venerdì 20 marzo 2020

Nazionale - L'Italbasket del futuro

Belle indicazioni dalla prima finestra internazionale degli azzurri: battute largamente Russia ed Estonia, il Ct Sacchetti può sorridere

Con Ricci, Spissu e Vitali nasce l'Italia del futuro

A giugno nel Preolimpico ancora in campo la vecchia guardia, ma per l'Eurobasket 2021 la Nazionale sarà profondamente rinnovata. Positivo l'esordio, a soli 17 anni e un mese, del giovane Spagnolo, è piaciuta l'intensità espressa dalla squadra, la solidità in difesa, la fantasia in attacco e la voglia di divertirsi.



di Giovanni Bocciero*



Un Italbasket giovane, frizzante, divertente e intensa ha raccolto due belle vittorie nella prima finestra delle qualificazioni all’Europeo 2021 di Berlino. Seppur queste affermazioni a poco contino sportivamente parlando, visto che la Nazionale azzurra è di diritto già qualificata alla competizione continentale essendo l’Italia uno dei quattro paesi ospitati la fase finale, le prestazioni possono invece far sorridere e non poco il Ct Meo Sacchetti.

IL RITORNO A NAPOLI. Il viaggio di questa nuova versione della Nazionale di basket ha avuto inizio a Napoli, dove è stata affrontata e battuta la Russia. Un ritorno degli azzurri atteso da ben 51 anni nella città capoluogo di regione, che ha risposto presente riempiendo il PalaBarbuto e facendo sentire tutto il proprio calore. Mancava da troppo tempo l’Italia al Sud, da quella sconfitta del 1969 contro la Spagna valevole per il terzo posto all’Europeo, e si spera che possa essere benaugurante per la crescita del gruppo che ha avuto tra le proprie fila tanti esordienti (sei contro la Russia: Marco Spissu, Michele Ruzzier, Matteo Spagnolo, Giordano Bortolani, Nicola Akele e Matteo Tambone). Anche e soprattutto per scelta di Sacchetti, che ha preferito seguire la filosofia della linea verde senza però voler sentir parlare di Nazionale sperimentale. È importante allargare la base dei giocatori da cui poter attingere, e lo si può fare soltanto alzando il livello. E a Napoli si è vista una Nazionale giovane e volenterosa, che dopo aver superato un approccio alla gara piuttosto teso ha sciorinato una prestazione in pieno stile ‘run and gun’.
Ma soprattutto hanno colpito due fattori: l’intensità e il divertimento. Sul primo, c’è da sottolineare come ogni giocatore andato in campo non faceva abbassare l’intensità proposta in difesa dalla squadra. Ognuno ha portato il proprio mattoncino, e spesso quando si difende bene si tende ad attaccare meglio. E infatti gli Azzurri offensivamente sono stati quasi debordanti, facendo ottime letture, colpendo dalla lunga distanza e passandosi il pallone con il sorriso stampato sul volto. Insomma, si vedeva che erano proprio loro i primi a divertirsi, e di conseguenza a far divertire il pubblico napoletano che ha festeggiato la vittoria intonando un cavallo di battaglia: ‘O surdato ‘nnammurato.

IL CORAGGIO DI SACCHETTI. Coach Sacchetti non è certo persona restia ad accettare le sfide, e lo ha dimostrato nella sua carriera da allenatore di club. Una carriera fatta di tanta gavetta iniziata nelle serie minori. Ha dimostrando sul campo il suo coraggio nel prendere certe scelte, conquistandosi il rispetto e la panchina azzurra. E anche a Napoli ha continuato a far vedere tutto il coraggio che ha, facendo esordire il giovanissimo Matteo Spagnolo.
Il ragazzo in forza al Real Madrid ha così indossato la maglia azzurra all’età di 17 anni, 1 mese e 14 giorni, risultando il terzo più giovane che ha giocato in Nazionale maggiore dopo Vinicio Nesti (16 anni, 3 mesi e 4 giorni) nel 1948 e Dino Meneghin (16 anni, 8 mesi e 3 giorni) nel 1966. Inoltre Sacchetti ha eguagliato lo storico Ct azzurro Elliot Van Zandt facendo esordire due minorenni in prima squadra. Oltre Spagnolo l’altro è Nico Mannion (17 anni, 3 mesi e 17 giorni) nel 2018. Ebbene per l’ex Stella Azzurra non poteva esserci forse palcoscenico migliore. Lui, un figlio del Sud, brindisino di nascita che esordisce a Napoli, con il pubblico che gli ha intonato cori festanti ad ogni tocco di pallone, e che è esploso in un boato quando con personalità ha segnato il suo primo canestro. Ovviamente nel post gara il Ct ha subito voluto smorzare i facili entusiasmi: «È un ‘bimbo’, lasciamolo crescere. Se sarà, diventerà un ottimo giocatore».

IL GIUSTO ATTEGGIAMENTO. «Noi italiani siamo abituati a cullarci sugli allori. Sarà importante vedere l’atteggiamento dei ragazzi nella prossima partita», aveva avvertito Sacchetti dopo la bella affermazione di Napoli, magari ricordandosi della debacle in Olanda dopo l’ottima prestazione contro la Croazia nella finestra FIBA dell’estate 2018. Questa volta gli azzurri hanno reagito bene nella trasferta in Estonia, centrando la vittoria e giocando con maturità. Si è vista un’Italia meno divertente e gioiosa rispetto alla gara precedente ma più solida e quadrata che ha saputo ribaltare il risultato in un ambiente di certo ostico. E in una tale circostanza era logico affidarsi a quei giocatori più esperti, come il capitano di giornata Michele Vitali e Giampaolo Ricci, tra i migliori anche contro la Russia. Si sono presi le loro responsabilità, segnando i canestri decisivi, gestendo i possessi importanti e coinvolgendo i compagni.
Nonostante i tanti, forse troppi rimbalzi offensivi concessi agli avversari, gli azzurri hanno difeso bene, precisi e attenti. In attacco si sono viste ancora ottime letture, azioni costruite con passaggi e movimenti senza palla. E addirittura si è vista anche un po’ di fisicità (forse il neo perenne della Nazionale) con i vari Nicola Akele e Simone Fontecchio. Quest’ultimo ha ritrovato l’azzurro e in queste due gare ha dimostrato che può dire la sua. Ma davvero tutti, dal primo all’ultimo, si sono resi utili alla causa. È senz’altro questa la miglior risposta per Sacchetti, il giusto atteggiamento con il quale costruire qualcosa di nuovo.

L’OBIETTIVO A BREVE TERMINE. Il cammino verso l’Eurobasket 2021 è iniziato con due belle affermazioni, ma l’obiettivo a breve termine della Nazionale è senz’altro il Preolimpico del prossimo 24-28 giugno. A Belgrado i primi ostacoli degli azzurri saranno Senegal e Portorico, ed è pronosticabile una finale contro i padroni di casa della Serbia. Nonostante le tante giovani promesse, per quella competizione l’Italia non potrà fare assolutamente a meno di giocatori del calibro di Danilo Gallinari, Nicolò Melli, Gigi Datome, Marco Belinelli, ma anche di Alessandro Gentile, Awudu Abass e Stefano Tonut tanto per citare tre che erano stati inseriti nella lista dei 24 convocati per questa finestra FIBA, e nemmeno dei “milanesi” Amedeo Della Valle, Jeff Brooks e Paul Biligha. Insomma stiamo parlando forse di un’altra squadra, totalmente differente da quella vista contro Russia ed Estonia, che in entrambe le versioni presenta un unico grande punto interrogativo: la cabina di regia.
Con l’addio all’azzurro di Daniel Hackett, e il rapporto non idilliaco tra il Ct e Luca Vitali e Ariel Filloy, bisogna trovare un play adatto al compito che possa reggere la pressione. Marco Spissu ha esordito molto bene, viaggiando nelle due gare alle medie di 9.5 punti, 9 assist e 16 di efficienza, e sembra il principale indiziato a ricoprire tale ruolo. Andrea De Nicolao, anche lui tra i 24 convocati, sembra funzionare meglio da backup, così come le giovani stelline al di là dell’oceano Nico Mannion e Davide Moretti che sembrano più delle combo-guards che registi puri. Senza dimenticare Federico Mussini che possiede tutte le qualità del caso, ma che deve ritrovare la consapevolezza dei propri mezzi.
E poi la Federazione e il Gm Salvatore Trainotti stanno lavorando per poter convocare al Preolimpico anche gli italo-americani Donte DiVincenzo, sempre più protagonista in NBA, e Paolo Banchero, tra i migliori cinque prospetti liceali degli Stati Uniti per la classe 2021.

A questo punto ci auguriamo che se la Nazionale ha ritrovato Napoli dopo 51 anni, e l’ha fatto con una bella vittoria; che possa ritrovare anche la qualificazione all’Olimpiade dalla quale manca da ben 16 anni. Si trattava infatti dell’edizione dei Giochi di Atene, quando l’Italia fu capace di conquistare addirittura la medaglia d’argento. E lo fece con un gruppo coeso, che lavorava sodo e che aveva coraggio da vendere. Proprio come Meo Sacchetti.



* per la rivista BASKET MAGAZINE

mercoledì 18 marzo 2020

La vita in Italia di Kobe Bryant - La leggenda è nata a Rieti

Il suo primo coach: "Passione illimitata,
è nata qui la Mamba-Mentality"

La leggenda di Kobe è nata a Rieti, dove approdò a sei anni e dove è rimasto semplicemente "il figlio di Joe"


di Giovanni Bocciero*


RIETI - Il viaggio di Kobe Bryant in Italia ha avuto inizio alle pendici del Terminillo, quando aveva soltanto sei anni. Seguendo i trasferimenti del papà Joe ha poi fatto su e giù per la nostra penisola, ma è a Rieti che è nata la leggenda del Black Mamba. Dal 1984 al 1986 ha frequentato le scuole primarie di Lisciano e il palasport di Campoloniano. Alla sua scomparsa la città ha vissuto giorni molto tristi, proprio come quando 15 anni fa vi fu la dipartita del beniamino Willie Sojourner, al quale è stato poi intitolato il palazzetto.
«È come se fosse morto uno di famiglia - ha detto il suo primo allenatore in Italia, Gioacchino Fusacchia -. Era un figlio adottivo di Rieti». La tifoseria reatina e la NPC Rieti, con la partecipazione del Comune e della Provincia di Rieti, lo hanno ricordato nella gara dello scorso 5 febbraio con una cerimonia che ha visto l’apposizione della maglia numero 24 dei Lakers al soffitto del palasport dove Kobe ha mosso i primi passi da cestista. Inoltre, sembra sia stato già avviato l’iter per l’intitolazione di una strada cittadina al figlio di Joe.
Il tributo del PalaSojourner di Rieti, dove Kobe ha vissuto i primi anni
della sua infanzia. Fusacchia: "Restava ad allenarsi per ore anche con
i più grandi e non gli si poteva dire niente: era il figlio del mitico Joe" 
Sì, perché anche se Kobe ha avuto una carriera molto più prestigiosa del papà, a Rieti rimarrà sempre il figlio di Joe. «A quell’età non si può capire se un ragazzo diventerà qualcuno - ha continuato Fusacchia -, quindi è inutile fare un certo tipo di affermazioni. Di sicuro rispetto a tanti suoi coetanei aveva una passione illimitata, che con il tempo è poi diventata la sua più grande ossessione fino a plasmare la Mamba mentality. Quando veniva in palestra faceva allenamento con il suo gruppo, e poi rimaneva anche con i gruppi giovanili più grandi. Giocava per diverse ore consecutive, senza tregua, e non gli si poteva dire nulla perché era il figlio del mitico Joe».
Quando non era impegnato a scuola o in palestra si incamminava verso il campetto degli Stimmatini dove continuava a tirare imperterrito ad un canestro. Eppure quelle strade, una volta lasciate, non l’hanno visto mai fare ritorno. Con Rieti è mancato quell’imprinting tanto che il giornalista Luigi Ricci ha messo addirittura in discussione se se la ricordasse. La città avrebbe voluto essere più partecipe nella vita del Black Mamba, tanto che sembra nel 2003 il Comune abbia tentato di conferirgli un riconoscimento andando fino a Los Angeles ma senza riuscire a combinare la cosa per i suoi molteplici impegni.
Nonostante ciò, la città può senz’altro fregiarsi del ruolo di plantageneta della leggenda Bryant, come sempre ricorda Ricci. È qui che Kobe ha iniziato a giocare a pallacanestro e ad imparare l’italiano prima di girovagare per la nostra penisola. Quell’italiano che gli apparteneva così tanto che quando ha fatto ritorno negli Stati Uniti non riusciva più a capire lo slang dei giovani afroamericani. «L’ho visto per l’ultima volta a Torino, quattro o cinque anni dopo che se ne andò - ha detto Fusacchia -, ad un torneo giovanile quando giocava a Reggio Emilia. Fu carino a venire a salutarci e fare delle foto con i suoi vecchi compagni. Purtroppo è vero che a Rieti non ha più coltivato le amicizie, ma bisogna comunque considerare che era un bambino e i suoi ricordi non erano così nitidi come altrove. Sarebbe potuto ritornare se il papà Joe fosse diventato allenatore della Sebastiani tempo fa. Ma so per certo, tramite quella che fu l’interprete della mamma Pamela qui in città e che ha continuato ad avere rapporti con la famiglia Bryant a distanza di anni - ha concluso l’allenatore -, che sarebbe voluto ritornare in ogni caso».


* per la rivista BASKET MAGAZINE