sabato 6 settembre 2025

Eurobasket - Pagellone Italia: dal 6 del ‘Gallo’ al 9 di Niang

Lo avevamo scritto già in sede di presentazione dell'Eurobasket 2025, che l'Italia partiva per provare ad inserirsi tra Grecia e Spagna in un girone C al quanto ostico con Bosnia & Erzegovina e Georgia a dare fastidio, e con la sola esclusione della Cenerentola Cipro che di fatto si è dimostrata squadra cuscinetto. E a conto fatti, la nazionale è riuscita nella sua missione lasciando strada soltanto agli ellenici nel match d'esordio.

Gli azzurri del ct Pozzecco si sono dimostrati solidi, uniti, facendo della difesa la propria arma principale più che dell'attacco (79.2 punti di media, 15esima nazionale), visto che le percentuali non hanno esattamente brillato: 41.6% dal campo (19esima), 32.2% da 3 (13esima), con Francia (31.2%) e Lituania (26%) che tra le big hanno fatto addirittura peggio. Eppure, la costruzione e la scelta dei tiri è stata più che discreta, segno di un gioco proattivo. Quindi, dopo questa prima fase l'Italia si merita un bel 8 in pagella.

Nell'immagine l'Italbasket, foto Fiba

Gallinari 6: Il veterano al suo ultimo ballo in azzurro, sta ricevendo meno spazio di quanto si sarebbe immaginato chiunque. La mano è sempre quella, morbida, ma il fisico evidentemente dimostra gli anni che ha. Forse anche per questo il suo impiego potrebbe rivelarsi più decisivo nel prossimo match contro la Slovenia, sperando che non sia l'ultimo.

Melli 7: Il capitano sta lasciando la sua impronta a sprazzi, molto più in difesa che in attacco. In tutta la sua carriera non ha mai particolarmente brillato per degli exploit balistici, eppure nel primo quarto contro la Grecia ha sorretto da solo la fase offensiva italiana. Messo anche in naftalina, il suo apporto sarà imprescindibile.

Fontecchio 7,5: Il bomber ha mostrato tutto il suo repertorio nella partita contro la Bosnia, riscrivendo il record azzurro da 39 punti ad un Eurobasket. Soltanto per questo si è meritato almeno mezzo voto in più in pagella. Le sue percentuali, come quelle di tutta la squadra però, continuano ad essere ondivaghe. Ma per fortuna sa dare il suo apporto anche nelle piccole cose.

Thompson 7: Il naturalizzato d'emergenza, aggregato in corsa in un gruppo totalmente nuovo per lui, non aveva convivo granché all'inizio. Poi c'è da dire che pian piano è riuscito a calarsi nel ruolo. Si sapeva di non avere tra le mani un realizzatore di razza, e seppur in difesa lascia un po' a desiderare è stato capace di riscattarsi con delle autentiche invenzioni in attacco.

Ricci 7,5: Il gregario silenzioso che ognuno vorrebbe sempre avere nella propria squadra. Non a caso sia per il suo apporto concreto, tanto in difesa quanto in attacco, che per l'utilità tattica, a lui non si rinuncia mai.

Spagnolo 6: Il suo Europeo non ha fin qui rispecchiato a pieno tutte le ottime sensazioni nella fase di preparazione. Il quintetto è più che meritato, ma non sta riuscendo ad essere così efficace quanto ci si aspettava.

Procida 6: Il panchinaro d'eccezione, ma avercene dei dodicesimi come lui. E questo definisce la profondità del roster italiano. Non a caso, buttato nella mischia per l'esordio assoluto nella competizione contro la Spagna, ha cacciato dal cilindro una tripla di un peso specifico incalcolabile.

Niang 9: Il nuovo che avanza a grandi falcate. L'azzurro emergente che sta disputando un torneo da stella assoluta. Su di lui si sono spesi decine e decine di aggettivi, ma la voglia e l'energia che porta quando subentra sono imparagonabili. Impatto devastante il suo, da solo è riuscito ad invertire l'inerzia delle partite.

Spissu 6,5: Il play ha saputo reinventarsi, accettando il ruolo di riserva e provando a spaccare le gare come sa fare meglio: a suon di tiri pesanti. Ecco, esattamente come l'andazzo di squadra, anche il suo tiro è entrato soltanto a folate.

Diouf 8: Il centro che mancava da tempo all'Italia? Certamente è la cosa che maggiormente ci si avvicina oggi. Lo ha dimostrato battagliando con i lunghi avversari, sbagliando ma mai subendo. Pulito, concentrato, determinato, la squadra ha fiducia in lui e quando è stato necessario lo ha cercato e cavalcato in post senza esitare.

Akele 6: Il suo è stato un apporto minimo, anche perché nella posizione in cui gioca c'è un discreto traffico e il minutaggio è quello. Eppure quando ha messo piede in campo non si può dire che lo abbia fatto tanto per. Qualche rimbalzo, un paio di canestri, se ci sarà bisogno, lui c'è.

Pajola 7: Il regista a cui è stata affidata la nazionale. Compito che sta svolgendo al meglio e con dedizione. I suoi errori sono spesso dettati dalla troppa foga, ma è la stessa che gli permette di incidere come nessun altro in difesa.

All. Pozzecco 7,5: Il ct è sempre sotto la lente d'ingrandimento per ogni suo comportamento. Ma se l'Italia ha questo gruppo il merito è in gran parte, se non tutto, suo. Non ha esitato a lanciare Niang, e sta gestendo piuttosto bene le rotazioni mettendo l'aspetto tattico ed il merito al primo posto.

 

Giovanni Bocciero

martedì 26 agosto 2025

Eurobasket 2025 - Gruppo C: l’Italia vuole inserirsi tra Grecia e Spagna

Il girone C dell’Eurobasket che si disputerà a Limassol, vede oltre i padroni di casa di Cipro e l’Italia, anche Spagna, Grecia, Georgia e Bosnia & Erzegovina. Insomma, tranne la selezione cipriota che con ogni probabilità fungerà da squadra cuscinetto, le altre cinque nazionali sono pronte a giocarsi le proprie carte per qualificarsi alla seconda fase della competizione continentale che si giocherà a Riga, in Lettonia. E allora passiamo ad analizzare questo raggruppamento, che si spera possa vedere gli azzurri grandi protagonisti, e capaci di inserirsi nella lotta per il dominio del raggruppamento con Grecia e Spagna. Più staccate, almeno sulla carta e visto il rispettivo avvicinamento all’Europeo, Georgia e Bosnia & Erzegovina, che molto probabilmente si giocheranno l’ultimo posto valido per il passaggio alla fase finale. Come detto, i padroni di casa di Cipro sono senz’altro la squadra cuscinetto, con un’eliminazione nemmeno quotata.

ITALIA (N.14 del ranking Fiba)

Ed iniziamo proprio dalla nostra nazionale, con il ct Pozzecco che sembra aver fatto le sue dovute valutazioni in questo lasso di preparazione. Innanzitutto cambio in cabina di regia, con Pajola promosso titolare e Spissu da usare a partita in corso, anche perché il sardo è capace di spaccare le partite. Con Tonut out per infortunio, il suo ruolo sembra averlo conquistato Spagnolo. Il giovane brindisino ha disputato le amichevoli con grande aggressività. Non si può dire lo stesso di Thompson, che di certo deve ancora trovare il suo posto nel gruppo, ma il linguaggio del corpo dice tanto. E purtroppo poco in positivo. Se Fontecchio è l’unico azzurro capace di segnare con continuità e a gioco rotto, non a caso è l’unico che gioca in Nba, Melli ha fatto sentire poca leadership anche se sembra abbia giocato col freno a mano tirato per non sprecare energie adesso. Le notizie più positive riguardano Diouf e Niang. Il primo sembra l’identikit del centro che manca da diversi anni all’Italia, con ancora ampi margini di miglioramento soprattutto in attacco, dove comunque sa farsi valere e trovare la via del canestro in varie maniere. Niang si è calato nella parte del subentrante che porta energia, grande energia dalla panchina, facendo vedere delle giocate dal tasso atletico di altissimo livello. In quanto a leadership, ci si attende tanto dall’ultimo aggregato, ovvero Gallinari. Fresco del suo primo titolo in carriera in Portorico con tanto di Mvp, ci si augura che l’ebrezza di questo successo all’ultimo ballo in nazionale lo spinga a trascinare i compagni oltre ogni limite per chiudere l’avventura azzurra con una medaglia al collo. Completano il roster le ali Procida, Ricci e Akele, pronti con le loro diverse qualità a rendersi utili quando chiamati in causa. Il bottino delle amichevoli parla di 4 vittorie contro Islanda, Senegal, Lettonia e Argentina, con il picco delle prestazioni raggiunte contro i lettoni a Trieste, e 2 sconfitte nelle ultime due uscite al torneo di Atene contro la stessa Lettonia e la Grecia.

SPAGNA (N.5 del ranking Fiba)

I campioni in carica della Spagna devono definitivamente mettersi alle spalle la generazione dorata delle stelle Nba, o comunque tali, e soprattutto si ritrovano all’ultimo ballo del ct Scariolo. Dopo questo Europeo si volterà definitivamente pagina per la Familia, anche se qualche certezza dovrebbe esserci. Come Aldama, molto più dei fratelli Juancho e Willy Hernangomez che non possono assolutamente paragonarsi ai fratelli Gasol. La rinuncia di Brown, quella di Gonzalez dopo la scelta al draft Nba e l’ultimo forfait di Diaz hanno ridotto le alternative dell’allenatore italiano, che quantomeno è riuscito a non rinunciare al giovane astro nascente Saint-Supery dopo lo spavento in amichevole con la Francia, che con de Larrea compone la cabina di regia. Tra gli esterni, se Brizuela, Parra e Lopez-Arostegui sono punti fermi, c’è grande attesa su Yusta che potrebbe recitare un ruolo da protagonista. Il madrileno compagno di squadra di Spissu a Saragozza è acclamato come il miglior giocatore della selezione in patria. Pradilla e Sima daranno manforte al reparto lunghi, così come Puerto a quello delle ali. La Spagna non parte certamente con i favori dei pronostici, ma sottovalutarla potrebbe essere un errore fatale. Cammino decisamente difficile ed in salita per gli spagnoli in questa preparazione, che hanno raccolto una sola vittoria contro la Cechia e ben 5 sconfitte con Portogallo, Francia e Germania. Con queste ultime due doppio ko, per un calendario amichevole di livello comunque alto.

GRECIA (N.13 del ranking Fiba)

Con Giannis o senza Giannis, fa tutta la differenza di questo mondo. Parliamo di due Grecia completamente diverse. Un problema legato all’assicurazione l’ha fatto giocare poco in questa preparazione, ma è bastato vederlo per pochi minuti per rendersi conto che è capace di spostare l’inerzia completamente da solo. Essendo la prima avversaria dell’Italia, nel match del torneo dell’Acropolis coach Spanoulis ha pensato di fare molta pretattica, “nascondendo” Giannis, Sloukas e Mitoglou, forse il trio fondamentale di questa nazionale a parte Papanikolaou, che dall’alto della sua esperienza sa fare sempre la cosa giusta al momento giusto. Certo, non c’è da dimenticarsi Dorsey, che però troppo spesso si accende e si spegne, forse una costante nella sua carriera anche in Eurolega. L’assenza di Papagiannis sotto canestro può essere limitata dallo stesso Giannis e Mitoglou, che potrebbe rivelarsi il giocatore più efficiente della selezione ellenica facendo rimpiangere l’Olimpia per come sono andate le cose. E parlando di Antetokounmpo, se Giannis è la stella e Thanasis il mestierante, il fratellino Kostas potrebbe avere minuti importanti e forse essere più decisivo di quanto si pensi. Il ventenne Samodurov è il talento del futuro, mentre i registi Tololiopoulos e Katsivelis, e gli esterni Kalaitzakis e Larentzakis sono i gregari pronti all’uso. In tanti scommettono su una Grecia a podio, con Giannis sicuro Mvp se dovesse arrivare addirittura una medaglia d’oro. Prestazioni alterne in questa fase di preparazione, dove il roster è spesso e volentieri ruotato, con 4 successi contro Belgio, Montenegro, Lettonia e Italia, e 3 le sconfitte contro Serbia, Israele e Francia.

GEORGIA (N.24 del ranking Fiba)

Se c’è una squadra con tanta esperienza da vendere, questa è proprio la Georgia, avversaria che l’Italia ha già affrontato diverse volte sul proprio cammino in diversi ambiti. Sono tanti i giocatori vecchie conoscenze del campionato italiano, da Mamukelashvili che con forza si sta affermando come nuova stella della nazionale, a Shengelia che ha fatto vedere tutto il proprio talento nell’ultima finale scudetto con Bologna, e che sta tenendo col fiato sospeso tutto il paese visto che non ha messo piede in campo nelle ultime amichevoli disputate. Sempre incisivo il centrone Shermadini, seppur l’età avanza inesorabile, il ct Dzikic potrà contare anche sul lungo Bitadze, fisico e talento da Nba. I centimetri di certo non mancano alla Georgia, che invece avrebbe bisogno di punti nel reparto esterni, dove potrebbe tornare utile il naturalizzato Baldwin, ormai una certezza a livello Eurolega. Reparto che conta comunque un veterano come Sanadze. In attesa ancora della lista ufficiale dei dodici convocati per Eurobasket, per quanto riguarda le amichevoli i georgiani hanno disputato soltanto quattro partite. Sono usciti dal campo sempre sconfitti contro Estonia, Lituania, Polonia e Cechia, ma comunque si sono giocati le partite sino alla volata finale. Insomma, i risultati di avvicinamento alla competizione, considerando anche l’inutilizzo di Shengelia, devono essere presi con le pinze.

BOSNIA & ERZEGOVINA (N.41 del ranking Fiba)

Preparazione ed avvicinamento ad Eurobasket piuttosto travagliato per la Bosnia & Erzegovina del ct Beciragic, a cui non sono piaciute le primissime prestazioni tant’è che ha criticato l’operato degli stessi giocatori. Ma siccome piove sempre sul bagnato, ai risultati si sono poi sommate le assenze per infortunio. Quella pesantissima è di Musa, così come Garza, e alle quali si è aggiunta quella del naturalizzato Castaneda che è stato prontamente sostituito da Roberson. Oltre all’ex Sassari Halilovic, il roster bosniaco si dovrà affidare completamente alla propria stella Nurkic, che però sembra non essere nella forma fisica migliore. E allora occhio ad Alibegovic, con il giocatore di Trapani che potrebbe ergersi a qualcosa in più di semplice protagonista. La selezione bosniaca di sicuro lotterà, perché è un po’ nella propria indole. Eppure le prime due amichevoli, come già detto, sono state un disastro, con due nette sconfitte contro Serbia e Montenegro. La seconda più per la prestazione che per il semplice punteggio. Nelle altre due invece, sono arrivate due vittorie che almeno fanno ben sperare, contro comunque avversarie non di primo livello come Gran Bretagna e Belgio, chiudendo con un bottino equo di 2-2.

CIPRO (N.84 del ranking Fiba)

Squadra cuscinetto se ce ne sarà una. Numero 84 del ranking Fiba mondiale e ultima, ovvero 24esima, in quello tra tutte le formazioni che prenderanno parte all’Eurobasket. Insomma, già il solo fatto di poter ospitare un girone della competizione a Limassol è un evento ed un successo per Cipro. Si è tanto discusso in inverno della possibilità per la selezione di poter schierare un giocatore come Vezenkov, all’indomani dell’eliminazione da parte della Bulgaria. Infatti, l’atleta ex Nba e dell’Olympiakos è nato a Nicosia ed ha cittadinanza cipriota. La cosa si è però ben presto arenata, e allora per Cipro resta la bellezza di un esordio assoluto e storico in una manifestazione come l’Europeo, ma si ritroverà a dover scalare una montagna insormontabile. Due partite e due pesanti sconfitte con scarti enormi in amichevole, contro Serbia (-67) e Israele (-40). Il ct Livadiotis si dovrà appoggiare sul solo Willis, centro naturalizzato visto a Brescia nel 2021, unico giocatore a roster con esperienza internazionale di un certo livello.

 

Giovanni Bocciero

domenica 24 agosto 2025

Orgoglio azzurro, Ricci: «Un passo alla volta ma vogliamo una medaglia»

Una laurea in matematica, le attività solidali in Tanzania, il ruolo nel Coni, un possibile futuro politico: il capitano dell'Olimpia ci racconta il sogno azzurro

Ricci: «Un passo alla volta ma vogliamo una medaglia»

Uomo di grande personalità, ha idee chiare e tanta fiducia sugli azzurri. «Non parlo di DiVincenzo e di chi non c’è, ma a Mannion dico di tornare più affamato. I risultati delle ragazze di Capobianco e delle giovanili maschili sono di ispirazione anche per noi. Dobbiamo credere di più nei giovani italiani, permettergli di sbagliare. Con Amani Education ripago ciò che il basket mi ha dato, dopo un percorso di gavetta che rifarei tutto da capo. In Giunta Coni metterò l’atleta al centro»


di Giovanni Bocciero*

 

Lo scorso 23 luglio è iniziato il lungo percorso che porterà l’Italia a disputare l’Europeo 2025. La notizia che ha scosso i tifosi azzurri, al di là del pensiero per Achille Polonara, è l’assenza per infortunio di Donte DiVincenzo. «Nella mia esperienza ho sempre parlato di chi c'è - ha esordito Pippo Ricci -, e non di chi non c'è. Vedo la squadra che si sta allenando bene, che s'impegna e che ha fame. Stiamo facendo tutto quello che è necessario per prepararci al meglio, in attesa che arrivino Gallinari e Thompson. Sarà un percorso difficile, ma noi che siamo qui ci siamo sia con la testa che col corpo, abbiamo l'obiettivo comune di arrivare in fondo e sogniamo in grande».

Non c’è DiVincenzo, e allora come naturalizzato ecco Darius Thompson, che oltre ad aver giocato in Italia ha affrontato l’ala azzurra più volte in Eurolega. Ma cosa potrò dare alla nazionale? «Ognuno di noi deve togliere qualcosa a sé stesso per darlo alla squadra. Lo stiamo facendo, e visto che Thompson si aggregherà per la prima volta al gruppo lo aiuteremo per farlo ambientare. Correre, difendere, giocare con energia e passarci il pallone sono il nostro dna, e lui sicuramente è un giocatore di altissimo livello che può darci tanta fisicità e difesa».

Non ci sarà neppure Nico Mannion, scelta forse condivisa con lo staff tecnico italiano. Compagni di squadra all’Olimpia, Ricci spera «che sarà ancora più affamato di prima. Non entro nel merito delle scelte, però una cosa che sicuramente non deve perdere è la voglia di lavorare, di ritornare, parlando di Milano per la prossima stagione, con la voglia di vincere lo scudetto ed altri trofei. Visto che veniamo, purtroppo, da un'annata che non è andata bene».

Passato, presente e futuro, tra Milano e Italia, Peppe Poeta è quasi un comun denominatore. In particolare dopo la meravigliosa ultima stagione con Brescia che lo rivedrà tornare all’Olimpia. «Poeta è un amico stretto. Abbiamo legato molto nei due anni che è stato a Milano, e quest'anno l'ho seguito ed ho anche fatto il tifo per lui. Personalmente sono contento ritorni all’Olimpia, perché ho un rapporto particolare, è un ragazzo vero che si merita tanto. Ha dimostrato che il suo futuro è quello di fare l'allenatore. Abbiamo parlato molto, e ci siamo confrontati anche su quello che sarà l'anno che ci aspetterà».

Giampaolo Ricci alla Trentino Basket Cup, Foto Marco Brondi / Ciamillo-Castoria

Nella prima fase dell’Europeo a Limassol, l’Italia affronterò Grecia, Spagna, Bosnia, Georgia e Cipro. «Il girone è difficile, ed ogni partita sarà una guerra. Dobbiamo arrivare pronti anche per giocare più impegni in poco tempo, perché non escludo che tutte le gare possano decidersi nel finale. Noi saremo agguerriti, ma lo saranno anche gli altri, e quindi possiamo vincerle tutte così come perderle. Per questo pensiamo ad una partita alla volta - ha continuato Ricci -, un giorno per volta, consapevoli di dover preparare i match anche tatticamente. Poi sarà necessario mettere cuore e energia. Il livello è molto alto, e ne abbiamo parlato dal primo giorno del raduno, dobbiamo prepararci per essere pronti quando conterà».

S’inizia subito contro la Grecia di Giannis Antetokounmpo, partita già decisiva? «La prima partita è quella più difficile, più emotiva, in cui chiunque deve rompere il ghiaccio. Questo non esonera neppure la Grecia e Antetokounmpo, ma puntiamo molto sull'entusiasmo e per questo le amichevoli di preparazione ci serviranno da termometro sia tecnicamente che emotivamente. Non so se sarà una partita decisiva, perché tutte lo potranno essere».

Visto come è finito il campionato contro la Virtus Bologna, ci sarà una rivincita contro Shengelia e la sua Georgia? «In realtà no, perché Shengelia ha meritato di vincere lo scudetto ed il premio di Mvp, ed alla fine il campo è giudice supremo. Da capitano dell'Olimpia, questo dovrà servirci da lezione perché non siamo stati pronti quando è servito, ma in nazionale è tutto un altro discorso e non si possono fare paragoni».

Ma in generale, che Europeo si aspetta l’ala azzurra? «Ci saranno tante squadre underdog, e mi aspetto la sorpresa. Mi piacerebbe che questo ruolo spetti proprio a noi. Sono d'accordo con chi dice che questa competizione è la più equilibrata, perché ci sono 24 squadre tutte forti allo stesso livello. Al Mondiale così come all'Olimpiade è possibile prendere un'avversaria cuscinetto. Per questo è complicato ma anche bello competere contro alcuni dei giocatori più forti d'Europa e del mondo. Abbiamo ancora un po' di amaro in bocca per come è terminata nel 2022».

Non solo l’Europeo del 2022 contro la Francia, perché nelle ultime competizioni, dall’Olimpiade 2021 al Mondiale 2023, l’Italia è sempre uscita ai quarti. Uno scoglio che si vorrà superare in questa entusiasmante estate azzurra che ha già portato in dote il bronzo della nazionale femminile e l’oro dell’U20 maschile. «Le ragazze sono state di grandissima ispirazione. Non tanto per la medaglia conquistata, anche se vincere è sempre bello, ma per come hanno giocato e condiviso quel periodo vissuto insieme. Le abbiamo seguite e ci hanno dato tanta energia, e sicuramente proveremo a ripetere il loro percorso».

«Uguale il discorso per l'under 20 - ha proseguito Ricci -, perché vedere dei ragazzi con la maglietta Italia alzare un trofeo ti dà ulteriore motivazione. Non credo sia pressione, ma voglia di fare bene e sognare una medaglia. Penso che però dobbiamo restare con i piedi per terra, ai quarti prima di tutto dobbiamo arrivarci. Sono uno scoglio che da tanto tempo non riusciamo a superare, ma se restiamo concentrati qualcosa di bello può accadere».

E aggiungiamoci anche l’U18 maschile, mentre scriviamo arrivata in semifinale a distanza di nove anni dall’ultima medaglia, di cui fa parte l’espatriato talento Diego Garavaglia. «Crediamo troppo poco negli italiani, e gli diamo poca possibilità di sbagliare. Bisognerebbe cambiare questo modo di fare. Andare via, all'estero, è sicuramente una cosa coraggiosa. Penso a Garavaglia ma vale per tutti, ha deciso di firmare a Ulm e adesso dovrà riguadagnarsi tutto di nuovo. Ti rimetti in gioco, e in un modo o nell'altro sono esperienze che ti fanno crescere. Il messaggio per tutti noi dev’essere di farli giocare di più, perché i risultati ti fanno capire che giovani di livello ci sono».

Una tendenza, quella di gettare i giovani nella mischia, che forse stona tra nazionale e club. Non a caso il ct Gianmarco Pozzecco ha varato un’Italia giovanissima nell’ultima finestra Fiba di febbraio. Un percorso, per la verità, già iniziato ai tempi di Meo Sacchetti. «Sia Sacchetti che Pozzecco sono due allenatori speciali, che ti trasmettono tanto e coltivano la tua fiducia. Quando veniamo in nazionale c'è una magia che si accende, e penso che anche i giovani che esordiscono tornano nelle loro squadre più motivati. Vai oltre e superi i tuoi limiti, e vedi atleti come Sarr o Niang che continuano a migliorare. Forse loro stessi non vedono questo aspetto, ma noi dall'esterno ce ne accorgiamo».

Ricci ha fatto la cosiddetta gavetta, e «il consiglio è di lavorare duro e avere pazienza. Se vali l'occasione arriverà, bisogna sfruttarla. Sono arrivato in serie A così come in nazionale in ritardo, ma ripeterei tutto il percorso. Ho fatto le giuste tappe al momento giusto, magari se fossi arrivato più giovane a Milano o in azzurro non sarei stato pronto per affrontare le diverse situazioni. Oggi, nell'era dei social, si vuole tutto e subito, ma in realtà bisogna impegnarsi e magari sbattere più volte la testa».

Non è solo un uomo di campo, perché «nella mia vita sono stato sempre curioso, per questo ho fatto più di una cosa. Il corso di laurea l'ho iniziato perché a 18 anni non ero un promesso giocatore di Eurolega o serie A, quindi non mi bastava fare una sola cosa. Così come il progetto Amani Education in Africa, che è nato nel 2022 da un'idea dei miei genitori che sono stati per due anni medici volontari. Ho sentito una specie di chiamata, ed ho avviato questo progetto che si basa sull'educare e dare un'opportunità a ragazzini che altrimenti non ce l'avrebbero. Noi giocatori, per la nostra notorietà, possiamo lanciare un messaggio perché le persone ci ascoltano e ci seguono».

«Mi piace condividere quello che penso, e usare il basket per mandare un messaggio diverso è quello che volevo fare. In tre anni abbiamo tirato su una scuola con 97 studenti dove prima c'erano solo mattoni e sterpaglie. Ci sono più di cento persone che animano quel luogo in Tanzania, e per il nuovo anno scolastico avremo 69 nuovi iscritti. Sono stato lì un paio di settimane fa, e queste cose mi rendono vivo e mi fanno capire che sono le cose giuste da fare». Per questo suo progetto gli è stato assegnato il premio Reverberi - Oscar del basket nella categoria solidarietà. «Non mi aspettavo di vincerlo, ma significa che quello che sto facendo, che stiamo facendo con tutto il team di Amani, sta arrivando alle persone. Inutile dire che sono onorato».

Proprio perché Ricci è impegnato anche fuori dal campo, si è cimentato in una nuova stimolante avventura, venendo eletto quale rappresentante degli atleti nella Giunta Coni. «Si è trattato di una opportunità che ho colto al volo. Sono una persona curiosa, come già detto, e questa esperienza sarà per me di ascolto e apprendimento. Noi atleti dobbiamo essere al centro, e in questi quattro anni proverò a fare il mio meglio. Tante federazioni e tante regioni d'Italia fanno più fatica ad esprimersi, e per me che vengo dall'Abruzzo so che un ragazzo ha meno possibilità rispetto a chi nasce a Bologna, Milano o Roma. Per questo proverò a dare voce a chi si sente messo da parte. Vedremo se in futuro sarà fattibile una carriera politica».

Pippo Ricci e l'azzurro

Nato il 27 settembre 1991, a Chieti, Pippo Ricci veste la maglia azzurra dal 2011. Prima con l’U20, poi con la nazionale sperimentale e addirittura una veloce esperienza nel 3x3. Ha esordito con la nazionale maggiore il 29 novembre del 2018, a Brescia, nel match di qualificazione al Mondiale cinese del 2019 contro la Lituania. Da lì in poi ha collezionato 65 presenze e 434 punti realizzati. Ha partecipato all’Olimpiade di Tokyo del 2021, all’Europeo giocato a Milano e Berlino del 2022, al Mondiale in Filippine, Indonesia e Giappone del 2023, e al Preolimpico di Portorico del 2024.




sabato 9 agosto 2025

La stagione a bordo campo di Andrea Meneghin: «Meno scontata del previsto, con qualche italiano in più in evidenza»

La stagione vista a bordo campo da Andrea Meneghin: «Meno scontata del previsto, con qualche italiano in più in evidenza»

«La Virtus cresciuta nel finale, Milano scollata e confusa»

«Brescia ha rispecchiato l'ewsperienza di Poeta in campo. Trento una meravigliosa sorpresa grazie alla filosofia del club. Trapani e Trieste meravigliose guastafeste, Venezia e Tortona hanno deluso. In Italia si fatica a vedere di buon occhio proprietà straniere. In bocca al lupo a Napoli e Rizzetta, a Varese il progetto ha comunque lanciato giovani interessanti anche in ottica nazionale»


di Giovanni Bocciero*


L’epilogo del campionato di serie A è stato meno scontato del pronostico, anche se lo scudetto alla fine è rimasto sull’A1 ed ha preso la direzione di Bologna dopo tre anni dominati da Milano. Fatale, ancora una volta, la maledizione della Supercoppa, che non aiuta per niente chi inizia la stagione alzando al cielo il primo trofeo dell’anno.

«Complimenti alla Virtus per come ha affrontato i playoff, per come è cresciuta dopo la delusione dell’Eurolega - il commento di Andrea Meneghin -, in un ambiente dove pesano le sconfitte e ci si aspettano sempre grandi risultati. In un momento di forma non ottimale, Banchi ha fatto una scelta coraggiosa dando le dimissioni e capendo che non riusciva a dare più nulla alla squadra per farla esprimere al meglio. L’arrivo di Ivanovic ha riattivato il talento e la fisicità di Bologna, anche in virtù di alcune scelte di mercato, accorciando le rotazioni e prendendo un giocatore come Taylor che è risultato un innesto vincente».

«Insomma, una stagione finita nel migliore dei modi per un gruppo di campioni che ha mentalità vincente, senza dimenticare la questione Polonara che evidentemente loro sapevano già da molto prima. Un evento che può scombussolarti ma che ha fatto emergere l’eccezionale lavoro di squadra della Virtus più che il singolo individuo. Shengelia ha strameritato il premio di Mvp, ma Bologna ha stupito dal punto di vista dell’organizzazione difensiva, offensiva e di opzioni».

Milano ha invece rappresentato l’altra faccia della medaglia delle due grandi. «Sono sempre stato dell’idea che l’Olimpia si potesse concedere il lusso, tra virgolette, di poter perdere qualche partita in più. Avendo quel roster da Eurolega con potenziale, secondo i più esperti, per arrivare sino alla Final four, poneva il vantaggio del fattore campo come non una priorità - l’analisi dell’oggi commentatore tv -, poi dimostrato anche in passato. È mancata serenità, forse compattezza di squadra, al di là degli infortuni coi quali si sono dovuti fare i conti ed in particolare con quello di Nebo, sul quale si era affidato parecchio peso difensivo».

«Si è trovato un assetto di emergenza, con Leday e Mirotic che hanno fatto impazzire e messo in crisi le difese avversarie, salvo poi, come spesso succede a questo livello, venire colpiti nel punto debole di quella coppia mettendola in difficoltà. E così quel filotto di vittorie consecutive anche in campo europeo non è stato replicato nella seconda parte della stagione, mancando ancora una volta i playoff in Eurolega».

«L’Olimpia si è così potuta concentrare solo sul campionato, ma non ci è arrivata come sperava. Tanti giocatori per scelta tecnica, che bisognerebbe chiedere a Messina, non sono stati utilizzati o usati col contagocce, vedi Caruso piuttosto che Tonut, e ti hanno portato a competere con una Virtus allo stremo delle energie, con un calo di tensione, non avendo risposte da diversi giocatori, e con problemi tecnici in campo che hanno esaltato i meriti degli avversari».

Una scelta ha riguardato anche rinunciare a Melli, che poi ha vinto l’Eurolega col Fenerbahce. «Coincidenze, fatti, conseguenze, ognuno può vederli come vuole. Melli inseguiva l’Eurolega da tutta la propria carriera, e finalmente è riuscito a raggiungerla. Non so neanche quantificare la sua gioia nell’alzare quel trofeo. Per quanto riguarda Messina, non si possono negare che ha avuto delle difficoltà nel gestire alcuni giocatori e dargli fiducia. Quello che ho notato dall’esterno, è che la squadra tante volte è sembrata scollata sia in attacco che in difesa, confusa».

E proprio perché squadra e tecnico sono sembrate spesso due entità differenti, con il ritorno di Poeta si va delineando un altro futuro. «In qualunque sport di squadra c’è sempre un concorso di colpa su queste situazioni, proprio perché c’è necessità di avere unità d’intenti. Fortunatamente, chi ancora oggi lavora meglio insieme ed è focalizzato all’unisono riesce a portare a casa il risultato. Obiettivamente, non posso sapere quale fosse la situazione all’interno dello spogliatoio di Milano, ma certamente non è sembrata determinata come in altre occasioni e in altre annate. Da fuori è sembrato che non ci fosse la giusta armonia tra staff e giocatori, tant’è che nelle difficoltà si è reagito in maniera diversa rispetto alla Virtus».

Veniamo ai vinti, quella Brescia giunta sino in finale al primo anno da head coach di Poeta. «Nel loro modo di giocare si è vista tutta l’esperienza da giocatore di Poeta. Ha messo tutti nelle migliori condizioni per potersi esprimere, con gerarchie definite e tanta semplicità e passione. Seppur con un roster poco lungo, la squadra ha trovato il suo equilibrio grazie anche ad atleti che sanno giocare. Nel corso della stagione hanno lavorato bene e approfittato delle settimane senza impegni europei per recuperare gli acciacchi fisici».

«E poi si vedeva che andavano in palestra per divertirsi, e questo rende tutto più bello nonostante la fatica - la chiosa di Meneghin -. Inevitabilmente i risultati e le gioie poi arrivano. Un traguardo storico come la finale scudetto, credo possa essere paragonata alla vittoria della Coppa Italia seppur con un sapore diverso, ma con tutta l’energia e l’entusiasmo dell’ambiente. Reputo che il segreto di Poeta così come per tutto lo staff, al di là del fatto che in qualunque momento è sempre rimasto calmo, sia stato di mettere i giocatori nelle migliori condizioni possibili coprendo i difetti e amplificando ed esaltando i punti di forza».

La serie A ci ha regalato anche due matricole terribili. «Le due neopromosse Trapani e Trieste sono state delle meravigliose sorprese, perché hanno disputato un campionato spettacolare. Ai siciliani è mancata lucidità in semifinale, però ciò non toglie l’esaltante cavalcata arrivando a giocarsi il primo posto in stagione regolare, esprimendo un gioco spumeggiante, divertente, aggressivo, spettacolare, che ha esaltato diversi protagonisti ed in particolare il gran lavoro di Repesa. Molto bene anche Trieste, che però ha trovato sul proprio cammino Brescia, ed è andata avanti anche in Coppa Italia pur avendo un giocatore importante come Ross fuori per infortunio. Sono arrivati ad un passo dal giocarsi la finale facendo tremare Trento sino all’ultimo».

Ecco Trento, che ha vinto la Coppa Italia e fatto incetta di premi individuali: ben cinque. «Trento assolutamente una nota lieta grazie alla filosofia della società. Per gli investimenti fatti, il mix di gioventù e veterani, e l’idea di giocare sempre le coppe europee, ha permesso di coronare un sogno con la Coppa Italia. Vinta soffrendo, sin dal quarto con Reggio Emilia, prima del trionfo con Milano. Trento ha espresso un gioco aggressivo, bello, mai banale, esaltando l’atletismo ed i giovani, studiati con un lavoro di scouting alle spalle strepitoso».

«Senza nulla togliere alle qualità di Galbiati che ha saputo fare non bene, ma benissimo - la valutazione di Meneghin -, con il rammarico forse di aver disputato i playoff non al completo per una serie di infortuni che hanno un po’ stravolto l’identità della squadra. Adesso sotto con una nuova sfida, perché la squadra deve essere ricostruita, ed è stata affidata ad un altro grande allenatore come Cancellieri».

Non solo Eurolega, non solo Milano e Bologna. Altri club hanno disputato le coppe europee con risultati non sempre lusinghieri. E il doppio impegno alla lunga si è fatto sentire. «Per Tortona alti e bassi in campionato, e quando sembrava aver trovato la dritta via ha avuto qualche scivolone di troppo. Anche la stagione europea bene fino ad un certo punto. Annata sotto le aspettative perché ci si aspettava di più. Però siccome c’è stata tanta competizione, con Trapani e Trieste che hanno fatto le guastafeste togliendo due posizioni, hanno messo in difficoltà quelle dietro, tra cui Tortona, ma anche Venezia e Reggio Emilia».

«Gli emiliani hanno conquistato i playoff con qualche turno d’anticipo, e a tratti sono stati devastanti. Credevo potessero vincere la Coppa Italia per come hanno giocato 35’ contro Trento. Poi sono state decisive un paio di giocate di talento dei trentini. Nel finale di stagione gli acciacchi hanno compromesso anche il cammino in Bcl, ma hanno giocato un basket molto europeo con quella durezza difensiva e il tatticismo di Priftis. Venezia ha invece deluso più di tutti, nonostante i tanti infortuni che gli ha impedito di giocare spesso senza la formazione titolare. Con quel roster ci si aspettava che facesse di più. È andata vicina all’impresa con Bologna in gara 5, e conquistati i playoff di Eurocup, ma per il potenziale poteva e doveva andare più avanti e invece si è spesso persa nei dettagli».

Un’altra proprietà straniera si è appena affacciata nel nostro paese, a Napoli. Esperienze, queste, piuttosto alterne e non sempre foriere di buoni risultati. «In Italia è difficile operare per una proprietà straniera, perché siamo un po’ tutti abituati alle grandi famiglie o al mecenate di turno, imprenditori del posto e magari anche tifosi. La storia del nostro basket - ha rammentato il commentatore tv - è sempre stata segnata da squadre abbinate a illustri marchi. Per il tifoso italiano c’è sempre il timore che una proprietà estera possa non far funzionare tutto bene».

«Però vedi Trieste, dove la pallacanestro è rinata sposando perfettamente i valori della città e trovando feeling con i tifosi che è la cosa principale. Dare solidità, fare investimenti, portare giocatori con nome ma efficienti in campo è essenziale. Da contraltare a Pistoia si è visto un anno disastroso, dove la proprietà ha lasciato cuori infranti. Le altre hanno sempre fatto il massimo, come Scola a Varese ad esempio. Ma si tratta di una piazza non semplice. Sbagliando s’impara e, pur facendo tutto in buona fede è importante crescere, capire e non ripetere gli stessi errori».

«Però la stessa Varese sta investendo molto sui giovani, vedi Librizzi o Assui, che giocano e permettono anche di creare identità e attaccamento. E questo senza un budget di prim’ordine. La società è presente e cerca di fare il meglio possibile, ottenendo il massimo risultato ottimizzando i costi. La passione e il pubblico arrivano dai risultati, e Napoli non può trascendere da questo. Adesso bisogna vedere l’operato della nuova proprietà con Rizzetta in testa, ma già la firma di Magro come allenatore mi sembra un ottimo inizio».

Cosa ha lasciato questo campionato in ottica nazionale? «Le risposte degli italiani ci sono state, ed anche parecchie. Per il discorso nazionale però, a volte non bastano i grandi numeri, perché bisogna che ci si sposi con l’idea di gioco dell’allenatore, e con l’identità e la struttura del gruppo. Gli italiani hanno dimostrato di essere pronti in caso di chiamata, ma sono tante piccole cose, soprattutto caratteriali, che comportano una convocazione».

«Logico che più profili abbiamo meglio è per il bene della nazionale». E allora Della Valle? «La meriterebbe, e so che culla così tanto il sogno dell’Olimpiade che si è reso disponibile per il 3x3 per rappresentare l’Italia. Se Pozzecco dovesse chiamarlo - ha concluso l’ex medaglia d’oro europea a Parigi 1999 -, immagino che lui correrebbe di corsa senza creare problemi. Ma è il coach e lo staff a decidere».


* per la rivista Basket Magazine



L'impresa dell'Italia di bronzo

Eurobasket Women di Atene: trent'anni dopo il nostro basket femminile torna tra le tre migliori squadre del continente

Ragazze da sogno, l'Italia che vogliamo

Le azzurre si mettono la medaglia di bronzo al collo vincendo meritatamente il girone di Bologna, facendo tremare il Belgio campione d'Europa e surclassando la Francia vicecampione olimpica. Zandalasini e Cubaj le migliori di un gruppo fantastico, squadra vera dentro e fuori del campo, col ct Capobianco che ha disegnato un autentico capolavoro facendo innamorare tutto il paese. Ottimi gli ascolti sulla Rai

di Giovanni Bocciero*


È un’Italia che ci ha fatto emozionare, quella femminile, capace di tornare sul podio dell’Eurobasket a distanza di trent’anni dalla medaglia d’argento conquistata dalla nazionale di Riccardo Sales e delle varie Catarina Pollini, Novella Schiesaro, Viviana Ballabio, tante delle quali hanno rappresentato la delegazione di azzurre presenti proprio a Bologna per assistere alla partita contro la Lituania. Sarà stato un incontro benaugurante visto come è terminato questo Campionato europeo.

Di sicuro, lo aveva detto il ct Andrea Capobianco alla vigilia della manifestazione continentale, che le sue ragazze ci avrebbero «fatto innamorare». Ed effettivamente, le azzurre sono state capaci di ipnotizzare un paese intero pur non dando calci al pallone e neppure saltando a rete. Con determinazione si sono prese la medaglia, lottando e mettendoci tutto l'impegno possibile, dimostrandosi squadra vera dentro e fuori dal campo. Capace anche di superare le difficoltà, come l’infortunio di Matilde Villa.

La grande assente è stata proprio la play, che purtroppo ha subìto la rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio destro nell’amichevole di avvicinamento col Belgio. Un’assenza che, forse, ha fatto mancare quell’ideale passaggio di consegne tra lei e Cecilia Zandalasini quale nuovo talento e faro azzurro. O forse no, visto che la nativa di Broni ha disputato un Europeo da campionessa pura. Ha fatto registrare 16.8 punti, 6 rimbalzi e 3 assist di media nelle sei gare disputate, per un 19.2 di valutazione, aggiungendo alla medaglia di bronzo anche la nomina nel miglior quintetto della manifestazione.

L’Italia ha iniziato a vincere e convincere sin dal girone di qualificazione andato in scena al PalaDozza di Bologna, battendo in serie una Serbia alle prese con un ricambio generazionale, una Slovenia apparsa troppo risicata nelle rotazioni, e una Lituania autentica sorpresa ma comunque dal potenziale ancora da definire. Eppure, con il primo posto e un quarto di finale raggiunto addirittura con un turno d’anticipo, un appunto sul pubblico va fatto. Nonostante ci si trovasse a Bologna, la ‘basket city’ per eccellenza del nostro paese, il palasport non è stato riempito neppure nella terza e decisiva gara giocata di sabato sera contro le lituane.

Bologna non sarà tra le principali piazze della pallacanestro in rosa, anche se sino a due anni fa ha avuto la Virtus che ha disputato due finali scudetto e vinto una Supercoppa proprio con la Zandalasini tra le principali protagoniste, ma qualcosa in più ce lo si aspettava. Le azzurre, comunque, al di là del seguito sulle tribune, che sembra essersi attestato sulle 4mila presenze di media, si sono conquistate l’attenzione nazionale con le loro prestazioni. E pur partendo in sordina e forse con non poco scetticismo, sono arrivate a guadagnarsi le dirette sulla Rai per la seconda fase dell’Eurobasket, disputata ad Atene.

Forse il segreto di questa Italia è stato non fare voli pindarici, pensare ad una partita alla volta, ad un avversario alla volta. Prima c’è stato da affrontare il battesimo di fuoco con la Serbia, migliore squadra del ranking mondiale del girone bolognese al numero 8 - mentre l’Italia è al sedicesimo posto -. Ma come detto, le serbe sono alle prese con un ricambio e sono apparse ancora acerbi a questo livello. Non a caso, hanno terminato il raggruppamento addirittura in fondo alla classifica.

Diverso il match con la Slovenia, numero 22 del ranking, nel quale la lunga naturalizzata Jessica Shepard è stata soltanto la prima di una serie di avversarie più grosse e fisiche che le azzurre sono state capaci di tenere a bada con una difesa di gran livello. Proprio la determinazione nella propria metà campo ha rappresentato il marchio di fabbrica di questa nazionale che ha saputo soffrire, aiutarsi, sporcare le linee di passaggio, spizzare palloni in area e gettarsi sulle palle vaganti che spesso e volentieri fanno la differenza tra la vittoria e la sconfitta.

Non a caso nella terza e decisiva gara per chiudere al primo posto il girone, contro la Lituania che si presentava con più centimetri e chili in tutti i ruoli, l’Italia l’ha tenuta a soli 51 punti realizzati. Il vecchio adagio recita che l’appetito vien mangiando, e allora sul volo per Atene le azzurre avranno di sicuro pensato che bisognava andare oltre i complimenti. Alla fin fine è il risultato che conquisti che nessuno mai ti potrà togliere. Superare lo scoglio dei quarti di finale era il primo passo da compiere, perché aveva un duplice prezioso obiettivo. Significava finire tra le prime quattro e dunque aumentare le probabilità di andare a medaglia; e conquistare un posto per il torneo di prequalificazione al Mondiale 2026.

Ricordiamo la scelta della federazione, in piena sintonia con lo staff tecnico della nazionale femminile, di non prendere parte al torneo di prequalificazione della scorsa estate, con la finalità di preservare l’integrità fisica delle atlete e per garantirgli una post season di riposo, alla vigilia di una stagione agonistica che si sarebbe chiusa, di fatto, con l’attesissimo appuntamento dell’Eurobasket. Una scelta dal sapore pokeristico dell’all in, che ha però portato i suoi frutti.

E allora sotto la Turchia, che nel ranking della Fiba appena una posizione sotto l’Italia, alla numero 17. Turche che hanno avuto il merito di vincere nel girone di qualificazione la gara da dentro o fuori con le padrone di casa della Grecia. Con la Turchia le azzurre hanno fatto un’altra partita di grande spessore, ma hanno anche rivisto i fantasmi del 2017. In quella edizione del Campionato europeo, Capobianco sedeva in panchina e Zandalasini era l’enfant prodige al suo esordio assoluto in una competizione senior. L’Italia affrontava la Lettonia per lo spareggio che assegnava un posto Mondiale, e nel finale punto a punto, urla ancora vendetta l’antisportivo ravvisato all’attuale stella italiana e della Wnba.

Contro la Turchia la sfortunata protagonista è stata Jasmine Keys, che si è vista annullare un canestro buono quando mancavano ancora 0.2 secondi sul cronometro. E ancora peggio, è il fatto che la terna arbitrale non abbia potuta controllare e ravvedersi all’instant replay, perché questo al momento non funzionava. In una manifestazione del livello di un Europeo, certi intoppi è inammissibile che accadano. Quei due punti potevano costare caro, dato che allo scadere le avversarie hanno mandato la partita al supplementare. La volontà di vincere è stata comunque più forte, e alla fine la Turchia è stata battuta.

Non si finisce mai di sognare, però. Raggiunta la semifinale a questo punto andava conquistata anche una medaglia. Di qualsiasi colore, purché si appendesse qualcosa al collo. È il Belgio l’avversaria in semifinale, e le azzurre non si sono date per vinte. Nella ripresa grazie ad un parziale di 17-0 hanno rimesso il naso avanti, e solo nel finale tirato a festeggiare sono state le avversarie, che hanno mostrato il giusto riconoscimento con la Julie Vanloo che ha confortato una ad una le ragazze.

Per la medaglia di bronzo bisognava battere le francesi, vicecampionesse olimpiche, alle quali mancavano un paio di giocatrici ma restavano comunque forti. Si è anche discusso della mancanza di esperienza delle azzurre, nel giocare su palcoscenici del genere. Evidentemente, da Zandalasini a Costanza Verona, da Lorela Cubaj a Sara Madera, passando per Martina Fassina preziosissima contro Belgio e Francia, hanno fatto tesoro delle loro avventure giovanili. Dal 2015 al 2019, infatti, il palmares generale parta di quattro bronzi, cinque argenti e tre ori a livello sia europeo che mondiale.

L’Italia è scesa in campo con la determinazione giusta, il migliore approccio possibile e sin dall’inizio si è messa a condurre nel punteggio fino a dominare pian piano la partita, nonostante qualche momento di defaillance. Le francesi sono state tenute a 54 punti nonostante il miglior attacco dell’Europeo sin lì con una media di 84.2. Alla vigilia della finale per il 3° e 4° posto, Zandalasini aveva parlato delle differenze che si avvertono nel nostro paese tra lo sport femminile e quello maschile, rivendicando l’agonismo e il ‘bello’ del basket femminile. C’è da dire che le ragazze sono riuscite in quello che da anni non riesce ai ragazzi, che ad Europei e Mondiali non superano l’ostacolo dei quarti.

Nell’immediato post gara, con la medaglia al collo, Capobianco ha invece sottolineato di come oltre per il cuore, questo traguardo è arrivato anche tatticamente. Perché l’Italia è stata capace di adattarsi e cambiare rispetto all’avversario di turno, rivendicando un successo non solo emotivo ma anche tecnico. E proprio Capobianco è stato nominato anche miglior allenatore dell’Europeo. Un premio più che meritato per come è riuscito a far giocare questa squadra. Sempre sfrontata, mai doma, dura a morire in qualsiasi situazione. Arcigna e aggressiva, attenta e concentrata.

Share da record sulla Rai: il 5,56% contro la Francia

Queste azzurre hanno fatto innamorare l’intera nazione. Parlano i dati della Rai, con ascolti ottimi. Con la Turchia seguito di 389mila spettatori di media, saliti nel supplementare a 571mila con uno share del 3.4%. Col Belgio il primo tempo su Rai Due ha avuto 290mila spettatori (2.39%), mentre il secondo tempo su Rai Tre ne ha avuti 545mila (3.75%), per una media di 418mila utenti collegati. Con la Francia, invece, 443mila spettatori medi (4,99%), con uno share salito al 5,56% nel secondo tempo (491mila utenti collegati).


* per la rivista Basket Magazine

martedì 3 giugno 2025

El Diablo, sulla cresta dell'onda del mare: l'intervista a cuore aperto

Intervista a cuore aperto con uno dei giocatori più emblematici della pallacanestro italiana, in cui ha lasciato una traccia indelebile

El Diablo, sulla cresta dell'onda del mare 

«Ho chiuso col basket. Dopo Brescia non mi ha chiamato più nessuno». Ma la pubblicazione della sua autobiografia ha permesso ad Enzo Esposito di ritornare solo per un po' in quel mondo che ha frequentato per oltre trent’anni, prima da giocatore e poi da allenatore. Non gli piace vivere nel passato, per questo si è lasciato alle spalle tutto ed è volato a Gran Canaria, dove, viaggiando in caravan, insegue le onde e si prende cura di sé stesso.

 

di Giovanni Bocciero*

 

Ha fatto impazzire di gioia le tifoserie delle squadre per cui ha giocato, ma allo stesso tempo si è attirato la malevolenza di quelle avversarie proprio per il suo modo di giocare verace e sanguigno. In un modo o in un altro, Enzo Esposito ha di sicuro infiammato i parquet di tutta Italia. Ed è raccontato per intero nella sua autobiografia “El Diablo, vita e miracoli dell’ultimo poeta del basket italiano”, libro pubblicato dall’associazione di tifosi Il Fortitudino.

«A me non piace ricordare le cose del passato - esordisce esplicito, come nel suo carattere, Esposito -. Certo, fa piacere che siano successe, ma per come la vedo io nel guardare troppo indietro si fa poi fatica ad andare avanti. È normale che fare comunque un tuffo nel passato fa riemergere tanti episodi legati a successi, delusioni, eventi particolari che fanno piacere. Tutto ciò è servito per scrivere questo libro che è stato fatto davvero molto bene, con tante foto e diversi ritagli di articoli di giornale che ne hanno fatto un volume veramente completo. E poi ha uno scopo benefico, e fa ancora più piacere quando c’è un fine più grande».

È papà Biagio che conserva gelosamente qualsiasi cosa riguardi lo scugnizzo casertano. Nella loro casa di Caserta ha una stanza completamente piena di memorabilia oltre che di foto. Tante delle quali sono servite, appunto, per rendere ancora più di valore il libro. Come quella dell’esordio in serie A ad appena quindici anni, gettato nella mischia da Bogdan Tanjevic in una sfida a Livorno. Volume impreziosito dalle tante testimonianze, dagli aneddoti e dai racconti. Il più emblematico, forse, quello dei quindici tifosi fortitudini partiti da Bologna per andarlo a vedere giocare, o forse sarebbe meglio dire per andarlo a trovare, visto il legame, a Toronto.

L’ULTIMA VOLTA CHE ABBIAMO VISTO Esposito su di un campo, però, era sul finire del 2020, allenatore di Brescia prima che arrivasse la rescissione. «Il mio post Covid è stato abbastanza traumatico - ha dichiarato con un po' di magone -. Prima c’era stata la comunque buona stagione di Caserta nonostante la retrocessione, poi i successi di Pistoia e la prima ottima annata a Brescia. Con la pandemia è stata una lotteria un po’ per tutti, e purtroppo per me le cose sono diventate negative. Si sono verificati così tanti episodi che mi hanno lasciato il segno, anche extra cestistici, che mi hanno fatto allontanare effettivamente dal basket».

Riposte nel cassetto casacche, pantaloncini e scarpette, abituato ad utilizzare anche quando allenava, ha ripercorso la sua carriera a ritroso. E questa l’ha portato in un luogo dove ha giocato per pochi mesi dal gennaio del 2002. «Mi sono trasferito a Gran Canaria, dove ho tante amicizie, ed ho iniziato una vita completamente diversa. I primi anni ho pure collaborato con una accademia che reclutava ragazzi a livello internazionale per poi facilitare il loro trasferimento negli Stati Uniti, ma adesso sono due anni che mi dedico solo a me stesso. Mi piace fare bodyboard, che è una versione differente del surf, e mi godo la vita».

Anche se «la pallacanestro è un capitolo chiuso», come ripete più volte, ogni tanto torna ad allacciarsi quelle scarpette perché «capita che per qualche amico che ha i figli che giocano, faccia degli allenamenti privati per dargli un’occhiata e qualche consiglio. Però per quanto riguarda il basket inteso come giocatori e club, non ne ho più idea perché non lo seguo da almeno tre anni. Ormai viaggio in caravan e sono sempre in giro alla ricerca del posto migliore dove trovare le onde. Vivo in un mondo a parte ed ho staccato completamente col basket».

Enzo Esposito a Caserta (Foto Filauro)

SONO DI DOMINIO PUBBLICO le parole dell’ex general manager di Caserta, Marco Atripaldi, rimasto sbalordito dalla quantità di conoscenze che aveva Esposito negli States. Durante un viaggio dei due nell’estate del 2014, per andare a vedere le partite della Summer League di Las Vegas e monitorare qualche giocatore da portare all’ombra della Reggia, chiunque conosceva El Diablo. E proprio per questi suoi molti contatti, oltre all’esperienza da giocatore in Nba, covava il desiderio un giorno di allenare al college.

«Continuo a collaborare con una società in Italia, la Hoopers Bridge, che si occupa principalmente di reclutamento di ragazzi che vogliono provare a fare un’esperienza negli Stati Uniti. Do una mano, ma ho abbandonato anche l’idea di poter allenare al college in America. Ricominciare ogni volta da zero, per dimostrare cosa puoi fare o cosa sai fare non è semplice. Si arriva ad una età, come la mia, in cui non puoi più fare un passo avanti ed uno indietro. Ormai sono per guardare solo in avanti, sempre, altrimenti per usare una metafora legata all’acqua, le onde ti travolgono e rischi che ti fai male».

Per dare l’idea di cosa significa davvero aver chiuso con il basket, Esposito non legge neppure i giornali spagnoli, e della vicenda dell’azzurrino Dame Sarr sa poco o nulla. «So che ha lasciato il Barcellona e che andrà negli Stati Uniti, magari in Nba (ma non compare nella lista dei 106 atleti iscritti per il draft di questa estate perché non si è dichiarato, ndr). Credo comunque che in Ncaa sia un tipo di giocatore che possa davvero fare sfracelli. Ma mi limito a dire questo perché davvero non seguo più la pallacanestro giocata, neppure per quel che concerne il campionato spagnolo. In tre anni sono andato a vedere soltanto due volte le partite del Gran Canaria. Una volta mi hanno invitato a vedere il derby; e un’altra volta perché giocava contro Trento, e l’assistente allenatore Fabio Bongi è un mio amico perché abbiamo lavorato insieme a Pistoia. Per questo sono passato a salutarlo».

TRENTO È UNA CITTÀ CHE RICORRE spesso nella sua vita. Difatti, la sua carriera da allenatore è iniziata proprio nella valle del fiume Adige: stagione 2009/10. «Quello fu il mio primo anno in assoluto da coach, con Trento che era stata ripescata dopo la retrocessione per fare di nuovo la serie A Dilettanti. C’era la nuova società, che iniziò il suo cammino con Salvatore Trainotti in qualità di dirigente, e sfiorammo i playoff. Non lo sapevo ma mi fa piacere che abbia vinto la Coppa Italia perché è una piazza dove sono stato bene e trattato ancor meglio. Proprio quest’anno, in occasione dell’unica partita che sono andato a vedere, ho conosciuto coach Paolo Galbiati. Siamo stati avversari, e sono rimasto felice di averlo potuto conoscere perché tutto l’ambiente è composto da persone serie che lavorano molto bene».

Casertano di nascita, bolognese d’adozione, l’Italia per El Diablo è ormai solo una tappa fugace. «Manco da Caserta da un anno, ed ovviamente non mi sono interessato ai risultati della squadra. Le uniche volte che mi capita di passare in città sono per festività particolari, come ad esempio il compleanno di mia madre. Ma ormai ci vado una o due volte l’anno. E l’ultima volta non sono rimasto per neppure 48 ore prima di ritornare a Gran Canaria. Neanche gli amici più stretti mi informano sulla Juvecaserta, perché sanno che ormai sono fuori dal giro. Quando mi sono incontrato con loro abbiamo parlato di tutto, tranne che di pallacanestro».

«A Bologna, invece, sono stato tre giorni per la presentazione del libro, era appena arrivato Attilio Caja come allenatore». E proprio quel fortuito caso ha fatto sì che gli telefonasse Rick D’Alatri dall’America per chiedergli se fosse vero che andava ad allenare la Fortitudo. «Ma quando mai. Non so più nulla perché ho chiuso col basket. Al momento sto solo pensando a me stesso e a come organizzarmi nel miglior modo possibile per vivere sull’isola, dove ho una vita meravigliosa, per essere pronto ad ogni evenienza. Ma nulla a che vedere con la pallacanestro. Ripeto, faccio surf, skateboard, palestra, ma di sport di squadra non ne ho più idea. Non ne ho proprio il desiderio, anche perché dall’Italia non ho più sentito nessuno».

LE PAROLE DEL PRIMO GIOCATORE italiano ad aver segnato punti in Nba vengono avvolte anche da amarezza e dispiacere, perché «dai procuratori ai coach, non ho più ricevuto una telefonata. È una cosa abbastanza triste, non per me ma per far capire come funziona questo mondo. Fin quando ero nel giro sentivo quasi settimanalmente gli agenti e i colleghi allenatori, ma dopo un anno che avevo staccato sono spariti tutti. Quando pensi a queste cose, capisci che non ne vale neppure più la pena, perché dopo aver passato trent’anni sui campi ci si riduce a non ricevere neanche più un messaggio d’auguri».

Il soprannome El Diablo glielo hanno appiccicato proprio alla Fortitudo, dopo una partita giocata ‘a metà’ in quel di Pistoia. Altra città a lui cara. Nel primo tempo gioca male, non segna neppure un punto e allora Sergio Scariolo lo fa sedere in panchina. Ne nasce uno scontro, fumantino come è, e nel secondo tempo riversa tutta la rabbia accumulata in campo: segna 29 punti. È un’iradiddio, o meglio dire un diavolo. Tiratore sì, ma amava anche fare a brandelli le difese con le sue azioni spesso e volentieri immaginifiche. Ancora oggi non ci si capacita di certe sue giocate.

IL SUO RAPPORTO CON GLI ALLENATORI non è sempre stato dei migliori, proprio per il suo temperamento. Eppure addirittura Ettore Messina, suo ct in occasione degli Europei del 1995, ha raccontato nel libro di aver imparato tanto da Esposito. E lui ha fatto tesoro degli insegnamenti dei tanti grandi tecnici che ha avuto quando è passato dall’altra parte della barricata. «Quando cambi ruolo è importante mettere da parte quello che è stato quando eri giocatore, ed è fondamentale mettersi a disposizione della squadra. Il carattere fumantino, magari, ti permette di gestire con maggiore personalità le situazioni, dall’arbitro al giornalista, dal dirigente al tifoso».

Forse, pensare che sarebbe diventato a sua volta un coach era una cosa inimmaginabile. Ma da allenatore, El Diablo, ha cercato di portare la sua idea di pallacanestro. Molto diversa dall’abuso del tiro da tre che è in voga adesso. «Il gioco è cambiato. Ma questo già quindici anni fa, con i primi lunghi che hanno iniziato a stazionare in maniera fissa sul perimetro. A me assolutamente non piace tutto questo tiro da tre, e quando allenavo mi davo l’obiettivo di costruire squadre sempre equilibrate».

«Pensa ai giocatori che ho avuto, Nathan Boothe, Alex Kirk, Jack Cooley, Dejan Ivanov, ho sempre cercato di prendere un lungo che potesse anche creare il gioco interno. Per me nella pallacanestro va utilizzato tutto il campo, invece oggi si gioca solo in contropiede e col tiro da tre. Il basket va in questa direzione, e bisogna dunque adeguarsi. Ma il problema è che i ragazzini non lavorano più sui fondamentali ma solo sull’atletica e il tiro. Questo va a vantaggio dello spettacolo, ma quando ciò non avviene si assistono a partite dall’indubbia bellezza».

Esposito ha rappresentato il ponte tra l’Italia e gli Stati Uniti. Ne ha conosciuto le abitudini, il modo di pensare e come lavorano. Per questo, chi meglio di lui può dare un giudizio sulla nascente lega della Nba Europe. «Gli americani sono i numeri uno per il business. C’è poco da dire. Non so di cosa si tratti nello specifico questa nuova lega, ma ci vedo tanto di business. Loro non fanno niente per niente, quindi oltre alla pallacanestro c’è una grossa fetta percentuale che riguarda il merchandising ed il reclutamento».

«È la direzione globale che sta prendendo il mondo. A me personalmente non piace, e non la considero una cosa vantaggiosa ed interessante per la pallacanestro europea. La potrei quasi definire come una G League fatta oltreoceano, con franchigie che saranno loro affiliate. E questo permetterà di abbattere le barriere e spianare molto più facilmente la strada per i giovani - ha concluso Enzo Esposito - che saranno attratti ad andare a giocare negli Stati Uniti».

Esposito da giocatore in Nba (foto Google)

Esposito è stato il primo colpo dell’era Seragnoli

L’associazione Il Fortitudino ha iniziato da alcuni anni ad intraprendere una sua linea editoriale con la pubblicazione di libri che raccontano giocatori passati per la Effe. Si è iniziato con Gary Schull e Charles Jordan, per arrivare a Enzo Esposito e a “El Diablo, vita e miracoli dell’ultimo poeta del basket italiano”. Già c’è stata una prima donazione col ricavato del volume al partner storico del gruppo di tifosi dell’Aquila, ovvero il Willy The King Group, associazione che si occupa della promozione della cultura dell’inclusione dei soggetti diversamente abili. Il libro ha avuto due ristampe, ed ha raggiunto già le 700 copie vendute in tutta Italia, dalla Sicilia al Friuli. Per chi lo volesse acquistare e farselo spedire può scrivere a info@ilfortitudino.it.

Dopo la presentazione a Bologna, è prevista un’altra serata promozionale a Caserta, e forse una ad Imola. Tutto dipende dalla disponibilità di Esposito. «Nonostante sia rimasto solo due anni alla Fortitudo, senza vincere nulla - ha detto Gabriele Pozzi, curatore del volume -, gode di un affetto anche maggiore di tanti altri campioni. Nel giorno del firmacopie c’era una fila immensa al PalaDozza. È stato il primo grande acquisto dell’era Seragnoli, in una squadra che giocava un basket strepitoso che seppur con una penalizzazione arrivò ai playoff qualificandosi per la Coppa Korac. Quando la tifoseria ricorda quei due anni che ha giocato per la Effe, sorride per la gioia».


* per la rivista Basket Magazine

venerdì 25 aprile 2025

Nazionale in sofferenza: alla ricerca del centro perduto

 

Da vent'anni, e dal tramonto degli ultimi grandi pivot di ruolo, l'Italia è a digiuno di medaglie: solo con un punto di riferimento importante sotto canestro la nazionale è riuscita a conquistare i risultati migliori

Alla ricerca del centro perduto

Nino Calebotta il primo gigante della nostra pallacanestro, Dino Meneghin la leggenda, la coppia Marconato e Chiacig gli ultimi esemplari. Servono coraggio e creatività per non soffrire la mancanza di lunghi


di Giovanni Bocciero e Matteo Cappelli*


 

“Cerco centro di gravità permanente”, cantava il maestro Franco Battiato. Il centro, o pivot, termine un po’ desueto oramai, per lunghi tratti della storia della pallacanestro ha inciso e deciso il gioco. Anche per quel che riguarda la nazionale italiana, che ha centrato i risultati più importanti potendo schierare un lungo di alto livello. Da Dino Meneghin perno dell’Italbasket prima medaglia d’argento alle Olimpiadi di Mosca 1980 e poi d’oro agli Europei del 1983, alla coppia Denis Marconato e Roberto Chiacig fondamentali per la medaglia più preziosa agli Europei del 1999 e poi per quella d’argento alle Olimpiadi di Atene 2004.

Certo, oggi il gioco è evoluto, si è trasformato, e magari le competenze dei centri sono da dividersi con il resto della squadra. Basti pensare ai rimbalzi, un fondamentale che prima magari era prerogativa dei giocatori lunghi, mentre adesso è spesso una questione di squadra. Già soltanto pensare al grande abuso del tiro da tre - sul quale abbiamo fatto un’inchiesta proprio nel numero precedente di BM -, produce un numero elevato di rimbalzi lunghi che sono fuori portata dei centri e sui quali devono avventarsi gli esterni. Ma proviamo ad andare alle origini del ruolo, e a capirne l’importanza nel contesto odierno, soffermandoci ovviamente in ottica azzurra.

Valerio Bianchini, tre scudetti ed una Coppa Italia con Cantù, Roma, Pesaro e Fortitudo Bologna, oltre a quattro trofei internazionali, è stato ct dell’Italia per il biennio 1985-1987. Diamo la definizione di centro?

«Nell’immaginario, il centro è un uomo grande e grosso, rimbalzista e stoppatore. Nel vecchio stile del basket era molto importante, oggi è però sparito come ruolo. Era prezioso perché il gioco si basava molto sull’asse composto dal play e dal pivot, ed entrambi erano dei creatori pur con competenze e posizioni differenti. Un lungo, infatti, giocando sotto e spalle a canestro spesso facilitava il gioco dietro la difesa, suggerendo ad esempio i tagli. Un elemento che ha portato alla sua estinzione come ruolo è stato il pick and roll. Questo porta il centro a dover salire ben oltre la linea dei tre punti per poi tagliare forte sfruttando il mismatch oppure per prendere il rimbalzo».

«Tutto ciò, in maniera epidemica - ha sottolineato il vate -, ha strappato il centro dall’occupare la posizione in post basso. Non lavorando più su questo fondamentale aspetto del gioco, quando un lungo riceve palla in quella posizione non ha la tecnica per usare i perni ma cerca un ingresso in area di forza. Ed è diventata una grande perdita per la qualità del gioco. Mettiamoci poi la psicosi del tiro da tre, ormai utilizzatissimo anche dai centri, che per caratteristiche anche morfologiche vi si addice di più rispetto al dover battagliare sotto canestro».

Denis Marconato con Dino Meneghin

Quando nella pallacanestro si parla della mancanza di centri, spesso si indica la pallavolo come colpevole di rubarci i ragazzi più alti. È verità?

«La pallavolo ha una maggiore presenza nelle scuole, e così vengono segnalati i ragazzi che hanno più qualità fisiche adatte alla disciplina. Nella pallacanestro il reclutamento avviene attraverso il minibasket, un movimento meritorio che è basato però sul pagamento delle quote da parte delle famiglie, e che quindi diventa una limitazione spaventosa. Il basket non mette in campo nessuna azione di penetrazione nelle scuole. E va anche detto che alzare una rete e giocare a pallavolo è più semplice, senza possibilità di contatti e conseguenti infortuni».

«Potrebbe essere un cavallo di Troia per l’intero movimento il basket 3v3 – ha osservato lo storico coach -, perché spesso i ragazzi si autoregolano senza avere necessità dei professori. La maggior parte dei quali non sa neppure da dove iniziare con la pallacanestro perché si tratta di un gioco complesso. C’è bisogno del controllo del corpo, di quello della palla e in generale del gioco collettivo, per nulla naturale rispetto al calcio o al volley. Mettere un canestro in un angolo della palestra, o nel campetto all’aperto potrebbe essere la soluzione per far nascere la passione da coltivare e far sviluppare successivamente in un club».

Però qualche giocatore c’è. Ad esempio, Caruso è stato medaglia d’argento al Mondiale Under 17 in Egitto nel 2017, mentre Totè è stato nominato Mvp del Fiba European Under 18 in occasione dell’Europeo 2015. Eppure, da giovani promesse né l’uno né l’altro sono riusciti a trovare spazio o ad esplodere definitivamente?

«Il sistema professionistico non è fatto per sviluppare il talento dei giovani. È fatto per utilizzare al massimo le possibilità che ha un giocatore di trovare spazio in squadra. In Italia succede che un club come Milano o Bologna prenda i migliori giovani per occupare i posti da giocatori formati senza però farli giocare. Questo è un male endemico anche in A2, dove gli allenatori sono sempre più precari e marginali, ma anche timorosi per cui non lanciano più i giovani».

«Tutto questo è anche causa del fatto che al termine del percorso giovanile - ha analizzato il tecnico due volte campione d’Europa con Cantù e Roma -, i ragazzi anche promettenti vengono gettati nel calderone dei campionati dilettantistici, che in realtà sono semiprofessionistici ma vengono così mascherati. S’interrompe la loro maturazione, proprio perché non c'è un campionato deputato. Ci vorrebbe una visione, ma al momento il mondo del basket non ce l’ha».

Ma c’è bisogno del centro per vincere, anche e soprattutto in ottica nazionale, visto che i migliori risultati azzurri sono arrivati con giocatori come Meneghin, Marconato e Chiacig in squadra?

«Per quanto riguarda la nazionale, c’è da dire che oltre ad una mancanza fisica, e quindi in assenza di giocatori di stazza, i pivot non hanno neppure la tecnica, cosa sempre più rara. Però non ci si può arrendere a questa mancanza, perché si può giocare anche con dei giocatori non altissimi, quasi esterni, che sanno creare spazio per le penetrazioni ed essere pericolosi al tiro. Con l’evoluzione del gioco ci possono essere alternative al pivot puro, ma bisogna avere le capacità per permettere alla squadra di giocare in maniera differente rispetto alla pallacanestro tradizionale».

«Un sistema da poter adottare è quello di affrontare gli avversari con più movimento, sia della palla che senza, sfruttando questi lunghi più dinamici in modo da creare spazi per le penetrazioni degli esterni. Ma non è facile - ha osservato Bianchini - perché la nazionale ha sempre poco tempo per sviluppare un gioco collettivo. E purtroppo ritengo che ancora per molti anni non avremo un pivot decente, per cui lo cercheremo in America. Ammesso che venga a giocare per noi».

Nino Calebotta è stato il primo gigante della pallacanestro azzurra. Alto 2.04 metri, di origini balcaniche ma cresciuto a Milano, è a Bologna sponda Virtus che si è fatto apprezzare per le sue qualità negli anni 50’ e 60’ partecipando anche alle Olimpiadi di Roma. È poi seguito Ottorino Flaborea, pivot bonsai di 1.97 metri, che con Varese ha vissuto gli anni migliori e vinto tutto, e più di una volta, tra cui scudetto, Coppa Italia, Coppa dei Campioni, Coppa Intercontinentale e Coppa delle Coppe. Alberto Merlati, 2.04 metri, ha invece vestito le maglie di Cantù, Gorizia, Venezia e Torino oltre a quella azzurra della nazionale.

Roberto Chiacig

Dino Meneghin, 2.05 metri di statuaria concretezza, il pivot per antonomasia quando si parla di centri italiani e della nazionale. Leggenda di Varese e Milano, con le quali ha messo insieme 12 scudetti, 6 Coppe Italia e 7 Coppe dei Campioni che ancora oggi rappresentano il record personale per un singolo giocatore. E poi, ovviamente, i grandi successi in azzurro. Come non ricordare i 2.12 metri di Luciano Vendemini, purtroppo stroncato in campo a causa di una malformazione cardiaca che aveva vestito le maglie di Cantù, Rieti e Torino.

«La maggior parte dei centri erano comunque americani anche prima - ha ricordato il vate Bianchini -. Quando ho allenato Roma, ad esempio, avevo Kim Hughes insieme a Fulvio Polesello. Tutti cercavano il lungo straniero, proprio perché la mancanza di ragazzi alti è sempre stato un problema endemico del basket italiano». Ario Costa, con i suoi 2.11 metri, ha segnato l’epopea di Pesaro con due scudetti e due Coppe Italia, ed ha rappresentato il primo centro moderno.

Denis Marconato (2.11) e Roberto Chiacig (2.10), entrambi vivaio Treviso prima di girovagare in lungo e in largo per lo stivale, sono stati gli ultimi centri con fisico e stazza, capaci di prendere posizione spalle a canestro. Contribuendo fattivamente alle ultime medaglie di prestigio dell’Italbasket. Andrea Bargnani (2.13), prima scelta assoluto del draft Nba 2006, ha rappresentato la vera rivoluzione del ruolo con le sue capacità balistiche che lo hanno portato a giocare oltre l’arco. Senza però incidere a livello di vittorie con la nazionale.

«La pallacanestro non va più di moda in Italia», questo il commento di Bogdan Tanjevic, ex coach della nazionale azzurra sulla crisi dei lunghi nel basket italiano. «Non è un caso che nella pallavolo ci sia stata un'esplosione di talenti sopra i 195 cm. Hanno sicuramente fatto qualcosa meglio di noi e soprattutto è più facile emergere». Uno sviluppo quello dei lunghi italiani che di anno in anno tarda ad arrivare, con esempi come Caruso rilegati in panchina o Totè che il ct Pozzecco non sembra vedere.

«Caruso per me ha fatto una scelta sbagliata, ma lo capisco, sicuramente Milano ha offerto delle cifre che le piccole-medie squadre non possono pareggiare. Il sistema è sbagliato, perché dovrebbe proteggere le squadre che non possono competere economicamente con le super potenze. I club sono costretti a vendere prima che effettivamente i prodotti dei vivai, o i giovani in generale, possano aver dato loro frutti. Su Totè invece, Pozzecco non ha un compito facile, ci sono passato. Difficile sfaldare un gruppo per inserire un nuovo giocatore. È più giusto forse puntare sulla continuità».

Un esempio, quello dell'Italbasket del passato che fa sì che da noi abbiano imparato Francia, Germania e Spagna, per poi addirittura superarci in tutto. Di pensiero leggermente diverso è Sandro Gamba, anche lui ex giocatore ed ex coach della nazionale azzurra, che sostiene che al problema che si presenta bisogna trovare una soluzione, e non necessariamente sulle convocazioni: «Anche quando giocavo io eravamo senza il centro super fisico di oltre due metri. Negli anni 50’, infatti, abbiamo giocato spesso pressing a tutto campo ed abbiamo alzato il ritmo sfruttando i lati positivi dei nostri fisici».

«Dipende dai tecnici, è una variabile, ogni allenatore deve fare il meglio possibile con la squadra che ha ed adattare le tattiche a seconda del roster a disposizione. Bisogna anche cambiare un po' con i giovani, magari metterli in campo e farli arrangiare, poi togliergli e spiegare l'errore». Una nazionale, dunque, che continua la disperata ricerca di un lungo che possa dare un futuro al ruolo in maglia azzurra, vista anche l'età che inizia ad avere ad esempio Nicolò Melli, fino ad ora inamovibile lungo dell’Italbasket.

 

Da Calebotta a Melli, gli anni ruggenti dell’Italia con centri veri

Nino Calebotta, 2.04, 1952 - 1968; 65 presenze e 410 punti;

Ottorino Flaborea, 1.95, 1957 - 1978; 129 presenza e 747 punti;

Alberto Merlati, 2.04, 1965 - 1975; 30 presenze e 123 punti;

Dino Meneghin, 2.04, 1965 - 1994; 271 presenze e 2947 punti;

Luciano Vendemini, 2.11, 1971 - 1977; 44 presenze e 157 punti;

Luigi Serafini, 2.10, 1971 - 1979; 112 presenze e 524 punti;

Vittorio Ferracini, 2.04, 1973 - 1982; 128 presenza e 504 punti;

Renzo Vecchiato, 2.07, 1977 - 1985; 201 presenze e 1439 punti;

Ario Costa, 2.11, 1977 - 1997; 193 presenze e 1048 punti;

Pietro Generali, 2.07, 1978 - 1983; 71 presenze e 458 punti;

Augusto Binelli, 2.15, 1984 - 1989; 95 presenze e 590 punti;

Flavio Carera, 2.06, 1985 - 1997; 129 presenze e 602 punti;

Stefano Rusconi, 2.08, 1987 - 1995; 94 presenze e 767 punti; 

Denis Marconato, 2.11, 1990 - 2006; 195 presenze e 1140 punti;

Alessandro Frosini, 2.09, 1992 - 1998; 98 presenze e 584 punti;

Roberto Chiacig, 2.10, 1994 - 2022; 188 presenze e 1475 punti;

Andrea Bargnani, 2.13, 2002 - 2017; 73 presenze e 1129 punti;

Nicolò Melli, 2.05, 2007 - presente; 124 presenze e 834 punti.



* per la rivista Basket Magazine