mercoledì 22 gennaio 2020

Cultura sportiva! Dove e come si insegna?

Cultura sportiva!
Dove e come si insegna?


La tradizione sportiva italiana è lunga quasi quanto la sua storia. In quasi tutti gli sport, sia individuali che di squadra, l’Italia può vantare numerosi successi. Tuttavia la tradizione e le vittorie spesso non sono accompagnate da atteggiamenti consoni ad una cultura sportiva.
Questo dislivello tra successi e comportamenti ha un grande responsabile nella mancanza di un programma politico sportivo che comprenda normative adatte e mirate a sviluppare la cultura dello sport, che ha radicato nelle persone che praticano attività agonistiche o che semplicemente le seguono una visione distorta di ciò che è realmente lo sport e soprattutto di come lo si dovrebbe vivere.

Cos’è la cultura? La cultura è un concetto ampio e dalle diverse sfaccettature. Il suo significato lessico è “insieme delle conoscenze relative a una particolare disciplina”. La cultura è quindi sapere. In sociologia, invece, per cultura si intende “l’insieme dei valori, simboli, modelli di comportamento e attività materiali che caratterizzano il modo di vita di un gruppo sociale”. Quindi la cultura è anche valori. E grazie appunto al sapere e ai valori la cultura è simile ad un ponte fra ciò che è l’uomo e ciò che può diventare. Quindi la cultura è anche potenzialità. Ma la cultura è anche il prodotto di un processo di apprendimento e non qualcosa di innato. Pensiamo all’incontro fra culture diverse. Insomma la cultura è anche costruzione.

Lo sport è cultura? Lo sport possiede senz’altro tutti questi elementi: sapere, valori, potenzialità e costruzione. Sapere: conoscere il movimento fisico, gli stili di vita sani, le regole di uno sport. E fa parte del sapere anche imparare a conoscere se stessi e gli altri attraverso lo sport. Platone diceva che “si può scoprire di più una persona in un’ora di gioco che in un anno di conversazione”. Valori: impegno, divertimento, coraggio, solidarietà, entusiasmo, salute, forza, rispetto delle regole e degli altri, gioco di squadra, vittoria, miglioramento, sono solo alcuni dei valori esistenti. A seconda del nostro sistema di valori le nostre azioni potranno essere molto diverse. Potenzialità: allo sport si conferisce una valenza pedagogica particolare. Le Nazioni Unite nel 2005 hanno promosso l’Anno Internazionale dello Sport e dell’Educazione Fisica che ha affermato che lo sport è “componente essenziale della nostra società perché trasmette le regole fondamentali della vita sociale ed è portatore di valori educativi”. Costruzione: Nelson Mandela diceva che “lo sport ha il potere di cambiare il mondo, di suscitare emozioni, di ricongiungere le persone, di risvegliare la speranza dove prima c’era solo disperazione”. Ad avvalorare ciò c'è un dato: aderiscono al Comitato Olimpico Internazionale 205 federazioni nazionali, mentre alle Nazioni Unite solo 192 paesi. Queste qualità, con regole e comportamenti di tutti gli attori coinvolti, possono contribuire a formare quella che possiamo chiamare cultura sportiva.

In Italia lo sport è considerato cultura? Attraverso lo sport si può educare un Paese. Gli antichi greci lo consideravano una palestra di vita, mentre per gli americani è il mezzo per il riscatto sociale. In Italia è visto come un divertimento, un passatempo, una scusa per evadere dai problemi quotidiani. Tutto nobile, tutto giusto, tutto consentito. L'aspetto negativo è quando una manifestazione sportiva diventa la valvola di sfogo delle proprie frustrazioni.

Dove si apprende la cultura sportiva? La risposta a questa domanda è la stessa di dove si apprende la cultura in generale. A scuola, ma anche dagli sportivi stessi. E soprattutto nelle ore di educazione fisica. “Educazione”, appunto. Le domande che forse dovremmo porci sono: quanti di noi sono stati davvero educati dalle ore di sport a scuola? Quanti possono affermare di aver appreso lezioni di vita utili per la quotidianità? Lo sport è uno dei massimi veicoli di aggregazione sociale, insegna il sacrificio e il rispetto che dovrebbero essere alla base di ogni società.

Lo sport è cultura. Secondo il Libro bianco dello Sport 2007 della Commissione Europea, lo sport ha quattro dimensioni: agonistico, preventivo, educativo, ricreativo. Oltre a migliorare la salute dei cittadini, ha una dimensione educativa e svolge un ruolo sociale, culturale e ricreativo. Pensate all’Universiade che solo lo scorso luglio si è svolta a Napoli e in tutta la Campania. Una metafora di università e stadio, il binomio perfetto di cultura e sport. In Italia il problema della mancanza di cultura sportiva si traduce nell’avversario che non è un rivale, ma un nemico; e si va allo stadio per offendere e non per sostenere. Lo sport è davvero cultura perché infondo non è solo un gioco, ma un vero e proprio stile di vita.

Tre sono le espressioni tipiche della condizione umana secondo la filosofia: il gioco, il rito e il mito. Possiamo definire lo sport la versione moderna e organizzata del gioco. Al gioco succede il rito, come per la religione, che è rappresentato da una gara. Il gioco e il rito sono le forme culturali legate all’azione, al corpo, alla prestazione. Il terzo stadio è il mito, pensate all’odierno idolo sportivo che non rispecchia lo stile di vita del popolo, perché tende ad imporre il proprio modello a tutte le altre persone. Come si veste, cosa utilizza, dove va, tutto diviene fenomeno da seguire. E questo non esclude neppure i comportamenti fuori e dentro il campo. C’è dunque il rischio, da parte dello sport, di contribuire al fenomeno della idolatria, così da ritrovarci una società riflesso dello sport e non lo sport riflesso della società.

Nello sport di alta prestazione, che è poi quello che maggiormente influenza lo spettatore sportivo, stanno contribuendo alla sua continua evoluzione l’impatto economico della sport industry, l’innovazione tecnologica e il peso dei media, che sono arrivati, ad esempio, a cambiare a seconda delle proprie esigenze le stesse regole dello sport. Sport e business sono strettamente legati verso il successo ad ogni costo. Lo sport, oggi, premia la cultura del successo, che sacrifica l’elemento del gioco in favore del risultato, che va raggiunto a qualunque costo, anche e soprattutto per gli interessi economici ad esso legati.

È dunque fondamentale saper riconoscere la differenza tra la vittoria, che deve essere perseguita e rincorsa fino alla fine, e la sconfitta, che deve essere accettata come parte integrante del gioco. Deve essere valutata la prestazione e non il risultato. Si tratta di mentalità ed educazione. Lo sport è uno strumento importante per accrescere e indirizzare le persone verso determinati comportamenti. E non stiamo parlando del futuro del giovane sportivo, ma del futuro del giovane cittadino.

La formazione di una cultura sportiva mira a sviluppare una mentalità vincente, non solo un vincitore da podio o da medaglia d’oro. Chi riesce a sviluppare una tale mentalità impara dall’esperienza sportiva a conoscere se stesso, i propri limiti e le proprie potenzialità. Acquisisce una capacità di apprendimento che gli permette di perseguire un miglioramento continuo. Dovremmo quindi ridefinire il concetto di successo e di vittoria domandandoci “come abbiamo corso?”, e non “come siamo arrivati?”. Vincere allora può voler significare non solo essere il migliore, ma anche fare del proprio meglio.

Bisogna essere spinti dal fair play, che non è una regola come le altre. Il fair play impone il rispetto delle regole del gioco ma anche delle regole non scritte e universali dell’umanità. Il fair play non vuole mai una vittoria a qualsiasi prezzo, bensì vuole il rispetto per l’avversario, i compagni e l’arbitro. E il fair play è ciò che unisce il dilettante e il professionista, che sull’aspetto morale devono essere uguali in tutto e per tutto.

Tutti conoscono le battute ciniche “vincere non è importante. È l’unica cosa” o “il secondo è il primo degli ultimi”. Forse però è meno nota la definizione “successo è il participio passato del verbo succedere”. Così l’orgoglio viene ridimensionato. Le sconfitte sono sicuramente più numerose delle vittorie. Allora uno dei valori educativi fondamentali dello sport è quello di imparare a perdere con grazia.

È utopia sognare una cultura sportiva? Forse il semplice fatto di sognarla è già un primo passo verso una sua più ampia diffusione. Non a caso il giornalista uruguaiano Eduardo Galeano diceva, riguardo all’utopia: “L’utopia è come l’orizzonte. Mi avvicino di due passi, si allontana di due passi. Faccio dieci passi e si sposta di dieci passi. Per quanto cammini, mai lo raggiungerò. Dunque a cosa serve l’utopia? A camminare”.

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