pallone tra le mani per poter offendere sia da realizzatore che da assistman.
PLAYOFFS

5- UTAH JAZZ
I mormoni stanno ritornando. Dopo aver dovuto ingoiare bocconi amari ma al contempo messo delle basi solide al progetto tecnico attuale, ci si è rinforzati con giocatori esperti e di carisma che non potranno che essere un valore aggiunto per i Jazz. Il mix è composto dai giovani "locali" come Gordon Hayward, Derrick Favors, Rudy Gobert, Alec Burks, Rodney Hood integrati in ruoli nevralgici da giocatori come il regista George Hill, il cecchino Joe Johnson ed il lungo Boris Diaw. Lo scorso anno furono sfiorati i playoffs, quest'anno dovrebbero essere centrati con sicurezza.
PLAYOFFS

6- PORTLAND TRAIL BLAZERS
I Trail Blazers ripartono da Terry Stotts - che meritava il premio di coach of the year l'anno passato - e Damian Lillard, autori e fautori tattici e pratici della straordinaria stagione che ha fatto di Portland una meravigliosa sorpresa. Ripetersi non è mai facile, ma il gruppo sembra piuttosto collaudato e soprattutto affiatato. Alla rivelazione C.J. McCollum, Mason Plumlee ed Al-Farouq Aminu in offseason sono stati aggiunti dei role players come Shabazz Napier, Evan Turner e Festus Ezeli che in teoria dovrebbero rappresentare delle valide alternative.
PLAYOFFS

7- DALLAS MAVERICKS
Il proprietario Mark Cuban ha, come sempre fa, investito affinché i suoi Mavericks possano essere competitivi e raggiungere la post season. Da Oakland è arrivata la coppia Harrison Barnes ed Andrew Bogut che ha sostituito quella composta da Chandler Parsons e Zaza Pachulia. Dirk Nowitzki dovrà per forza di cose limitarsi in regular season, ed i vari Deron Williams e Wesley Matthews sono delle punte di diamanti, ma anche giocatori ormai molto altalenanti nelle proprie prestazioni. Si può far bene, ma non aspettatevi nulla di particolare.
PLAYOFFS

8- MINNESOTA TIMBERWOLVES
Ottavo posto ai Timberwolves che già in questa stagione possono raccogliere grandi frutti dopo tutto ciò che hanno seminato da due anni a questa parte. Andrew Wiggins, Karl-Anthony Towns, Zach LaVine, Gorgui Dieng, e adesso il rookie Kris Dunn, sotto la regia dello spagnolo Ricky Rubio e soprattutto del nuovo tecnico Tom Thibodeau, che rappresenta il vero valore aggiunto di questa Minnesota, possono essere la vera grande sorpresa, che non farà fare altro che bruciare le tappe. Non dovessero arrivare i playoffs di certo non sarà una catastrofe.
OUTSIDER

FONTE: INTERBASKET.NET
9- OKLAHOMA CITY THUNDER
Mettere i Thunder in questa posizione è davvero difficile, nonostante l'addio di Kevin Durant. Oklahoma City può contare su di un campione come Russell Westbrook che avendo il pallino del gioco in mano è un candidato assoluto a diventare l'Mvp della stagione. Intorno a lui tanti giocatori giovani ed emergenti, come Victor Oladipo, Steven Adams, Enes Kanter, Andre Roberson ed il figlio d'arte Domantas Sabonis. Non è certamente in fase di rebuilding, ma coach Billy Donovan dovrà per forza di cose trovare il miglior assetto possibile nel più breve tempo.
OUTSIDER

10- MEMPHIS GRIZZLIES
Vederli così in basso dopo ciò che sono riusciti a fare nelle ultime stagioni fa senso, anche perché lo zoccolo duro del roster è rimasto pressoché identico, con i vari Marc Gasol, Zach Randolph, Tony Allen, il rinnovato Mike Conley. L'età media piuttosto alta, avvalorata dalla presenza di Vince Carter, fa pensare ad un ribasso delle prestazioni che naturalmente comporterà anche qualche sconfitta in più. Resta il fatto che puntare contro di loro può essere un bel rischio, a maggior ragione con l'innesto di Chandler Parsons.
OUTSIDER

11- NEW ORLEANS PELICANS
Partenza ad handicap per i Pelicans di coach Alvin Gentry che avranno fuori per l'inizio di stagione sia Jrue Holiday che Tyreke Evans. In più c'è un Anthony Davis che fisicamente non sembra reggere i ritmi forsennati di un intero campionato NBA. Eppure quando c'è alzate le mani. Terrence Jones e Lance Stephenson sono due scommesse molto interessanti, che se vinte possono spostare gli equilibri di questa Western. Occhi puntati anche sul rookie bahamense Buddy Hield che, con lo spazio che si ritroverà, potrebbe competere per il premio di ROY.
OUTSIDER

12- PHOENIX SUNS
Phoenix ha un diamante grezzo in Devin Booker, che quest'anno deve affermarsi, mentre Eric Bledsoe deve prendersi definitivamente le redini della squadra. Tutto il resto deve definirsi, a partire dai giovani T.J. Warren, Alex Len, Dragan Bender e Marquese Chriss. Può premiare la scelta della dirigenza di affiancare a questi delle chiocce come Leandro Barbosa e Jarred Dudley, anche se bisogna valutare le posizioni di Tyson Chandler e Brandon Knight che potrebbero partire durante la stagione. Attenzione a Tyler Ulis che potrebbe essere la grande rivelazione del campionato arancioviola.
OUTSIDER

13- DENVER NUGGETS
Il potenziale nello Stato del Colorado non manca, basti pensare a tutte le guardie ed ali che affollano il roster: il nostro Danilo Gallinari con la fascia da capitano al braccio, Will Barton, Wilson Chandler, Gary Harris, Jamal Murray. Quello di cui si avrebbe bisogno è un'asse play-pivot, dato che per il primo ruolo Emmanuel Mudiay è acerbo e Jameer Nelson è sul viale del tramonto, mentre in vernice la coppia composta da Nikola Jokic e Jusuf Nurkic è parecchio incostante. Qualche soluzione interna è rappresentata da Kenneth Faried, le cui prestazioni sono però drasticamente calate. Può essere fastidiosa nella singola partita, ci sembra poco a lungo andare.
OUTSIDER

FONTE: HOOPSHABIT.COM
14- SACRAMENTO KINGS
Solita squadra costruita senza una testa ed una coda, dove la notizia vera è che DeMarcus Cousins non ha cambiato divisa da gioco. Inutile dire che si guarda una partita dei Kings soltanto per ammirare l'ex pivot di Kentucky che meriterebbe una squadra competitiva per far esplodere tutto il suo potenziale. La dirigenza ha cercato di cedere a desta e a manca Rudy Gay e Ben McLemore ma non c'è riuscita, e non è detto che c'abbia messo una pietra sopra. La cabina di regia affidata a Ty Lawson e Darren Collison fa sorridere, per non dire altro. L'anarchia dominerà incontrastata, e si accettano scommesse per la durata di coach Dave Joerger.
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15- LOS ANGELES LAKERS
Chiuderanno la Western i Lakers, anche se il futuro sarà radioso se non ci saranno complicazioni. Con l'addio di Kobe Bryant saranno i giovani a dover rilanciare il team gialloviola contendendosi lo scettro lasciatogli proprio dal Black Mamba. D'Angelo Russell, Jordan Clarkson, Julius Randle, Larry Nance, Brandon Ingram sono una base di partenza davvero molto interessante, che al fianco di veterani come Jose Calderon, Luol Deng, Louis Williams, Nick Young, Metta World Peace non potrà fare altro che crescere e farsi le ossa necessarie per riportare in alto la franchigia della città degli angeli.
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