venerdì 20 maggio 2022

Serie A2. Giuri, bilancio di una vita da giocatore tranquillo

Curiosa e sincera confessione di un playmaker che,
giunto a 33 anni, insegue ancora traguardi importanti

Giuri, bilancio di una vita da giocatore tranquillo

A Udine ha vinto un nuovo trofeo dopo una carriera in giro per l'Italia
con due tappe particolari: nella sua Brindisi e a Caserta


di Giovanni Bocciero*


Con i suoi 33 anni ed un palmares che ha appena rimpinguato, Marco Giuri è ancora un giocatore che fa la differenza in A2 grazie alla sua leadership ed esperienza. Alla seconda stagione tra le fila di Udine, dopo aver perso la finale per la promozione contro Napoli l’estate scorsa, il veterano play si è calato in un nuovo ruolo. «Certamente l’età avanza, ma quando si fa parte di una squadra competitiva, lunga, forte, ognuno riesce ad esaltare le proprie caratteristiche. Quest’anno ho diminuito il minutaggio, cosa di cui sto beneficiando visto che l’anno scorso arrivavo a volte alla fine delle partite stanco e poco lucido. Grazie alle rotazioni ancora più lunghe - ha continuato Giuri - mi sto gestendo bene e a pieno, e stando in una squadra forte è un ruolo che ho accettato veramente di buon gusto». Emigrato sin da giovanissimo alla Virtus Siena, il girovagare in club che gli hanno permesso di fare la gavetta lo ha reso il giocatore che è oggi. «Ho giocato in B d’Eccellenza a 17-18 anni, poi ho iniziato a giocare in una LegaDue che presentava giocatori e squadre davvero molto forti che non avrebbero nulla da invidiare all’attuale serie A. Sono stati anni molto formativi soprattutto per il carattere. Quando giochi in squadre con tanti giocatori bravi e in alcuni casi affermati bisogna tirarlo fuori e farsi rispettare anche se si è giovani. Senza mancare di rispetto a nessuno ma con decisione, facendo capire che di te ci si può fidare. Questa è la cosa principale che mi sono portato dietro nella mia carriera, questa consapevolezza che con l’educazione ci si può far rispettare». Si parla ovviamente di campionati che «avevano un format diverso. Con il girone unico da 16 squadre, riconosciuto come campionato professionistico a tutti gli effetti, il livello era altissimo perché i giocatori che non trovavano collocazione in A1 scendevano di categoria e trovavano realtà forti dove mettersi in luce. Oggi ci sono più squadre, con società meno solide e meno conosciute cestisticamente - ha dichiarato il play -, e ciò fa scendere il livello medio».


Giuri ha indossato la maglia azzurra dell’under 20 insieme a Datome, Hackett, Aradori, giocatori che nonostante tutto per emergere hanno dovuto aspettare il loro momento, senza bruciare le tappe. «È un discorso molto complesso che prevede sostanzialmente due correnti di pensiero. C’è chi dice che i giovani non hanno opportunità, e c’è chi dice che non meritano un palcoscenico in età precoce. Io sono dell’idea che chi merita di giocare, e gioca bene, continua a giocare; chi non lo merita matura dopo. Se a 17 anni meriti di giocare è giusto che giochi anche a discapito di qualche compagno più grande d’età. Se però un allenatore reputa che un 16enne non sia maturo, è giusto che prenda le sue scelte. Io stesso a 18 anni non sono stato reputato adatto a terminare l’anno di A2 a Casale Monferrato e sono andato per metà stagione in B1 a Vigevano. A volte bisogna anche saper scendere di categoria per trovare la maturità giusta - ha osservato il play - affinché possa giocare ad un più alto livello. Adesso magari i giovani vedono la serie A come un punto fisso, un traguardo dal quale non si ritorna più indietro, e per me è sbagliato. Scendere di categoria non è una bocciatura, soprattutto a 18 anni, ma è un rimettersi in discussione cercando di far capire che maturando ancora un po’ si può aspirare ad alti livelli». Proprio tra le fila di Udine c’è un atleta che nelle ultime stagioni ha visto la sua parabola scendere rispetto a quello che era il suo futuro, come Federico Mussini, oggi in Friuli anche per rimettersi in gioco. «Federico è un ragazzo d’oro, che si fa ben volere da tutti. È disponibile e lavora tantissimo, soprattutto quest’anno che viene da un brutto infortunio al crociato e pian piano lavorando ogni giorno sin dall’estate ha recuperato alla grande. In prospettiva futura penso che possa tranquillamente ambire di ritornare a giocare in serie A, perché è un giocatore che uscendo dalla panchina può dare il suo contributo da playmaker di rottura, che cambia ritmo alla squadra. Sta facendo molto bene quest’anno con noi, entrando a gara in corso e portando una grossa mano sia in difesa che in attacco. Per il resto è la sua carriera che parla per sé, e credo che non bisogna aggiungere altro».

Da uomo del sud, brindisino doc, Giuri ha vinto tanto soprattutto al nord, con lo scudetto alla Reyer Venezia nel 2019 e le coppe Italia di A2 di Verona e dello scorso marzo con Udine. «È semplicemente una questione di opportunità e di realtà che mi si sono presentate lungo la mia carriera. Quando ci sono state squadre ben allestire e solide come Brindisi, ho avuto l’occasione di vincere al sud. Negli ultimi anni, ma fondamentalmente per quasi tutto il mio trascorso, ho giocato sempre al nord. Però è una questione di opportunità e non di provenienza geografica». Il riferimento del veterano play è ai successi del 2012, la doppietta campionato-coppa centrata proprio con la squadra della sua città. «Quello fu un anno particolare. Ad inizio stagione ero senza squadra e mi aggregai a Montegranaro per tenermi in forma. Finita la preparazione stavo per firmare con il club in A1, ma l’infortunio di Edgar Sosa che era il primo play della squadra fece saltare la cosa. Così ritornai a casa e mi stavo allenando da solo quando arrivò la chiamata di Brindisi di cui fui davvero felice. Da brindisino mi inserii subito nel gruppo nonostante arrivai a stagione in corso, ma pensare di vincere la coppa Italia a marzo e il campionato a giugno, pur consapevoli della forza del roster, è stata un’emozione unica. Vincere non è mai semplice in generale, farlo con la squadra della tua città è qualcosa di unico». Giuri ha giocato tanto al nord, eppure nel suo percorso ha militato in due club storici del sud dalle tifoserie calde come Brindisi e Caserta, dove ha esordito in serie A a 27 anni. «Il ricordo di Caserta è indelebile. Sono arrivato in una importante realtà già abbastanza grande e consapevole di dove mi trovassi. Magari se ci fossi arrivato da più giovane non avrei capito tante cose. Ho avuto da subito un ruolo importante nella squadra, e causa una serie di infortuni ho avuto modo di giocare davvero tanto negli anni di A1. Alla città sono particolarmente legato, e infatti ci sono ritornato anche in A2 perché non era più una questione di categoria. Quando si va più in là con gli anni vuoi stare anche bene in un posto - ha ricordato l’atleta -, e a Caserta sono stato benissimo per questo sono ritornato volentieri». Da uomo del sud anche il modo di giocare un po’ stona, perché Giuri non è focoso. Ma la domanda è presto risposta. «In campo sono tranquillo anche perché è il ruolo che mi dice di essere così. Essendo un play, essere focoso in campo per una squadra può essere sintomo di nervosismo. E se colui che deve gestire il pallone è nervoso penso sia un brutto segnale da dare alla squadra. Per quanto mi riguardo cerco di essere tranquillo e di giocare solo a pallacanestro».

Venendo alla stretta attualità, Udine e Cantù stanno dando vita ad un dualismo in questo campionato di A2. Due storiche piazze della nostra pallacanestro, i brianzoli hanno avuto ragione nei due match in regular season, ma i friulani si sono presi il primato del girone e soprattutto la coppa Italia disputata a Roseto. «Tra Udine e Cantù più che di dualismo parlerei di obiettivi in comune, ovviamente la promozione in serie A. Siamo due squadre che voglio salire di categoria e che ne hanno la possibilità. Vedremo se saremo brave entrambe o se ne sarà brava solo una a raggiungere lo scopo, ma tutte le partite in cui ci siamo affrontati sono state gare sentite perché sappiamo l’importanza degli impegni. Noi siamo stati bravi a vincere la partita fin qui più importante che è stata la finale di Coppa Italia, quindi siamo contenti di aver vinto solo quel confronto e di aver perso gli altri due in campionato». Importante l’apporto che stanno dando alla squadra friulana due giovani come Ethan Esposito e Michele Ebeling, entrambi classe ’99, che a suon di gomitate e sbracciate hanno l’ambizione di arrivare in serie A. «Sono convinto che loro possano far bene, e che possano avere una carriera anche a più alto livello. Sono ragazzi che ascoltano, e in questo preciso momento della pallacanestro avere giovani che ascoltano i compagni di squadra che sono più grandi e che hanno più esperienza, indipendentemente dal coach che è seguito da tutti i giocatori, non è una cosa affatto scontata. Ad inizio anno sono stati un po’ una scommessa del club. Hanno però avuto una maturazione graduale e sono cresciuti di pari passo con i progressi della squadra. Questo li ha portati ad essere due giocatori importanti perché ci danno atletismo, fisicità, e ci permettono di alternare i quintetti. Loro due mi hanno impressionato particolarmente - ha concluso Giuri - perché hanno avuto la capacità di giocare in una squadra forte e di ritagliarsi il proprio ruolo all’interno di un gruppo che è pronto a vincere il campionato».

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