sabato 10 marzo 2018

Il piccolo gigante Marques Green

Da dieci anni in Italia con sei squadre diverse, ora ha scelto la A2
Marques Green, il folletto ha stregato Jesi
Legato ad Avellino, dove è tornato quattro volte, ha voluto provare una nuova esperienza:
«Mi è piaciuta l'atmosfera che c'è intorno alla squadra»


di Giovanni Bocciero*


L’altezza è mezza bellezza, recita il proverbio. Questo non vale per Marques Green che pur dal basso dei suoi 165 cm ha tutti gli occhi su di sé quando calca il parquet, ed ha deciso di intraprendere una stuzzicante avventura in quel di Jesi. Ormai prossimo alle 36 primavere (il 18 marzo, ndr) e dopo aver incantato l’Italia a suon di giocate pazzesche, il folletto di Philadelphia ha fatto breccia nei cuori di migliaia di tifosi per quei pantaloncini che gli stanno larghi e gli arrivano quasi alle caviglie. Lui è la dimostrazione che anche se il basket può sembrare uno sport discriminatorio per l’altezza, essa non è la solo cosa che conta. «Sono tanti i giocatori di bassa statura - ha esordito Green - che mostrano che l’altezza non ha tutta questa importanza. Io non mi concentro onestamente su questo aspetto». Al play tascabile interessa un’altra parte del gioco che ritiene necessaria per vincere. «La chimica è tutto. Il modo in cui i giocatori lavorano insieme sia in attacco che in difesa è essenziale, e se tutto va per il verso giusto è come comporre una poesia. È arte per me».
"L'ALTEZZA NON E' COSI' IMPORTANTE, CONTA LA CHIMICA
DEL GRUPPO. SE TUTTO VA BENE E' COME
COMPORRE UNA POESIA"
«Ho iniziato a giocare nella mia città quando ero molto piccolo. Mio padre aveva giocato per un po’ quando era giovane e mi ha spronato anche perché tutti i bambini del mio quartiere giocavano». Molto legato alla sua città natale, ha seguito con attenzione il Superbowl in cui hanno vinto gli Eagles. «Ovviamente ho tifato per loro. È stato tutto fantastico. Volevo essere a casa solo per festeggiare». Non solo il football, Green è molto attento a tutto ciò che gli succede intorno ad iniziare dalla politica del suo paese. «La seguo molto. Siamo in una brutta situazione in questo momento con Donald Trump come presidente. Rappresenta il peggio del nostro paese e del mondo, onestamente. Apprezzo la protesta degli atleti di colore, e condivido la scelta dei tre giocatori dei Philadelphia Eagles che non sono andati alla Casa Bianca per celebrare il titolo».
Innamorato di Michael Jordan, nella sua carriera si è ispirato ad un altro folletto al quale si è inchinata mezza Nba, Allen Iverson. Come all’idolo dei Philadelphia 76ers gli va riconosciuta la qualità di capire l’importanza di dover coinvolgere i compagni di squadra nel gioco. «Ovviamente - risponde secco Green -. È molto importante ed indispensabile per raggiungere i risultati che ci si è dati». Il regista si è fatto conoscere al grande pubblico il 10 febbraio del 2008, quando guidò la Scandone Avellino alla vittoria della Coppa Italia. Ancora oggi la pagina più bella della storia del club irpino. «Quello è stato il maggior successo della mia carriera, insieme alla coppa vinta a Sassari». Quell’anno Green fu la fortuna non solo della squadra allenata da Matteo Boniciolli, ma soprattutto del compagno Eric Williams che grazie al suo supporto disputò una stagione fantastica, la migliore della sua carriera. «Non faccio nulla di particolare, solo cerco di rendere più facile il compito dei miei compagni di squadra. Dopotutto è questo il mio lavoro».
AMA JORDAN, SI ISPIRA AD IVERSON, FA IL TIFO PER GLI
EAGLES, SEGUE LA POLITICA: "CAPISCO LE PROTESTE
CONTRO TRUMP"
Nel Bel Paese ha vestito le casacche di Avellino, Pesaro, Milano, Sassari e Venezia. «Tutte squadre forti, ecco la ragione per cui sono stato lì. Ogni esperienza è stata diversa ma allo stesso tempo necessaria per il percorso di vita che ho avuto». Green ha senz’altro un record, al di là dei numeri statistici, ovvero quello di essere tornato per ben quattro volte ad indossare la maglia di Avellino. È ritornato a giocare nell’arco della sua carriera anche a Nancy e ad Ankara, segno che dove passa lascia sempre un gran ricordo. «Sono molto legato naturalmente alla città di Avellino perché mio figlio è nato lì (gioca a basket e vuole diventare professionista, ndr). Quando gioco cerco solo di fare un buon lavoro. Non sono un giocatore perfetto. L’ambiente è necessario per lavorare bene, e in quei diversi club credevano in me».
Ha giocato in Francia e Turchia, ma l’Italia ha un posto speciale nel suo cuore. «La Turchia è bella ma amo l’Italia. Mi piacciono il cibo, la cultura, l’atmosfera. E le persone naturalmente». Ma fuori dal campo che persona sei? «Sono una persona molto tranquilla. Mi piace stare in famiglia e passare il tempo con i miei figli e gli amici. Seguo altri sport al di fuori del basket, ed amo visitare i musei ed ascoltare musica. Non uso molto i social network, ai quali non accedo spesso, infatti non pubblico molte cose. Sono molto religioso, ed ho un rapporto speciale con Dio». Ma perché la decisione di scendere in A2? «Jesi si è presentata come una buona opportunità per me, e mi ha colpito l’atmosfera che c’è intorno alla squadra. Quindi ho pensato perché non provare questa esperienza». Con uno sguardo al termine della carriera «mi piacerebbe restare nel mondo della pallacanestro. Non so esattamente con che ruolo, ma vorrei continuare a fare qualcosa nel basket».


Cagnazzo: «Puntiamo alla stabilità tecnica»
Lardinelli: «Lavoriamo bene sul territorio»

L’Aurora Jesi quest’anno è in piena lotta per i playoff, ed è per raggiungere questo obiettivo che ha ingaggiato Green. «Jesi è una società che si è sempre distinta per correttezza - ha esordito coach Damiano Cagnazzo - che ha sempre fatto il passo secondo la gamba in base a quelle che sono le disponibilità economiche e la progettualità. È il 21esimo campionato di A2 che disputiamo, con una parentesi in A, e negli ultimi anni abbiamo vissuto dei momenti di crisi coincisi con la stagione in cui ci siamo salvati ai playout. La società ha lavorato per trovare una maggiore stabilità sia economica che di risultati visto che il campionato è diventato sempre più difficile con la presenza di piazze importanti. La direzione presa è quella giusta, pur mantenendo i piedi ben saldi a terra con la consapevolezza di chi siamo e di quello che si vuol fare. Di retroscena particolari sulla trattativa per Green non ce ne sono. Quando c’è stata l'occasione di prenderlo sembrava fosse più un sogno che una reale possibilità. Ci sono stati dei colloqui che mi hanno permesso di parlare con lui. Gli abbiamo fatto una corte serrata. Lo sforzo fatto dalla società ha poi permesso di garantire che si convincesse a venirci a dare una mano e siamo ovviamente contenti di questo». Da quasi dieci anni all’Aurora, tra giovanili e prima squadra, Cagnazzo è head coach di Jesi dal 2016. Sa che un giocatore con il suo pedigree può solo fare bene alla formazione jesina. «Si è approcciato alla nostra realtà come me lo aspettavo. Di solito i grandi giocatori appena arrivano si mettono a disposizione di tutti senza far valere il loro pedigree. È il loro modo di dimostrare grande leadership ed è quello che ha fatto Marques sin dal primo giorno. È stato il primo nel cercare di capire dove era arrivato e come poteva mettersi a disposizione affinché tutti riuscissero a fare un ulteriore passo in avanti. È un grande giocatore ed una persona molto intelligente, dà serenità per il modo in cui parla e nel modo con cui si relaziona, qualità necessarie per arrivare al livello al quale è arrivato lui».
L’Aurora ha una gestione che la fa essere una sorta di miracolo nel panorama italiano. «Viviamo solo di sponsorizzazioni sotto i cento mila euro - ha esordito l’amministratore unico Altero Lardinelli -. Il difficile è sicuramente mantenerle, anche se rimpiazzarne una di questa portata è semplice mentre perderne una principale è difficile da ritrovare». Fare lo sponsor a Jesi significa andare oltre il risultato del campo. «Cerchiamo di lavorare al massimo affinché le aziende siano soddisfatte perché sono l’unica cosa che ci dà un sostentamento economico, quindi dobbiamo lavorare affinché ricevano la massima visibilità. Non è un caso che le sponsorizzazioni non siano legate solo al risultato perché noi offriamo eventi ed attività con cui stiamo attenti al territorio. Abbiamo oltre 200 iscritti al settore giovanile, una foresteria con 10 ragazzi, facciamo più di 2.500 ore nelle scuole primarie, abbiamo realizzato due playground all’aperto regalati al comune, offriamo borse di studio per andare all’estero. Lavorare con il territorio è fondamentale. Lo sponsor da noi è coccolato, e spesso si tratta di amici di imprenditori già nostri sostenitori che ne coinvolgono altri. È un passaparola con il quale abbiamo costruito un pool che oggi conta 150 aziende. Sono realtà piccole ma rappresentano la nostra fortuna. La società ha vissuto due grandi crisi, l’ultima quando è andato via il main sponsor Fileni, e per questo abbiamo deciso di costruire un tessuto molto ampio alla base fatto di piccoli sponsor». L’Aurora sta sperimentando il “Club sei con noi”. «Questa iniziativa è nata per portare all’interno della società degli sponsor sottoscritti dai liberi professionisti quali medici, avvocati, notai, architetti. Persone che possono contribuire con l’acquisto di abbonamenti a prezzi maggiorati. Partecipano alla vita sociale della società, ad esempio le cene, e inoltre ricevono come pubblicità la presenza su di un totem all’ingresso del palazzetto, dei manifesti sempre all’interno dell’impianto, dei banner sul sito e le interviste sui social». Lardinelli è arrivato a Jesi nel 1997 quale responsabile marketing, e quindi conosce tutti i segreti della società. Questo modo di lavorare è un modello sostenibile anche in massima serie? «Per la fiscalità della serie A non è un progetto perseguibile. Ci sono dei costi talmente alti che con il nostro budget, e pur legando tutte le aziende del territorio, non riusciremmo a coprirli. La serie A costa più del doppio di quello che spendiamo quest’anno, e non ci sono possibilità di disputarlo se non si ha un primo sponsor».



* per il mensile BASKET MAGAZINE

martedì 6 marzo 2018

La bidimensionalità di Lonnie Walker

La bidimensionalità di Lonnie Walker


Pregi e difetti del freshman Lonnie Walker, serio candidato per una chiamata in lottery al prossimo draft Nba. Dopo un avvio di stagione a singhiozzo per via di un'operazione al ginocchio, il prospetto dei Miami Hurricanes si sta facendo apprezzare come un prototipo dei 3&D che tanto fanno gola agli scout. In stagione è stato nominato tre volte rookie of the year dell'ACC, al pari di un certo Marvin Bagley, e si è distinto per essere clutch nei momenti delicati dei match. (CONTINUA A LEGGERE)